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“La Cineteca Nazionale al Festival di Roma con “L’avventura di un attore: Nino Manfredi” (sede cinema Trevi)”
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Uno dei pochi attori da considerare a pieno titolo un autore - non solo perché regista di due film e un quarto, senza dimenticare la sua attività di sceneggiatore e dialoghista -, Nino Manfredi è stato un talento artistico sfaccettato, impossibile da rinchiudere in uno schema che non sia riduttivo. Annoverato tra i "mostri sacri" del cinema italiano del secondo dopoguerra (Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi), dietro l'apparenza svagata e sorniona si muovevano in lui ambizioni profonde già segnalate in un curriculum prestigioso: l'Accademia d'Arte Drammatica, il lungo tirocinio teatrale a contatto con autori come Anouilh, Cocteau, Goldoni, Ruzante, Molnar, e con registi come Eduardo De Filippo, Giorgio Strehler, Orazio Costa, che è stato il suo primo maestro e lo ha preso con sé nella Compagnia del Piccolo Teatro della Città di Roma.
Nino Manfredi ha sempre spiazzato e sorpreso tutti per la qualità dei risultati raggiunti. «Il mio modello è sempre stato Chaplin: e Charlot è di tutto il mondo», ha confessato l'attore. E la sua recitazione essenziale, semplice, capace quindi di essere internazionale, è una conferma chapliniana… come i suoi film.
Le dichiarazioni dell'attore sono tratte da Aldo Bernardini, Nino Manfredi, Gremese, Roma, 1999, e Fabio Francione, Lorenzo Pellizzari (a cura di), Nino Manfredi regista, Falsopiano, Alessandria, 2005.
 
venerdì 9
ore 17.00
Nudo di donna (1981)
Regia: Nino Manfredi; soggetto: N. Manfredi, Paolo Levi, da un racconto di P. Levi; sceneggiatura: Age, Ruggero Maccari, N. Manfredi, Furio Scarpelli, con la collaborazione di Silvana Buzzo; fotografia: Danilo Desideri; scenografia: Lorenzo Baraldi; costumi: Luca Sabatelli; musica: Maurizio Gianmarco; montaggio: Sergio Montanari; interpreti: N. Manfredi, Eleonora Giorgi, Carlo Bagno, Donato Castellaneta, Jean-Pierre Cassel, Georges Wilson, Bepi Maffioli; origine: Italia/Francia; produzione: Massfilm, Les Films Marceau-Cocinor; durata: 105'
«A Venezia, dopo una figlia e sedici anni di matrimonio, il romano Sandro e la bella veneta Laura […] non ritrovano più la passione che li univa, e Laura impone al marito una temporanea separazione. Rifugiatosi in un fatiscente palazzo settecentesco dove l'amico, Pireddu, fotografo omosessuale, ospita un gruppo di artisti, Sandro scopre in casa il ritratto di una donna nuda di spalle in cui crede di riconoscere la moglie» (Bernardini). «Nudo di donna è un film riuscito: una variazione gustosa sui vecchi temi del doppio (anche Sandro ha dentro di sé la voce d'un latro che lo deride), della duplice natura femminile, del conflitto fra vero e apparente, del sogno maschile d'avere una moglie-puttana, compiuta da Nino Manfredi, interprete e regista, con un'intelligente emulsione di comico e patetico. L'idea portante del film, che lo premia su tutte, è di avere ambientato l'azione nella Venezia del carnevale, in modo da farne la protagonista e da suggerire un continuo rapporto fra l'irrealtà d'un mondo mascherato, che di continuo intralcia le ricerche ansiose di Sandro, e il mistero d'un universo di fantasmi in cui si confondono candore e malizia. […] Nudo di donna ci ripaga di molte amarezze ultimamente impartite dal cinema italiano. È fatto con amore, curato nei minimi particolari, attento alla definizione dei caratteri (quasi un duello fra Roma e Venezia), fornito insieme di suspense e svolte farsesche, narrativamente ben congegnato. […] Punti di forza sono a loro volta gli interpreti: non soltanto lo stesso Manfredi, molto espressivo nel ritratto d'un Sandro che trascorre dal risibile al penoso, ma anche Eleonora Giorgi» (Grazzini). «Ho fatto un film anomalo nel panorama del nostro cinema, ho toccato corde delicate. Hanno parlato di Pirandello, di Buñuel, di Les enfants du paradis, tutti paragoni che mi inorgogliscono. Io parlo di una crisi della coppia, anzi, più in là, di una crisi dell'uomo, che combatte per ritrovare una sua identità; e per ritrovarla, proietta il suo io diviso sulla donna che ama, e la sdoppia. Sono io, sono gli altri, siamo un po' tutti: non è questo il punto. Se mai l'equilibrio era tra il terreno realistico e la metafora che il film sottintende» (Manfredi).
 
ore 19.00
Per grazia ricevuta (1971)
Regia: Nino Manfredi; soggetto: N. Manfredi; trattamento: Luigi Magni, N. Manfredi; sceneggiatura: Piero De Bernardi, Leonardo Benvenuti, N. Manfredi; fotografia: Armando Nannuzzi; scenografia: Giorgio Giovannini; costumi: Danilo Donati; musica: Maurizio e Guido De Angelis; montaggio: Alberto Gallitti; interpreti: N. Manfredi, Lionel Stander, Delia Boccardo, Paola Borboni, Véronique Vendell, Gianni Rizzo; origine: Italia; produzione: Rizzoli Film; durata: 119'
«Ragazzo miracolato si chiude in convento in attesa di un sogno che confermi la sua vocazione. Quando il sesso lo tenta, va in tilt. Cerca di uccidersi. Lo salvano. È un nuovo miracolo? 1° film lungo di Manfredi regista: insolito, intelligente, bene accolto dappertutto. Il tema dei tabù religiosi (o superstiziosi?) è svolto con pittoresca abilità. Dialogo arguto, caratteristi calibrati, ritmo. Premio Opera Prima a Cannes 1971» (Morandini). «Il bisogno di fare questo film mi nacque dalle domande dei miei figli a proposito della religione. Dicevano: "Tu non vai in chiesa, bestemmi come un turco, mentre la nonna ci vuol far dire le preghiere e pretende che andiamo in chiesa. Come ci dobbiamo comportare?" In realtà io da giovane avevo avuto una cattiva educazione religiosa, me ne ero liberato con fatica. Risposi: "io non sono un teologo, non riuscirei mai a darvi una spiegazione"; pensai allora di rispondere con un film autobiografico, che avrebbe chiarito ai miei figli, e a tutti, quello che mi era successo. Era un argomento che nessuno aveva affrontato in Italia, quello della cattiva educazione religiosa, che può arrivare a castrare un uomo. Mi sentivo uno svedese in Italia. Tanto è vero che tutti mi consigliavano di non fare questo film» (Manfredi).
 
