Home > “Il 17 e il 18 aprile prosegue al cinema Trevi la retrospettiva “Orizzonti 1960-1978”. Variazioni di programma per il 17″
“Il 17 e il 18 aprile prosegue al cinema Trevi la retrospettiva “Orizzonti 1960-1978”. Variazioni di programma per il 17″
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La retrospettiva del Festival di Venezia, curata da Enrico Magrelli, Domenico Monetti, Luca Pallanch e organizzata dal Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale, viene riproposta con appuntamenti monografici dedicati ai registi e agli artisti protagonisti dell'evento. Questo mese è la volta di Romano Scavolini, Mario Carbone, Paolo Breccia, Nato Frascà e una "coda" dell'omaggio ai fratelli Garriba con l'incontro con Fabio, rinviato a febbraio a causa del maltempo.
«Era ora che - dopo tanti anni d'inspiegabile oblio - si cominciasse a rivalutare e a sottrarre dalla rimozione il cinema di Romano Scavolini, autore davvero singolare del panorama italiano, a metà strada tra underground e cinema ufficiale, fiction e non-fiction, con alle spalle decine e decine di corti, molti dei quali appaiono oggi di una sconvolgente modernità linguistica […], spesso basati semplicemente su immagini fisse, siano esse disegni o fotografie, accompagnate da un commento molto incisivo (parlo de La quieta febbre o L.S.D.)». Così scriveva Bruno Di Marino a proposito di Romano Scavolini, l'indimenticato autore di "opere aperte" come A mosca cieca e La prova generale. Ma è soprattutto attraverso i cortometraggi che Scavolini costruisce e affina la sua poetica e il suo linguaggio (grazie anche all'avventurosa esperienza da fotoreporter) del dolore e della disperazione: in ogni fotogramma è come se il regista sentisse su di sé il peso delle tragedie che hanno sconvolto il Novecento, spesso a noi lontane (la storia americana raccontata attraverso l'omicidio Kennedy, il Vietnam e il razzismo), ma poi incredibilmente vicine negli effetti. Regista (lui sì, in nome di una filmografia che ha attraversato il cinema da un versante all'altro) ancora da analizzare e comprendere che non offre agli studiosi punti d'appoggio o ancore di salvezza, perché ogni suo film cancella il precedente e punto di riferimento costante rimane la Storia, come elemento, però, di ulteriore disgregazione. Altro fotografo, altro regista è Mario Carbone, maestro di Scavolini (entrambi, così come Axel Rupp, hanno lavorato insieme in svariati cortometraggi). Anche lo sguardo fotografico di Mario Carbone ci riporta alla realtà. Carbone, infatti, è un fotografo e documentarista che nel corso della sua lunga attività ha sempre privilegiato le questione sociali, testimoniando con passione la vita e la lotta dell'uomo, specie in eventi drammatici, come l'alluvione di Firenze e il terremoto del Belice, senza però trascurare l'amore verso l'arte contemporanea: «Sono di origini calabresi. Appena arrivato a Roma le prime persone che ho conosciuto sono state degli artisti: Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Mimmo Rotella», spiega il regista. E non è un caso che il suo primo documentario, Inquietudine, sia proprio dedicato a Franco Angeli. E la sua opera d'esordio porta con sé, quasi d'istinto - visto l'anno di produzione: il 1960 - gli echi della nouvelle vague con un pedinamento del pittore - straordinario volto poi assurto alla gloria cinefila con Morire gratis di Franchina - per le vie di Roma, che restituisce intatto il fascino di una città non ancora travolta dal mito della dolce vita. La giornata si chiude con due allievi del Csc (Paolo Breccia e Fabio Garriba) e con i loro saggi di diploma che rappresentano le loro opere d'esordio: Sul davanti fioriva una magnolia… e I parenti tutti. Autentico "(in)visibile italiano", il lungometraggio d'esordio di Breccia ha avuto un solo passaggio alla Mostra del Cinema di Venezia, poi è praticamente scomparso, perché l'unica copia è andata perduta, e finalmente rinasce come un'araba fenice. Lo spettatore resterà interdetto di fronte a un'opera che inizia a colori, colori tenui che improvvisamente svaniscono (anche Mario Garriba, il fratello gemello di Fabio, giocava sull'alternanza, in chiave simbolica, tra colore e bianco e nero) seguendo l'indicazione del monologo brecciano/brechtiano. Anche questo esempio di cinema politico nel senso che attraversa la società, tagliandola in due, con volti (un giovanissimo Peter Del Monte attore protagonista, un Giulio Carlo Argan monologante sulla scuola di Francoforte, un'apparizione di Ugo Vittorini, un cameo indimenticabile di Fabio Garriba) che si susseguono portandosi dietro il declino, già in atto, della Storia. E se Paolo Breccia, nella sua breve semi-invisibile filmografia, risulterà essere tra i cineasti più appartati ed ermetici, Fabio Garriba, aiuto regista di Bene, Godard e Pasolini, si afferma negli anni Settanta come uno dei volti più interessanti ed espressivi del cinema italiano, senza dimenticare i suoi lavori di attore diretto dal fratello Mario. Ma I parenti tutti, scritto, diretto e interpretato da Fabio, contiene già tutto in nuce, ovvero la poetica surreale, contestataria e grottesca dei due "fratelli terribili" del cinema italiano. Vedere per credere.
 
