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“Programmazione al cinema Trevi. Ottobre 2016”
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1-2 ottobre Visioni sociali: Femminile, plurale

4-7 ottobre Luchino Visconti

7 ottobre Presentazione dell'ultimo film di Tony De Bonis

8-9 ottobre In ricordo di Giuseppe Ferrara

11-12 ottobre Un mistero chiamato Paolo Heusch

13 (In)visibile italiano: delitti e rapine

14 Misteri italiani: Marco Masi

15 Cinema e psicoanalisi: Ricordi e memorie

16-23 ottobre Festa del Cinema di Roma: Gli anni delle immagini perdute. Il cinema di Valerio Zurlini

24-30 ottobre Festival Tertio Millennio

 

1-2 ottobre

Visioni sociali: Femminile, plurale

Inauguriamo questo mese un nuovo appuntamento dal titolo Visioni sociali, uno spazio in cui presentare cinema delle/sulle donne, film che riflettono su migrazione e altre tematiche sociali attuali, film documentari e di finzione, produzioni indipendenti, film che riguardano la diversità in tutte le sue forme, documentari sul mondo dell'infanzia e della scuola, incontri fra film italiani del passato e film odierni che affrontano tematiche simili, insomma un grande laboratorio cinematografico permanente per riflettere a 360 gradi sulle dinamiche sociali, politiche, culturali narrate dal cinema italiano, e non solo.

Da ottobre a giugno, otto appuntamenti con otto parole chiave. Ci sembra sempre più necessario avere dei "contenitori" di cinema che sappiano attraversare i generi, i formati, le provenienze, per offrire una riflessione ad ampio raggio sul mondo che ci circonda, superando ogni tipo di definizione e di etichetta.

Con questo primo appuntamento, "Femminile, plurale", esploriamo il mondo femminile attraverso alcuni film italiani che hanno portato uno sguardo sul ruolo delle donne e sul loro rapporto con l'altro sesso e con la società. Un viaggio assolutamente non esaustivo, un semplice percorso per ricordare e avere spunti di riflessione, mescolando generi e generazioni.

Rassegna a cura di Maria Coletti

 

sabato 1

ore 17.00 Il primo incarico di Giorgia Cecere (2011, 90')

Nel 1953, una ragazza meridionale, Nena, deve lasciare famiglia e fidanzato e trasferirsi in un paesino della Puglia per assumere il suo primo incarico di maestra di scuola. Ad accoglierla, però, è una realtà ostile, quasi arcaica, popolata di persone con cui Nena non sembra condividere nulla. Determinata a portare a termine il mandato, la giovane insegnante si scontrerà con quei luoghi selvaggi dimostrando un carattere fuori dal comune e spingendosi a ripensare la propria vita in modo sorprendente.

 

ore 19.00 Ossidiana di Silvana Maja (2007, 100')

Maria Palliggiano, giovane pittrice napoletana, vive la sperimentazione artistica degli anni Sessanta. Sposa Emilio Notte, uno dei protagonisti delle avanguardie artistiche e direttore dell'Accademia di Belle Arti di Napoli poiché ha avuto da lui un figlio, Riccardo. Maria cerca in questi anni di conciliare i ruoli di moglie, madre ed artista in un'alchimia volta a non rendere la sua vita una sequenza di fatti nudi e crudi. Tuttavia, stretta dalla morsa del pregiudizio, più volte è costretta a subire torture psichiatriche che hanno l'intento di una normalizzazione per lei inaccettabile. Ciò che per gli altri è inquietudine, per lei è desiderio di perseguire la struggente utopia della perfezione, del rigore e della giovinezza.

 

ore 21.00 L'amore di Màrja di Anne Riitta Ciccone (2002, 102')

Màrja, finlandese, 20 anni negli anni Settanta, ama Fortunato, siciliano. I due vivono in una comune nel nord Europa e hanno due figlie, Alice e Sonia, gli altri due grandi amori di Màrja. Quando gli anni delle contestazioni pacifiste finiscono, i due si trasferiscono in Sicilia, ma Màrja non accetta di dover rinunciare ai propri ideali e soprattutto sente il dovere di trasmetterli alle figlie. Quando Fortunato inizia la sua vita di lavoratore emigrato all'estero la situazione precipita.

 

domenica 2

ore 16.30 Inchiesta femminile (L'aggettivo donna) di Rony Daopoulo (1971, 54')

Interviste a donne in differenti situazioni e condizioni. Le donne anziane che lavorano da anni ai mercati generali sin dalla prima mattina, le operaie di una fabbrica occupata, una casalinga, una donna che racconta della sua esperienza con il sesso e una donna che racconta del suo aborto clandestino, una neo mamma che racconta della sua maternità e le bambine della scuola elementare che già, nonostante loro, subiscono un'educazione basata su valori del patriarcato.

 

a seguire Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi, Cesare Cantù (2009, 25')

«Siamo partiti da un'urgenza. La constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell'identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un'adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime. Da qui si è fatta strada l'idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l'utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv ma specialmente a chi la guarda ma "non vede"» (Zanardo, Malfi Chindemi, Cantù).

 

ore 18.00 Cadenas di Francesca Balbo (2012, 60')

In quella parte di Sardegna che si snoda tra la Trexenta, il Campidano e il Gennargentu corre un treno senza tempo, il cui passaggio è salutato da piccoli puntini gialli che agitano una paletta verde e rossa, le guarda-barriera. Un lavoro che si eredita in linea femminile da generazioni. La custodia del passaggio a livello è totalizzante: implica cura, responsabilità e attenzione, diventa un'ossessione che abita persino i sogni. È un lavoro antico destinato alle donne, che vi si dedicano con ripetitività quasi rituale, durante tutto il giorno, tutti i giorni dell'anno.

 

ore 19.30 Il mio domani di Marina Spada (2010, 88')

Monica è una quarantacinquenne la cui vita scorre fra normali abitudini. La casa, il lavoro, le ossessioni religiose del padre, una relazione con un uomo sposato. La morte del padre, le critiche a lei rivolte da un impiegato e la fine del rapporto amoroso la obbligheranno a una attenta riflessione sulla propria identità, che la porterà a cambiare pagina rivoluzionando tutta la sua vita e scegliendo un percorso identitario opposto al precedente. Il titolo del film è tratto da versi della poetessa Antonia Pozzi, a cui la regista aveva dedicato il suo film precedente, Poesia che mi guardi: «Se chiudo gli occhi a pensare / quale sarà il mio domani, / vedo una larga strada / che sale / dal cuore d'una città sconosciuta / verso gli alberi alti / d'un antico giardino».

 

ore 21.00 Tutto parla di te di Alina Marazzi (2012, 83')

Pauline ritorna a Torino dopo una lunga assenza. Partita per fare una ricerca sull'esperienza e i problemi della maternità, si ritrova ad affrontare il suo passato, dove ha sepolto un segreto doloroso. Ogni mattina si incontra con Angela, una vecchia amica che dirige un Centro maternità, per raccogliere materiale e testimonianze. All'ingresso del consultorio incrocia Emma, una giovane mamma in difficoltà, che non riesce a gestire la responsabilità della maternità e si è chiusa in un silenzio sordo. Solo Pauline sembra toccarla, invitandola a confidarsi davanti a un caffè amaro.

 

4-7 ottobre

4-7 ottobre

Luchino Visconti, 40 anni dopo (prima parte)

martedì 4

ore 17.00 Ossessione di Luchino Visconti (1943, 141')

L'amore maledetto fra un vagabondo e la moglie dell'anziano proprietario di uno spaccio lungo il Po. Visconti attinge alla letteratura americana e al realismo francese per raccontare una passione fatale in un crescendo di speranze e disillusioni. Primo film "neo-realistico", come lo definì, con felice intuizione, il montatore Mario Serandrei in un biglietto inviato a Visconti: irrompe il nuovo nel cinema italiano dei telefoni bianchi e della retorica fascista.


 

ore 19.30 La terra trema. Episodio del mare di Luchino Visconti (1948, 161')

La lotta dei pescatori di Aci Trezza, guidati da N'Toni, per sottrarsi ai soprusi dei grossisti. «Sintesi paradossale di realismo ed estetismo» (Bazin su «Esprit»), conseguita da Visconti attraverso l'uso del siciliano, lingua misteriosa e arcaica, e l'interpretazione degli abitanti di Aci Trezza: scelte che urtano i benpensanti e decretano la fortuna critica del film. Primo atto di una trilogia, mai realizzata, immortalato dalla straordinaria fotografia di G.R. Aldo. Francesco Rosi e Franco Zeffirelli furono gli assistenti alla regia di Visconti.