ore 21.15
Ottant'anni da attore. Incontro con Nino Manfredi (2002)
Regia: Luca Manfredi; a cura di Gianni Canova; fotografia: Roberto Benvenuti; montaggio: Massimo Fiocchi; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 52'
«Attraverso una lunga intervista realizzata su un barcone ormeggiato alle rive del Tevere e integrata con materiale di repertorio, testimonianze di amici e colleghi, brani, sequenze di film e immagini girate in ambito domestico e familiare, il ritratto mira a ricostruire non tanto le tappe di una carriera, quanto le peculiarità distintive di uno stile e le modalità di espressione di una pratica dello spettacolo assolutamente originale. Accanto al personaggio-tipo che Manfredi ha interpretato per il cinema nella commedia italiana degli anni '60 e '70 (il piccolo-borghese con radici provinciali e campagnole, poco smaliziato di fronte ai trabocchetti della vita, fatalista e scettico di fronte al nuovo ma capace di affrontare ogni novità con il sorriso dell'ironia), il ritratto mira a far emergere comunque l'uomo: con il suo carattere non sempre facile ma comunque affascinante, con le sue passioni dichiarate (la cucina, il caffè…), con il suo gusto dell'affabulazione, con i suoi forti legami familiari e con una visione della vita improntata a una coerenza che non è mai venuta meno» (Canova). «Ottant'anni da attore. Credo sia il titolo più giusto che si potesse dare a questo videoritratto, che ripercorre […] gli ottant'anni di vita di un uomo semplice e al tempo stesso assai complesso come mio padre, Saturnino Manfredi (in arte Nino) da Castro dei Volsci, piccolo paese della Ciociaria. È un titolo che la dice lunga sulla camaleontica personalità di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita al "mestiere" della recita, della rappresentazione, della fantasia, fino a confondere lui stesso quel confine sottile, ambiguo, a volte indistinguibile, che c'è tra realtà e finzione. Insomma, una vita vissuta come fosse un grande palcoscenico. Non a caso, anche il giorno della discussione della tesi di laurea in Giurisprudenza, Nino ha finito per recitare un pezzo di teatro di Goldoni, convincendo la commissione d'esame che non avrebbe mai e poi mai fatto l'avvocato. Se qualcuno mi chiedesse a bruciapelo chi è mio padre, non saprei cosa rispondere. E sono convinto che non saprebbe rispondere nemmeno lui. Nino si racconta solo attraverso i suoi film, i suoi personaggi, le sue storie. Nino è così. Per dirla con una parola, Nino è un attore» (Luca Manfredi).
Ingresso gratuito
 
a seguire
L'avventura di un soldato (ep. de L'amore difficile,1962)
Regia: Nino Manfredi; soggetto: dal racconto omonimo di Italo Calvino; sceneggiatura: Giuseppe Orlandini, Fabio Carpi, Ettore Scola, N. Manfredi; fotografia: Carlo Carlini Erico Menczer; scenografia: Nedo Azzini; costumi: Lucia Mirisola; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: N. Manfredi, Fulvia Franco, Rosita Pisano; origine: Italia/Germania; produzione: S.p.A. Cinematografica, Eichberg-Film; durata: 24'
«In veste di soldatino, Nino Manfredi si trova, in uno scompartimento di un treno lumaca che serve una linea del Sud, accanto a una vedova prosperosa, giovane e molto riservata. È caldo; e tuttavia, stranamente, la silenziosa vedova non si discosta dal soldatino intraprendente. Quando gli altri viaggiatori scendono, il soldatino arrischia, col batticuore, la conquista della bella silenziosa. Che, poco dopo, scende dal treno, accolta in stazione dai parenti. C'è ironia, sapienza compositiva, e abile sfruttamento della situazione "cocasse". Nino Manfredi il regista-interprete di questo sketch» (Bianchi). «Il film è nato da un'idea del produttore Piazzi, che voleva far esordire come registi quattro attori scelti tra quelli che avevano dimostrato un maggior interesse per la regia. Oltre a me, dovevano esserci Gassman, Bonucci e Salerno. Per quanto riguarda me, era da tempo che desideravo approfondire lo studio del cinema, intendevo conoscerlo meglio e imparare a usare la macchina da presa. […] Mi diedero da leggere i racconti di Calvino e mi soffermai su L'avventura di un soldato, dove capii che c'era un'idea con cui potevo confrontarmi: inconsciamente la molla dell'interesse mi scattò dentro anche perché io stesso avevo vissuto una esperienza in certo modo simile quand'ero giovane, durante una gita estiva a Ostia. Mi decisi allora per questo racconto; e dato che i miei padreterni erano stati Chaplin e Buster Keaton, mi dissi che se volevo dimostrare a me stesso di aver capito il cinema, dovevo rifarmi al cinema muto, alla nascita del cinema. […] Volevo fare del soldatino un piccolo Chaplin, un piccolo Keaton. Ma i produttori si spaventarono, non volevano farmelo fare così. […] Poi finalmente, a malincuore, si convinsero: in questo mi aiutò soprattutto il direttore di produzione Jaboni. Io stesso però non ero tanto sicuro che l'impresa mi riuscisse; e lavorando alla sceneggiatura (prima con Carpi che mi abbandonò subito ritenendola una cosa folle; poi con Scola: ma rimasi solo, perché nessuno capiva quello che volevo fare), mi preparai una scappatoia: se il racconto muto non mi riusciva, avrei aggiunto fuori campo la voce interiore del soldatino. […] Infine la spuntai. Misi solo le battute degli altri viaggiatori e i rumori: sentii che era importante l'ansimare della locomotiva, il rumore del treno, che mi doveva rappresentare il battito del cuore del soldatino, il suo stato d'animo» (Manfredi).
Ingresso gratuito - Per gentile della concessione della Compass Film
 
sabato 10
ore 17.00
Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956)
Regia: Mauro Bolognini; soggetto: Paolo Frascà; sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola, Nicola Manzari; fotografia: Aldo Giordani; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Elio Costanzi; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Gino Cervi, Valeria Moriconi, Nino Manfredi; origine: Italia; produzione: Enic, Imperial Film; durata: 91'
«Appartiene al genere degli episodi intrecciati, questa volta intorno a una caserma di vigili urbani il cui preposto (Cervi) ha la mania di dirigerne la banda. Grande successo all'epoca, oggi appare un coacervo di sketch un po' stanchi. Spiccano Sordi come inflessibile distributore di multe e il quieto Manfredi» (Morandini). «Avevo solo quattro pose: un paio però con Sordi. Mi trovavo quindi con "il mostro", cominciavo a combattere, ero il pugile nuovo che saliva sul ring col campione, con Cassius Clay. Devo dire che questo film mi è servito molto. C'era un Peppino De Filippo bravissimo, straordinario» (Manfredi).
 
