“Prosegue fino al 6 la retrospettiva dedicata a Pier Paolo Pasolini nel quarantennale della morte”
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A quarant'anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), la Cineteca Nazionale omaggia il grande artista attraverso la proiezione di tutti i suoi film, inclusi i cortometraggi. A distanza di molti anni, come scriveva Gian Piero Brunetta: «Dopo che attorno al suo corpo troppo presto santificato dall'eccesso di iniziative si è creata troppo a lungo una vera e propria industria, è possibile tentare di ricomporre le singole parti del suo lavoro in un insieme coerente (come ha cercato di fare da tempo Giuseppe Zigaina puntando l'accento sulla lucida programmazione della sua morte come modo per assicurare l'eternità alla sua opera), tenendone presente l'estrema interdipendenza e connessione tra fare creativo e svolgersi della sua vita. Pasolini godeva della rara capacità di esprimersi con più mezzi a un alto livello di professionalità: come un re Mida, o un uomo orchestra, sapeva trasformare e adattare alle proprie esigenze qualsiasi materiale gli passasse per le mani». In tale contesto (ri)vedere i film di Pasolini, aggiunge un ulteriore tassello importante all'opera dell'artista, non ultimo il recente restauro, a cura della Cineteca di Bologna con la collaborazione della Cineteca Nazionale, di Salò o le 120 giornate di Sodoma.
domenica 1
ore 16.30 Accattone di Pier Paolo Pasolini (1961, 117')
"Accattone" è il soprannome di un ragazzo nullafacente che vive in una borgata romana sfruttando una prostituta, Maddalena. Quando la ragazza finisce in carcere, Accattone si trova senza soldi e cerca di tornare dalla moglie che vive insieme al figlioletto in casa del padre e del fratello. «Il mondo dei "ragazzi di vita" del sottoproletariato romano, dei diseredati, ha trovato nell'opera di Pier Paolo Pasolini [...] i giusti toni di una partecipazione affettiva e di una interpretazione commossa. Siamo lontani dal clima dei film sugli Sciuscià e sui Ladri di biciclette; qui il rapporto tra l'autore e i suoi personaggi si basa non sull'osservazione di una serie di fenomeni umani e sociali, ma sulla diretta partecipazione a un mondo di vita; e lo stile della rappresentazione deriva direttamente dalla volontà di dar forma visiva e letteraria ad una esperienza reale» (Rondolino).
ore 19.00 Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini (1962, 106')
«Quando il suo protettore (Citti) si sposa, la prostituta Mamma Roma (Magnani) decide di rifarsi una vita assieme al figlio Ettore (Garofalo). [...] Il tema dell'incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria è il centro del secondo film di Pasolini [...] dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale (il Cristo morto del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma indistruttibile, mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla vita, è fratello ideale di Accattone, senza esserne una scialba replica. Quella della Magnani [...] è una delle sue migliori interpretazioni. Il debuttante Garofalo fu scoperto dal regista mentre faceva il cameriere in una trattoria. Lo scrittore Paolo Volponi è il prete» (Mereghetti).
ore 21.00 Padre selvaggio di Pier Paolo Pasolini (1962, 11')
Provini per il film Padre selvaggio, svolti in una sola giornata di riprese: il 6 dicembre 1962. Riprese con varie inquadrature di un campo di zingari alla periferia di Roma. Inquadrature di una zingara in campo.