ore 17.00
La quieta febbre (1964)
Regia: Romano Scavolini; fotografia: Mario Carbone; montaggio: Sergio Muzzi; voce commento: Riccardo Cucciolla; origine: Italia; durata: 10'
Documentario basato in gran parte su fotografie di violenza, soprusi, crimini e genocidi avvenuti nel mondo, accompagnate dai versi di Dylan Thomas (Le mani nonhanno lacrime da spargere). «La "pericolosità" di questo breve film [l'opera venne vietata ai minori di 18 anni, n.d.r.] […] è data, probabilmente, dal suo non essere un rassicurante documentario di tipo standard, tanto in voga allora, bensì un'opera di grande impatto emozionale, che rievocava scomodi fantasmi del passato» (Di Marino).
 
a seguire
L.S.D. (1970)
Regia: Romano Scavolini; soggetto e sceneggiatura: Valentino Zeichen; fotografia: Carlo Ventimiglia; musica: Franco Potenza; origine: Italia; durata: 11'
Viaggio allucinato e psichedelico di un giovane poeta tossicodipendente, sotto gli effetti dell'acido. «Un viaggio attraverso la notte per conoscere il giorno». «Osservando i disegni realizzati mentre il poeta si trovava sotto l'effetto dell'L.S.D. si assiste ad una progressiva disintegrazione degli atomi dell'Essere. Il commento scritto da Valentino Zeichen è molto chiaro in questo senso: "Non dirò più io sono... anche se fossi". Un giorno, molti anni fa quegli stessi atomi avevano deciso di unirsi e tutti insieme di diventare quella massa di materia che oggi è il poeta. Ma i suoi atomi, le sue cellule, i tendini, i muscoli, le ossa, tutti i suoi organi stanno per sfaldarsi sotto i nostri occhi. Lui non ha più nessun potere su quel corpo se non gridare di esistere, ma per quanto tempo ancora? Nella feroce dinamica delle riprese in truka, quei disegni assomigliano alla terra che gli si apre sotto i piedi mentre il poeta sente di perdere la presa sulla sua realtà interiore. Fra un po' sarà solo un mucchio di cenere, polvere che il vento solleverà trascinandolo chissà dove...» (Scavolini).
 