ore 19.00
Venezia, la luna e tu (1958)
Regia: Dino Risi; soggetto e sceneggiatura: Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, D. Risi; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: Alberto Boccianti, Luigi Scaccianoce; costumi: Dina Di Bari; musica: Lelio Luttazzi; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Alberto Sordi, Marisa Allasio, Nino Manfredi, Inge Schöener, Niki Dantine, Riccardo Garrone; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 100'
«Alberto Sordi ha cambiato "maschera": da bullo romano è diventato... gondoliere veneziano; si chiama Bepi, naturalmente è un rubacuori e, sia pure con qualche inflessione romanesca, ciacola in un veneziano che, se non proprio Goldoni, vi ricorderà almeno Baseggio. Il mutamento sotto un certo aspetto non dispiace: a parte, infatti, quell'ombra d'impaccio che Sordi ancora svela di fronte a climi a lui troppo estranei, era tempo che il nostro cinema comico si decidesse a cambiar dialetto: non foss'altro per far sapere, almeno all'estero, che la commedia italiana non nasce solo a Trastevere. [...] La regia di Dino Risi, però, [...] ha fatto in modo che luoghi comuni e reminiscenze venissero riscattati nel racconto da un'atmosfera gioiosa e briosa, resa anche più vivace da equivoci, beffe, situazioni salaci, scherzi, caricature; che, qua e là, avrebbero forse potuto essere più schietti o, su taluni argomenti, un po' più moderati, ma che, lietamente fusi alla bella cornice veneziana, ai suoi canali, alle sue gondole, hanno ottenuto ugualmente senza fatica l'allegro consenso del pubblico. Per merito anche degli interpreti, s'intende: oltre a Sordi, vanno ricordati il suo timido rivale, Nino Manfredi, che di certo lo ha superato almeno nella colorita verosimiglianza con cui ha disegnato la sua macchietta veneziana, e Marisa Allasio nelle vesti della fanciullina contesa» (Rondi). «Fu un brutto incontro con Sordi. Io che avevo fatto gli Arlecchini in teatro, che avevo recitato Goldoni, me la cavai meglio di lui con il veneto. Infatti Rondi, che era il "vice" di Silvio D'Amico all'Accademia d'Arte Drammatica, mi dedicò un elogio particolare, non vedeva l'ora di dir bene dell'Accademia. Sordi se la prese talmente, mi dissero, che telefonò a Rondi e gliene disse di tutti i colori: perché, bisogna dire la verità, si sperticò un po' troppo. Mi voleva molto bene, Rondi, m'aveva conosciuto fin dal primo anno d'Accademia, mi stimava» (Manfredi).
 
ore 21.00
Le pillole di Ercole (1960)
Regia: Luciano Salce; soggetto: dalla commedia omonima di Maurice Hennequin e Paul Bilhaud; sceneggiatura: Ettore Scola, Ruggero Maccari, Vittorio Vighi, Bruno Baratti, L. Salce; fotografia: Erico Menczer; scenografia: Gianni Polidori; costumi: Piero Gherardi, Lucia Mirisola; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Nino Manfredi, Sylva Koscina, Jeanne Valerie, Francis Blanche, Vittorio De Sica, Andreina Pagnani; origine: Italia; produzione: Maxima Film - Compagnia Cinematografica; durata: 100'
Dei medici fanno trangugiare per scherzo a un collega una droga afrodisiaca. Sotto l'influenza della sostanza, il medico ha un'avventura con un'americana. Il marito della donna, gelosissimo, chiede come riparazione di poter avvicinare la moglie del medico che è costretto dagli eventi ad accettare, non prima, però, di aver ingaggiato una donna disposta a recitare il ruolo della moglie e a soddisfare lo straniero. «Avrei dovuto debuttare con Il federale, ma non si riusciva a chiudere la produzione, e così feci un film meno impegnativo, Le pillole di Ercole, una farsa per Manfredi, grazie a Manfredi che insisté perché lo dirigessi io contro il parere di De Laurentiis. Come debutto, era pieno di attori e di movimento, e il canovaccio era a tutta prova. Fu un successo, e dimostrai che sapevo dirigere un film» (Salce). «Come attore amoroso-brillante credo di essere adatto a una pochade come questa, e sebbene Le pillole di Ercole sia un po' tutto sulle mie spalle, ho al fianco attori di nome e adatti a questo genere […]. Ci siamo sforzati di scrivere un dialogo senza scurrilità, ma allo stesso tempo ricco di battute divertenti e di situazioni piccanti» (Manfredi).
 
domenica 11
ore 17.00
Il carabiniere a cavallo (1961)
Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Antonio Pietrangeli, Ettore Scola, Ruggero Maccari; sceneggiatura: E. Scola, R. Maccari; fotografia: Gianni Di Venanzo; scenografia: Piero Gherardi; costumi: Lucia Mirisola; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Nino Manfredi, Peppino De Filippo, Annette Stroyberg, Maurizio Arena, Luciano Salce, Clelia Matania; origine: Italia; produzione: Maxima Film; durata: 90'
Il carabiniere a cavallo Franco Bartolomucci vorrebbe sposare la fidanzata Letizia ma il regolamento dell'arma stabilisce che ciò è possibile solo dopo aver compiuto quindici anni di servizio attivo. Temendo di perdere l'affetto della ragazza, Franco decide di sposarla segretamente, con l'aiuto di un ex brigadiere, Tarquinio. Alla vigilia delle nozze a Franco, durante il suo turno di servizio al Pincio, gli viene rubato il cavallo. Per evitare provvedimenti disciplinari, lo sfortunato carabiniere rientra in caserma montando un cavallo da tiro preso a nolo. Il giorno dopo, celebrata la cerimonia nuziale insieme con la moglie e l'amico Tarquinio, si affanna alla ricerca della bestia. «È una specie di epigono del neorealismo rosa: il pretesto del furto porta il film nelle zone periferiche della Roma anni Sessanta, imprimendo alla commedia sfumature di denuncia sociale. Molti problemi con la censura che impose il taglio di numerose battute e aggiunse "a cavallo" al titolo originale Il carabiniere» (Mereghetti).
 