a seguire La ricotta di Pier Paolo Pasolini (ep. di Ro.Go.Pa.G., 1963, 36')
«Stracci, che "interpreta" come comparsa la parte del ladrone buono in un film sulla Passione di Cristo che un pretenzioso regista (impersonato da Orson Welles) che si autodefinisce marxista ortodosso sta girando su un enorme prato della periferia romana, è un sottoproletario perennemente affamato. La scena è ingombra di decine di membri della troupe e di comparse, che in mezzo alla scenografia "sacra", alcuni ancora in costume da santo, ballano un twist scatenato. Quando la sua povera e numerosa famiglia lo va a trovare sul set, Stracci dona loro il cestino del pranzo che gli spetta in quanto attore per consentirgli di consumare un misero pasto in mezzo al prato, che assume il valore di una vera e propria eucaristia. Per non saltare il pasto, Stracci, approfittando della confusione del momento di pausa, si traveste da donna e riesce a "rimediare" un nuovo cestino dalla produzione. Con infantile entusiasmo si accinge quindi a mangiarlo, al riparo da tutti, in una piccola grotta poco lontano dal set. Ma dal set giunge l'ordine di presentarsi in scena, e Stracci a malincuore è costretto ad abbandonare il suo cestino dietro un sasso. Quando torna, trova che il cagnolino della prima attrice del film ha divorato tutto il contenuto del suo cestino. Stracci, sconsolato, piange a grandi lacrime come un bambino» (Murri). «L'intenzione fondamentale era di rappresentare, accanto alla religiosità dello Stracci, la volgarità ridanciana, ironica, cinica, incredula del mondo contemporaneo» (Pasolini). Con Mario Cipriani nel ruolo di Stracci.
a seguire La rabbia di Pier Paolo Pasolini (1963, 53')
«Il produttore del film era Gastone Ferranti, colui che aveva fondato "Astra cinematografica", una società che monopolizzò il documentario negli anni cinquanta, quando a un film, nella cosiddetta programmazione obbligatoria, veniva associato un documentario a cui, a seconda dell'incasso di un film, veniva data una percentuale. Ferranti per esempio abbinò un documentario a Cleopatra, quindi diventò ricco in brevissimo tempo. Dato che Ferranti aveva prodotto il cinegiornale "Mondo libero", aveva tantissimo materiale e chiese a Pasolini di fare un film utilizzando proprio quella fonte. Pier Paolo era entusiasta. […] Ferranti, che era un conservatore liberale, venne consigliato da alcune persone dell'ambiente del cinema, di cui io non conosco il nome, che dicevano che l'operazione così com'era non poteva reggere a un impatto commerciale, anche se la distribuzione venne trovata presso una società molto importante il cui titolare era un uomo di sinistra ed ex comandante partigiano. Allora qualcuno gli suggerì l'idea di riprendere quello che veniva fatto su Candido, cioè "visto da destra e visto da sinistra", come le due vignette che apparivano sul giornale di Guareschi. Vennero proposti alcuni nomi ma poi Ferranti decise per Guareschi che avrebbe bilanciato il film a destra. Naturalmente Pier Paolo al nome di Guareschi insorse in quanto era evidente che c'era anche un problema di livello, cioè non era soltanto un problema politico ma di livello culturale e anche di persona.
Il punto era questo: l'accettazione di Pier Paolo del film non fu per lui un grande trauma, cioè fu una ribellione del momento, come lui faceva, che poi ha razionalizzato e ha capito che senza quella operazione il suo film non sarebbe mai uscito. Questo è il punto fondamentale. Il suo discorso era: "È importante che io faccia comunque questo film con un testo in prosa e in poesia", cosa che per quei tempi era molto particolare e che, per la modernità, anche oggi lascia senza parole...
Quindi accettò di buon grado, nel senso che si adeguò all'operazione. Ma non c'era nessun contatto con Guareschi. Noi avevano il compito, in un locale in cui c'era una moviola, di lavorare a questa. Quando Guareschi disse di sì, venne ricavato in una stanza vicina, uno spazio dove venne messa un'altra moviola. Noi lavoravamo da una parte e lui da solo in un'altra stanza. Quindi anche tutte le chiacchiere che sono nate sui contrasti tra i due erano leggende: era un lavoro completamente separato. Questo è sostanzialmente l'inizio della storia» (Carlo Di Carlo).
Quindi accettò di buon grado, nel senso che si adeguò all'operazione. Ma non c'era nessun contatto con Guareschi. Noi avevano il compito, in un locale in cui c'era una moviola, di lavorare a questa. Quando Guareschi disse di sì, venne ricavato in una stanza vicina, uno spazio dove venne messa un'altra moviola. Noi lavoravamo da una parte e lui da solo in un'altra stanza. Quindi anche tutte le chiacchiere che sono nate sui contrasti tra i due erano leggende: era un lavoro completamente separato. Questo è sostanzialmente l'inizio della storia» (Carlo Di Carlo).