 

mercoledì 5

ore 17.00 Bellissima di Luchino Visconti (1951, 115')

Blasetti cerca una bambina per un film. Una popolana romana le prova tutte pur di assicurare alla figlia un futuro da star. Spietato ritratto del sottobosco che gravita attorno a Cinecittà, fabbrica di sogni e illusioni. Da uno spunto neorealista di Zavattini, dal quale Visconti si discosta mettendo a nudo i limiti dei metodi del neorealismo, racchiusi nella parabola di Liliana Mancini, interprete di Sotto il sole di Romadi Castellani, che qui compare come assistente montatrice. Uno dei tanti camei del film (oltre a Blasetti, Luigi Filippo D'Amico, Mario Chiari e Corrado Mantoni).


 

ore 19.00 Senso di Luchino Visconti (1954, 121')

L'amore contrastato fra una contessa veneta e un ufficiale austriaco sullo sfondo della guerra d'indipendenza del 1866. Un'opera di citazioni e omaggi (Stendhal, Foscolo, Heine) e di precisi riferimenti pittorici (Fattori, Lega, Hayez) in cui Visconti riversa tutto il suo amore per il melodramma e per Verdi, senza rinunciare a una visione critica della società del tempo. Il direttore della fotografia Aldo Graziati morì durante le riprese a causa di un incidente stradale e fu sostituito da Robert Krasker e dall'allora operatore Giuseppe Rotunno, promosso sul campo per la scena della fucilazione.

 

ore 21.15 Le notti bianche di Luchino Visconti (1957, 102')

Sospeso nella notte, il fuggevole idillio fra un impiegato e una misteriosa ragazza. Gli scenografi Chiari e Garbuglia ricostruiscono il quartiere Venezia di Livorno a Cinecittà creando una città nebbiosa e surreale, in cui i sentimenti affiorano e svaniscono: «Tutto deve essere come se fosse finto; ma quando si ha la sensazione che è finto, deve diventare come se fosse vero» (Visconti). Leone d'argento a Venezia, fra le polemiche (è rimasta famosa la battuta di Visconti rivolta a René Clair, presidente della Giuria, «se il Leone è d'argento, il silenzio è d'oro»).

 

giovedì 6

ore 17.00 Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti (1960, 177')

Il romanzo popolare della famiglia Parondi dall'arrivo a Milano, dalla lontana Lucania, alla tragedia finale, passando attraverso passioni e delusioni. "Tragedia realista", scandita attraverso memorabili scene madri, che suscita l'interesse morboso di spettatori e censori. Visconti raggiunge una sintesi perfetta fra dramma sociale ed epica (dei sentimenti), fra aspirazione al Bene e ineluttabilità del Male. L'altra faccia del boom economico, rigorosamente in bianco e nero.


 

ore 20.30 Vaghe stelle dell'Orsa... di Luchino Visconti (1965, 100')

«Piccoli vizi prudenti, sporchi; storie della vita di provincia, con le sue passioni esasperate», come recita uno dei protagonisti. Dramma intimista e decadente, ambientato a Volterra, che affronta «l'ultimo tabù» (Visconti), l'incesto, scavando nella memoria di una famiglia di origine ebree, con echi dannunziani e i fantasmi dell'Elettra di Sofocle. Leone d'oro a Venezia che ricompensa il regista di precedenti delusioni.

 

venerdì 7

ore 17.00 Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963, 187')

Splendida rappresentazione del passaggio della Sicilia dai borboni ai sabaudi che restituisce integralmente il senso e il fascino del capolavoro di Tomasi di Lampedusa, nobilitato dal decadentismo viscontiano, abile nel cogliere «le sfumature quasi proustiane della [...] personalità mondana e familiare» (Moravia) del principe di Salina. La celeberrima scena del ballo, che richiese più di un mese di riprese, suggella la fine di un'epoca e di una classe sociale, con risvolti anche autobiografici. Palma d'oro al Festival di Cannes.


Presentazione dell'ultimo film di Tony De Bonis

Era inevitabile che il cinema debordante di Tony De Bonis incrociasse il corpo di Alvaro Vitali. Era naturale che queste due macchine da cinema, che hanno corso sempre parallelamente, su binari diversi, accomunate però da un eguale destino, sfilassero insieme, facendo convergere due universi cinematografici. L'Alvaro Vitali emblema (suo malgrado) della commedia sexy, poi ingenerosamente dimenticato, rinchiuso a vita nei panni del suo personaggio, Pierino, dimenticando le sue nobili origini nel cinema di Fellini (Satyricon, Roma, I clowns, Amarcord) e non solo (Che? di Polanski, La Tosca di Magni, Polvere di stelle di Sordi, Mordi e fuggi e Profumo di donna di Risi, Romanzo popolare di Monicelli), straordinaria maschera capace di catturare lo spettatore con una sola apparizione. E il Tony De Bonis inarrestabile creatore di film, in qualunque condizione, fuori da qualsiasi modello produttivo, che si è conquistato uno spazio nel cinema italiano con la sua contagiosa passione (trasformata infatti in una passione collettiva, che coinvolge amici e parenti). Su di lui scrisse un saggio memorabile Serafino Murri nel lontano 1999, quando l'Italia venne (s)travolta dall'ondata trash: «Tony De Bonis, in qualche modo, è lui stesso un personaggio scappato dal bianco e nero tragicomico di Ciprì e Maresco, per farsi regista. Nel frullato della sua sottocultura galleggiano pezzi maldigeriti di qualsiasi bruttura delle comunicazioni di massa: eppure questa blobbistica virtù, per quanto attinga all'arretratezza culturale, sembra incarnare agli occhi dei più esigenti gli stessi meccanismi portanti dell'era del trans-genderico, della mutazione, del morphing, il suo spirito infantile fino al midollo, il suo atteggiamento ingiudicabile tra disincanto e incantamento, tra emancipazione e tara mentale monomaniacale. E come nella migliore delle sue fiabe, il fenomeno De Bonis è viaggiato in un lampo, di bocca in bocca: proiezioni carbonare di entusiasti si sono susseguite in sale improvvisate della Capitale, dove topi di cineteca smaliziati hanno gridato (soffocati dalle risa) al miracolo. Così Tony De Bonis è finito premiato al Festival di Montreal, tempio della produzione indipendente di gusto».

 

ore 20.30 Incontro con Tony De Bonis e con la troupe del film

 

a seguire Supposte di Tony De Bonis (2016, 64')

Il Dr. Spizzichino è l'inventore di una scoperta elettronica interattiva intelligente, in grado di curare ogni malattia. Ciò comporta la crisi delle aziende farmaceutiche e di tutta la Sanità con l'arricchimento smodato della Nazione che detiene e commercializza tale scoperta. Dopo alterne vicende l'inventore riesce a vendere il brevetto sia in America che in Italia, devolvendo parte del ricavato all'Ospedale Bambin Gesù di Roma per finanziare la ricerca scientifica. Lo stile del film ricalca la progettualità scenica tipica di tutti i lavori del regista Tony De Bonis, che mescola interpreti di affermata professionalità con principianti. Ciò rende il film semplice e scorrevole, mettendo però in risalto temi sociali scottanti, come in questo caso la malasanità, il furto dei brevetti, la fuga dei cervelli all'estero, la sperimentazione più esasperata, la vivisezione, le diversità di genere. Tra gli interpreti, Alvaro Vitali e Stefania Corona.