ore 19.00
A cavallo della tigre (1961)
Regia: Luigi Comencini; soggetto e sceneggiatura: Age & Scarpelli, L. Comencini, Mario Monicelli; fotografia: Aldo Scavarda; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Piero Tosi; musica: Piero Umiliani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Nino Manfredi, Mario Adorf, Valeria Moriconi, Gian Maria Volonté, Raymond Bussières, Ferruccio De Ceresa; origine: Italia; produzione: Film 5, Titanus; durata: 110'
L'ingenuo Giacinto, finito in prigione per una truffa, viene coinvolto, suo malgrado, in un'evasione con tre loschi figuri, ma ben presto si rende conto che è più conveniente per tutti se ritorna in cella. «Condotto senza alcuna debolezza di ritmo, A cavallo della tigre alterna in maniera brillante le gags più divertenti con una serie di notazioni socio-economiche che costituisce il nerbo del film: in Comencini, il dramma non è mai lontano. Il ritorno di Manfredi nella sua famiglia, il piatto di spaghetti rovesciato per terra, l'amante installato a casa della sposa […], i bambini divenuti estranei, costituisce un pezzo d'antologia. D'altra parte […], Comencini si rivela uno straordinario direttore di attori: oltre a Nino Manfredi - che raggiunge in questo ruolo uno dei primi traguardi della sua carriera -, il film armonizza gli stili molto diversi di Mario Adorf, Raymond Bussières e anche di un Gian Maria Volontè colto all'inizio della sua carriera» (Gili). «Come attore il film mi diede molte soddisfazioni; fu una faticaccia. Quando vidi che il pubblico non lo accoglieva bene, ci rimasi male. Ma non dipendeva da Comencini, dipendeva dalle manchevolezze di un soggetto disarticolato, che era forse in anticipo sui tempi: almeno secondo me. Il film era stato prodotto da una cooperativa costituita da Age, Scarpelli, Comencini e Monicelli: l'insuccesso commerciale del film la mise in crisi» (Manfredi).
 
ore 21.00
Gli anni ruggenti (1962)
Regia: Luigi Zampa; soggetto: Sergio Amidei, L. Zampa, Vincenzo Talarico; sceneggiatura: Ettore Scola, Ruggero Maccari, L. Zampa; fotografia: Carlo Carlini; scenografia: Piero Poletto; costumi: Lucia Mirisola; musica: Piero Piccioni; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Nino Manfredi, Gino Cervi, Salvo Randone, Michèle Mercier, Gastone Moschin, Rosalia Maggio; origine: Italia; produzione: Spa Cinematografica, Incei Film; durata: 107'
Film conclusivo della quadrilogia satirica sul fascismo di Zampa, Anni ruggenti racconta di Omero, un assicuratore sostenitore del fascismo che arriva in un paese di provincia della Puglia, Ostuni, e viene scambiato per un gerarca fascista in incognito… «Il lontano modello è L'ispettore generale (Revizor, 1836) di N.V. Gogol. Mette in valore Manfredi e il suo duttile gioco di rimessa e una compagnia di bravi attori tra cui spicca S. Randone» (Morandini). Vincitore della Vela d'Argento al Festival di Locarno nel 1962. «A volte non è facile rinunciare alla "gag", alla smorfia, alla battuta che sicuramente tirerebbe fuori la risata dalle platee. Eppure in questo film non faccio nessuna concessione agli effetti più facili. […] Il film andò abbastanza bene. Poggiava su un complesso di attori, e sul ricordo dei film precedenti di Zampa. Ci diede però una sorpresa quando venne programmato di nuovo dieci anni dopo: guadagnò di più della prima volta. Forse anche perché nel frattempo io mi ero fatto un po' più di nome» (Manfredi).
 
lunedì 12
ore 17.00
Cocaina di domenica (ep. di Controsesso,1964)
Regia: Franco Rossi; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi; fotografia: Leonida Barboni; scenografia: Carlo Egidi; musica: Piero Umiliani; montaggio: Giorgio Serralonga; interpreti: Nino Manfredi, Anna Maria Ferrero, Marzio Ubaldi, Renzo Marignani; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Concordia; durata: 40'
«Una coppia di giovani sposi, per vincere la noia domenicale, prova per gioco gli effetti di un pizzico di cocaina, di cui casualmente è entrata in possesso. La droga eccita nei due l'erotismo. La donna ha però "annusato" prima del marito, così che nell'amplesso si trova sfasata rispetto a lui: e approfitta dell'euforia dell'uomo per fargli sbrigare le faccende di casa» (Bernardini).
 
a seguire
Una donna d'affari (ep. di Controsesso,1964)
Regia: Renato Castellani; soggetto e sceneggiatura: Tonino Guerra, Giorgio Salvioni, R. Castellani;fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia: Sergio Canevari; musica: Roman Vlad; montaggio: Jolanda Benevenuti; interpreti: Nino Manfredi, Dolores Wettach, Umberto D'Orsi, Antonio Ciani; durata: 40'
«Un galante musicista corteggia con successo una bella e compiacente sconosciuta; ma diventa quasi pazzo per il fatto di non riuscire mai a concludere l'avventura, perché la donna, impegnata in una serie d'affari, o è al telefono o deve correre da un posto all'altro, e non riesce mai a dedicare all'uomo il tempo minimo necessario. L'episodio diretto da Castellani provoca il sequestro del film da parte della magistratura. Tuttavia è proprio di Castellani che Manfredi si ricorda a proposito di questo film. "Fu un periodo bellissimo. Castellani mi invitò a casa sua, mi chiese di mettere le mani sulla sceneggiatura: fui per quattro giorni suo ospite a Grottaferrata e insieme lo mettemmo a posto. Castellani aveva visto L'avventura di un soldato, e quando mi incontrò mi invitò a smettere di fare l'attore, disse che ero migliore come regista che come attore. Detto da Castellani, questo significò molto per me. Durante le riprese, il regista poi mi prendeva in giro, mi chiedeva come avrei girato la scena, dove avrei messo la cinepresa, ecc. Fu un incontro delizioso» (Bernardini).
 