lunedì 2
ore 16.30 Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (1964, 138')
«Rispetto ad Accattone, il Vangelo secondo Matteo segna un progresso indubbio, prima di tutto per l'eccezionale impeto espressivo che in questo film rivela direttamente e immediatamente quali sono le cose che stanno a cuore a Pasolini. E in secondo luogo perché, nelle singole parti, Pasolini mostra questa volta di saper alleare la poesia ad una raffinatezza e levità che in Accattone, più elementare, non si potevano ancora che intravvedere. Pasolini ha un senso acuto della realtà del volto umano, come luogo d'incontro di energie ineffabili che esplodono nell'espressione, cioè in qualche cosa di asimmetrico, di individuale, di impuro, di composito, insomma il contrario del tipico. I primi piani di Pasolini sarebbero sufficienti da soli a mettere il Vangelo secondo Matteo sopra un livello eccezionale. […] Pasolini ha mirato a darci un Gesù duro, violento, iconoclasta, inflessibile, come appunto doveva apparire ai suoi contemporanei e non come appare oggi a noi che, com'è stato già detto, non possiamo non dichiararci tutti cristiani» (Moravia). «Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile» (Pasolini). Con Enrique Irazoqui nel ruolo di Gesù.
ore 19.00 Incontro moderato da Emiliano Morreale con Alfonso Berardinelli, Goffredo Fofi, Franco Grattarola
a seguire Sopraluoghi in Palestina di Pier Paolo Pasolini (1964, 54')
«Nel periodo che va dal 27 giugno all'11 luglio del 1963, in una pausa di lavorazione del film-inchiesta Comizi d'amore, Pasolini visita alcuni Luoghi Santi nelle terre di Galilea, Giordania e Siria: il lago di Tiberiade, il monte Tabor, Nazareth, Cafarnao, Baram, Gerusalemme, il Giordano, Bersabea, Betlemme, Damasco. È in compagnia di don Andrea Carraro e del dottor Lucio Settimio Caruso della Pro Civitate Christiana di Assisi, di Walter Cantatore dell'Arco film (la società di produzione di Alfredo Bini) e di un operatore alla macchina da presa, Aldo Pennelli. Alle riprese dei paesaggi e degli abitanti si alternano quelle in cui Pasolini espone in presa diretta le sue riflessioni, i suoi appunti di viaggio, oppure dialoga ora con don Andrea ora con i membri di un kibbutz. Da questo materiale di base prende forma Sopralluoghi in Palestina, dopo un montaggio frettoloso e un commento in over-sound di un Pasolini che parla a braccio. […] L'intento più immediato, più concreto del documentario è quello di verificare l'adattabilità di quei territori visitati alle esigenze di un film da farsi, Il Vangelo secondo Matteo appunto. Fin da prima di recarsi in Terrasanta, però, Pasolini è convinto dell'opportunità di ricreare l'ambientazione de Il Vangelo non nei suoi luoghi originari, bensì nell'Italia meridionale, "per analogia". "L'avevo deciso - afferma il poeta-regista - già prima di andare in Palestina, cosa che ho fatto solo per mettermi in pace la coscienza"» (Loris Lepri).
ore 21.30 Comizi d'amore di Pier Paolo Pasolini (1965, 93')
«Nel 1963 Pasolini girò un film-inchiesta sulla sessualità, percorrendo tutta la penisola, dalle grandi città alle campagne e chiedendo a passanti, contadini, operai, calciatori famosi, studenti, commercianti, a persone comuni appartenenti a diversi ceti sociali, che cosa ne pensassero dell'erotismo e dell'amore. Dalle risposte degli intervistati, soprattutto quelli di estrazione borghese, uscì un'immagine complessiva del nostro Paese ipocrita, costituita di frasi fatte e di luoghi comuni; le persone appartenenti a classi sociali meno abbienti fornirono risposte più spontanee. […] L'impressione che si trae oggi da questo film-inchiesta […] è quella di una grande, diffusa ignoranza anche in strati di popolazione più acculturata, di una profonda, generalizzata arretratezza e di un vero e proprio timore dell'italiano medio ad affrontare, senza assurde "vergogne" un qualsiasi confronto legato ad un tema quale quello della sessualità, che dovrebbe invece essere trattato con infinita naturalezza. Il film fa riflettere, infine, su quali siano stati nel nostro paese (all'epoca, ma ancor oggi, direi) i condizionamenti, le distorte sovrastrutture mentali, le paure instillate da un uso repressivo della religione fatto dalle istituzioni cattoliche. E anche sulle responsabilità di una classe politica che non ha dato impulsi di sorta a un rinnovamento profondo dei sistemi educativi» (Angela Molteni).