 

8-9 ottobre

In ricordo di Giuseppe Ferrara

Il Centro Sperimentale di Cinematografia ricorda uno dei suoi allievi più prestigiosi del dopoguerra, Giuseppe Ferrara, scomparso a giugno, uomo di profonda statura morale e regista sempre sincero e coerente. Così lo ricorda Leonardo Jattarelli sulle colonne de «Il Messaggero»: Quando nel 2002, sul set della sua pellicola sul caso Calvi, gli chiedemmo "Perché oggi un film su Calvi?" la risposta fu chiara e amara, ma sempre lucida come si addice a chi della Storia si è sempre fatto testimone critico: "Perché l'Italiaè un Paese senza memoria - rispose - come diceva Sciascia, e allora è bene richiamare alla mente e far conoscere certi accadimenti che, nello specifico del "caso" Calvi, lasciano ancora molte zone d'ombra". Per Ferrara il cinema era non solo un atto di coraggio ma "una missione. Non spreco pellicola in autobiografie ma mi dedico da sempre alla rievocazione di fatti e persone che in qualche modo hanno scritto la Storia" disse sempre in quell'occasione: "Così è stato per il mio film su Moro come per quello su Giovanni Falcone". Personaggi sempre riconoscibili nei suoi film: amava dire: "Io documento, offro con le immagini il senso della verità"».

 

sabato 8

ore 17.00 La torraccia di Giuseppe Ferrara (1959, 32')

Disoccupato con moglie incinta, figlio e sorella a carico, acquista per quarantacinquemila lire una baracca ai piedi di una torre pericolante, risalente, secondo il venditore, all'epoca di Nerone e protetta da San Calisto, che vi avrebbe trovato la morte. La moglie non ne vuole sapere di vivere lì e si lamenta con il marito, il quale non vede vie d'uscita, finché, una notte, un masso, caduto dalla torre, si abbatte sulla baracca facendo crollare un pezzo di tetto. Pasquale chiede indietro i soldi al vecchio proprietario, il quale dice di non averli, e ottiene solamente di passare qualche giorno nella sua baracca, fino al ritorno del figlio soldato. Questi ritorna e minaccia di usare il mitra se i nuovi arrivati non sloggiano. La moglie si lamenta con il marito e, al colmo della disperazione per la loro situazione, lo incita a buttarsi dal treno, poi si pente e gli corre dietro. Lo ritrova appoggiato a un muro, vicino ai binari. Riconciliatisi, tornano a vivere nella baracca, dove alla moglie vengono le doglie. Non rimane che affidarsi alla Provvidenza. Saggio di diploma al Csc.

 

a seguire Il sasso in bocca di Giuseppe Ferrara(1970, 94')

Il sasso in bocca del titolo è lo sfregio che la mafia compie sul cadavere di un affiliato che ha rivelato segreti ad estranei. L'esordio nel lungometraggio dell'ex-critico Giuseppe Ferrara («Bianco e Nero», «Cinema Nuovo», «Cinema 60», «Filmcritica»…), diplomato in regia al Centro Sperimentale, è concepito come un'indagine sulla moderna mafia siciliana e sulle sue origini storico-sociologiche, che la legano a doppio filo alla sua consorella americana. Il registro adottato da Ferrara mescola documentario e finzione, indagine e ricostruzione, sequenze di film (da Salvatore Giulianoa Paisà) a fatti di cronaca vera meticolosamente trasposti sullo schermo, arrivando a ridurre «quasi al grado zero fabula e testo, come mai né Rosi né Petri avevano concepito il cinema d'impegno» (Sesti).

 

ore 19.15 Faccia di spia di Giuseppe Ferrara (1975, 115')

«Mettendo in evidenza il ruolo che ha svolto la Cia nella "strategia della tensione", vengono affrontati alcuni dei temi più scottanti per la sinistra italiana e internazionale degli anni Sessanta e Settanta, dal Ché (Volonté) a Pinochet, da piazza Fontana a Feltrinelli» (Mereghetti). «Con le cadute di tono, le semplificazioni e le elissi, il film potrebbe rivelarsi tuttavia un efficace strumento di dibattito. Soprattutto la parte italiana, la serie dei delitti politici che ancora pesa sul Paese, dovrebbero trovare spettatori attenti, disposti alla ricerca, all'esame di coscienza, alla verifica» (Reggiani).

 

ore 21.15 Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara (1984, 107')

«3 settembre 1982, il generale Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela cadono sotto i colpi della mafia a Palermo. Si sono conclusi con questa tragedia i cento giorni di Dalla Chiesa come prefetto di Palermo. Il film inizia con l'uccisione dell'ispettore Giuliano, di Pier Santi Mattarella, di Pio La Torre. La mafia imperversa, l'opinione pubblica è inquieta e il governo ricorre al generale Dalla Chiesa, vittorioso del terrorismo, perché abbia a sconfiggere anche la mafia. Ma questi sono solo buoni desideri, finché non c'è un'efficace legge antimafia e il prefetto di Palermo non ha pieni poteri. Queste sono le giuste richieste del gen. Dalla Chiesa, queste sono le carenze e le colpe del governo. […] Fidando sulle promesse, il generale affronta il suo incarico difficile con il profondo senso del dovere, sacrificando i suoi sentimenti personali» (www.cinematografo.it). Con Lino Ventura, Giuliana De Sio e Arnoldo Foà.

 

domenica 9

ore 17.00 Il caso Moro di Giuseppe Ferrara (1986, 114')

La cronaca del rapimento e della prigionia di Moro, quasi un'instant-movie, in cui la descrizione dei fatti e gli scenari prospettati (la tesi del "grande vecchio") si scontrano con una materia ancora fertile di scoperte e rivelazioni, impedendo una riflessione a freddo. «È in particolare la ricerca delle somiglianze fisiche, della vicinanza puramente esteriore con i referenti reali, a calare il film in una dimensione, a tratti, inconsapevolmente macchiettistica. Ad una simile tendenza sfugge, isolandosi completamente dal contesto, il Moro di Gian Maria Volonté, vero e proprio fulcro di una storia in cui i terroristi sono semplici esecutori di un fatale disegno» (Uva).

 

ore 19.00 Segreto di Stato - Forze oscure di Giuseppe Ferrara (1994, 105')

«Di contro, Segreto di Statoprende le mosse dalle stragi del '93 (le cui immagini scorrono sotto i titoli) per una vicenda dal taglio prettamente poliziesco che costituisce forse la sortita di Ferrara (per una volta non sceneggiatore: firma il copione Andrea Frezza, da un soggetto di Andrea Purgatori) più vicina al genere puro, per costruzione dell'intreccio, personaggi e risoluzione» (Curti).Con Massimo Ghini, Massimo Dapporto.

 

ore 21.00 I banchieri di Dio - Il caso Calvi di Giuseppe Ferrara (2001, 128')

«Il film narra le vicende dello scandalo del Banco Ambrosiano, che coinvolse il mondo finanziario milanese, il Vaticano, la P2, la massoneria, i servizi segreti italiani e inglesi, il mondo della politica, la mafia e la camorra e che culminò con la morte di Roberto Calvi, il cui corpo fu trovato appeso sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra» (www.cinematografo.it). Con Omero Antonutti, Giancarlo Giannini, Alessandro Gassman, Rutger Hauer.

 

11-12 ottobre

Un mistero chiamato Paolo Heusch

Paolo Heusch, un misterioso regista di cui si sono perse le tracce, al punto che fino a poco tempo fa in nessuna fonte era riportata la data della sua morte, pur remota (1982). Di lui si sa pochissimo, a cominciare dalle sue origini, e la sua filmografia, così rapsodica, in bilico tra i generi e con incursioni nel cosiddetto cinema d'autore, non offre appigli per una rivalutazione postuma. Eppure quasi ogni film realizzato, riveste interesse e suscita domande. Ecco il ritratto del regista scritto da Piero Zanotto sul Filmlexicon degli autori e delle opere: «Nato a Roma il 26 febbraio 1924. Esordisce nell'immediato dopoguerra nel cinema professionale, prima come segretario di edizione, quindi come aiuto-regista e documentarista, uscendo dalle file del cineamatorismo. Il suo primo film di lungometraggio risale al 1958: La morte viene dallo spazio. Vicenda fantascientifica condotta sul filo dell'angoscia e della "suspense" con risultati dignitosi. Subito dopo realizza con Un uomo facile la parabola di un piccolo pugilatore romano, riuscendo a darci alcuni squarci realistici della Roma "minore" e della fauna umana che in essa vive; quasi un'anticipazione del più riuscito film che H. confezionerà nel 1962 insieme a Brunello Rondi, dal romanzo di Pasolini Una vita violenta, di cui prenderà pure il titolo. Certamente l'opera sua più importante, trascrizione fedele nello spirito e nella sostanza alle pagine letterarie. In precedenza aveva […] realizzato un modesto film dell'orrore sul tema della licantropia con lo pseudonimo di Richard Benson: Lycanthropus. Nel 1963 e 1964 ha costruito per il personaggio di Totò due farse non prive, in specie la prima, di qualche accento crepuscolare e umano: Il Comandante e Che fine ha fatto Totò-baby?. Dopo Un colpo da mille miliardi (1966), film avventuroso di facili costumi, dà vita a una diligente ma tutto sommato spenta evocazione dei giorni di guerriglia, fino alla morte, di "Che" Guevara, ispirandosi a una sceneggiatura scritta da A. Bolzoni sulla scorta di un proprio libro».

