
Bellissimo incontro, condotto da Steve Della Casa per il ciclo ‘L’atto creativo’, con il grande percussionista, cantante e compositore Tony Esposito a S. Servolo nell’ambito della 82. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Autodidatta negli anni 70 anni, periodo storico di creatività e sperimentazione, Tony Esposito si mescola subito in quel fermento culturale, all’inizio specificatamente napoletano. Grazie al suo ‘imprinting istintivo apre gli spettacoli di Dario Fo nel collettivo teatrale ‘La comune’ avendo sempre avuto un’idea della musica come di una sfida molto teatrale. Alle sue sperimentazioni Dario Fo associava benissimo il suo linguaggio inventato.
L’improvvisazione, la confusione dei suoni, l’interazione in un periodo storico in cui c’era una grande pulizia compositiva diventa ben presto un punto di riferimento dei nuovi cantautori, che accettavano di buon grado le sue invenzioni. Tra tutti ricordiamo il lungo sodalizio con Pino Daniele.
“Ho studiato tutti gli strumenti di carattere etnico, scoprendo la poliritmia africana e cercando di capire le maglie, la matematica dello strumento che stavo studiando, le percussioni. Come molti ragazzi all’inizio rifiutavo la materia perché non mi era stata posta in maniera adeguata e poi mi sono avvicinato per volontà personale. Tutti dovremmo essere spinti con curiosità naturale verso l’oggetto del desiderio”.
“Una delle esperienze più belle è stato il Festival del Parco Lambro nel ’76, il raduno rock, la ‘Woodstock italiana’, dove gruppi si susseguivano, gruppi alternativi e politicizzati. Parco Lambro mi manca, quell’entusiasmo, la voglia di stare insieme agli altri dalla mattina alla sera, mi manca credere che con la musica si possa anche combattere qualcosa, che si può anche migliorare, noi ci credevamo tantissimo. Poter opporsi ha un suo significato ha una sua forza, ha una sua verità”
Il rapporto col cinema è nato per caso, dallo stimolo che per me le immagini hanno sempre avuto. Prima colonna sonora, “L’ombra nera del Vesuvio” film per la televisione di Steno che mi ha chiamato e poi la Wertmuller. Io ho sempre voluto guardare solo le immagini mute. E’ dal vuoto, dal nulla che creo le musiche, guardando immagini mute che formano un balletto, una danza della vita senza sonoro e quando le guardo mi vengono idee migliori, scaturisce la mia idea creativa e parte la colonna sonora.
Il Maestro più grande per le colonne sonore è stato Ennio Morricone. Di Ennio mi è sempre piaciuto questo suo essere, a dispetto dell’aspetto formale, un prof di conservatorio sempre in giacca e cravatta ma poi questa follia tanto da diventare un idolo per i grandi gruppi rock da cui è citato tantissimo.
Grazie al suo brano più famoso ‘Kalimba de luna’ del 1984 divenuto successo internazionale ha potuto suonare ovunque, anche in Nigeria, e salire sul palco con grandi str quali gli Spandau Ballet, i Jackson Five, i Duran Duran.
“Mi considero figlio di una città porosa per antonomasia Napoli, che ha sempre preso e rigettato, come una spugna e in maniera propria tutto quello che è passato”.
“Oggi bisognerebbe credere di più, essere stimolati da qualsiasi cosa, prendere da tutto. La scena è un luogo magico, sacro, è luogo del rito; non a caso per qualsiasi scena si scelgono le luci colorate per allontanare la realtà. Attraverso le luci colorate si ricostruisce il luogo ideale per i propri sogni. Abbiamo bisogno di teatralizzare, di sublimare quella parte di noi sia come spettatori che come artisti, quella parte che è l’essenza più vera, la teatralizzazione della nostra esistenza.
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