“La Cineteca Nazionale ricorda il 25 aprile con una giornata dedicata a donne e resistenza”
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Dopo i successi della prima e della seconda edizione della rassegna, curate da Maria Coletti e dedicate nel 2006 e nel 2007 a una carrellata lungo trent'anni di cinema italiano al femminile, riallacciamo il filo con la produzione cinematografica italiana realizzata dalle donne, in una ipotetica "controstoria" del cinema italiano, attraverso figure di registe o attrici che vogliamo ricordare e (ri)vedere. Gli appuntamenti mensili, a cura di Maria Coletti e Annamaria Licciardello, vogliono tessere una sorta di storia sotterranea, che possa rendere conto, pur con le inevitabili lacune, di ciò che è stato prodotto in questi anni dalle donne, attraverso le mille tematiche affrontate, e i molti stili che le riflettono: il corpo, la memoria, la storia, il paesaggio italiano e le trasformazioni sociali e familiari, le piccole e grandi resistenze. Una molteplicità di sguardi e di riflessioni sul cinema e sulla realtà italiana che trova un corrispettivo linguistico anche nella varietà dei formati, dalla pellicola al video, dalla finzione al documentario.
L'appuntamento di aprile è dedicato al ventennio fascista e alla Resistenza attraverso storie e memorie raccontate, vissute e interpretate da donne. Dal celebre documentario-manifesto dei primi anni Sessanta, cofirmato da Cecilia Mangini, alle memorie delle partigiane raccolte negli ultimi anni da giovani documentariste, passando per uno dei rari film di finzione in cui la protagonista è una donna partigiana, interpretata splendidamente dall'indimenticabile Ingrid Thulin. «Fu alla stazione Tiburtina che il diciassette alle cinque del pomeriggio, partirono diciotto vagoni piombati dentro ai quali era anche una bimba, nata durante la notte… Pensare a quella madre giovanissima con la sua piccola creatura nuda, nel lungo viaggio verso le camere a gas, divenne per me un assillo che mi tormentò ogni qualvolta dovevo intraprendere un'azione contro gli aguzzini tedeschi e i loro alleati fascisti. […] Mi sentivo parte di quella tragedia come se avessi vissuto in prima persona lo sterminio. Per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi» (Carla Capponi).
ore 17.00
All'armi, siam fascisti (1962)
Regia: Lino Del Fra, Cecilia Mangini, Lino Miccichè; soggetto: L. Del Fra, C. Mangini, L. Miccichè; sceneggiatura: L. Del Fra, C. Mangini, L. Miccichè, Giuseppe Ferrara; testo: Franco Fortini; voce: Giancarlo Sbragia, Emilio Cigoli, Nando Gazzolo; musica: Egisto Macchi; montaggio: Giorgio Urschitz; origine: Italia; produzione: Universale Film; durata: 112'
«Film di montaggio su cinquant'anni di storia italiana, dal 1911 al 1961, dalla guerra di Libia alle giornate di lotta contro il governo Tambroni appoggiato dai neofascisti […] segnò una svolta nel panorama del cinema italiano sotto il profilo del film di analisi storica. Sia le immagini articolate dal montaggio che il commento di Franco Fortini sono finalizzati a un'analisi critica della presa di potere da parte del fascismo, del consolidamento del regime, della guerra, della residenza e degli anni del "centrismo". Il fascismo è visto come veicolo dello sviluppo capitalistico, nelle forme della dittatura borghese durante il ventennio e poi, nell'Italia repubblicana, come componente dello Stato, che alterna la repressione a una politica indirizzata al consumismo e a un boom economico squilibrato e precario. Avversato dalla burocrazia, oggetto di animate discussioni all'interno delle stesse forze della sinistra, il film rimane tutt'oggi un testo di grande interesse: anche perché vengono respinte tentazioni di "obiettività" per proporre allo spettatore una interpretazione della storia apertamente e dichiaratamente di tendenza» (Ansano Giannarelli). «Con tutti i suoi limiti, il film era uno dei pochissimi che sapesse riprendere, a venticinque anni di distanza, l'invito rivolto da Bertolt Brecht nel giugno 1935 agli scrittori europei, riuniti al Palais de la Mutualité di Parigi, nel primo congresso internazionale per la difesa della cultura: l'invito a non fermarsi alla denuncia e al ripudio della barbarie ma a pensare alla radice del male e a parlare dei rapporti di proprietà che rendono necessaria quella barbarie» (Adelio Ferrero).