Rassegna in collaborazione con Raffaele Meale

 

martedì 11

ore 17.30 La morte viene dallo spazio di Paolo Heusch (1958, 83')

Primo film italiano di fantascienza ed esordio nella regia per Paolo Heusch, La morte viene dallospazioè considerato come uno dei migliori film di genere nostrani. Il razzo XZ viene lanciato verso la Luna, ma per un'avaria perde la rotta ed entra in collisione con alcuni asteroidi che conseguentemente puntano inesorabili contro la Terra. La fotografia e gli effetti speciali sono di Mario Bava. «La trama è ideata molto ingegnosamente e la tensione che l'azione suscita va aumentando e non viene meno fino alla conclusione» (Albertazzi).

 

ore 19.00 Una vita violenta  di Paolo Heusch e Brunello Rondi (1962, 107')

«Tommaso, un giovane di borgata, conduce una vita scioperata. Un giorno conosce Irene e se ne innamora. Per far colpo su di lei organizza con gli amici una serenata. Ne nasce una rissa durante la quale egli ferisce un uomo con il coltello. Arrestato, sconta alcuni mesi di carcere. Uscito di prigione, si ammala di tisi e viene ricoverato in sanatorio, dove conosce un agitatore sindacale comunista, che per la prima volta lo tratta da uomo» (www.cinematografo.it ). Dal romanzo omonimo di Pasolini, con Franco Citti ed Enrico Maria Salerno.

 

ore 21.00 Presentazione di Raffaele Meale

 

a seguire Il comandante di Paolo Heusch (1963, 111')

«Il severissimo colonnello Cavalli viene posto in pensione per raggiunti limiti d'età col grado di generale. In un primo momento Cavalli cerca di trascorrere le sue giornate scrivendo un memoriale; ma l'ozio della vita borghese finisce ben presto per intristirlo. La moglie (che svolge per conto suo una lucrosa attività) per toglierlo da questa umiliante situazione, lo fa assumere da un'impresa edilizia pagando lei stessa lo stipendio. I dirigenti dell'impresa però approfittano del nome specchiato del loro singolare impiegato per compiere una serie di speculazioni che finiscono per invischiare il generale al punto di rasentare la galera» (www.cinematografo.it ). «Tenero, amaro e spiritoso ritratto di galantuomo, patetico nella sua anacronistica ingenuità, che consente a Totò di staccarsi dalle solite macchiette delle quali è stato peraltro l'inarrivabile numero uno. Un bravo al misconosciuto Paolo Heusch (su soggetto e sceneggiatura di Rodolfo Sonego), che sa ben calibrare commozione e allegria, e un bravissima alla strepitosa finta burbera Andreina Pagnani» (Bertarelli).

 

mercoledì 12

ore 17.00 Una raffica di piombo di Paolo Heusch (1965, 90')

«Auda, figlio dello sceicco Yussuff, che ha assistito casualmente all'assassinio di Hassan Dakil, emiro di Hubeika, effettuato dagli uomini di Ben Said, si impadronisce delle armi a questi destinate e le contratta con l'emiro Nessib, nemico di Ben Said e usurpatore del trono dell'ucciso. Uccisi in seguito gli uomini di Ben Said, Auda, riesce a penetrare nel palazzo dello sceicco, dove fa prigioniera la bella Yasmine, figlia di Hassan Dakil. Essendo riuscito a convincere la ragazza della colpevolezza di Ben Said, Auda la induce a sposare per vendetta il figlio di Nessib; poi accortosi della ambigua condotta dello stesso Nessib, fa nascondere dai suoi fidi le preziose armi e non ne rivela il nascondiglio neppure quando il padre Yussuff, messosi dalla parte di Nessib, lo fa frustare» (www.cinematografo.it ).

 

ore 19.00 Un colpo da mille miliardi di Paolo Heusch (1966, 95')

«Un armatore, Tellis Teopulos, in possesso di una delle più gigantesche flotte petrolifere del mondo, per salvarsi dal fallimento e memore del guadagno conseguito quando il canale di Suez rimase inattivo per tre mesi, pensa di provocare delittuosamente la medesima circostanza. Sapendo che una nave commerciale a propulsione atomica, la "Shannon", attraverserà il canale di Suez, Teopulos decide di fare saltare il reattore nucleare della nave per provocare la distruzione del canale e contaminare la zona per un lungo periodo. A questo scopo escogita di rapire i due tecnici che hanno presieduto alla costruzione della nave. Trovato morto il primo dei due tecnici e scomparso il secondo, la CIA si mette in allarme ed incarica l'agente Ted Fraser delle indagini» (www.cinematografo.it ).

 

ore 20.45 Che fine ha fatto Totò Baby di Ottavio Alessi (1964, 92')

«Totò e Pietro, suo fratello, sbarcano il lunario con mille espedienti. Totò è abile e violento mentre Pietro, stupido e incapace, deve subirne la tirannia. Mentre sono braccati inutilmente dalla polizia, rubano una valigia alla stazione e vi scoprono un cadavere che decidono subito di portare in campagna per abbandonarlo. Durante il viaggio in macchina, prendono a bordo due autostoppiste con una valigia analoga alla loro; a causa dell'ovvio scambio, penetrano nella villa dove sono ospiti le due ragazze e dove è andata a finire la compromettente valigia. Ivi convengono alcuni fumatori di marijuana, e Totò fa una bella scorpacciata di droga, uscendone pazzo. Dopo raccapriccianti e sadici assassini, finirà in manicomio» (www.cinematografo.it ). «Il film [...] vale poco. Ma Totò è bravissimo [...]. Il solo che possieda una comicità fisiologica, estrema, veramente poetica» (Soldati). Con Pietro De Vico e Mischa Auer.

 

giovedì 13

(In)visibile italiano: delitti e rapine

ore 17.00 Nove ospiti per un delitto di Ferdinando Baldi (1976, 90')

«Nove persone, sbarcate da uno yacht, si ritrovano su un disabitato isolotto per una vacanza di due settimane nella villa del vecchio Uberto. Sono: il padrone di casa; Giulia sua seconda moglie, i figli del primo letto Michele e Vincenzo, con le mogli Carla e Greta; la figlia Patrizia e Walter suo marito; l'anziana Elisabetta, sorella di Uberto. Mentre la convivenza tra i nove rinfocola vecchi odi e favorisce adulteri (Michele tradisce la moglie con Giulia; Greta il marito con Walter), Carla scompare: forse è annegata. Da quel momento, un misterioso assassino […] semina la morte tra gli ospiti della villa» (www.cinematografo.it ). Con Massimo Foschi, Arthur Kennedy, John Richardson, Venantino Venantini, Dana Ghia.

 

ore 19.00 L'occhio del ragno di Roberto Bianchi Montero (1971, 92')

«Qualcosa è andato storto. Abbandonato dai complici durante una rapina, Paul Valéry viene colto in flagrante. Condannato al carcere, riesce ad evadere grazie all'intervento del Professor Krüger, finanziatore del colpo e vittima a sua volta dello stesso doppio gioco. Ora la missione è scovare i traditori Marck e Hans Fisher, ma le motivazioni sono differenti. Se lo scopo del professore è recuperare il bottino, Paul ha solo sete di vendetta; conflitto che si risolverà in un inevitabile epilogo tragico. Poliziesco vissuto quasi esclusivamente al fianco dei "cattivi", L'occhio del ragnoè una sorta di caleidoscopio dei tipici B-Movie anni '70. Esempio felice di come la pregevole fattura e cura formale che caratterizzò il cinema di quel decennio potesse sopperire alla vacuità di una trama banale e prevedibile. Tutte le spezie che al primo assaggio risultano ingenui aromi d'epoca, ad una lettura più approfondita risultano essere il punto di forza del film. […] E in un film forse non memorabile ma comunque affascinante, si scorge un'insospettabile morale nel tragico dramma shakespeariano dell'epilogo. La sete di potere e di vendetta del Professore e di Paul sono il rovescio della stessa medaglia, entrambe insaziabili, entrambe autodistruttive» (Luca Cacciatore). Con Antonio Sabato, Klaus Kinski, Van Johnson, Lucretia Love.

