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“IL CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA FESTEGGIA 80 ANNI”
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"Da ottant'anni abbiamo un solo grande obiettivo: scoprire e formare giovani talenti che contribuiscano al successo del cinema italiano" 

Sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, nella storica sede di via Tuscolana 1524, si è svolta giovedì 22 ottobre, la cerimonia celebrativa per gli 80 anni di fondazione del Centro Sperimentale di Cinematografia. Tanti gli ospiti illustri alla presenza del Presidente del Senato Pietro Grasso. A fare gli onori di casa, il Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia Stefano Rulli, il Direttore Generale Marcello Foti e la Preside della Scuola Nazionale di cinema Caterina D'Amico.

Erano presenti alla cerimonia allievi ed ex allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia, docenti, dipendenti, personalità della cultura e del cinema italiano e  rappresentanti delle Istituzioni.

Leggi > il discorso di Stefano Rulli, Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Guarda, a sinistra, in questa pagina web, la galleria fotografica dell'evento. 
 

PROGRAMMA DELLA CERIMONIA
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Inaugurazione della Mostra fotografica "Ricordi di scuola - gli ex allievi del CSC "

Saluti del Direttore Generale Marcello Foti

Intervento del Presidente Stefano Rulli

Proiezione del documentario "Al centro del cinema "

Testimonianze ex allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia

Saluto del Presidente del Senato Pietro Grasso

Aperitivo

Evento realizzato in collaborazione con MiBACT - Direzione Generale Cinema e con il contributo di : SIAE, InPiù Broker e Gestione Servizi Integrati.

Teatro "Blasetti" - Centro Sperimentale di Cinematografia
Via Tuscolana, 1524 - Roma

 

 

 

 

 

 

 

DOPO I PRIMI OTTANTA ANNI

di Stefano Rulli

 

Ai tempi in cui tutto iniziò, ottant'anni fa, il cinema era ancora una sorta di rito magico, che aveva bisogno di un luogo sacro per trasformare le idee di un autore, il corpo di un attore, la luce di un direttore di fotografia, il suono di una voce in una visione unica, dotata di vita propria. E quella visione era sintesi collettiva di tanti saperi e di un'unica fede: la bellezza del narrare per immagini, ad altri, mondi sconosciuti. Ma perché ogni volta potesse prender forma il miracolo di concentrare un frammento di vita in una striscia di celluloide, occorreva un grande santuario, lo studio cinematografico. E al centro di quello spazio un protagonista decisivo, la macchina da presa 35 millimetri, con i suoi paramenti sacri: lo chassis per conservare la pellicola, i rocchetti vitali per farla scorrere, il pesante blimp per attutire il rumore del motore. Tutto attorno, quasi sottilissime colonne sormontate da capitelli luminosi, una lunga fila di riflettori, come tanti piccoli soli che avvolgevano cose e uomini in una luce magica.

Per apprendere come officiare quel rito sacro ignoto ai comuni mortali, per conoscerne tutti i segreti, per entrare nella schiera degli eletti in grado di trasformare i propri sogni e le proprie paure in immagini, occorreva una Scuola. La Scuola Nazionale di Cinema. Un luogo privilegiato, quello sulla via Tuscolana, dove solo pochi potevano essere ammessi. Accanto agli studi sorse presto anche la prima Cineteca, dove centinaia di film potessero essere conservati solo per loro, perché in quelle pellicole erano conservate le storie più belle realizzate da artisti chiamati registi e i più importanti segreti di una scienza occulta chiamata cinematografo.

Oggi, a ottant'anni di distanza, cos'è rimasto di tutta la sacralità insita in quella idea di fare cinema?

Oggi che possiamo raccontare storie per immagini utilizzando una piccola macchina fotografica o un tablet, che il suono della vita può essere catturato con uno smartphone, che il montaggio di una narrazione audiovisiva può essere realizzato con il supporto di un semplice computer, ha ancora senso parlare del cinema come religione del nostro tempo e dedicare ad essa scuole speciali?