ore 19.00
…E vissero felici (ep. de I cuori infranti,1963)
Regia: Gianni Puccini; soggetto: Ettore Scola, Ruggero Maccari; sceneggiatura: Sandro Continenza, Nino Manfredi, G. Puccini; fotografia: Alfio Contini; scenografia: Francesco Bronzi; musica: Fiorenzo Carpi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Nino Manfredi, Norma Bengell, Gianni Bonagura, Roberto Paoletti, Sandro Bruni; origine: Italia; produzione: Ima Film, Incei Film; durata: 43'
«Quirino è un marito affabile, premuroso, bravo "massaio" e padre di famiglia. La moglie batte il marciapiede di notte e lui provvede a mandare avanti la casa e ad accudire il bambino. […] I cuori infranti inaugura per Manfredi tutta una serie di partecipazioni a film a episodi che gli consentono di saggiare le proprie doti in una ricca galleria di personaggi e situazioni. Si tratta quasi sempre di recuperare, e valorizzare in una dimensione più matura, le qualità comiche e brillanti messe in luce in molti film degli anni cinquanta. Quasi sempre egli si appoggia a sceneggiature della coppia Scola-Maccari, sceneggiature sulle quali egli spesso interviene (ufficialmente, come qui, o di fatto) per arricchirle di invenzioni e di variazioni. "Erano gli stessi autori, registi e sceneggiatori - spiega Manfredi - a chiedermi questi interventi: e io ero ben lieto di poter contribuire al successo di questi film» (Bernardini). «Gli spettatori ridono, ma il fenomeno è forse analogo a ciò che accade quando il sole è troppo forte e non ci si vede più tanto bene. Gianni Puccini, il regista, ha diretto questo episodio con finezza che abbiamo già apprezzato nelle migliori cose sue. Tutta la difficoltà consisteva nel fermarsi a tempo; vi è riuscito anche per merito di Nino Manfredi: esatto, apparentemente distratto ma padrone del personaggio e dell'ambiente» (Bianchi).
 
a seguire
Scandaloso (ep. di Alta infedeltà,1964)
Regia: Franco Rossi; soggetto e sceneggiatura: Ettore Scola, Ruggero Maccari; fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia: Gianni Polidori; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Giorgio Serralongo; interpreti: Nino Manfredi, Fulvia Franco, John Philip Law, Elena Beaucour, Vittorio La Paglia, Luigi Zerbinati; origine: Italia/Francia; produzione: Documento Film, S.P.C.E.; durata: 39'
«Raffaella e Francesco sono al termine delle loro vacanze al mare. Anche se cerca di controllarsi, Francesco è geloso delle attenzioni che un giovane, aitante, biondo turista straniero sembra rivolgere a sua moglie. Ma scopre poi di essere lui stesso l'oggetto delle "avances" dell'uomo. Chiarito l'equivoco, Francesco si rassicura, ma lascia alla moglie l'illusione che la corte dello straniero fosse rivolta a lei» (Bernardini). «Devo dire che il primo episodio di Alta infedeltà sia la cosa più bella e delicata (senza sbavature, o con una sola sbavatura) che Rossi abbia fatto finora… dunque, mi pare che, a parte la bravura di Rossi, sia giunto il momento di riconoscere solennemente la classe eccezionale di Manfredi come interprete. […] Per minuziosa delicatezza, la recitazione di Manfredi e la regia di Rossi gareggiano tra di loro, dal principio alla fine dello squisito episodio. […] Bello, altamente morale, e allo stesso tempo estremamente divertente. Non si può far di più. […] Insisto, però, che almeno metà del merito va dato a Manfredi. I movimenti muscolari della sua maschera facciale, così straordinariamente espressiva, sono stati controllati nella scena del bar, fino all'ultimo limite dell'esattezza: misurati col contagocce. Ma, naturalmente, non si tratta di misura o di calcolo. Una mezza sfumatura di più, e, per riflesso, il personaggio dell'inglese cessava di commuovere e impietosire. Per arrivare a questo exploit, non c'è abilità che basti. Contrariamente al Paradosso di Diderot, una volta tanto è chiaro che l'attore, cioè Manfredi, ha dovuto "sentire giusto"» (Soldati).
 

martedì 13

ore 17.00
La luz prodigiosa (La fine prodigiosa, 2003)
Regia: Miguel Hermoso; soggetto e sceneggiatura: Fernando Marìas; fotografia: Carlos Suàrez; scenografia: Félix Murcia; costumi: Sonia Grande; musica: Ennio Morricone; montaggio: Mauro Bonanni; interpreti: Alfredo Landa, Nino Manfredi, Kiti Manver, José Luis Gómez, Sergio Villanueva, Ivàn Corvacho; origine: Spagna/Italia; produzione: Surf Film, Azalea P.C.S.A., Canal sur Television; durata: 105'
«Il sommo poeta spagnolo muore fucilato a Viznar durante la guerra civile. Ma la fantasia degli autori di La fine di un mistero, quella del regista Miguel Hermoso in testa, vuole che Lorca venga salvato in fin di vita da un pastorello e poi, ancora una volta, sperduto per quarant'anni. Quando una pellicola respira grazie al soffio di un interprete straordinario. Un Nino Manfredi già malato, restituisce nella sua estrema prova d'attore tutto lo spessore del genio di Fuentevacqueros, affidandosi ad una gestualità asciutta, essenziale. Quattro, cinque parole in tutto il film, Nino diventa Lorca: nel pianto davanti ad una foto di Dalì, negli occhi vitrei che fissano le mura di Granada. L'ennesima trasformazione che forse più somiglia alla sua anima» (Jattarelli).
 