a seguire
Diario Beat (1967)
Regia: Romano Scavolini; fotografia: Mario Malacoda; musica: Franco Potenza; origine: Italia; produzione: Libero Bizzarri; durata: 11'
Riflessione sulla realtà e sull'immagine della realtà con il pretesto di documentare un amore tra un uomo e una donna. «Diario Beat è una specie di prolungamento "espanso" di una sequenza del mio film La prova generale. Ne La prova generale, Carlo (Carlo Cecchi) intervista con un registratore e un microfono la sua giovane compagna mentre i due sono avvolti nello splendore di un bosco alla periferia della città. In Diario Beat come in moltissime altre sequenze de La prova generale, il paesaggio stride radicalmente con il contenuto dell'intervista. Con Diario Beat ho voluto espandere gli stessi contenuti presenti nel film ma capovolgendo i ruoli, affidando alla giovane compagna di Carlo il ruolo dissacrante dell'intervistatrice che provoca i passanti con domande ex-temporanee sulla felicità, lei così libera, disinibita, bordeggiando e muovendosi in un contesto senza più imperativi» (Scavolini).
 
a seguire
Attacco! (Zen-Shin)
Regia: Romano Scavolini; fotografia: Mario Carbone; musica: Franco Potenza; origine: Italia; durata: 11'
Documentario sperimentale sul karate. Tramite didascalie, voice over, citazioni di scritti arcaici giapponesi e fumetti si esplora l'immaginario delle arti marziali. «Attacco! è un film in cui ho cercato di mettere in aperta contrapposizione fra loro due aspetti della violenza: il primo, rappresentato dall'istinto primario della violenza stessa e della ricerca di un linguaggio corporale che finisce però per sfociare in una grottesca mimesi fumettistica fine a se stessa. Con il secondo aspetto invece, osservando come sia possibile dominare la violenza attraverso la ricerca di una "disciplina" interiore che conduce però ad una forma di ascesi impraticabile nella vita quotidiana. Le società moderne hanno esplorato ogni tipo di strategia alternativa per contenere la pulsione primitiva della violenza, ma a tutt'oggi non è stata trovata nessuna tecnica capace di eliminare del tutto la violenza insita nella natura umana se non si parte dalla radicale modifica del substrato che la nutre: la coscienza» (Scavolini).
 
a seguire
Inquietudine (1960)
Regia: Mario Carbone; fotografia: Antonio Cerra; musica: Domenico Guaccero; montaggio: Bruno Mattei; interpreti: Franco Angeli; origine: Italia; produzione: CA.BE; durata: 12'
La citazione dal Tonio Kröger di Thomas Mann, «non lavorava come tutti coloro che lavorano per vivere, e non faceva nessun conto di sé come uomo vivente. Solo desiderava di essere considerato come creatore», prelude a un pedinamento, quasi zavattiniano, nelle vie di Roma e nel suo studio dell'artista Franco Angeli, uno degli esponenti della Scuola di Piazza del Popolo. La vita della città, fra cronaca mondana e cronaca nera, si riflette in una serie di fotografie sullo sguardo assorto del pittore. «Inquietudine mi è particolarmente caro perché oltre a essere il mio primo documentario - e non caso pedino con la macchina da presa il mio amico Franco Angeli! - ho conosciuto Cesare Zavattini. Gli ho fatto vedere Inquietudine e gli è piaciuto talmente tanto che mi ha preso per il suo I misteri di Roma. Non solo ho diretto il mio episodio, ma sono stato spesso l'operatore in gran parte del film, perché grazie al mio apprendistato di fotografo, avevo delle buone conoscenze tecniche» (Carbone).
 
a seguire
Uomini nella fabbrica (1964)
Regia: Mario Carbone; fotografia: M. Carbone; musica: Sandro Brugnolini; origine: Italia; produzione: Corona Cinematografica; durata: 10'
Una giornata di lavoro in una grande acciaieria (Gruppo Zanussi). Dal momento in cui gli operai si recano in fabbrica fino a quando finisce il turno. Sono mostrati gli spazi, le condizioni ambientali e i ritmi che scandiscono il ciclo di produzione e trasformazione dell'acciaio. È l'uomo a dover sincronizzare i propri movimenti con quelli delle macchine con cui opera.
 
a seguire
Firenze, novembre '66 (1966)
Regia: Mario Carbone; testo: Vasco Pratolini; fotografia: M. Carbone; musica: Franco Potenza; origine: Italia; produttore: Elisa Magni; durata: 24'
«I problemi, le realtà culturali, sociali, umane che si sono create all'indomani dell'Arno del '66 a Firenze. I soccorsi per l'intera valle dell'Arno allagata. I problemi della Biblioteca Centrale, di Santa Maria del Fiore e di Santa Croce» (Silvana Turco). Nastro d'Argento per la miglior fotografia in bianco e nero. Premio speciale al Festival dei Popoli di Firenze.
 
