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Casa del cinema di Roma: il 16 giugno serata inaugurale della rassegna dedicata a Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi
Centro Sperimentale di Cinematografia
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14 Giugno 2022

Amici sul set e anche nella vita. Uno opposto all’altro: il primo, mattatore, spilungone, ciarliero, ovvero la caricatura del seduttore alla ricerca disperata del profumo di donna mancante, o del sorpasso proibito, capace però di adombrarsi in pause silenti e disperanti, il secondo, più basso, più “ometto qualunque”, grottesco e tragico uomo ridicolo, goloso di cibo e di femmine fino ad abbuffarsi mortalmente, dispersivo come il conte Mascetti. Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi rappresentano l’esatta metà dei colonnelli della commedia all’italiana (l’altra è costituita da Nino Manfredi e Alberto Sordi). Questi due soliti ignoti sono anche accomunati dallo stesso anno di nascita, il 1922: Tognazzi è nato a Cremona il 23 marzo, Gassman a Genova il 1° settembre.

La Cineteca Nazionale e la Casa del Cinema hanno così deciso di organizzare un festeggiamento incrociato dei due centenari, presentando film in cui i due attori/autori recitano insieme e altri in cui lavorano separatamente, come se si stesse assistendo a un’ideale staffetta di chi è più mostruosamente bravo. Il risultato non può che essere un pareggio perché uno è l’asso mancante dell’altro.

Dopo l’inaugurazione del 16 giugno alle 21.00, introdotta dal Conservatore del CSC - Cineteca Nazionale Alberto Anile e alla presenza di Ricky Tognazzi e di Simona Izzo, la rassegna proseguirà da agosto fino al 17 settembre ogni giovedì e sabato al Teatro all’aperto Ettore Scola alla Casa del Cinema.

Ingresso libero fino a esaurimento posti.


Giovedì 16 giugno
ore 21.00 Inaugurazione retrospettiva
a seguire I nuovi mostri di Mario Monicelli, Ettore Scola, Dino Risi (1977, 92’)

A quindici anni di distanza dal capolavoro di Dino Risi, I nuovi mostri è composto da quattordici episodi di diversa lunghezza: sette diretti da Scola, cinque da Risi, due da Monicelli, anche se nessuno risulta accreditato. Rispetto al 1963, la situazione italiana è decisamente peggiorata: ospizi-lager per vecchi, repressione psichiatrica, violenza politica, criminalità e la paura che provoca, minori coinvolti in pornocinema, indifferenza, sequestri di persona, terrorismo. Uno degli episodi di culto è Hostaria dove due zozzoni, cuoco e cameriere, Tognazzi e Gassman, litigano ferocemente, tirandosi addosso tutto quello che c’è in cucina, per poi riconciliarsi con baci e abbracci e servire la clientela con certi «zupponi alla porcara» in cui galleggiano suole di scarpe e cicche di sigaro.
Il film servì a contribuire alle spese mediche per l’amico sceneggiatore Ugo Guerra, gravemente malato.
Si ringrazia Titanus

giovedì 4 agosto
ore 21.00 Venga a prendere il caffè… da noi di Alberto Lattuada (1970, 113’)
Emerenziano Paronzini (Ugo Tognazzi), invalido della seconda guerra mondiale, arriva a Luino, inviato dal Ministero delle Finanze. Da sempre diviso tra l’etica del lavoro (si dimostra inflessibile con i raccomandati) e i piaceri della carne, concedendosi qualche avventura a pagamento, si sente ormai “arrivato”. Decide quindi di fidanzarsi con una delle tre ricche sorelle Tettamanzi, Camilla (Milena Vukotic), Fortunata (Angela Goodwin) e Tarsilla (Francesca Romana Coluzzi), ereditiere di un bel gruzzoletto lasciato dal padre Mansueto (Checco Rissone). Tornato dal viaggio di nozze con la moglie Fortunata, Emerenziano inizia a sollazzarsi anche con le altre cognate, intensificando sempre più i rapporti…
«È un personaggio che mi è piaciuto molto perché il clima, l'atmosfera, il modello di questo personaggio, è la mediocrità. Io riconosco a me stesso molte caratteristiche della mediocrità, non tutte naturalmente: così le mie, unite a quelle due o tre che caratterizzano in permanenza il personaggio, hanno dato come risultato un annuario, un glossario della mediocrità umana. […] Nel film di Lattuada sono stato affascinato dalla possibilità di costruire un campione di mediocrità, una mediocrità che qui, per di più, è sublimata dal fatto che il personaggio è anche presuntuoso. Quest'uomo non conta niente, è meno che niente, ha solo un progetto mediocre, un comportamento mediocre; tuttavia crede che il suo comportamento sia quello di un personaggio importante» (Tognazzi).
Il film è presentato nell’edizione restaurata nel 2021 dalla Cineteca Nazionale.
Si ringrazia Minerva Pictures