Ecco, io credo che il sentimento laico e democratico del fare cinema oggi, ormai alla portata di tutti fin dalla più tenera età, renda forse ancor più necessario un luogo dove a quelle immagini troppo spesso realizzate come bisogno irriflesso, come gesto fisiologico, talvolta come semplice tic, e usate nella loro nuda oggettività per comunicare con gli altri, se ne sostituiscano altre dotate di un senso 'altro' e di una densità stilistica prima ignota, che scaturiscono da una nuova capacità di comunicare con se stessi, frutto di un 'nuovo sguardo', soggettivo e consapevole.

In altre parole il Centro Sperimentale che fu ottanta anni fa una sorta di eremo intellettuale e artistico dove sperimentare non solo la conoscenza di nuove tecniche legate a una nuova arte ma anche e soprattutto di nuovi valori, quelli della democrazia e di una libertà di pensiero negata dal regime fascista fuori di lì, deve oggi riscoprire qualcosa dello spirito di quelle origini, in particolare l'idea di una formazione dove il momento didattico dell'acquisizione di nuove tecnologie e nuovi linguaggi si coniughi con quello pedagogico di aiutare ogni allievo a trovare un sguardo sulla realtà che sia suo e solo suo.

E questo, oggi come ieri, vale anche per le categorie didattiche considerate più 'tecniche'. Maestri come Piero Tosi e Peppino Rotunno, che hanno insegnato qui per molti anni, hanno dimostrato, come artisti e come docenti, che anche un direttore di fotografia può e deve avere un suo modo personale di 'scrivere' la luce e un costumista di rivisitare i costumi del passato non solo per essere fedele alla storia ma per comunicare emozioni.

D'altra parte la rivoluzione in atto a livello tecnologico impone alla nostra didattica di mettersi al più presto al passo delle nuove acquisizioni non solo per trasmetterle meccanicamente agli allievi, che saranno di lì a poco i nuovi autori del cinema italiano, ma per riflettere e sperimentare assieme a loro le potenzialità narrative ed espressive insite in esse. Si tratta di qualcosa che capovolge lo storico rapporto tra cinema come ideazione e cinema come capacità tecnica di rappresentazione.

In passato quasi sempre il pensiero dell'artista ha anticipato l'avvento di nuove tecniche di ripresa o di montaggio. Basti pensare a Cesare Zavattini che negli anni 50 avanzava la teoria cinematografica del 'pedinamento' come iperbolico punto di approdo dell'esperienza neorealista. Pedinare un uomo nella sua vita per tutto l'arco delle ventiquattrore appariva a quel tempo il sogno ad occhi aperti di un artista, una teoria cinematografica irrealistica se rapportata alle macchine da presa dell'epoca con i loro pesanti chassis in grado di consentire solo pochi minuti di ripresa in continuità, inchiodate al terreno o mobili solo per poche decine di metri di carrello, per non dire di una presa diretta di là da venire che rendeva il doppiaggio obbligatorio. Eppure quell'utopia di Zavattini, punto di arrivo di una 'poetica della realtà' portata ai suoi estremi limiti espressivi, ha funzionato da stimolo a una ricerca tecnologica che nell'arco di dieci vent'anni anni ha portato all'acquisizione prima del 'sedici millimetri' e della presa diretta e dopo del videotape. E quel sogno è diventato realtà in Italia solo negli anni settanta con un film-maker, Alberto Grifi, e un videofilm, Anna, restaurato proprio l'altro anno dalla nostra Cineteca Nazionale.

Oggi invece ci troviamo di fronte a un fenomeno opposto, per cui le nuove tecnologie sono più avanzate delle scelte narrative del nostro cinema.

Compito del Centro Sperimentale può e deve essere anche quello di invitare artisti e intellettuali a riflettere assieme su questa discrasia tra tecnologie e linguaggi per cercare attraverso il fare concreto nuove esperienze a livello espressivo e comunicativo. In quest'ottica, aprire oggi la didattica anche alla crossmedialità o alla narrazione multipla dei videogiochi risponde a questa esigenza di abituare gli artisti di domani a coniugare tra loro con maggior libertà anche linguaggi diversi.