a seguire
Nuovo realismo (1970)
Regia: Mario Carbone; testo: Enrico Crispolti; fotografia: M. Carbone; musica: Egisto Macchi; origine: Italia; produzione: Alfa Cinematografica; durata: 17'
«Milano 27-28-29 novembre 1970. Mostra ed action. Azioni artistiche nel decennale del movimento di De Restany. Christo impacchetta il monumento a Vittorio Emanuele II (Milano). Intervento di sciopero dei lavoratori della Pirelli. Tinguely: La vittoria, torre autodistrutta. Mostra alla Rotonda della Besana, il fuoco di Yves Kline in Espansione. Rotella Decollages. Finale con un banchetto funebre» (Turco).
 
ore 19.00
Sul davanti fioriva una magnolia… (1968)
Regia: Paolo Breccia; soggetto e sceneggiatura: P. Breccia, Gianni Bonicelli; fotografia: Luigi Verga, G. Bonicelli; scenografia: Antonio Fioretto; montaggio: P. Breccia, Peter Del Monte, Jobst Grapow, Maria Rosada; interpreti: Nerina Breccia, Peter Del Monte, Alessandra Dal Sasso, Fabio Garriba, J. Grapow,  Giulio Carlo Argan; origine: Italia; produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia; durata: 110'
«[Era un film] Molto godardiano, molto "saggistico". Ed era, sempre molto tra virgolette, autobiografico, girato in Toscana. Esplorava, sia da un punto di vista sentimentale, che da quello sociologico-politico, il percorso che c'era da fare per uno studente universitario, che andava in macchina tra Pisa e Livorno. Si ripercorrevano anche […] l'uscita degli operai dalla fabbrica […]. Insomma, mentre questo studente andava all'università, si vedeva tutto quel che c'era nel territorio, con discorsi sopra, appiccati a commento. […] Ma è impossibile raccontarlo, proprio perché non c'era una vera trama e aveva - ripeto - questo aspetto saggistico: quindi voce fuori campo, qualche materiale eterogeneo. […] Era il '68. Io frequentavo il Centro Sperimentale e venne nominato Roberto Rossellini come direttore del Centro. […] Ottenni tremila metri di pellicola, […] con i quali feci un film, abbastanza delirante […], che andò anche […] a Venezia. Il film piacque a molti, persino a Bernardo Bertolucci, che mi disse: "Adesso, dopo aver fatto un film così, non ti resta che scrivere una storia. E dopo è fatta"… Non fu buon profeta» (Breccia).
 
ore 21.00
Incontro con Paolo Breccia
 
a seguire
Terminal (1975)
Regia: Paolo Breccia; soggetto e sceneggiatura: P. Breccia; fotografia: Gianni Bonicelli; scenografia: Amedeo Fago; costumi: Mariolina Bono; musica: Giovanna Marini; montaggio: Sergio Nuti; interpreti: William Berger, Mirella D'Angelo, Niccolò Piccolomini, Rossella Or, Giuliana Calandra, Ezio Marano; origine: Italia; produzione: Cooperativa Bocca di Leone; durata: 110'
Apologo sul tema del potere e sui mezzi forti per conquistarlo, avvolto in una struttura da giallo al servizio del cinema politico di quegli anni, in uno scenario futuristico dagli echi vagamente kafkiani. «All'epoca mi interessava un tipo di cinema metaforico, ma da una parte in cui la metafora fosse contenuta all'interno di una struttura convenzionale. […] Avevo fondamentalmente due archetipi - esistenti sia nella letteratura sia nel cinema - sulla cui variazione, rivisitazione volevo lavorare: il tema del sosia e il tema di Jekyll & Hyde. Mischiando le due cose, arrivai alla storia del film, uno che entra nella vita di un altro…» (Breccia). Nella colonna sonora si segnalano ben quattro pezzi dei Perigeo, storico gruppo jazz-progressive italiano.
Ingresso gratuito

 
mercoledì 18 aprile
Orizzonti 1960-1978: Vado verso dove vengo. Omaggio a Nato Frascà

A sei anni dalla morte, la Cineteca Nazionale dedica una giornata a Nato Frascà. Pittore, scultore, architetto, performer, docente di Teoria della Percezione e Psicologia della Forma presso l'Accademia di Belle Arti di Roma, pioniere della artiterapia.