sabato 6 agosto
ore 21.00 Riso amaro di Giuseppe De Santis (1949, 108’)
Una giovane cameriera d’albergo, Francesca (Doris Dowling), istigata dal suo amante, Walter (Vittorio Gassman), ruba la collana di una cliente. Fuggono entrambi, e Francesca si mescola alle mondine, che partono in treno. Nel dormitorio delle mondariso, Francesca viene derubata della collana da una compagna, Silvana (Mangano). Sul luogo del lavoro giunge Walter, il quale avendo appreso che Silvana è presumibilmente in possesso della collana, la circuisce. Silvana non è insensibile alle premure del lestofante e, abbandonato un sergente che l’ama, diviene l’amante di Walter, mentre il sergente fa la corte a Francesca, che si è pentita ormai del male fatto. Walter, avendo scoperto che la collana rubata è falsa, decide, per rifarsi, di rubare il riso accumulato nei magazzini come premio finale per le mondariso. Mentre le ragazze festeggiano la fine della stagione di lavoro, Walter convince Silvana ad immettere di nuovo l'acqua nei campi, per distrarre l'attenzione delle mondine e degli operai. Ma il loro piano è destinato a concludersi tragicamente.
Ad appena trentadue anni, De Santis firma il suo capolavoro, un appassionante e complesso melodramma neorealista su un’Italia povera, appena uscita dalla guerra. In un’atmosfera torbida si stagliano Silvana Mangano nell’indimenticabile boogie-boogie che anticipa la figura delle maggiorate degli anni Cinquanta, e Vittorio Gassman, bellissimo cattivo, punito a dovere in un finale granguignolesco.
«Era il mio quarto o quinto film, per me che venivo dal teatro il passaggio nel cinema era stato delicato. Ero un giovane impetuoso e anche fanatico, con un atteggiamento snobistico che mi è restato nel tempo. Ma anche una predilezione all’automassacro e all’autoironia. Di qui certi miei giudizi sul film, che invece ha avuto molti meriti e non lo dico per geopolitica, perché c’è qui De Santis che è stato ed è grandissimo autore di cinema. Riso amaro poi registrò un’invenzione: la creatura Mangano che esplose come una bomba» (Gassman).

giovedì 11 agosto
ore 21.00 La supertestimone di Franco Giraldi (1971, 112’)
Isolina Maffei (Monica Vitti) è una giovane donna complessata, introversa, timorata. La sua avversione per gli uomini è dovuta all’unico incontro avuto con un rappresentante dell’altro sesso: fuggita dal convento per seguire un uomo, si è ritrovata dopo qualche mese di vita coniugale, sola e senza danaro. Uno dei tanti delitti, la solita prostituta trovata uccisa, porta Isolina alla ribalta della cronaca. Sostiene giura insiste di aver visto Marino Bottecchia (Ugo Tognazzi), protettore della vittima, sul posto del delitto. Il protettore viene condannato a venti anni di carcere. Dopo qualche mese, Isolina si accorge di aver confuso nella sua “supertestimonianza” un giorno con un altro: Marino Bottecchia è pertanto innocente. Durante il processo d’appello l’imputato viene assolto dall’omicidio, ma condannato a tre anni per sfruttamento della prostituzione. La coscienza di Isolina non è ancora tranquilla; vuole aiutare l’uomo a redimersi: gli incontri sono sempre più frequenti nel penitenziario, ed alla fine i due decidono di sposarsi. Pagato il suo debito alla società, Marino si ripromette di iniziare una nuova vita con la compagna. Ma dopo aver tentato in mille modi un inserimento accettabile, e non esserci riuscito, come desistere dalla tentazione di convincere Isolina a fare il “mestierino”?
La supertestimone è un perfetto e curioso mix tra dramma giudiziario con tanto di denuncia sulla terribile vita carceraria, commedia acre come un film di Ferreri degli anni Sessanta, dagli esiti imprevedibili. Gara di bravura tra una Monica Vitti, torturata sin da subito da dubbi e sospetti e un Ugo Tognazzi cinico e ambiguo, mai sopra le righe.
Si ringrazia Dean Film