ore 19.00
Staffette (2006)
Regia: Paola Sangiovanni; soggetto e sceneggiatura: P. Sangiovanni; fotografia: Eleonora Patriarca; suono: Marzia Cordò e Riccardo Spagnol; montaggio: Ilaria Fraioli; con: Anna Cherchi, Claudia Balbo (Breda), Marisa Ombra (Lilia), Nicoletta Soave; origine: Italia; produzione: Metafilm; durata: 55'
Un documentario sulla Resistenza delle donne in Italia e sulla memoria femminile. La Resistenza dal punto di vista di quattro partigiane piemontesi: Anna Cherchi, Claudia Balbo, Marisa Ombra e Nicoletta Soave avevano circa diciott'anni e si trovavano nella zona del Monferrato, in Piemonte, quando sono entrate nella Resistenza, l'8 settembre del 1943. I loro racconti di oggi in prima persona sono integrati da immagini di repertorio perlopiù provenienti da archivi privati e pressoché inediti, in parte rielaborati e sonorizzati. Conversazioni, immagini, dialoghi a distanza tra passato e presente e tra le nostre protagoniste, le cui vite si sono incrociate o sfiorate durante la stagione della Resistenza. Dalle note di regia: «Nell'affrontare questa ricerca necessariamente in fieri abbiamo portato con noi il bagaglio di quegli studi che, fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, con l'affermarsi della soggettività in campo storico, hanno cominciato a concentrare l'attenzione sulla necessità di una prospettiva di genere nello studio della Resistenza, introducendo nuove categorie interpretative. Contemporaneamente abbiamo inteso muoverci su un doppio binario indagando cosa la Resistenza ha dato alla storia delle donne nel nostro paese. La memoria che si intende qui restituire non è l'immobile memoria del testimone dei fatti, è qualcosa di intimo, che passa attraverso gesti, intonazioni, espressioni, sguardi, piccole cose rivelatrici, momenti. E, naturalmente, parole. Parole che raccontano, si intersecano, si rispondono, si completano a vicenda, connettono e rimandano, intessono la memoria della Storia attraverso il veicolo privilegiato delle emozioni. Come le memorie familiari, come i ricordi delle persone che abbiamo amato e ci sono rimaste nel cuore, che hanno segnato la nostra anima e la nostra vita. È di questa memoria che si intende fare discorso e attraverso di essa, come sa essere la memoria esperienziale del corpo, che non dimentica e si sedimenta e diventa parte di noi».