Io credo che i processi reali siano più importanti delle definizioni con cui cerchiamo a volte di inquadrarli. Eppure sono convinto che quanto sta accadendo in questi anni ci porterà presto a ripensare il nome stesso di questo Centro Sperimentale aggiungendo o sostituendo alla parola 'cinematografia' quella di 'audiovisivo'. Perché nel giro di poco tempo è avvenuta sotto i nostri occhi una rivoluzione straordinaria nel campo della narrazione per immagini. A livello di estetica, è giusto parlare del crollo di quella sorta di Muro di Berlino che da sempre divideva l'arte insita nel film di finzione dall'intrattenimento della serialità televisiva e dalla potenza informativa del documentario. Serie come Breaking bad o House of card, o documentari di narrazione come Sacro GRA , vincitore del Festival di Venezia 2014, hanno ridotto quel muro in macerie, ponendo a una scuola come la nostra l'obbligo di ripensare un modello didattico per permettere ai nostri allievi di avere conoscenza diretta di tutti questi diversi linguaggi.

In un paese come il nostro abituato a seguire da sempre schemi rigidi -anche in assenza di ideologie- questa rivoluzione ha significato per molti sostituire alla monocrazia del cinema quella della serialità televisiva. Se prima perciò gli allievi in sede di esame di ammissione parlavano solo di cinema e cercavano in quello i loro punti di riferimento artistici e professionali, ora sanno tutto di serialità, soprattuto se americana, e quasi nulla del cinema per cui mostrano un interesse minore.

Ecco io credo che oggi una Scuola come la nostra debba porsi un problema educativo dirimente: quello di porre fine a questo modo schematico di pensare la narrazione per immagini. Cinema di fiction, documentario, serie televisiva o web hanno tutte le stesse potenzialità sul piano estetico e narrativo. Sta a noi autori scegliere di volta in volta quale di questi modelli pare più adatto per raccontare al meglio una storia che ci interessa. E d'altra parte va detto con chiarezza che se tutti hanno pari dignità, ognuno mantiene una propria specificità che va conosciuta per essere utilizzata al meglio. Avere dieci-dodici ore o solo centoventi minuti per raccontare una storia impone la scelta di modelli narrativi profondamente diversi.

Così come l'avvento del cinema ha costretto il romanzo dell'ottocento a ridefinire i propri confini narrativi, sospingendo l'opera letteraria verso i territori poco esplorati di una interiorità inafferrabile dall'occhio della cinepresa, così oggi è il cinema a dover ripensare gli ambiti della sua narrazione sotto la spinta prepotente della serialità, sperimentando sintesi espressive nuove.

Se dunque la narrazione per immagini ci pone il problema di una crisi dell'ordine costituito precedente, va detto che si tratta di una crisi di crescita e non una minaccia di morte. A noi il compito di invitare gli allievi a studiare e sperimentare con la stessa curiosità e passione le potenzialità di questi diversi modelli narrativi.

A questo proposito, due esempi concreti di come abbiamo modificato il piano didattico per rispondere a queste nuove esigenze. Nel campo della sceneggiatura gli allievi hanno seguito per la prima volta un programma articolato sui tre anni sia per il cinema che per la serialità televisiva.

Per la regia invece abbiamo coinvolto alcuni giovani dell'ultimo anno nella realizzazione di una web series per Raifiction di dodici puntate, usando come troupe gli allievi degli altri corsi.

Di fronte ad altre problematiche abbiamo ritenuto giusto lasciare ampio margine di autonomia ai singoli corsi. Un problema per tutti. La scarsa conoscenza della storia del cinema da parte di molti allievi. Un fenomeno che è apparso chiaro già in fase di esami di ammissione. Per evitare facili moralismi abbiamo cercato di capire il perché di qualcosa che andava al di là della scarsa conoscenza per strutturarsi come vero e proprio disinteresse. Rispetto al passato dove nell'allievo l'idea di accedere al Centro nasceva in primis dal piacere della sua esperienza di spettatore, oggi pare di poter dire che a motivare il desiderio di essere ammesso è il desiderio di ampliare una capacità già preesistente di fare cinema, in altre parole come affermazione più dichiaratamente narcisistica del proprio io.

Interessante a questo proposito una esperienza didattica degli allievi di scenografia promossa dal docente di riferimento, Francesco Frigeri.