sabato 13 agosto
ore 21.00 Il sorpasso di Dino Risi (1962, 108’)
Primi anni Sessanta. Roma deserta per il Ferragosto. Il cialtrone Bruno Cortona (Vittorio Gassman) riesce a convincere il timido studente Roberto (Jean-Louis Trintignant) a seguirlo sulla sua «Aurelia decappottabile e supercompressa». L’aggressività, il volgare e dirompente saper vivere di Bruno respingono e insieme affascinano lo studente. Alla ricerca di un tabaccaio o di un ristorante i due arrivano fino a Castiglioncello, dove Bruno ritrova l’ex moglie Gianna (Luciana Angiolillo) e Lilli, la figlia sedicenne (Catherine Spaak). Il giorno dopo dovrebbero andare fino a Viareggio ma un tragico incidente metterà fine a questo viaggio iniziatico.
Uno dei capolavori di Dino Risi, Il sorpasso è anche un crudele spaccato sociologico sull’Italia del boom economico, dove cioè «i frigoriferi intasano i tir e i tir le strade» e i poveracci per sentirsi qualcuno si lasciano tentare dagli ancheggiamenti del twist (la colonna sonora è un vero e proprio juke-box dei motivi alla moda, da Guarda come dondolo a Pinne fucile occhiali, a Quando quando quando, a Vecchio frac, a St. Tropez Twist). E Bruno Cortona (uno straordinario Vittorio Gassman che grazie a questa interpretazione vinse il David di Donatello e il Nastro d’Argento quale miglior attore protagonista) è la maschera ciarliera e cialtrona dell’italiano rapito e inebetito dal miracolo economico.
«Nel film avevo proprio una faccia respingente, anzi se permettete direi da stronzo. Non capisco come abbia avuto successo. […] L’inizio del film, oggi diventato un cult movie, fu drammatico. Mi telefonò il produttore, Mario Cecchi Gori, dicendomi che era un disastro, sì e no erano state trenta le persone ad andarlo a vedere. “Vittorio, tu che hai fantasia inventa qualcosa, sennò sono guai”. Mi misi a pensare e, quando avevo finalmente trovato un’idea promozionale, Mario mi telefonò di nuovo. Era entusiasta: “Fermati Vittorio, è un trionfo. La gente fa la fila per guardare il film”. Ma la critica ancora una volta si distinse per le sue critiche» (Gassman).

giovedì 18 agosto
ore 21.00 Il commissario Pepe di Ettore Scola (1969, 109’)
Commissario di polizia in una cittadina del nord piuttosto tranquilla, il dottor Pepe (Ugo Tognazzi) viene un giorno incaricato e sollecitato a svolgere indagini sul malcostume dilagante che uno strano tipo di invalido anarcoide denuncia gridando per le strade e con lettere anonime. Dopo una prima breve inchiesta Pepe trova implicati, tra gli altri, alcuni personaggi di vario ceto sociale: due vecchi che affittano stanze per convegni amorosi; una ex manicure che vive con dieci studenti; la figlia del prefetto, minorenne, che si prostituisce per mantenere l’amante; un illustre clinico dedito a rapporti particolari così come il preside della scuola; una nobildonna patronessa di opere assistenziali, che usa la sua villa per riunioni orgiastiche; una suora che ha strani rapporti con le sue alunne. Il commissario, che comprende la gravità della situazione, cerca dapprima di risolvere con le buone alcune situazioni, poi prepara le denunce presentando il fascicolo ai superiori. Pur elogiato per il suo scrupoloso lavoro, Pepe viene invitato a depennare dalla lista dei colpevoli i nomi più illustri per evitare uno scandalo. Posto di fronte a un così grave caso di coscienza, brucia il fascicolo e resta in attesa del trasferimento.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Ugo Facca de Lagarda, Il commissario Pepe è un’amara e crepuscolare commedia poliziesca sulle “pubbliche virtù e i vizi privati” della provincia veneta. Su tutto spicca la recitazione di Ugo Tognazzi: misurata, garbata, assolutamente convincente.
Si ringrazia Titanus