 

Presentazione di Figli del set

ore 20.45 Incontro moderato da Steve Della Casa con Gianni Garko, George Hilton, Stefano Jurgens, Saverio Vallone e altri protagonisti del documentario

 

a seguire Figli del set di Alfredo Lo Piero (2015, 62')

Ogni famiglia nasconde sempre, al riparo da occhi indiscreti, una preziosa eredità. Un lascito di ricordi, passioni, emozioni. I più fortunati ereditano il cromosoma artistico dei nonni o dei genitori. Figli del setnasce proprio da queste considerazioni e dall'incontro con tanti uomini e donne che hanno avuto il dono di essere artisti fin dal loro primo giorno di vita. Testimonianze di Carlotta Bolognini, ideatrice e produttrice del documentario, Marina Baldi, Simone Bessi, Manolo Bolognini, Maria Teresa Corridoni, Franco Corridoni, Desiree Corridoni, Alberto Dell'Acqua, Vera Gemma, George Hilton, Simona Izzo, Maria Grazia Fantasia, Raffaella Fantasia, Francesco Frigeri, Fabio Frizzi, Fabrizio Frizzi, Stefania Lerro, Fabio Melelli, Claudia Nannuzzi, Daniele Nannuzzi, Alex Partexano, Claudio Pacifico, Danny Quinn, Claudio Risi, Giuditta Simi, Margherita Spoletini, Alessandro Rossellini, Renzo Rossellini, Pietro Tenoglio, Federica Tessari, Saverio Vallone, Ricky Tognazzi. Voce narrante Giancarlo Giannini.

 

venerdì 14

Misteri italiani: Marco Masi

Tra i cineasti più misteriosi e più appartati sicuramente ai primi posti di un'ipotetica classifica risulta Marco Masi. Inizia nei primi anni Sessanta a lavorare come soggettista e sceneggiatore per registi come Parolini, Vernuccio, Baldanello, Malatesta, Bolzoni. Esordisce nel 1965 con la commedia degli equivoci Cadavere a spasso, conosciuto anche come Strane notti al Grand Hotel, per poi proseguire con opere sempre più eccentriche e di limitata distribuzione, che negli anni diventano dei veri e propri oggetti di culto: C'era una volta un gangster (1969), Il seme di Caino (1972), Il demonio nel cervello (1976) e L'autuomo (1984), che ha ispirato la giallista cinefila Cristiana Astori per il giallo Mondadori Tutto quel blu (2014, ultimo volume di una trilogia, che comprende Tutto quel nero e Tutto quel rosso). Ma come in un gioco di scatole cinesi dal sito internet del regista risulta autore di 150 libri gialli, di 25 novelle del mistero, dei fumetti Alicia e Demoniak, di raccolte di poesie e di svariati telefilm, oltre a numerosi soggetti e sceneggiature di film che non hanno mai visto la luce. Il mistero si infittisce…

 

ore 17.00 C'era una volta un gangster di Marco Masi (1969, 78')

«Orecchiando i modelli del genere "nero", Marco Masi esordisce nella regia con questo C'era una volta un gangster, che ha anche ideato e scritto. Come allude il titolo, il film adombra un'amara favola per adulti. A Roma, un anziano e integerrimo commissario di polizia è ucciso in uno scontro a fuoco con alcuni fuorilegge, lasciando la famiglia in ancor più dure ristrettezze. Suo figlio ne subisce un tale trauma che, venuto a contatto con balorde amicizie e punto dal desiderio di arricchirsi, ben presto traligna e si perde, ruba e uccide» («Gazzetta del Mezzogiorno»).

 

ore 18.30 Il seme di Caino di Marco Masi (1972, 79')

Melodramma familiare secondo Marco Masi. L'asse narrativa è l'impotenza, sorta da complessi edipici irrisolti e fonte di tragedia. Eccentrico. Estremo. Assurdo. Stupefacente. D'impossibile catalogazione. Masiano all'ennesima potenza.

Per gentile concessione di Compass Film

 

ore 20.30 Incontro moderato da Fabio Puccicon Marco Masi

 

a seguire Il demonio nel cervello di Marco Masi (1976, 90')

«Oscuro piccolo film di Marco Masi, che aveva esordito dieci anni prima con il non più conosciuto Cadavere a spasso. Siamo ai confini del Texas […] in un'officina meccanica abbandonata, dove un uomo vive con una ragazza trattata più o meno come una schiava. Arrivano altri ragazzi. Lei sogna di uscire per sempre da lì. Ma non lo farà. Chi l'avrà visto?» (Giusti). Cult assoluto. Se lo avesse visto Quentin Tarantino…

 

sabato 15

Cinema e psicoanalisi: Ricordi e memorie

Cinema e Psicoanalisi hanno diversi punti in comune: nati e sviluppatisi nello stesso periodo storico, hanno continuato ad influenzare, con la propria ricerca, la cultura e l'arte da versanti diversi. Partendo da un incontro fecondo d'interessi, la Società Psicoanalitica Italiana ed il Centro Sperimentale di Cinematografia hanno da alcuni anni avviato delle iniziative comuni, tra cui il ciclo "Cinema e psicoanalisi", articolato con delle proiezioni alla sala Trevi, giunto alla sesta edizione. Il tema della programmazione 2016 è un argomento di grande interesse, non solo a livello psicoanalitico, ma anche esistenziale: la memoria. Elemento che modella corpi ed emozioni, legando i giorni passati a quelli attuali. Come testimoniano i film in programma, esperienza e memoria agiscono spesso in conflitto, aggrumando nodi intorno a traumi, privati o collettivi, che generano rimozioni e regressioni fino allo smarrimento. Secondo la psicoanalisi, è proprio il recupero e l'elaborazione di queste tracce che può aiutarci ad evolvere, attraverso un processo di risignificazione del nostro passato, capace di orientare il presente ed il futuro.

Il secondo appuntamento è dedicato alla memoria ossessiva.

 

ore 17.00 Cuore sacro di Ferzan Ozpetek(2005, 119')

«Irene Ravelli ha ereditato dal padre non solo il patrimonio, ma anche uno spiccato senso degli affari. Ottenuto il dissequestro dell'antico Palazzetto di famiglia, Irene scopre che una delle stanze, abitate un tempo dalla madre, è rimasta intatta come se la donna ci abitasse ancora. Il fantasma della madre e l'incontro con una straordinaria bambina, Benny, generano in Irene un conflitto che la porta ad un totale cambiamento» (www.cinematografo.it). «Già queste scene fanno intuire quanto sia insolito, coraggioso e rischioso il nuovo film del regista della Finestra di fronte: un coraggio raro nel nostro cinema, di cui gli diamo atto con ammirazione. E tuttavia le immagini, impeccabili per grammatica e sintassi, non solo al livello di ambizioni così alte, non lasciano graffiti nella fantasia dello spettatore, stentano a dare forma al travaglio febbrile dell'imprenditrice senza scrupoli convertita in angelo della carità per vecchi e "nuovi poveri". Qualcosa di simile accade con le citazioni disseminate lungo il film, dalla sequenza della piscina (Il bacio della pantera) al santo strip-tease d'Irene (Teoremadi Pasolini, autore col quale Ozpetek condivide il bisogno di sacro); eleganti, ma più optional che necessarie. Ormai legata a filo doppio a ruoli di smarrimento interiore, Barbora Bobulova si offre in olocausto con l'opportuna dedizione» (Nepoti).