martedì 3
ore 17.00 Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini (1966, 89')
«Antonio de Curtis e Pier Paolo Pasolini: è possibile immaginare due cineasti tanto diversi? Il primo è un comico, scatena la sua fantasia in piena libertà; il secondo è un intellettuale, la sua vita, le sue poesie, i suoi film sono atti politici. Il principe è un conservatore di spiccate simpatie monarchiche, il regista un uomo di sinistra pronto al duello dialettico con chiunque, anche con il partito di riferimento; l'arte di Totò si muove nel solco di una tradizione culturale, quella di PPP è spesso violenta opera di sperimentazione. In comune Totò e Pasolini hanno almeno una cosa, la timidezza. La sera in cui s'incontrano, in casa del principe, Pasolini gli parla di un progetto cinematografico tra lunghe pause di imbarazzato silenzio; Antonio de Curtis ascolta compunto, covando dentro di sé il disgusto per i jeans sdruciti di Ninetto Davoli. Da quest'incontro stentato nasce Uccellacci e uccellini, girato subito dopo La mandragola e ancora prodotto da Alfredo Bini» (Anile). «Padre e figlio, in giro per il mondo, incontrano un corvo parlante (con la voce di Francesco Leonetti) che gli fa la morale, secondo la filosofia razionale di un intellettuale marxista. Quando si stancano delle sue chiacchiere, lo mangiano. Film-saggio di stimolante originalità, il 4° film lungo di P.P.P., operetta poetica nella lingua della prosa, propone in brevi favole e in poetici aneddoti una riflessione sui problemi degli anni '60: crisi del marxismo, destino del proletariato, ruolo dell'intellettuale, approssimarsi del Terzo Mondo. Con la sua divagazione evangelico-francescana, è anche un apologo umoristico che in alcuni momenti ha l'umiltà e la densità del capolavoro. Due Nastri d'argento a Pasolini (soggetto) e Totò (attore). Premiato al Festival di Cannes» (Morandini).
A seguire l'episodio inedito Totò al circo
ore 19.00 Edipo re di Pier Paolo Pasolini (1967, 105')
Versione della tragedia di Sofocle in forma di saggio, con gli opportuni riferimenti alla psicanalisi. La storia dell'uomo che, inconsapevolmente, uccide il padre, sposa la madre e, quando scopre la verità, si acceca diventa per Pasolini un dramma universale e al tempo stesso autobiografico. Prologo negli anni Venti, epilogo nella Bologna moderna, parte centrale in una immaginosa Grecia barbara e fuori dal tempo (ricostruita in Marocco). Questa è la prima apparizione su un set cinematografico di Carmelo Bene come attore, a segnare l'inizio di quella "parentesi cinematografica" che va dal 1967 al 1972 e che gli darà notorietà e risonanza internazionale, in Italia non senza scandali e attacchi feroci, non solo dalla critica dei detrattori ma anche dagli spettatori comuni, che causarono devastazioni selvagge e incendi nelle sale in cui avvenivano le proiezioni. Con Silvana Mangano, Franco Citti, Alida Valli, Carmelo Bene, Julian Beck, Ninetto Davoli.
ore 21.00 Medea di Pier Paolo Pasolini (1969, 110')
La tragedia di Euripide rivista da Pasolini: Medea aiuta Giasone a conquistare il vello d'oro e fugge con lui. Si sposano e hanno due figli, ma Giasone l'abbandona per unirsi alla figlia del re di Corinto. «Grazie a una presenza magnetica come la Callas, che si cala anima e corpo in un personaggio che aveva già ispirato l'opera di Cherubini, riesce ad afferrare il senso di fatalità e di orrore del mito greco. Costumi e scenografie (Pisa, Grado, Aleppo in Siria, la Cappadocia) suggeriscono, come in Edipo re, una dimensione temporale leggendaria, ben lontana dalla classicità di cartapesta cui ci ha abituato il cinema» (Mereghetti). Con Maria Callas, Giuseppe Gentile, Massimo Girotti, Laurent Terzieff, Margaret Clementi.