Ingresso gratuito
a seguire
Bandite (2009)
Regia: Alessia Proietti, Giuditta Pellegrini; soggetto, ricerca, interviste: Alessia Proietti; fotografia: Elisa Maritano; camera: Giuditta Pellegrini; montaggio: Alessia Proietti; suono: Lorenzo Piano; grafica: Donatella Adamo; con: Annita Malavasi (Laila), Viera Geminiani (Minny), Silvana Guazzaloca (Miriam), Mirella Alloisio (Rossella), Walkiria Terradura, Bianca Guidetti Serra (Nerina); origine: Italia; produzione: Bandite Film; durata: 51'
Dalle note di regia: «Nel contesto della Resistenza italiana, il documentario indaga l'esperienza delle donne che dal '43 al '45 hanno combattuto nelle formazioni partigiane, rivoluzionando il loro ruolo tradizionale e divenendo protagoniste della storia. In un racconto corale, donne di diverse estrazioni sociali, culturali e politiche, esprimono attraverso le interviste la consapevolezza di una lotta che va oltre la liberazione dal nazifascismo e che segna un momento decisivo nel percorso di emancipazione femminile. Il vissuto di queste donne ribelli si intreccia agli interventi delle storiche che ne sostengono la trama con le loro analisi e indagini di genere, alle pubblicazioni clandestine dell'epoca e alle immagini di repertorio, delineando così il contesto storico in cui quella lotta si è sviluppata e il riflesso di essa nel mondo attuale. Le partigiane hanno dato vita alla Repubblica, conquistato la cittadinanza, ma la piena uguaglianza, le pari opportunità, gli obiettivi da esse perseguiti si possono veramente ritenere raggiunti?». «Laila, Miriam, Minny, Nerina, Walkiria, Rossella. Sfilano veloci i soprannomi e i volti delle partigiane di Bandite, saettante documentario di Alessia Proietti e Giuditta Pellegrini. […] Così la lotta di liberazione dal nazifascismo diviene una parallela lotta per l'emancipazione culturale e civile della donna (vedi il diritto di voto proprio nel '46). Una voce femminile che comincia a sentirsi attraverso gli organi d'informazione clandestini, la resistenza con le rivoltelle trasportate nel reggiseno, i mitra caricati ed impugnati, i ponti fatti saltare, le violenze sessuali subite come tortura nazista per confessare i segreti partigiani. Bandite salda il debito di una dimenticanza fin troppo evidente, pur da dentro il recinto dei "buoni"» (Davide Turrini).
Ingresso gratuito
ore 21.00
L'Agnese va a morire (1976)
Regia: Giuliano Montaldo; soggetto: dal romanzo omonimo di Renata Viganò; sceneggiatura: Nicola Badalucco, Giuliano Montaldo; fotografia: Giulio Albonico; scenografia: Umberto Turco; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Fraticelli; costumi: Vittoria Guaita, Gitt Magrini; interpreti: Ingrid Thulin, Stefano Satta Flores, Michele Placido, Aurore Clement, Ninetto Davoli, William Berger; origine: Italia; produzione: Palamo Film; durata: 135'
Agnese, lavandaia della bassa Emilia, vive silenziosamente accanto a Paolo Palita, pressoché immobilizzato, ma ancora indomito marxista. Quando i tedeschi le portano via il marito, che morirà sotto un bombardamento nel corso del trasferimento verso la Germania, Agnese decide di arruolarsi come partigiana. Dopo aver ucciso un tedesco con il calcio del fucile, raggiunge un gruppo partigiano e ne diviene nel contempo la vivandiera e la "mamma2. Per quanto illetterata, Mamma Agnese dimostra equilibrio e molto buon senso. Così, poco alla volta, i compagni le affidano compiti organizzativi importanti e le danno donne-staffette: non di rado, inoltre, alcuni casi vengono risolti in base alle sue timide osservazioni. Quando, nell'ultimo duro inverno, un gruppo di partigiani viene tradito e sterminato da Tedeschi appostati lungo il percorso che dovrebbe portarli oltre le linee, Agnese disobbedisce al Capo nascondendo in casa i superstiti; rischia l'espulsione ma viene reintegrata. Mentre si avvia verso il luogo di una missione, incappa in un posto di blocco. «È ancora guerriglia partigiana. È ancora ritratto di una contadina che si fa "resistente" per istinto di rivolta più che per coscienza politica. È ancora destino di morte senza clangori di eroismo. Ma più che nel romanzo, Agnese ora è figura centrale di un contesto corale, cresce di spessore e statura, si arricchisce di connotazioni complesse […], è reinterpretata con una diversa visione che riscopre figurazioni e atteggiamenti magari solo impliciti nel testo letterario e fa di lei personaggio in sintonia con l'attualità, icona di un'idea del femminile che è forza di natura, fierezza e passione nella inquieta mediazione col reale. […] La Thulin con sapiente maestria si cala nella parte, diventa Agnese sino all'immedesimazione totale con le matrici popolari, contadine e romagnole del personaggio. Il film è quasi tutto nutrito dal suo volto, adusto, indurito e dolce, dai suoi gesti e sguardi» (Pesce).
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