 

a seguire Incontro moderato da Fabio Castriota con Giuseppe Riefolo

 

ore 20.30 Bianca di Nanni Moretti (1984, 95')

«Nuove fisime e bizze di Michele Apicella, lo sconcertante personaggio nel quale il regista Nanni Moretti continua a trasferire le proprie tragicomiche nevrosi. Ormai trentenne, Michele è qui professore di matematica nella Roma di oggi, ma in una scuola che forse anticipa la didattica di domani: intitolata a Marilyn Monroe, con fotografie di attori e campioni sportivi alle pareti, docenti mentecatti e juke-box nelle aule. Michele vive in un quartierino con terrazza. Spia una giovane coppia di dirimpettai, formata dà Massimiliano e Aurora, e ha per amici Ignazio e Maria, che dopo nove anni stanno per dividersi» (Grazzini).«Bianca è costruito intorno al carattere psicologico di Michele, alle sue ossessioni, alle sue fobie. Lavorando sulla sua psicologia, ho ben presto capito che era necessaria farla sfociare in qualcosa di grave. Non poteva essere altro che un omicidio perché il suo moralismo, la sua rigidità, la sua sistematizzazione si trasformano in pura follia. Con questo intendo dire che all'inizio aderisco al mio personaggio, mi ritrovo in lui, lo capisco; ma poco a poco lui si stacca da me, mi supera e corre verso la propria follia» (Moretti). Il padre di Nanni, Luigi, interpreta lo psicologo.

 

16-23 ottobre

Festa del Cinema di Roma: Gli anni delle immagini perdute. Il cinema di Valerio Zurlini

«Se alla fine degli anni '50, in Francia, i giovani hitchcock-hawksiani dei "Cahiers du Cinéma" si muovono con lo sguardo frontalmente rivolto in avanti verso un cinema futuro, nel cinema italiano questa produttiva soluzione di continuità si rivela impossibile. Valerio Zurlini, e con lui tutta una leva di cineasti […], si trova a doversi misurare direttamente con i predecessori immediati ancora nel pieno della loro maturità creativa: e liberarsi dei fratelli maggiori è un'operazione indubbiamente più complessa che sbarazzarsi del "cinema di papà". Ne deriva, almeno nelle opere migliori, una modernità meno appariscente di quella rappresentata nel cinema italiano dalla generazione successiva dei Bellocchio e dei Bertolucci e, nel cinema in generale, dalla coeva generazione della Nouvelle Vague. Dunque un cinema che muove verso il futuro tenendo lo sguardo fisso al passato: definizione cui Valerio Zurlini corrisponde perfettamente, sia nelle opere successivamente realizzate, sia nell'acuta consapevolezza teorica che sviluppa nelle riflessioni sul mestiere di regista. Nasce probabilmente da qui la "riscoperta" recente di film come Cronaca familiare, Estate violenta, La prima notte di quiete, che appaiono ai nostri giorni, in quello che è il loro "futuro", di una sorprendente modernità, opere a noi talmente contemporanee da non meravigliare come abbiano potuto essere sottovalutate all'epoca della loro uscita» (Toffetti).

La retrospettiva è curata da Mario Sesti (Festa del Cinema di Roma) e da Domenico Monetti (Cineteca Nazionale). In occasione della retrospettiva, la Fondazione Cinema per Roma pubblica il volume, a cura di Mario Sesti, Valerio Zurlini.

Per la proiezione del film Le soldatesse si ringraziano Lanterna editrice e Minerva Pictures.

 

domenica 16

ore 17.00 Racconto del quartiere di Valerio Zurlini (1950, 11')

Una giornata, dall'alba al tramonto, del quartiere romano di Trastevere. Strade di sanpietrini lucidi, illuminati dal primo raggio di sole, le persiane sono chiuse, un campanile, una donna che, come un'ombra, attraversa la strada, un gattino accanto a un'inferriata... La macchina da presa sosta al lavatoio, cogliendo gesti e volti di donne al lavoro. Poi, quando il sole è alto, s'inoltra in "mercati piccoli, incuneati in angoli di strade". Le donne si parlano da una finestra all'altra, i bambini giocano. A Regina Coeli, scrutata in ampie panoramiche e in piccoli dettagli, il tempo sembra sospeso. Le due. "Trastevere riposa immobile dal Gianicolo alla Lungara". Strade e vicoli vuoti.

 

a seguire Il blues della domenica di Valerio Zurlini (1951, 13')

Il ritratto di una particolare categoria umana: i "musicisti della domenica". Si tratta di jazzisti che per vivere sono costretti a praticare un altro lavoro e che solo come gruppo possono svolgere un'attività insieme ricreativa e creativa. La musica è la domenica della loro vita. Appare il primo locale jazz a Roma negli anni Quaranta. Zurlini tuttavia non si limita a realizzare un semplice documentario, ma unisce i suoni jazz con citazioni tratte da famosi testi blues e con immagini che tentano di renderne per scorci le storie di abbandono (un treno inquadrato dall'alto in lontananza) o di disperazione (un amore contrastato) o di solitudine (i desolati casermoni della periferia romana).

 

a seguire Il mercato delle facce di Valerio Zurlini (1952, 12')

«Il mercato delle facce, girato quasi interamente in una stanza del sindacato generici e comparse, è dedicato con solidarietà e attenzione ai poveri relitti che si guadagnavano sì e no di che mangiare ai margini del mondo del cinema. Una curiosità del film è costituita dal fatto che vi comparvero il povero Gianni Franciolini, Franco Rosi e Franco Zeffirelli in veste di attori» (Zurlini).

 

a seguire Pugilatori di Valerio Zurlini (1952, 11')

«Per settimane e settimane frequentai palestre, parlai con atleti e visitai i luoghi del lavoro quotidiano: un'umanità semplice e povera che attraverso uno sport pericoloso e violento intessuto di sacrifici e di rinunce cercava una possibilità di riscatto al grigiore della sua vita […]. Girammo ovunque, in molte palestre o ai bordi dei ring di periferia dove si disputavano sordidi match di novizi ai primi scontri; seguimmo all'alba le corse di allenamento degli atleti nella città ancora addormentata o l'estenuante lavoro quotidiano […] al quale quei giovani si presentavano puntuali avendo già speso almeno un'ora di sudore» (Zurlini).

 

aseguire La stazione di Valerio Zurlini (1952, 11')

«La stazionefu il primo esempio in assoluto di cinema verità, in anticipo di molti anni sulla nascita di questo stile. Il documentario fu girato in un mese, sempre nelle ore ancora livide dell'alba e sorprendeva dal vero la realtà di un'Italia che non è mutata: povera gente addormentata nelle sale d'aspetto di terza classe, meridionali in attesa del treno che doveva portarli al Nord per cercarvi un lavoro e tutta la vita nuda e segreta di quella bellissima stazione appena inaugurata […]. La macchina da presa non inventava niente, era solo un'attenta e fedele testimone di tanta umiltà e di così ingrate odissee» (Zurlini).

 

a seguire Serenata da un soldo di Valerio Zurlini (1953, 12')

«Serenata da un soldoraccontava la vita e l'organizzazione dei pianini di Barberia. Quanti mestieri nasconde una città e quanti sfruttati dietro ogni mestiere! I suonatori erano per lo più meridionali e dipendevano, compensati, con una paga miserrima, da una losca coppia di individui proprietari di una ventina di vecchie pianole che al mattino smistavano per la città fino al tramonto. I suonatori sceglievano i quartieri della periferia e sino a non molti anni fa quelle malinconiche cantilene popolari, non ancora soffocate dai rumori caotici del traffico, dall'ossessionante fracasso delle radioline, avevano un sapore paesano e confortante, un po' come le cornamuse che scendono dalle montagne dell'Abruzzo nei giorni che precedono il Natale» (Zurlini).

 

aseguire Soldati in città di Valerio Zurlini (1953, 10')

«La macchina da presa segue alcuni soldati durante la libera uscita per le vie di Roma. Mentre alcuni si aggirano come sperduti nei pressi della caserma, altri fraternizzano fra di loro e cercano di sconfiggere la solitudine con giochi chiassosi come la morra. "Ma non occorre molto perché comincino a fare conoscenze. I loro primi amici sono i bambini. Ne nascono amicizie sui campi di football della periferia o direttamente per la strada". Certo, un'inguaribile nostalgia di casa riaffiora a volte e si fa pungente: l'arrivo di una lettera, il passaggio di un treno […] E poi le donne. Incontri spesso malinconici, camminando in mezzo a strade desolate della periferia o stesi sui prati intorno all'EUR o seduti su un muretto del Lungotevere… E gli addii sono sempre molto tristi» (Toffetti).