ore 19.15
El verdugo (La ballata del boia, 1964)
Regia: Luis García Berlanga; soggetto: L. G. Berlanga; sceneggiatura: Ennio Flaiano, L. G. Berlanga, Rafael Azcona; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: José Antonio de la Guerra; musica: Miguel Asín Arbó; montaggio: Alfonso Santacana; interpreti: Nino Manfredi, Emma Penella, José Isbert, José Luis López Vázquez, Ángel Álvarez, Guido Alberti; origine: Spagna/Italia; durata: 89'
Sposata la figlia di un boia, José Luis è indotto dal suocero a diventare il suo successore. La vena picaresca e amara di Berlanga si è espressa particolarmente in Plácido e ne El verdugo, film nati tra il 1961 e il 1963 dalla collaborazione con Rafael Azcona. «Amarissimo apologo di una atroce condizione umana, La ballata del boia raggela il riso sulle labbra, nel momento stesso in cui lo suscita. L'umor nero di Berlanga (e di Azcona) perde qui ogni carattere di elusiva stravaganza per radicarsi con fermezza non solo nella tradizione culturale iberica, ma nella concreta realtà odierna dell'infelice paese: lo stile narrativo è piano, limpido, e indulge anche un tantino all'aneddotica […]; la violenza, profonda e lacerante, è nei fatti, nelle cose, negli uomini, nelle immagini di quell'alienazione collettiva […] che ha il nome torvo di fascismo. […] Nino Manfredi, in una parte davvero difficile, è bravissimo, con momenti di rara intensità drammatica» (Savioli). «È stato un film interessante, politicamente coraggioso: ma non legai molto con Berlanga, che praticamente non dirigeva gli attori, faceva continui campo-controcampo su tutta la scena. Mi piace invece ricordare in quella occasione il simpatico incontro con Flaiano. Lavorammo insieme alla sceneggiatura già preparata da Berlanga e Azcona, adattando il personaggio ai miei mezzi. E insieme partimmo poi in aereo per la Spagna. La produzione ci aveva dato dei biglietti di seconda classe, non ci consideravano importanti: e avevamo una gran fifa. Nessuno dei due voleva confessarlo, e per tutto il viaggio parlammo in continuazione, come dei matti. All'arrivo a Madrid, scendemmo dalla scaletta in coda all'aereo, e vedemmo una piccola folla in attesa intorno alla scaletta della prima classe. Immaginammo che si trattasse dell'arrivo di Sophia Loren, che stava allora girando in Spagna con gli americani, e ci facemmo sotto anche noi a guardare, in attesa. Finché il comandante dell'aereo, che mi conosceva, fece dei gesti, indicando noi due: ci accorgemmo allora che eravamo noi gli attesi. A quel punto, Flaiano si mise a correre e scomparve: non lo vedemmo più» (Manfredi).
 

mercoledì 14

ore 17.00
C'eravamo tanto amati (1974)
Regia: Ettore Scola; soggetto: Age & Scarpelli, E. Scola; sceneggiatura: Age & Scarpelli, E. Scola; fotografia: Claudio Cirillo; scenografia e costumi: Luciano Ricceri; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Raimondo Crociani; interpreti: Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Stefano Satta Flores, Stefania Sandrelli, Giovanna Ralli, Aldo Fabrizi, Marcella Michelangeli; origine: Italia; produzione: Dean Cinematografica, Delta; durata: 111'
«Dall'unità della Resistenza allo sfrangiarsi dei destini individuali, in una società tanto diversa dalle speranze di tutti, gli amici del film di Ettore Scola toccano con mano la corrosione degli ideali politici e l'estrema difficoltà dei rapporti umani. […] È un film rapsodico, lieve, graffiante, servito benissimo (anche grazie alle acrobazie di un ottimo truccatore) da un Manfredi sempre intonato, da un acre Gassman, dalla Sandrelli e da Satta Flores: un bravo attore che dai tempi di I basilischi aspettava un'altra occasione» (Kezich). «È un film che mi è piaciuto molto fare. Scola inizialmente voleva farmi interpretare la parte di Gianni, il ruolo di Antonio toccava a Mastroianni e Nicola doveva farlo Gassman. Si andò avanti a lungo così; poi per il ruolo di Nicola si fece debuttare il giovane Satta Flores, che era molto bravo. Così io finii per fare la parte più divertente, quella di Antonio. Un personaggio pieno di sicurezza, di tranquillità, un personaggio vincente (Luciana alla fine sceglieva proprio lui). Anche questa volta mi sono trovato benissimo, sia con Scola, sia con Gassman. Gassman è un professionista serio, non mette mai in imbarazzo perché quello che fa, sa ripeterlo con una precisione assoluta» (Manfredi).
 
ore 19.00
Girolimoni - Il mostro di Roma (1972)
Regia: Damiano Damiani; soggetto e sceneggiatura: Fulvio Gicca-Palli, Enrico Ribulsi, D. Damiani; fotografia: Marcello Gatti; scenografia: Umberto Turco; costumi: Mario Ambrosini; musica: Riz Ortolani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Nino Manfredi, Guido Leontini, Orso Maria Guerrini, Anna Maria Pescatori, Luciano Catenacci, Mario Carotenuto; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 125'
«Nei primi anni del fascismo, un "mostro" inafferrabile terrorizza i quartieri romani di Borgo e di Ponte, seviziando ed uccidendo una serie di bambine. Mentre la psicosi dell'assassino provoca tentativi di linciaggio e il suicidio di persone sospettate, la polizia brancola nel buio più assoluto. Poiché il regime, che aveva promesso l'ordine e la tranquillità, viene accusato di inefficienza, lo stesso Mussolini, che è anche ministro dell'Interno, ordina di trovare ad ogni costo il "mostro". Grazie all'accusa di un marito geloso e all'ambizione di un brigadiere, voglioso di fare carriera, costui viene finalmente individuato in Gino Girolimoni, un provinciale che a Roma è riuscito a procurarsi una certa agiatezza. Gli indizi contro di lui, come le presunte testimonianze che lo accusano, sono inconsistenti, ma il regime annuncia trionfalmente di aver finalmente liberato la città dall'incubo del "mostro"» (www.cinematografo.it). «Manfredi è un attore speciale, forse il più grande e il più umano che abbiamo mai avuto nel cinema italiano e rende credibile ogni sua mossa con quella faccia disincantata, con quella sua voce, né tenorile né baritonale, con quella sua naturalezza che fa sembrare vere anche le sceneggiature più improbabili - non è il caso di questa - e con quella simpatia innata, già decisiva in tante altre ricchissime storie, non ultima quella del suo Per grazia ricevuta. A parte […] piccoli nèi […], la regia è impeccabile e il film è avvincente» (Franco Nebbia). «In questo film finalmente potevo partecipare, mi si lasciava dire la mia parola. Il ruolo era stato offerto a Sordi, che aveva rifiutato. Dino De Laurentiis allora si era messo in testa di farlo fare a me, mi forzò a farlo: perché Dino è un uomo a cui è impossibile resistere. Il personaggio non mi era molto congeniale, era un po' ostico per me: collaborai strettamente con il regista, e nel film si sente infatti una certa frattura fra la parte che è solo di Damiani e la parte Damiani-Manfredi. La mia interpretazione riuscì comunque abbastanza buona, perché la studiai a fondo, perché avevo una gran paura di sbagliare il personaggio; mi sosteneva il fatto di sapere che Girolimoni era innocente, e così mi riuscì di portarlo fino in fondo» (Manfredi).
 