Dopo aver approfondito per i primi due anni l'esperienza del fare - dai bozzetti iniziali alle scenografie dei corti realizzati dai vari corsi - nel terzo hanno sentito il bisogno di approfondire la conoscenza di alcune tecniche adottate che si ispiravano a film importanti del cinema italiano del passato. Questo lavoro è stato decisivo non solo per conoscere più approfonditamente l'opera di alcuni dei più importanti scenografi dal dopoguerra ad oggi ma anche per organizzare all'interno della Scuola una 'Giornata della Scenografia' dove le loro relazioni monografiche e le testimonianze raccolte venivano messe a disposizioni degli allievi del primo e secondo anno. Una giornata che ricordo ancora oggi con particolare piacere perché in quell'occasione vedendoli esporre le proprie ' scoperte' storiografiche, mi rendevo conto che stavano facendo qualcosa che difficilmente avrebbero potuto i loro docenti: trasmettere ai loro colleghi più giovani l'emozione di una scoperta culturale davvero importante per loro. E la passione con cui mettevano in evidenza il valore di quello scenografo nella storia del nostro cinema era qualcosa di più della semplice trasmissione di informazioni storiche, era un valore in sè.

Insomma l'interesse per la storia nasceva in loro dopo aver scavato nel senso del proprio operare, liberato dalle scorie di un narcisismo un po' fatuo e fine a se stesso. E in questa inversione di ruoli tra desiderio di 'conoscere il passato' e fare cinema, è proprio dal fare che scaturisce il bisogno di rileggere la storia.

Un altro problema didattico che mi sono trovato difronte al momento del mio insediamento è stato quello di corsi troppo rigidamente separati tra loro. Per ovviare a questo, all'inizio del primo anno, abbiamo sperimentato per gli allievi di regia, sceneggiatura, produzione e montaggio un corso-base di tre mesi dove li si faceva lavorare tutti assieme a una inchiesta preparatoria, poi alla realizzazione di brevi documentari e infine a dei 'corti' con attori. Dunque il primo insegnamento per tutti era: devi mettere la tua creatività a disposizione di un lavoro di gruppo, perché il cinema è anche o forse prima di tutto questo. E questo messaggio è arrivato chiaro e forte. E ha modificato la relazione tra gli allievi dei diversi corsi anche negli anni successivi così come tra i docenti, spingendo un po' tutti a una collaborazione più diffusa anche nelle attività più specificatamente didattiche. Così sono aumentati soprattutto il primo anno dei segmenti di didattica che hanno visto fianco a fianco nella stessa classe giovani di corsi diversi, proprio perché soprattutto all'inizio l'allievo deve acquisire delle conoscenze basiche anche di altri settori. Un regista che aspira a diventare autore non può non misurarsi assieme agli sceneggiatori con i problemi legati alla struttura narrativa, al personaggio e ai dialoghi. Così come uno scenografo e un costumista non possono non avere una parte di percorso formativo comune. E la stessa cosa vale per il montatore e chi si occupa della postproduzione di un film. Nel secondo anno ogni corso deve strutturare invece una propria identità professionale più marcata a partire da competenze specifiche, mentre il terzo anno diventa quello in cui le conoscenze acquisite devono confrontarsi con interlocutori esterni che potranno dopo il diploma diventare possibili committenti.

Di qui, oltre la realizzazione di saggi di diploma che rappresentano un po' per tutti il biglietto di presentazione all'esterno, esistono progetti più specifici come gli stages sui set per scenografi, costumisti o montatori, soggetti scritti da sceneggiatori e registi che hanno come interlocutori Raicinema e altri produttori, concept televisivi e web series per chi opera nel mercato dell'audiovisivo e nella rete. E per i migliori sono previste alla fine del corso triennale delle borse lavoro annuali per poter collaborare alle iniziative audiovisive e didattiche che il CSC è chiamato a realizzare.

A questa attività volta alla formazione degli allievi, si aggiunge un'attività strutturata in laboratori rivolta anche a soggetti esterni di specializzazione su temi specifici, di particolare rilievo, soprattutto legati ai nuovi ruoli previsti nella filiera realizzativo-produttiva dell'industria dell'audiovisivo, dagli show runner delle serie televisive ai colorist per la fotografia.