 

ore 18.30 Le ragazze di San Frediano di Valerio Zurlini (1954, 90')

«È con quest'opera prima, da lui stesso sottovalutata, che Zurlini scopre tutta la sua grandezza: film quasi su commissione che già traccia il suo universo; film che conferma come il cinema italiano fosse rimasto ciclicamente segnato dall'invenzione del giovane Camerini; film accolto da molte sufficienze critiche che per esempio parlavano di cast femminile mediocre di fronte agli occhi di Marcella Mariani, alla tenerezza di Giulia Rubini, alla vitalità sinuosa di Giovanna Ralli, alla giocosità fisica di Rossana Podestà, alla seduzione provocante di Corinne Calvet... per fortuna Zurlini, come il protagonista del film, viveva l'indecidibilità dello sguardo del cinema di fronte all'infinitezza delle presenze che vi irrompono dal reale» (Germani). Malgrado il titolo, che si richiama espressamente al libro di Vasco Pratolini, la sceneggiatura sulla quale stiamo lavorando da due mesi si differenzia, nelle linee generali e particolari, in maniera sostanziale, dall'intreccio e dalle caratteristiche più peculiari de Le ragazze di Sanfredianodi Pratolini. Il breve romanzo del popolare scrittore fiorentino ci è servito soltanto come spunto e suggerimento per un film, nel quale i personaggi pratoliniani, pur mantenendo gli stessi nomi, assumono caratteri e significati diversi. […] È una commedia all'italiana, ma un po' diversa dai modelli di allora, tipo Pane, amore e fantasia. […] Le ragazze di Sanfredianoera un film spiritoso, allegro, ironico, tutto interpretato da attori alle prime armi, e questo gli dava un'aria di freschezza e di vivacità. Del resto era una commedia piena di malinconia: faceva ridere ma fino a un certo punto» (Zurlini).

 

ore 20.30 Estate violenta di Valerio Zurlini (1959, 98')

Riccione, luglio 1943. Un giovane di famiglia fascista si innamora della vedova di un combattente. Ben presto gli avvenimenti precipitano e i due decidono di fuggire. «Molti mi hanno rimproverato di non aver saputo operare la fusione tra il fatto storico e la vicenda privata; dal canto mio, posso dire che Estate violentaè stato fatto tra incredibili difficoltà. Doveva essere girato in otto settimane, non avevo neanche le divise dei soldati, l'abbiamo fatto con quattro soldi in condizioni di miseria estrema fino alla vigilia della scena del bombardamento. Goffredo Lombardo, il produttore, fece allora una scelta che cambiò le sorti del film, decidendo di buttare in quella sequenza i mezzi di un film normale, e anche qualcosa di più. Naturalmente, alla fine, questo "peso" di avventura collettiva, sia pure concentrato nel solo bombardamento, ma messo in scena con mezzi quasi all'americana, capovolge la qualità del film, fino ad allora di natura intimista, tutto nel gioco degli attori, fatto di sguardi, di sottintesi. Grazie a questa fusione finale, il film ebbe un successo straordinario quando uscì: erano in molti a ricordarsi di quel periodo [...] e si riconobbero nel film. Con il ritratto dell'ambiente analizzato in Estateviolentaavevo cercato non di dare un'analisi critica, ma di ricordarmi di certe impressioni visuali provate nel corso di quell'estate del 1943. Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un'assenza di aspettative nel futuro» (Zurlini).

 

martedì 18

ore 17.00 La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960, 121')

Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigiaè nato da un incontro. Un giorno, a Milano [...] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all'epoca faceva l'indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po' dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini).

 

ore 19.30 Cronaca familiare di Valerio Zurlini (1962, 122')

Enrico, giovane giornalista di un giornale romano, riceve l'annuncio della morte del fratello minore Dino. Folgorato dal dolore ripercorre con la memoria il proprio passato, e rivive la sua tormentata "cronaca familiare", sotto forma di un commosso colloquio col fratello. «Cronaca familiareavrebbe dovuto essere il mio primo film. Sono andato a trovare Pratolini per conoscerlo dopo aver letto Cronaca familiare, un libro che mi aveva colpito in modo incredibile. Così cominciò l'amicizia con Pratolini e nacque l'idea un po' folle - eravamo nel 1952 - di girare Cronacafamiliarea colori. Se il film si fosse fatto all'epoca, saremmo stati su posizioni di totale avanguardia. Quando mi proposero di riprendere il progetto, diversi anni dopo, accettai perché è evidente che Cronaca familiarenon era affatto invecchiato. [...] In Cronaca familiareho volutamente abolito i movimenti di macchina, la composizione talvolta un po' elaborata delle mie inquadrature, ho ridotto al minimo i costumi, l'evocazione storica viene data da qualche simbolo, ho puntato tutto sulla "staticità", sui dialoghi, sulle battute molto lunghe di tono letterario, ho creduto in un film apparentemente senza storia. [...] Mi sembrava che nel libro mancassero delle pagine e chiesi a Pratolini di scriverle. Pratolini riconobbe l'effettiva mancanza di queste pagine, spiegandomene il motivo, ed accettò di scrivere qualcosa per raccontare simbolicamente quello che poteva essere stata l'opposizione tra lui e suo fratello. Di fatto, esistono nel film due sequenze che nel libro non ci sono, ma sono comunque anch'esse di Pratolini» (Zurlini). Il restauro del film, concluso nel 2005, è stato realizzato dalla Cineteca Nazionale con la supervisione di Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia del film.

 

mercoledì 19

ore 17.00 Le soldatesse di Valerio Zurlini (1965, 120')

Fronte greco, 1942. Il tenente di fanteria Gaetano Martino viene incaricato di scortare un gruppo di prostitute destinate alle sedi militari. Dapprima offeso nella sua dignità di combattente, il giovane tenente sviluppa gradualmente un senso di solidarietà nei confronti di quella povera umanità degradata e si rende conto che molte di quelle donne hanno scelto il "mestiere" spinte dalla miseria e dalla fame. «Credo che l'interesse dei produttori per il progetto derivasse dal carattere un po' paradossale del soggetto: un giovane ufficiale italiano deve condurre a destinazione non un plotone di soldati ma un gruppo di prostitute. Fu Morris Ergas a chiamarmi perché mi occupassi del film, circa un anno prima delle riprese. Presi conoscenza della sceneggiatura scritta da Piero De Bernardi e Leo Benvenuti, una sceneggiatura che mi pareva molto affascinante per certi aspetti [...]. In fondo, la sceneggiatura partiva da una chiave di natura intimista: poco a poco l'ufficiale, nel corso del viaggio lungo e avventuroso, finiva per considerare quelle quindici povere ragazze che si prostituivano per miseria, come dei veri soldati del suo plotone. Mi pareva che la nascita di un rapporto così intenso all'epoca dell'occupazione italiana in Grecia costituisse un tema assai stimolante [...]. Alla fine della guerra gli italiani sono stati abilissimi a far cadere tutte le responsabilità su Mussolini e sui tedeschi. Secondo me, ciò che fa l'importanza di Le soldatesse, importanza spesso misconosciuta, è il fatto che il film dice: "No, la colpa non era loro ma nostra, anche noi abbiamo fatto la guerra come loro e ci siamo comportati male". E infatti è l'unico film italiano in cui si vede un massacro commesso da italiani, un atto di rappresaglia compiuto dalle camice nere, cioè dagli uomini che si distinguevano dai soldati normali soltanto per una differenza ideologica» (Zurlini).

Copia proveniente dall'Istituto Luce Cinecittà

 

ore 19.30 Come, quando, perché di Antonio Pietrangeli (1968, 103')

«Paola, moglie di Marco, conosce Alberto durante un ricevimento. Lui la corteggia senza risultati e lei per troncare quel rapporto che non vuole parte in anticipo per le vacanze. Raggiunta da Alberto la donna gli cede ed instaura con lui una relazione che si protrae anche dopo il ritorno in città» (Poppi/Pecorari). «Mentre sta girando il film, Pietrangeli affoga nel mare di Gaeta il 12 luglio 1968. Completato e montato da Valerio Zurlini, Come, quando, perchéesce un anno dopo, senza la firma di Pietrangeli. Si possono fare alcune considerazioni. Al centro del racconto è ancora una figura femminile, Paola, signora della ricca borghesia torinese, sposata felicemente, che scopre il piacere di una sessualità vissuta senza inibizioni solo dopo una relazione extraconiugale. Le novità significative sono date dalla tonalità e dal linguaggio. Non è più la commedia a fornire l'intelaiatura. Il climax è quello tormentato di un dramma a sfondo sessuale. Il cambio di registro linguistico è notevole rispetto a Io la conoscevo bene[...]. Per la prima volta, dopo molti anni, la sceneggiatura non è scritta insieme a Maccari, ma con Tullio Pinelli. [...] La sceneggiatura prevedeva, tra l'altro, anche la partecipazione di Allen Ginsberg, nella parte di se stesso, che recita versi durante una serata di poesia» (Maraldi).