Entrato nel 1955 al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove ha frequentato il corso di Scenografia diretto da Virgilio Marchi, ha lavorato inizialmente come arredatore, costumista e scenografo, collaborando al contempo con le riviste «Bianco e Nero» e «Filmcritica»; in seguito è stato aiuto regista e regista cinematografico e televisivo. Ha collaborato, tra gli altri, con Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini, Nelo e Dino Risi, Fabio Carpi, Antonio Pietrangeli.
I materiali visivi che vengono proiettati, se possono apparire eterogenei tra loro, presentano al contrario delle linee di sviluppo comuni e, soprattutto, una concezione visiva, una attitudine mentale ed un rigore intellettuale che li unisce indissolubilmente. Cronologicamente percorrono un periodo che va dal 1965 al 1981; logicamente sono presentati secondo un graduale avvicinarsi al film Kappa (1965-66), prima opera cinematografica di Frascà, che non si pone però come una "opera prima", ma come vera e propria icona dell'artista e di tutto il suo lungo percorso di ricerca. Alcuni di questi materiali, apparsi in programmi culturali televisivi oltre 40 anni fa, vengono per la prima volta riproposti; altri sono stati presentati nelle ultime edizioni della Mostra del Cinema di Venezia. Nell'Archivio Frascà, che ha collaborato all'iniziativa, rimangono molti metri di pellicola, non montati, girati anche'essi tra il 1965 e il 1980, che attendono di essere riscoperti, così come il suo autore.
Si ringrazia per la collaborazione Rai Teche - Giornata a ingresso gratuito
 
ore 17.30
L'informazione è ciò che conta (1968-1969)
Regia:  Nato Frascà; soggetto e sceneggiatura: N. Frascà; testi: Riccardo Felicioli, N. Frascà, Giovanni Giudici, Michele Pacifico, Alberto Projettis; fotografia: Maurizio Centini; musica: Nando De Luca; interpreti: Enzo Jannacci, Renata Lunati; origine: Italia; produzione: Olivetti durata: 23'
Nel 1968 Frascà viene invitato dalla Olivetti a ideare e realizzare un documentario sull'informazione; fra il 1968 e il 1969 si occupa della redazione del soggetto e della sceneggiatura e sceglie come protagonista Enzo Jannacci. Le riprese del documentario e una parte della colonna sonora sono realizzate a Milano, il montaggio a Roma. Il documentario racconta le peripezie di un disorientato e goffo Jannacci, che arrivato in treno nella metropoli milanese, gira per la città, subito colpito da segni, suoni, segnali, fantasmi, legati alla ambiguità, ma anche alla necessità dell'informazione; informazione che deve presentarsi come capacità di ordinamento razionale dei dati ed organizzazione della memoria. L'occhio di Jannacci, e della camera che lo segue, è alle prese però con una realtà, quella appunto dell'informazione, che in fondo non riesce a comprendere e con cui, alla fine non "comunica", venendone invece invaso e scosso. L'azienda non accetta il filmato, vorrebbe eliminarne delle parti, la cui carica ironica e sottilmente destabilizzante non è in linea con l'utilizzo promozionale per il quale il prodotto era stato richiesto e concepito e che l'Olivetti infatti non utilizzerà. Frascà scrive: «L'IBM (o l'Olivetti che è lo stesso) vorrebbe sostituirsi a me? Allora le mie barricate: opporre l'oggetto indigesto». Il documentario, che sembrava perduto, è invece conservato nell'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea, e, proiettato una prima volta nel 2004, ha il suo riconoscimento critico nel 2009 alla 66ª edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, in una retrospettiva significativamente intitolata Questi fantasmi 2. Cinema italiano ritrovato (1946-1975).
Copia proveniente dall'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea
 