sabato 20 agosto
ore 21.00 I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958, 105’)
Cosimo (Memmo Carotenuto), piccolo ladro di periferia, è in prigione per il furto di una macchina. Alcuni suoi amici, Capannelle (Carlo Pisacane), un vecchio stalliere un po' matto, Mario (Renato Salvatori), ladro suo malgrado, Ferribotte (Tiberio Murgia), un siciliano gelosissimo della sorella, Tiberio (Marcello Mastroianni), fotografo e ladro per vocazione, decidono di cercare qualcuno che si accusi del furto per far scarcerare Cosimo. Trovano Peppe (Vittorio Gassman), un pugile di quart'ordine, che dietro compenso dichiara di essere il responsabile del furto. Peppe non è creduto e viene rilasciato: prima di uscire di prigione, con uno stratagemma, si fa confidare da Cosimo il progetto di un furto con scasso. Riacquistata la libertà, Peppe si mette a capo della banda e, con l’aiuto degli amici, prepara l’esecuzione del colpo vagheggiato da Cosimo: svaligiare la cassaforte del Monte di Pietà. Per aprire la cassaforte prendono lezioni da uno specialista, Dante (Totò), che non può partecipare alla rapina perché sorvegliato. Tutto sembra bene avviato quando Cosimo, in seguito ad un’amnistia, viene scarcerato. Deciso a vendicarsi del tiro giocatogli da Peppe e dai compagni, mentre sta compiendo un borseggio viene investito e muore. Intanto è venuto il momento di tentare il furto: i quattro penetrano nell'appartamento contiguo al Monte di Pietà e…
Tra i migliori film di Mario Monicelli e della commedia all’italiana, I soliti ignoti ha anche il grande merito di aver rivelato il grande talento comico di Vittorio Gassman, giustamente premiato con il Nastro d’Argento. È stato campione d’incassi in Italia, ha avuto un buon successo anche negli Usa e ha concorso all’Oscar come miglior film straniero.
«Per me è stata un’esperienza di notevole importanza: il mio primo esperimento comico, un vero spartiacque. Ricordo che Monicelli dovette lottare non poco per far accettare a tutti quest’idea. Anche per ciò credo di dovere molto a quel regista. […] Una pellicola segnata da un procedimento contrario a quello allora più comune e consumato: è un film epico, in un certo senso, fatto più di scene lunghe, che non di brevi gags. Forse il primo film eroicomico moderno, sulla stessa linea poi ampliata dell’Armata Brancaleone, un’esperienza che sicuramente ha influenzato parecchio il cinema che è venuto dopo. […] il copione era particolarmente serrato, ma c’era spazio anche per le invenzioni estemporanee. I soliti ignoti, insomma, è uno dei non moltissimi film che salverei, della vita d’attore» (Gassman).

giovedì 25 agosto
ore 21.00 Vogliamo i colonnelli (Cronaca di un colpo di stato) di Mario Monicelli (1973, 96’)
Di colonnelli ce ne sono troppi. E solo pochi hanno la ventura di passare generali. Donde frustrazioni, rancori, desideri di rivalsa. Sui quali specula un politicante maneggione, l’on. Grifoni, il quale chiama a raccolta tutti i frustrati del Paese, prende contatti con emissari stranieri, organizza campi di esercitazione, raduni, viaggi, discorsi e mette a punto il Piano: che scatterà all'ora X del giorno Z. Anzi della notte. L’attacco è fulmineo. Un aereo sgancia trenta arditi incursori sul mare di Fiumicino perché occupino l’aeroporto. Ma un errore di pochi metri li fa scendere in un luogo sbagliato. Un gruppetto di cavalieri - in lambretta - non va oltre il luogo di partenza. I “marines” giungono, invece, sull’obiettivo, ma sono arrestati. Quando Grifoni apprende che il gruppo “Marmotta”, per andare a occupare la TV, ha dovuto prendere un tassì, capisce che la Rivoluzione è fallita. E c'è qualcuno, naturalmente, che si attribuisce il merito di aver stroncato la rivolta e aver salvato la Democrazia. Questo qualcuno, si sa, è un Generale: e il potere lo prenderà lui.
Uscito nel ’73, invitato in concorso al Festival di Cannes ma “oscurato” da La grande abbuffata, è uno dei titoli spesso dimenticati della vasta filmografia monicelliana. Ispirato a fatti dell’epoca come il “Piano Solo” del generale De Lorenzo, il “golpe Borghese” e la dittatura militare in Grecia, racconta, come spiega il sottotitolo, la “cronaca di un colpo di Stato” guidato dall’onorevole Giuseppe Tritoni della Grande Destra, interpretato da Ugo Tognazzi, con la complicità di una “armata Brancaleone” di militari in servizio e in pensione. Più che una commedia all’italiana, una “farsa alla Keaton”, come la definì lo stesso Monicelli in un’intervista: «Il film dovrebbe essere dato nelle scuole di cinema, perché chi vuol fare il regista deve imparare innanzitutto la farsa». Farsa sì, ma anche fantapolitica, notò ancora Monicelli all’epoca: «attraverso la storia di un gruppo di militari trucibaldi, intendo mettere in guardia i cittadini contro l’inganno in cui potrebbero cadere».
Si ringrazia Dean Film