mercoledì 4
ore 17.00 Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968, 98')
«Uno strano studente (Stamp) s'insinua in una famiglia borghese e i suoi cinque membri finiscono per avere un rapporto con lui. Quando se ne andrà nessuno sarà come prima [...]. Pensato come un poema in versi poi diventato film, Teorema è il tentativo di dimostrare "l'incapacità dell'uomo moderno di percepire, ascoltare, assorbire e vivere il verbo sacro": mescolando suggestioni bibliche a influenze psicoanalitiche, Pasolini eleva l'erotismo a "tangibile e quasi fisico segno rivoluzionario", di fronte al quale la borghesia non può che rivelarsi per quello che veramente è» (Mereghetti). Con Silvana Mangano, Massimo Girottie Anne Wiazemsky.
ore 19.00 Porcile di Pier Paolo Pasolini (1969, 98')
«Due storie parallele, una arcaica e l'altra moderna. Nella prima un giovane che vive isolato alle falde di un vulcano, nutrendosi famelicamente di rettili, insetti e sterpi, incontra un soldato, lo uccide e lo mangia. Improvvisamente altri sbandati si uniscono a lui e insieme continuano a vivere da cannibali [...]. Nella seconda il giovane figlio di un ricco industriale tedesco disdegna le profferte amorose della fidanzata perché invischiato in rapporti con dei porci; inoltre rifiuta sia di aderire alla contestazione sia di interessarsi dell'azienda paterna» (www.cinematografo.it ). Con Pierre Clémenti, Franco Citti, Jean-Pierre Léaud, Anne Wiazemsky, Alberto Lionello, Ugo Tognazzi e Marco Ferreri.
ore 21.00 Pier Paolo Pasolini - La ragione di un sogno di Laura Betti (2001, 94')
«Film di montaggio molto ben fatto, pudico, toccante, evoca insieme con Pasolini un clima culturale e una società letteraria belli e spariti, che forse non torneranno mai. La scelta di immagini e citazioni è originale, affettuosa» (Tornabuoni). «Montando interviste e brani di film, delegando al grande amico di PPP e grande poeta e scrittore Paolo Volponi il racconto del PPP più privato e più intimo, scegliendo e organizzando o, talora, disorganizzando i suoi materiali, la Betti va con mano sicura al dunque, all'essenziale, senza requisitoria, perché immagini e parole dicono da sé» (Fofi).
giovedì 5
ore 17.00 Che cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini (ep. di Capriccio all'italiana, 1968, 22')
In un teatro viene rappresentata una versione in chiave comica della tragedia di Shakespeare Otello. I personaggi sono attori-marionette: Totò interpreta Jago, Ninetto Davoli è Otello, Laura Betti è Desdemona, Franco Franchi è Cassio, Ciccio Ingrassia è Roderigo. Una riflessione amara, ma con un raggio di luce finale, sul senso dell'esistenza umana, tra il vivere e l'apparire, la vita e la morte.
a seguire La sequenza del fiore di carta di Pier Paolo Pasolini (ep. di Amore e rabbia, 1969, 10')
Riccetto (Ninetto Davoli) percorre le strade di Roma senza rendersi conto del male e della sofferenza intorno a sé. Dio gli parla, ma non ne ascolta la voce. La lunga sequenza, alternata ad immagini di Riccetto che balla per la strada con un grande fiore rosso in mano, è spesso sovrapposta a filmati che ritraggono le più crude immagini della storia della prima metà del Novecento.
a seguire La terra vista dalla luna di Pier Paolo Pasolini (ep. de Le streghe, 1966, 31')
Tutto inizia in un piccolo cimitero di periferia, dove Ciancicato Miao (Totò) e suo figlio Baciù (Ninetto Davoli), due uomini dai capelli color rame che vivono in una dimensione temporalmente non definita, piangono la morte della madre e moglie Crisantema. Brava moglie e massaia, come sottolineato dalla statua presente sulla tomba (lei con il mattarello in mano), morta per ingestione di funghi tossici. Appena finito il lamento funebre, i due si rendono subito conto del fatto che Totò, impiegato comunale, non troppo vecchio e con casa di proprietà, potrebbe ancora incontrare un'altra moglie. «Pier Paolo Pasolini ha realizzato, con l'episodio La terra vista dalla luna, il momento fino ad ora più inedito, più singolare dell'intera sua traiettoria cinematografica. Chi nutrisse ancora dubbi su quale debba essere oggi considerato l'uomo di punta del cinema italiano, può accantonarli tranquillamente» (Lodato).