a seguire
Mondrian (L'occhio come coscienza) (1969)
Regia: Nato Frascà; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 28'
Girato in occasione della mostra tenutasi all'Orangerie des Tuileries di Parigi nel 1969, trasmesso in tv a luglio dello stesso anno. La macchina da presa qui non è solo uno strumento che, anticipando o seguendo il testo televisivo, illustra le opere presenti in mostra, traversandole nei dettagli, nelle linee compositive, nelle loro incorniciature; di più, essa segue e annota la visione che di quelle opere hanno i visitatori, attraverso le loro figure, i loro volti, le loro parole, fino ai particolari dei vestiti, delle gambe e dei piedi che percorrono le sale espositive. Sale che vediamo ora con il movimento dei visitatori, ora, vuote, col solo muoversi della macchina da presa; ora contenenti, ora viste dal loro esterno, contenute nella città. Osservando le opere anche nel loro essere guardate, il documentario ci parla delle condizioni di visibilità dell'opera d'arte e della sua concreta, pulsante, pratica fruizione, che è poi la sua stessa possibilità di vita. Il documentario si apre e richiude, significativamente, col medesimo frammento cromatico della pupilla dell'Autoritratto nel 1918.
Per gentile concessione di Rai Teche
 
a seguire                                                                       
Frammento de L'Eclisse di Michelangelo Antonioni (1962, 16')
Hanno purtroppo trovato scarsissima documentazione le circostanze che hanno portato alla conclusione delle riprese de L'Eclisse di Antonioni, che ha girato per ultimi i primi 16' del film. Le prime scene, ambientate in un appartamento di quella parte del quartiere romano dell'Eur terminato all'inizio degli anni Sessanta, sono fondamentali perché devono fornire i dati ambientali e psicologici su cui il film si snoderà. A causa di un'indisposizione dello scenografo Piero Poletto, Antonioni, dopo vari tentativi, si rivolge al giovane artista Frascà, che "vive" per alcuni giorni l'appartamento, proponendone la sistemazione, con cui oggi il film prende le mosse. Nell'arredamento si riconoscono due opere informali di Frascà. Un gesto di Monica Vitti ci rinvia a ciò che Frascà intende per "soglia" e al suo, simbolico, attraversamento.
                                                                                                         
ore 19.00
Incontro moderato da Stefano Romanelli (Archivio Frascà) con Grazia Corradini Schmid, Bruno Di Marino, Bruno Frascà, Ugo Leonzio
 
a seguire
Aldo Schmid. Destino di un ricercatore (1980-1981)
Regia: Nato Frascà; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 30'
Girato in due tempi, secondo le parole di Frascà, "ideato, girato, montato, in memoria dell'amico scomparso". Frascà considerava Aldo Schmid un vero maestro del colore; il documentario, che si svolge come una riflessione e un dibattito tra artisti (tra cui Eros Bonamini e Antonio Scaccabarozzi) e critici (Toni Toniato, Ernesto L. Francalanci) che gli sono stati vicini, restituisce, oltre alle opere di Schmid, le difficoltà, le tecniche, gli affetti, la problematica fortuna critica di un rigoroso ricercatore precocemente scomparso. È esso stesso una dimostrazione dell'atteggiamento critico di Frascà verso le istituzioni (in questo caso un'Amministrazione Provinciale), quando queste si dimostrano o insensibili al lavoro degli artisti o lo vogliono ingabbiare, post-mortem, nelle retoriche "celebrative". All'inizio del documentario alcune immagini si soffermano sul piccolo cimitero di Calceranica (Trento), nel luogo dove Schmid riposa, disegnato e realizzato da Frascà.
Per gentile concessione di Rai Teche
 