giovedì 15

ore 17.00
Brutti sporchi e cattivi (1976) 
Regia: Ettore Scola; soggetto: Ruggero Maccari, E. Scola; sceneggiatura: Rugge Maccari, E. Scola; consulenza ai dialoghi: Sergio Citti; fotografia: Dario Di Palma; scenografia: Luciano Ricceri, Franco Velchi; costumi: Danda Artona; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Raimondo Crociani; interpreti: Nino Manfredi, Linda Moretti, Francesco Anniballi, Maria Bosco, Giselda Castrini, Ettore Garofolo; origine: Italia; produzione: Compagnia Cinematografica Champion; durata: 116' 
Grottesco e crudele ritratto del sottoproletariato romano, abbrutito dalla povertà e dall'indigenza e caratterizzato da un'amoralità irrecuperabile frutto del bisogno, il film è ambientato in una delle ormai famigerate baraccopoli romane. Giacinto, interpretato da Nino Manfredi, vive con la sua numerosa famiglia in una delle baracche. L'uomo, brutale violento, ha ricevuto un milione di lire di risarcimento per aver perso un occhio in un incidente sul lavoro. Non volendolo condividere con nessuno, deve difenderlo e difendersi dai suoi stessi familiari. «In questo notevole film, l'insistenza sui particolari fisici laidi e ripugnanti potrebbe addirittura far parlare di un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del "brutto", dello "sporco" e del "cattivo". Comunque siamo in un clima piuttosto di contemplazione apatica che di intervento drammatico. Nino Manfredi ha creato con straordinaria misura e sottigliezza un personaggio memorabile» (Moravia).
 
ore 19.00
Pane e cioccolata (1974)
Regia: Franco Brusati; soggetto: F. Brusati; sceneggiatura: F. Brusati, Jaia Fiastri, Nino Manfredi; fotografia: Luciano Tovoli; scenografia: Luigi Scaccianoce; musica: Daniele Patucchi; montaggio: Mario Morra; interpreti: N. Manfredi, Johnny Dorelli, Anna Karina, Federico Scrobogna, Paolo Turco, Ugo D'Alessio; origine: Italia; produzione: Verona Produzione; durata: 115'
«Un italiano emigrato in Svizzera perde il permesso di soggiorno. Viene salvato da un industriale che, in crisi economica e sentimentale, si suicida. Lo sfortunato emigrato decide allora di fingersi svizzero. Qualcosa andrà male» (www.cinematografo.it). «Si tratta di un incontro, probabilmente irripetibile, tra un regista raffinato, lirico e crudele, ancora in cerca di una rivelazione completa, e un attore come Manfredi, che ha sommato tante e tante rivelazioni complete da accettare ormai parti ardue, scabrose, impossibili. Un incontro probabilmente irripetibile proprio per desiderio degli stessi contraenti. […] La perfezione, la dose maggiore di perfezione, la correzione continua del concetto di perfezione che Manfredi con così caparbia, fervida, addirittura ossessiva applicazione persegue, non può non essere scomoda a chi gli si trovi a lavorare accanto. […] Non credo proprio di esagerare nell'assicurare che Manfredi in Pane e cioccolata è all'altezza di Chaplin in Tempi moderni. Un Chaplin che si concede meno illusioni, perché italiano e conosce da generazioni e generazioni l'andamento della Storia. Un italiano è un italiano» (Del Buono). «È stato un bellissimo film, al quale ho collaborato anche come sceneggiatore. Mi sono un po' riconosciuto in questo personaggio di italiano emigrato in Svizzera. Vengo infatti da una famiglia di emigrati. Mia madre ha trascorso l'infanzia in America, mio nonno vi ha vissuto 20-25 anni. Conosco quindi gli inconvenienti dell'emigrazione, il fatto di sradicare un uomo dalla sua terra e di portarlo altrove. Non gli resta più niente. Mio nonno era completamente distrutto, parlava solo con Dio e l'accusava di tutti i suoi malanni. Con Brusati ho cercato quindi di allargare il discorso alla condizione dell'uomo di oggi che non ha più patria, né terra. È la condizione di molti di noi, di molti italiani» (Manfredi).
 

venerdì 16

ore 17.00
In nome del Papa Re (1977)
Regia: Luigi Magni; soggetto e sceneggiatura: L. Magni; fotografia: Danilo Desideri; scenografia e costumi: Lucia Mirisola; musica: Armando trovajoli; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Nino Manfredi, Danilo Mattei, Carmen Scarpitta, Giovannella Grifeo, Carlo Bagno, Ettore Manni; origine: Italia; produzione: Juppiter Generale Cinematografica; durata: 105'
«Una contessa, madre di un rivoluzionario accusato con due amici di aver compiuto un attentato in una caserma, si rivolge a un giudice della Sacra Consulta perché la aiuti, ma il Monsignore scopre di essere il padre dell'arrestato. Una parte di verità storica c'è, la fantasia e la bravura di Manfredi hanno fatto il resto e il sodalizio Magni-Manfredi ha funzionato ancora» (Morandini). «Venne da me Magni, con la storia di questo prete in crisi e di terroristi, nella Roma papalina. In un primo tempo rimasi un po' perplesso, poteva risultare pericoloso parlare di nappisti - allora si parlava di più dei Nap, della Vianale -, sentii che prendeva lo spettatore, ma con troppa violenza. Collaborai allora con Magni a due, tre revisioni della sceneggiatura. La parte che mi interessava di più era quella della crisi del giudice, che non voleva più essere la mannaia del potere. Poi c'era la delicata questione dei terroristi, che cercai di far diventare accettabili, mostrando anche le loro ragioni. Ad un certo punto entrai in crisi, dissi a Magni e al produttore Committeri che potevano andare incontro a un insuccesso, perché il film non era popolare. Committeri ci convinse ad andare avanti: dicendo che il film era come un romanzo, che c'erano cose che ormai nel cinema non si vedevano più, i grossi sentimenti, i rapporti umani (un padre, un figlio, un perpetuo, e i loro rapporti, i sentimenti dell'uomo che in fondo sono sempre gli stessi). E aveva ragione, perché il pubblico è accorso a vedere il film, in massa. Io non me l'aspettavo. Anche se ho il dono di sentire esattamente il pubblico, il grado di corrispondenza di una battuta con la sensibilità del pubblico, il tono giusto al di là del quale la battuta non l'accettano più. So di gente che è andata a vedere il film varie volte, perché è un film che commuove, che appaga. Anche la faccenda dei terroristi viene accettata perché l'azione è trasposta nell'800, ci può essere il dubbio che non c'entri con noi, con i problemi di oggi. […] Era difficile accettare che un attore come me, a cui si chiede sempre di far ridere, stesse sull'altare in pompa magna a recitare in latino la formula della Comunione» (Manfredi).
 