 

ore 21.30 Seduto alla sua destra di Valerio Zurlini (1968, 93')

«Non parlerei di metafora evangelica sulla violenza. Non gli darei questa importanza. Io vedo il film sotto un altro aspetto: direi che è un piccolo apologo sulla grazia, e nient'altro. Di conseguenza il film si pone su un terreno di racconto simbolico. Ci sono dei perseguitati e dei persecutori. Che non si identificano né con Lumumba né con i mercenari. Improvvisamente un piccolo delinquente - che è poi il ladrone che alla sinistra di Cristo sulla croce dirà "Ricordati di me quando sarai nel tuo regno" - incontra un uomo dotato di una grande luce spirituale. Toccato dalla grazia, gli chiede di ricordarsi di lui. Non ho preteso di fare Vangelo '70, né di fare un rapporto storico e religioso sul nostro tempo. Ho semplicemente raccontato come la grazia possa arrivare in qualsiasi posto, in qualsiasi momento, attraverso qualsiasi sbaglio» (Zurlini).

Copia proveniente dall'Istituto Luce Cinecittà

 

giovedì 20

ore 17.00 La promessa di Valerio Zurlini (1970, 143')

«Preceduta da una breve ripresa dalla versione teatrale del 1968, l'unica regia tv di Zurlini, essenziale per il suo cinema. Giannini anticipa il suo personaggio de Laprima notte di quietein questo film elettronico che si conclude con una delle uscite di campo più radicali di tutto il cinema» (Germani).

Copia ritrovata da Fuori orario nell'archivio Rai

 

ore 20.00 La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972, 132')

Daniele, un insegnante quasi quarantenne senza radici, trova un incarico di supplente in un liceo di Rimini. Entrato nel giro notturno di alcuni mediocri "vitelloni" locali, egli è attratto dalla sua allieva Vanina, già a sua volta legata da un arido rapporto senza amore con uno di loro, il cinico Gerardo. «Tuttavia, direi che La prima notte di quieteè nato davvero per la voglia che avevo di mettere in scena un personaggio del genere. Un personaggio frutto ovviamente di numerosi incontri, forse di certe somiglianze con me stesso, quella base di nichilismo, quel cristianesimo rifiutato ma presente... È un personaggio nato in modo molto strano, in un momento di estrema diffidenza: non trovavo niente di personale da raccontare. Un giorno, mi metto alla scrivania e in venti giorni scrivo in un racconto di cento pagine la storia di quest'uomo alla fine della vita - il racconto esiste ancora e credo che non sia male. Ma questo racconto oggettivo, ha origine anche da quelle stagioni invernali, così brutali, così violente, così incanaglite, così antifemminili, così oppressive, così eccessive, stagioni che pure avevo conosciuto. Quella costiera adriatica che avevo visto l'inverno, quando non c'è l'esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L'avevo vista, quella violenza dell'uomo sulla donna. La prima notte di quieteè un film molto legato ad un certo ambiente geografico. Contiene anche un aspetto di "storia popolare": la storia di un uomo che ha un rapporto ormai di morte con gli altri, e che incontra la giovinezza. Una giovinezza che nasconde in realtà la morte: è un romanzo popolare vecchio come il mondo. [...] [Il titolo del film] è un verso di Goethe che si può tradurre più o meno così: "La morte, la prima notte di quiete"» (Zurlini).

 

venerdì 21

ore 17.00 Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976, 150')

Il ventenne tenente di fresca nomina Drogo viene assegnato, forse per errore, alla fortezza Bastiani, ultimo baluardo posto ai confini dell'impero prima del deserto anticamente popolato dai Tartari. Nella postazione avanzata, tutti aspettano con ansia l'eventuale arrivo dei nemici come riscatto dall'opprimente grigiore della vita di guarnigione. «Il primo a voler girare Il deserto dei Tartariè stato Antonioni, poi Vittorio Gassman, Mauro Morassi, Franco Brusati... Insomma, è un progetto che ha interessato un po' tutti i cineasti italiani. Quasi una chimera, un film impossibile. [...] L'interesse per un adattamento cinematografico coinvolge allora i francesi: Jacques Perrin pensa per primo di fare un film a partire dal Deserto dei Tartari. [...] Il film, costato quasi due miliardi di lire, ma in Francia ne sarebbe costati tre, è stato coprodotto da Italia, Francia, Germania e Iran. [...] La mia intenzione era di fare un finale estremamente fedele al libro. [...] Non è stato fatto perché per finire il film abbiamo dovuto pagarci le spese di viaggio. Abbiamo finito tutto il denaro disponibile: Jacques Perrin correva disperato tra Roma e Parigi per trovare il modo di comprare un po' di pellicola. [...] È davvero per la mancanza di mezzi che non abbiamo potuto girare un finale conforme al libro, e seguire il finale previsto da Brunelin nella sceneggiatura. [...] Ho fatto otto film, e nei miei otto film c'è un tema minore - quello di Buzzati - che è contenuto nel tema maggiore. Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l'unica giustificazione. Io arrivo alla morte in tre dei miei film, Cronaca familiare, Sedutoalla sua destra, La prima notte diquiete, con lo stesso significato che in Buzzati: la morte è la ragione della fine dei sentimenti. La validità di un sentimento non esiste, la validità di un'illusione non esiste, non c'è idealismo che tenga, non c'è nulla che sia al di fuori dell'amara sopravvivenza. Esiste una consolazione cristiana ma in un senso laico [...]. Così, senza arrivare alla grandezza tematica di Buzzati, tutti i miei film si assomigliano, dal primo all'ultimo. È inutile amarsi perché amarsi implica l'infelicità, è inutile credere in qualcuno, perché ci deluderà» (Zurlini).

 

ore 20.30 Gli anni delle immagini perdute di Adolfo Conti (2012, 90')

Gli anni delle immagini perdutedelinea il ritratto umano e artistico di Valerio Zurlini, scomparso il 26 ottobre 1982, poche settimane dopo aver partecipato come giurato al 50° Festival del Cinema di Venezia. Zurlini sapeva di essere malato e aveva dedicato gli ultimi mesi di vita alla scrittura del proprio testamento spirituale, che uscirà postumo col titolo Gli anni delle immagini perdute. Un bilancio esistenziale spietato, il racconto di un mondo che cambia in modo irreversibile, un appello struggente in difesa del cinema d'autore. Come nel libro così in questo film Zurlini racconta se stesso in prima persona. Secondo uno studiato "disordine" cronologico il regista ripercorre gli episodi più importanti della propria vita, indica le ragioni del suo cinema, ricorda gli artisti che l'hanno formato. Soprattutto Zurlini denuncia le "immagini perdute", i tanti film cioè che egli scrisse e preparò senza riuscire a portarli a compimento. Tra il 1962 (anno del Leone d'oro per Cronaca familiare) e il 1982 Zurlini gira solo quattro film, mentre decine sono i progetti che rimangono sulla carta. Gli anni delle immagini perdutetorna nei luoghi in cuiZurlini amava ritirarsi a vivere, raccoglie le testimonianze di amici e collaboratori, ripropone il repertorio di interviste e conversazioni, nel tentativo di capire le cause di questo forzato e fatale "silenzio" produttivo.

 

sabato 22

ore 17.00 Le ragazze di San Frediano di Valerio Zurlini (1954, 90')(replica) 

ore 18.45 La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972, 132') (replica)

 

ore 21.15 Cronaca familiare di Valerio Zurlini (1962, 122') (replica)

 

domenica 23

ore 17.00 Estate violenta di Valerio Zurlini (1959, 98') (replica)

ore 18.45 La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960, 121') (replica)

ore 21.00 Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976, 150') (replica)

 

24-30 ottobre

Festival Tertio Millennio

Per il programma si rinvia al sito www.cinematografo.it

 

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