a seguire                                                                              
Soglie(1978)
Regia: Nato Frascà; montaggio: N. Frascà; durata: 11'
Quest'opera, frutto della combinazione e della sequenza di immagini temporalmente distanti tra loro, secondo la volontà dell'autore tradizionalmente proiettata assieme al film Kappa, ci porta in un luogo di riflessione (e poetico) di fondamentale importanza per Frascà. La soglia è quella figura fisica, mentale, di coscienza, che pone il problema dell'attraversamento: da un lato una realtà, conosciuta, consueta; dall'altra un altrove, da scoprire, da indagare. La indagine, la ricerca, è un viaggio, un salto, un rischio. Tutto il lavoro, artistico e di riflessione teorica, di Frascà sarà inteso a dimostrare come questo faticoso percorso debba giungere infine al suo punto di inizio, di partenza: "vado verso dove vengo" è stato il motto di Frascà, una espressione linguistica utilizzata per esprimere quella circolarità che ha trovato alcune delle sue rappresentazioni nel Mito, nella ricerca alchemica, nella figura dell'archetipo junghiano, così come in alcune esperienze artistiche illuminanti. Le immagini, i suoni, i silenzi di Soglie, i suoi frammenti spazio-temporali, sono un tentativo, più che di dimostrare, di mostrare questa realtà, sfuggente, ma profondissima. Ad aprire ciò che l'autore ha definito "reperti esistenziali" c'è Luchino Visconti, ripreso durante le prove de La traviata al Covent Garden di Londra nel 1967, dove Frascà aveva realizzato una rivoluzionaria scenografia in bianco e nero; a chiudere, o ricominciare il tutto, il suono del vento, sul nero.
 
a seguire                                                                               
Kappa (1965-66)
Regia: Nato Frascà; soggetto e sceneggiatura: N. Frascà; fotografia: Alberto      Grifi; costumi: Fiorella Mariani; montaggio: N. Frascà; organizzatore: Bruno Frascà; interpreti: Fabrizio Clerici, Mariella Lotti, Dina Sassoli, Marcella Mariani Rossellini, Giovannino; origine: Italia;  durata: 47'
Frascà ha così descritto Kappa: «Il viaggio senza categorie spaziali e temporali di ognuno di noi; che registra, provoca, immagina, reagisce e vive a vari livelli. Tanti quanti ne avrà messi in gioco, ossia scatenati… Ho registrato e utilizzato gli "ingredienti visivi e sonori" della nostra civiltà… affollando l'opera, non diversamente da come sono affollati quotidianamente i nostri condotti percettivi, di richiami e provocazioni negli spessori dei livelli sensoriali per tentare di costituire delle associazioni mentali al limite della saturazione, tentando di costringere lo spettatore a praticare la sua remota subliminalità e a dilatare il suo recipiente fruitivo a nuove capacità volumetriche». Il film, il cui montaggio, durato nove mesi, termina nel maggio del 1966, è inizialmente proposto in proiezioni private a Giulio Carlo Argan, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Renzo Rossellini, Nelo Risi, Fabio Carpi, Fernando Birri, Dacia Maraini e Alberto Moravia. Direttore della fotografia e operatore è Alberto Grifi, forse il più completo e rappresentativo autore/sperimentatore del cinema indipendente e undergound, non solo italiano. Supervisore al sonoro è il musicista Aldo Clementi, tra i maggiori autori del Novecento; tra gli elementi che compongono la colonna sonora è inserita la prima incisione canora di Anna Clementi (allora bambina), che esegue vocalizzi in omaggio a John Cage.
Kappa dispiega e contiene l'intera dimensione dell'autore, dove precipitano e al contempo si anticipano tutti i temi fondanti del percorso di Frascà, che prenderanno via via forma pittorica, scultorea, teatrale, cinematografica, videografica, performativa e che si proietteranno nella docenza, nelle pratiche di laboratorio e nella redazione del volume L'Arte, all'ombra di un'altra luce, che ne rende ragione. Il film, costantemente presente nelle rassegne di cinema d'artista e d'avanguardia, è stato proiettato nel 2011 alla 68ª Mostra del Cinema di Venezia, nella retrospettiva sul cinema italiano di ricerca intitolata Orizzonti 1960-1978.

 

 

 

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