ore 19.00
Café express (1980)
Regia: Nanni Loy; soggetto: N. Loy, Elvio Porta; sceneggiatura: N. Loy, E. Porta, Nino Manfredi; fotografia: Claudio Cirillo; scenografia: Umberto Turco; costumi: Mario Giorsi; musica: Giovanna Marini; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: N. Manfredi, Adolfo Celi, Vittorio Mezzogiorno, Marzio C. Honorato, Gigi Reder, Marisa Laurito; produzione: Vides; durata: 98'
«Michele Abbagnano, quarantacinquenne menomato nella mano sinistra e disoccupato non per cattiva volontà, per mantenere se stesso e l'asmatico figlioletto Cazzillo è solito vendere clandestinamente caffè, latte e cappuccino sul treno che nelle ultime ore della notte viaggia da Vallo della Lucania a Napoli. Notissimo ai viaggiatori abituali - operai, piccoli impiegati o imbroglioncelli come lui -Michele incrementa le sue del resto modeste entrate con altri piccoli servizi, come svegliare i dormiglioni in prossimità delle piccole stazioni, coprire le effusioni degli amanti clandestini; e così via. La figura dell'Abbagnano ha finito per fare parte del treno n. 818. Una notte, però, il destino si accanisce contro di lui» (www.cinematografo.it). «Curiosamente questo film […] oscilla fra uno stile televisivo, tutto immediatezze realistiche, linguaggio asciutto, macchina a mano, ed una prestazione da teatro dei mattatori, con un Manfredi superlativo, che parla, gestisce, si muove, balza da un angolo all'altro delle inquadrature, come fosse sul palcoscenico. Sicché la "storia", decisamente deamicisiana e all'insegna dei buoni sentimenti, acquista, grazie all'attore (che ha anche collaborato alla sceneggiatura) una serie di sfumature, di coloriture, di tratteggi che variano piacevolmente con efficacia dal comico al patetico, ben governati da una regia professionalemtne assai corretta, da una sceneggiatura garbata e da una prestazione di Manfredi sotto ogni aspetto eccellente» (Miccichè). «Credo che sia[…] la mia migliore interpretazione, di sicuro la più difficile. Il rischio era di farne un personaggio superficiale. Noi invece abbiamo tentato di dargli la sua giusta dimensione, fra il dramma e l'ironia. […] Si riderà molto, ma ogni volta che si andrà sotto, in profondità, si scoprirà il drammatico. Poi si recupererà con l'ironia, senza però che questo personaggio diventi mai un buffone» (Manfredi).
 
sabato 17
ore 17.00
Spaghetti House (1982)
Regia: Giulio Paradisi; soggetto: Age & Scarpelli; sceneggiatura: Age & Scarpelli, F. Scarpelli, con la collaborazione di Nino Manfredi e G. Paradisi; fotografia: Giuliano Giustini; scenografia: Franco Vanorio; costumi: Erminia Manfredi; musica: Gianfranco Plenzio; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: N. Manfredi, Leo Gullotta, Gino Pernice, Sandro Ghiani, Renato Scarpa, Nestor Garay; origine: Italia; produzione: Vides Produzione; durata: 109'
«Il film fonde in un amalgama da mercato internazionale la scioltezza e gli umori buoni (e anche quelli maleodoranti) della nostra commedia con la progressione drammatica di un thriller che si fa "politico" controvoglia, ma senza per questo dover subire i condizionamenti e le logiche mentali del buon senso assassino. Insomma con questo film si ride molto e si piange molto, sempre toccando livelli di sensibilità alta. Cosa rara, non solo al cinema, ma dappertutto, da noi. Per fortuna il pubblico sa lasciarsi accalappiare dallo squisito mestiere di Manfredi» (Roberto Silvestri). «È offensivo che Spaghetti House venga liquidato come un "filmetto". Avrei potuto fare un film più facile e far venire giù la platea dalle risate. Ho voluto invece fare un film commovente su un tema che mi è caro, quello dell'emigrazione. Io sono figlio di emigranti. La critica però non ha voluto premiare lo sforzo che noi tutti abbiamo fatto» (Manfredi).
 
ore 19.00
Secondo Ponzio Pilato (1987)
Regia: Luigi Magni; soggetto e sceneggiatura: L. Magni; fotografia: Giorgio Di Battista; scenografia: Lucia Mirisola; musica: Angelo Branduardi; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Nino Manfredi, Stefania Sandrelli, Lando Buzzanca, Flavio Bucci, Mario Scaccia, Roberto Herlitzka; origine: Italia; produzione: Massfilm, Reteitalia; durata: 105'
«Crocifisso Gesù, Ponzio Pilato decide che la condanna di quell'innocente deve ricadere su chi l'ha decretata. Chiede a Tiberio imperatore di essere decapitato. Guidato dal vecchio complice, N. Manfredi fa un Pilato ciociaro, scettico e pigro, in un film serio, interessante e persino coraggioso. La parte storica è ineccepibile, il resto meno» (Morandini). «Prima che tutto non si dissolva nella retorica e nello sproloquio verboso (la parte finale), Magni segue questo personaggio [Ponzio Pilato] con molte attenzioni, studia la sua crisi, bada, con sottigliezza, a dire e a non dire, perché siano soprattutto i dubbi a dominare, e arriva a risultati in qualche momento suggestivi, e persino commoventi. […] Altrove invece […] si fanno avanti delle figure un po' oleografiche […], l'episodica, anziché sul riserbo dei vangeli, punta su fantasie troppo colorate […] e alcune pagine indulgono nella ricerca di effetti facili e scoperti. […] Chi invece non risente mai di questa contraddizione, è dal principio alla fine Nino Manfredi, cui si deve qui una delle migliori interpretazioni della sua pur così luminosa carriera: ruvido, asciutto, quasi scabro, ma anche pronto a scoprirsi, a mostrarsi turbato, fiaccato, in una lotta continua tra sentimenti e ragione, volutamente cieco di fronte all'evidenza ma anche pronto, suo malgrado, a "vedere" e a dire di sì mentre dice di no. Ora un laico moderno che non può non dirsi cristiano, ora sempre a due passi da un San Paolo sulla via di Damasco. Senza mai forzare una nota, anche quando attorno il racconto e la regia tendono invece a forzarle. Lo aspetto a tutti i premi dell'anno» (Rondi).
 

 

 

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