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“Il regista Ferzan Ozpetek incontra gli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma”
Centro Sperimentale di Cinematografia
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Il 1 febbraio 2011 si è svolto, nell'ambito del ciclo "Incontri al CSC", un appuntamento per gli studenti con professionisti e personalità dello spettacolo, l' incontro tra il regista Ferzan Ozpetek e gli allievi della Scuola Nazionale di Cinema, moderato dal Prof. Flavio De Bernardinis e dal Preside Andrea Crisanti, che ha collaborato come scenografo in molti dei suoi film.
 
A seguito della visione de "Il bagno turco" (1996), film che il critico Goffredo Fofi ha definito "una luce sul bosforo", selezionato alla Quinzaine del Festival di Cannes, che ha segnato il debutto del regista avviandone la carriera artistica, Ozpetek ha raccontato di sé e dei suoi film, dei quindici anni di assistentato a registi italiani, tra i quali Mario Bava, Massimo Troisi, Ugo Tognazzi, Francesco Nuti, Bernardo Bertolucci . Non c'è da stupirsi quindi che sia stato chiamato due anni fa dal MOMA come rappresentante di quel cinema italiano che 'trasversalmente' e con coraggio affronta tematiche importanti, sociali e sessuali rappresentando cinematograficamente il doppio, la dualità. E il regista stesso si autorappresenta come dualità quando afferma: "io sono due di tutto, nella mia vita, spesso anche più di due, per fortuna!"

Dopo uno scambio di battute sull'assenza, in Italia, di uno sviluppo culturale al pari di altri paesi, Ozpetek racconta aneddoti e emoziona i presenti citando i suoi film, dalle "Fate ignoranti" (2001), che ha sollevato molti pregiudizi ma anche segnato un prototipo, una vera novità, diventato poi quasi un genere, all'ultimo "Le mine vaganti" (2010) in cui ha parlato molto degli attori e del lavoro sul set. Si è rivolto più volte agli allievi sottolineando l'importanza della libertà per un regista che deve perseguire sempre la propria idea di come deve essere il film, cosa si vuole mostrare, l'emozione e l'impatto che deve suscitare. A questo proposito fondamentale è il ruolo e il rapporto strettissimo che il regista ha con gli attori, con i quali legge sempre la sceneggiatura prima di iniziare le riprese e che chiama amorevolmente 'creature diverse', irreali, dotati di un grande sesto senso, capaci di riportare in vita la parola scritta, che sul copione muore.

Alle domande degli allievi di una scuola di cinema risponde che artisti in fondo si nasce, l'istinto è fondamentale e, rivolgendosi in particolare ai registi, li esorta citando la frase che Bernardo Bertolucci (con cui ha da sempre un rapporto di confidenza e di confronto) ama ripetere parafrasando un grande del passato, Jean Renoir: "Un regista deve sempre lasciare la porta aperta: è quella che fa il film".
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