a seguire Appunti per un film sull'India di Pier Paolo Pasolini (1968, 35')
Il film venne realizzato da Pasolini per conto della rubrica Tv7 del primo canale della Rai. Fu girato a Bombay, a Nuova Delhi e negli stati di Uttar Pradesh e Rajasthan nel dicembre 1967 e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia l'anno seguente insieme Teorema. In queste riprese Pasolini si concentra su vari aspetti dell'India, dal mito alla realtà.
ore 19.00 Il Decameron di Pier Paolo Pasolini (1971, 111')
«Al tempo del Vangelo secondo MatteoPier Paolo Pasolini spiegò che per l'interpretazione aveva voluto evitare le ipotesi particolari e aggiornate e tenersi invece al senso comune. Cosa intendeva Pasolini per senso comune? Evidentemente, la fruizione del testo, attraverso i secoli, "fuori della storia", da parte di infiniti lettori, nei luoghi e nelle situazioni più diverse. Il senso comune: cioè il senso di tutto ciò che sfugge alla moda, alla storia, al tempo. [...] Per il Decameron, Pasolini ha proceduto in maniera non dissimile che per il Vangelo. Ha accettato e fatta sua la visione del senso comune di tutti i tempi la quale considera il Decameroncome un libro non solo privo di tabù ma anche privo del compiacimento di non averne; un libro, cioè, in cui letteratura e realtà si identificano perfettamente per una rappresentazione totale dell'uomo. [...] Per prima cosa ha notato che nel Decameronla rappresentazione realistica della civiltà contadina è chiusa in una cornice umanistica e raffinata. Indubbiamente questa cornice ha una grande importanza; essa crea quel rapporto tra gentilezza e rusticità, tra realismo e letteratura, tra immaginazione e verità che è uno degli aspetti più affascinanti del Decameron. Gettando via questa cornice illustre ed elegante, Pasolini sapeva di modificare profondamente il testo boccaccesco; ma dimostrava al tempo stesso di essere un regista irresistibilmente originale ossia fatalmente infedele. Pasolini non soltanto ha gettato via la cornice umanistica ma ha anche sostituito la "favella" toscana con il dialetto napoletano. [...] Una volta distrutta la finzione della villa deliziosa in cui, in tempi di pestilenza, si ritira una brigata di gentiluomini e di gentildonne per godersi la vita e raccontarsi dilettose vicende immaginarie, alla rappresentazione del mondo boccaccesco conveniva meglio il napoletano ancora oggi vivo e aggressivo che il toscano così estenuato persino in bocca dei contadini e degli artigiani. L'operazione linguistica, diciamolo subito, è perfettamente riuscita ed è uno dei caratteri più originali del film. Ne è venuto fuori un Decameronin cui gli umidi e sordidi vicoli di Napoli sostituiscono le pulite rughe di Firenze e la rozza e rigogliosa campagna campana il pettinato contado toscano. Questa sostituzione topografica a ben guardare è resa visibile soprattutto dalla sostituzione linguistica. A conferma una volta di più dell'importanza della parola nel cinema. Altra soluzione felice è quella del problema dell'erotismo boccaccesco altrettanto proverbiale quanto, in fondo, incompreso. Pasolini ha eliminato ogni tentazione di scollacciatura e ha fuso arditamente la serenità rinascimentale con l'oggettualità fenomenologica moderna» (Moravia). Con Franco Citti e Ninetto Davoli.