Il CSC intende ampliare la rosa di questi laboratori in collaborazione anche con le associazioni di categoria in una strategia di formazione permanente che possa riguardare anche professionisti che desiderano accrescere le proprie competenze per stare al passo degli standard europei.

Ma a partire da quest'anno, un nuovo spazio di intervento si apre dopo la riforma che prevede per la prima volta l'insegnamento dell'audiovisivo nella scuola. E dal momento che a livello istituzionale, il CSC è chiamato a dare il proprio contributo anche in questo campo, diamo fin da subito la nostra disponibilità a collaborare alla definizione dei programmi per le scuole di vario ordine e grado così come alla formazione di quei formatori che dovranno insegnare queste nuove materie.

La formazione dunque è il segmento dell'industria dell'audiovisivo su cui il CSC è chiamato a intervenire nei prossimi anni.

Formazione di un nuovo modello di autore, in grado di padroneggiare non solo il linguaggio del cinema ma anche quello della narrazione seriale televisiva, delle web series, della crossmedialità.

Di un nuovo modello di professionista, che necessita di una formazione permanente per stare al passo con le nuove tecnologie.

Ma anche di un nuovo pubblico, perchè non può esistere un cinema italiano in grado di rinnovarsi se non c'è uno spettatore pronto a recepirlo, uno spettatore consapevole delle proprie radici culturali.

E' questo il ruolo decisivo che è chiamata a ricoprire la Cineteca Nazionale, conservando, restaurando e diffondendo ovunque sia possibile - nelle scuole, nei cineclub o nei centri culturali - la conoscenza delle diverse forme del nostro immaginario cinematografico. Per farlo dovrà essere aiutata con risorse straordinarie a portare a termine in un breve arco di tempo il programma di transizione dalla pellicola al digitale, un programma gigantesco che riguarda un patrimonio di circa centomila unità.

Per un ulteriore salto di qualità è importante inquadrare questa nostra attività formativa in un orizzonte internazionale più ampio. Ci arrivano infatti da più parti proposte concrete di portare la nostra esperienza didattica nonchè le opere conservate nella nostra Cineteca Nazionale in altri paesi, dall'Iran alla Corea del Sud, dall'Indonesia alla Cina. Queste collaborazioni e questi scambi diventano un ulteriore elemento di formazione per i nostri giovani e un'ottima occasione per esportare la nostra cultura in aree lontane eppure emergenti.

E per finire un progetto che non vorrei rimanesse nel libro dei sogni: restaurare l'ultimo degli studi cinematografici distrutto anni fa da un incendio per creare una struttura polifunzionale che sia in grado di ospitare nostri allievi fuorisede o studenti di altri paesi che intendono venire a specializzarsi qui da noi, una grande sala per convegni e proiezioni nonché un ampia area per la conservazione di quei nuovi fondi che produttori e autori intendono affidare al CSC. Un progetto architettonico e insieme culturale che permetterebbe di recuperare l'ultimo degli immobili storici destinato altrimenti una inevitabile demolizione e insieme di favorire nuovi e più significativi scambi culturali tra giovani di altri paesi e i nostri allievi. All'ambizioso progetto da noi presentato il MIBACT si è mostrato interessato nonchè disponibile a dare un proprio contributo.

Dunque abbiamo ottant'anni e, come si dice in questi casi, una gloriosa storia alle spalle. La mostra fotografica organizzata dai rappresentanti dell'Associazione Ex Allievi dà fin dal primo colpo d'occhio la sensazione commovente che quelle migliaia di foto e di volti sono parti di un' esperienza grande, che ha lasciato una traccia nel cinema italiano. Ma non abbiamo intenzione di fermarci qui. Un lungo viaggio ci attende. Verso una modernità, piena di incognite ma anche di grandi potenzialità. Questo sarà possibile solo se sapremo procedere tutti insieme, lavoratori e dirigenti, docenti e allievi. A tutti voi e a chi vi ha preceduto va comunque il mio ringraziamento per quello che avete fatto in tutti questi anni per rendere sempre più efficiente ed essenziale la presenza del Centro Sperimentale nel panorama del cinema italiano.

Roma, 22 ottobre 2015

 

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