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Il CSC saluta Gina Lollobrigida, regina del cinema italiano
Centro Sperimentale di Cinematografia
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16 Gennaio 2023

Con la morte di Gina Lollobrigida, avvenuta oggi a Roma, se ne va un altro pezzo della nostra storia cinematografica. Nell’orazione funebre per la morte di Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia disse che di poeti in un secolo ne nascono tre o quattro. In cento e più anni di cinema italiano anche il numero di autentiche Dive si conta sulle dita di una mano e la Lollo nazionale era una di queste, senza ombra di dubbio. Accanto a Sophia Loren e a Silvana Pampanini, in un ideale di bellezza declinato in tre forme diverse, tutte iconiche.

Un volto immediatamente riconoscibile, baciato da una freschezza naturale, da una spontaneità contagiosa, da uno sguardo diretto, mai sfuggente. La ragazza della porta accanto, come si rivela al grandissimo pubblico nei panni della Bersagliera in Pane amore e fantasia (1952) e Pane, amore e gelosia (1953) di Luigi Comencini, nel passaggio dal neorealismo dell’immediato dopoguerra alla sua variante rosa dei primi anni Cinquanta. Nel giro di pochissimi anni quel volto, accompagnato da doti fisiche non comuni tali da meritarle l’ideazione di un neologismo, la “maggiorata”, si trasferisce di forza dal palcoscenico di Miss Italia (terza nel 1947, alle spalle di Lucia Bosé e Gianna Maria Canale) e dalle pagine dei fotoromanzi al cinema d’autore.

Già protagonista nel 1948 di Follie per l’opera e Pagliacci di Mario Costa, imprime un tocco di femminilità al neorealismo di Luigi Zampa (Campane a martello, 1949, e Cuori senza frontiere, 1950, successivamente La romana, 1954) e di Carlo Lizzani (Achtung! Banditi!, 1951), per poi conoscere il primo successo internazionale in Fanfan la Tulipe di Christian-Jaque (1952), accanto a Gérard Philippe.

Si aprono per lei le porte del grande cinema francese e americano: Il tesoro dell’Africa di John Huston (1953), Il grande giuoco di Robert Siodmak (1954), La donna più bella del mondo di Robert Z. Leonard (1956), Trapezio di Carol Reed (1956), Notre-Dame de Paris di Jean Delannoy (1956), La legge di Jules Dassin (1958), Salomone e la regina di Saba di King Vidor (1959), Sacro e profano di John Sturges (1959), Torna a settembre di Robert Mulligan (1961), Venere imperiale di Jean Delannoy (1962), La donna di paglia di Basil Dearden (1964), che la vedono al fianco di star come Humphrey Bogart, Burt Lancaster, Anthony Quinn, Yves Montand, Yul Brinner, Frank Sinatra, Rock Hudson, Sean Connery. Ancor più di questi film, il suo status nel firmamento hollywoodiano le è conferito da un documentario diretto da Orson Welles, Portrait of Gina (1958), che, dimenticato per anni, subisce la medesima sorte di molte opere del geniale regista, ma già semplicemente per il titolo vale come un’incoronazione. Gina come regina del cinema mondiale.

Negli anni Sessanta si permette il lusso di sperimentare nuovi ruoli, come ne La morte ha fatto l’uovo (1967), un giallo sui generis di Giulio Questi, e Stuntman di Marcello Baldi (1968), preludio a una progressiva sparizione dal grande schermo, salvo spopolare nel ruolo della fata Turchina ne Le avventure di Pinocchio (1972), diretto per la televisione da Luigi Comencini, a ricomporre il sodalizio artistico degli anni Cinquanta. Un ruolo che le permette di entrare nel cuore delle nuove generazioni e di consegnare al mito il suo volto ancora affascinante.

Nel frattempo, Gina si dedica alla fotografia e alla scultura, con risultati sorprendenti per chi l’aveva considerata solamente per la sua bellezza. Con intraprendenza e determinazione sceglie i soggetti da ritrarre tra i grandi nomi dell’arte, della cultura, dello spettacolo e della politica, in uno scambio di divismo davanti e dietro la macchina fotografica.

Alcune incursioni televisive, in serial di successo mondiale come Falcon Crest (1984) e Love Boat (1986), ne confermeranno la popolarità, mantenuta viva da una costante presenza sulle pagine di quotidiani e rotocalchi, anche per vicende extra-cinematografiche, spesso generate proprio da quella popolarità, talvolta ingombrante. Ne fa riferimento in una lettera del 2013 al suo grande amico Gian Luigi Rondi, pubblicata nel volume Tutto il cinema italiano in 100 (e più) lettere. Vol. 1 cinema italiano, coedito dal Centro Sperimentale di Cinematografia (con Edizioni Sabinae) nel 2015. Ricorda alcuni momenti felici e infelici della sua vita, con un rimpianto finale: “Bei tempi la dolce vita! Ricordi che ci hanno aiutato a crescere, ad essere quello che siamo oggi in un mondo purtroppo molto diverso e cattivo”. Ad accompagnare la lettera una foto che la ritrae nel fulgore della sua bellezza con una dedica: “A Gian Luigi Per esserti vicina Gina”. Bei tempi quando il divismo passava anche attraverso una fotografia condivisa con un amico… a futura memoria! (Luca Pallanch)

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