A seguire l'episodio inedito Set di Sana'a
ore 21.00 Il fiore delle mille e una notte di Pier Paolo Pasolini (1974, 130')
«Un film semplicissimo, ma anche difficile, suscettibile di letture molteplici: stilistiche, ideologiche, etnologiche. Incominciamo dal testo. La sua fonte, naturalmente, sono Le mille e una notte, l'opera letteraria più famosa della civiltà araba da cui, come dal Decamerone e dai Racconti diCanterbury, è nata tutta intera una letteratura (e per questo Pier Paolo Pasolini vi ha fatto ricorso per il suo ultimo film della "Trilogia della vita", sorretta all'interno dal denominatore comune della nostalgia del passato). Le novelle scelte sono una decina, volutamente le meno note, con un filo conduttore che riassume in chiave meno favolistica quello di Shahrazàd e del re Shahriyàr sostituendolo con quello del giovinetto Nur ed-Din che vaga disperatamente alla ricerca della sua amatissima schiava Zumurrud rapita da un rivale. I canovacci delle novelle riproducono fedelmente quelli della celebre raccolta, con varie contaminazioni, però, e delle concatenazioni ripetute che, facendo scaturire i vari racconti l'uno dall'altro e intersecandoli, danno alla struttura narrativa un aspetto concentrico, quasi a scatola cinese. I personaggi, gli uni "raccontandosi" agli altri, oltre ai due innamorati che reggono le fila della narrazione, sono re, principi, demoni, giganti e geni. Quello però che ha attratto Pasolini nelle novelle non è tanto il "loro carattere fiabesco, esotico, magico, quanto il loro realismo: il senso esistenziale della vita quotidiana dell'antico mondo arabo e la rappresentazione della società osservata con rigore quasi etimologico". Un realismo, comunque, in cui è possibile "vedere il Destino alacremente all'opera, intento a sfasare la realtà: non verso il surrealismo e la magia, ma verso l'irragionevolezza rivelatrice della vita, che solo se esaminata come "sogno" o "visione" appare come "significativa". Realismo, dunque, ma in un contesto "visionario", in cui i personaggi sono "rapiti" e costretti a un'ansia conoscitiva involontaria, il cui oggetto sono gli avvenimenti che gli accadono". Svolti, questi avvenimenti, costruiti questi personaggi con una struttura di racconto che tende volutamente al discorso piano, diretto, immedesimandosi ai toni di esposizione grezzi e popolari di quei tanti narratori che, ricchi e poveri, principi e mendicanti hanno tutti una identica cultura [...]. Le ragioni, però, vanno ricercate in quella volontà dell'autore di porsi oggettivamente dalla parte di chi ricorda e ricrea le proprie gesta nell'ambito della propria cultura (come già nel Decameron, come già nei Racconti diCanterbury); e preferire qui una narrazione di tipo tradizionale o estetizzante vorrebbe dire non intendere il succo dell'operazione letteraria tentata ancora una volta da Pasolini; né i suoi criteri d'interpretazione. Lo stesso principio, naturalmente, sorregge poi la "messa in scena" del testo, affidata appunto ad un "realismo visionario" in cui tutto, anche il favoloso, appare nitido e concreto e in cui, contemporaneamente, il reale, pur nella sua secchezza, ha sempre un sottofondo onirico; senza misteri, ma pieno di sospensioni, di tensione» (Rondi). Con Franco Merli, Ines Pellegrini, Ninetto Davoli, Franco Citti.
A seguire i due episodi inediti Nur-Ed-Din e Tagi E Dunya
venerdì 6
ore 17.00 Appunti per una Orestiade africana di Pier Paolo Pasolini (1969, 73')
Pier Paolo Pasolini, desiderando innestare l'Orestea di Eschilo nei drammi sociali e politici del Terzo Mondo degli ultimi decenni, percorre tre Stati africani (Kenya, Tanganiga, Uganda) alla ricerca di volti e fenomeni che rappresentino, con immagini reali e non artificiali, Clitennestra, Egisto, Agamennone, Elettra, Oreste e Pilade, che raffigurino la trasformazione delle Furie in Eumenidi, che ricordino il tempio di Apollo, dove Oreste venne giudicato non più da un tribunale divino, bensì da un tribunale umano. Il materiale raccolto viene poi presentato a studenti africani di Roma per verificare l'idea di fondo e per risolvere meglio il problema della datazione della moderna Orestea, se negli anni Sessanta o in quelli successivi.
ore 19.00 I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini (1972, 111')
«"C'è dentro ogni ben di Dio", scrisse John Dryden dei Canterbury Talesdi Geoffrey Chaucer (1340?-1400), vasto affresco incompiuto in versi sulla società inglese del XIV secolo. Ispirandosi forse a Boccaccio, ma comunque da buon conoscitore degli autori nostri, Chaucer immagina che nell'aprile 1383, durante un pellegrinaggio da Southwark all'abbazia di Canterbury, i partecipanti si narrino delle storie. Questi racconti dovevano essere 120: l'autore ne completò ventuno, ne lasciò abbozzati tre. Pasolini (che ridacchia in prima persona impersonando Chaucer nel film) ne ha scelti otto di tipo grottesco e scurrile, sorvolando sulla cornice che nel testo invece è molto significativa. Chi ha apprezzato il Decameron, più che il divertimento filologico stavolta assente per ovvie ragioni di lingua, ne ritroverà gli estri ribaldi nella nuova silloge (addirittura preceduta stavolta dalle solite contraffazioni truffaldine). In un carosello di peti, fornicazioni, nudi integrali e parolacce, Pasolini sembra rispondere all'esigenza del critico inglese che raccomandò, a proposito di Chaucer: "read him valiantly aloud", leggetelo coraggiosamente ad alta voce. Forse il brano più bello, tra altri di valore ineguale, è la Novella del venditore di indulgenze, che racconta i casi di tre compari alla ricerca della morte; oppure la Novella del frate, che vede il diavolo Franco Citti trascinare all'inferno un briccone. I toni acri e funerari si addicono al nuovo Pasolini, autocondannatosi all'umorismo coatto» (Kezich). Orso d'oro al Festival di Berlino.
ore 21.00 Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini (1975, 116')
Salò o le 120 giornate di Sodoma fu presentato in anteprima a Parigi il 22 novembre del 1975, tre settimane dopo la morte del regista. Pasolini fu ucciso subito dopo le riprese del film, prima di poter ultimare il montaggio. Il film uscì sul mercato italiano nel gennaio 1976 e venne subito sequestrato. Le sue traversie giudiziarie - dall'imputazione di oscenità a quella di corruzione di minori - durarono a fasi alterne fino al 1978. Durante la lavorazione di Salò o le 120 giornate diSodoma, Pasolini spiegò a più riprese il progetto di un'opera così geometricamente crudele, violenta, ma anche così enigmatica come un «mistero medievale» ben lontano cioè dai suoi film precedenti e specialmente dalla Trilogia della vita. Il 25 marzo del '75, in un'autointervista sul «Corriere della Sera», Pasolini scriveva: «Le mie Centoventi giornate di Sodoma si svolgono a Salò nel 1944, e a Marzabotto. Ho preso a simbolo di quel potere che trasforma gli individui in oggetti […] il potere fascista e nella fattispecie il potere repubblichino. Ma, appunto, si tratta di un simbolo. […] Nel potere - in qualsiasi potere, legislativo e esecutivo - c'è qualcosa di belluino. Nel suo codice e nella sua prassi, infatti, altro non si fa che sancire e rendere attualizzabile la più primordiale e cieca violenza dei forti contro i deboli: cioè, diciamolo ancora una volta, degli sfruttatori contro gli sfruttati. […] I potenti di De Sade non fanno altro che scrivere Regolamenti e regolarmente applicarli». L'ultimo film di Pasolini infatti rovescia la gioia della Trilogia della vita in una agghiacciante parabola di morte dove il sesso diventa semplice sopraffazione e i corpi degradati a oggetti da studiare e distruggere. Insostenibile per la maggior parte degli spettatori, come per l'amico e scrittore Leonardo Sciascia che confessava di aver visto il film soffrendo come un dannato, Salò, definito da Alberto Moravia «elegante, lucido e al tempo stesso fantastico e funebre», è un coraggioso tentativo di rappresentare tutto ciò che viene rimosso dalla società. Scriveva Serge Daney sul film che «l'atroce, non è soltanto ciò che è raggelato nelle inquadrature (torture, coprofilia), è il carattere traumatico di queste inquadrature, poiché nulla permette di prevederle».
Copia restaurata dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con la Cineteca Nazionale
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