sabato 27 agosto
ore 21.00 Profumo di donna di Dino Risi (1974, 102’)
Il capitano in pensione Fausto Consolo Vittorio Gassman), rimasto cieco a causa di un’esplosione accidentale, decide di recarsi a Napoli dall’amico Vincenzo (Torino Bernardi), anch’egli non vedente. Fausto si fa accompagnare in questo viaggio dalla recluta diciottenne Giovanni Bertazzi (Alessandro Momo), soldato in permesso premio. I due partono in treno da Torino e la prima tappa è Genova, dove Fausto decide di passare alcune ore con una prostituta. La seconda tappa del viaggio è Roma, dove Fausto parla con il cugino prete Carlo (Vernon Dobtcheff) della sua condizione fisica. Finalmente a Napoli, Fausto viene corteggiato dalla giovane Sara (Agostina Belli); lei vorrebbe a tutti i costi occuparsi di lui, ma Fausto sembra infastidito da queste attenzioni. Fausto e Vincenzo tentano poi, maldestramente, di suicidarsi con le proprie pistole d’ordinanza, ma la paura impedisce loro di riuscire nell’intento. Solo allora Fausto capisce che non può rifiutare l’aiuto e le attenzioni di Sara.
Fausto Consolo è il personaggio reso indimenticabile da Vittorio Gassman. Lo stesso Risi dichiarò in proposito che «Gassman fu al suo massimo - soprattutto nel rendere il “non sguardo” del cieco. Eccolo, il mio
impegno: storie forti, tratte da una letteratura italiana contemporanea che scava apprezzabilmente senza retorica né banalità nei nostri egoismi borghesi».
«Uno squarcio di una piazza di Torino, un pezzo di golfo di Napoli e poi la complicità con Dino Risi. Erano anni di felicità assoluta: parlavamo molto, bevevamo molto e ci rubavamo le ragazze. […] Per Profumo di donna avevo già vinto a Cannes contro Dustin Hoffman di Lenny. […] Profumo di donna fu un film che piacque molto negli Stati Uniti. Certo, piacque a chi lo vide, cioè i soliti intellettuali. Tra noi e loro ci sono troppe differenze di mentalità perché si possa avere uno scambio felice. Noi apprezziamo i loro film perché sono di grande professionalità, ma loro fanno fatica a capire i nostri» (Gassman). Florilegio di premi per Vittorio Gassman: oltre la Palma a Cannes, David di Donatello, Nastro d’argento, Globo d’oro e Grolla d’oro.
Il restauro è stato curato dal CSC-Cineteca Nazionale e dall'Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con Dean Film, la scansione digitale a 4K realizzata presso l'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea
Si ringrazia Dean Film

giovedì 1 settembre
ore 20.30 Telefoni bianchi di Dino Risi (1976, 115’)
Cameriera presso un albergo del Lido di Venezia, la provinciale Marcella (Agostina Belli) sogna la celebrità cinematografica e trascura lo spasimante Roberto Trevisan (Cochi Ponzoni). Invitata a Roma da un certo Luciani (Maurizio Arena) della Littoria Film, nella capitale fascista trova la società fallita, il protettore latitante e, nuovo ganimede, il gerarchetto Bruno (Renato Pozzetto) che la confina nel bordello della madre. Grazie a un incontro con il Duce (Dino Baldazzi) e un passaggio nel letto di villa Torlonia, Marcella riesce ad approdare a Cinecittà dove viene, nonostante l'acerbità artistica, affiancata all'attore di regime Franco Denza (Vittorio Gassman). Mentre Roberto, disperato e sfortunato, vaga dalla guerra libica a quella in Spagna e, infine, nelle steppe nevose della Russia, Marcella trionfa con il nome d'arte di Alda Noris. La caduta del Duce e il saccheggio della ricca magione già condivisa con il semimpazzito Denza la costringono a viaggiare verso la natia Conegliano. Sposata da un comprensivo industriale (William Berger), madre di due figli, compie un viaggio in Ucraina per deporre un mazzo di fiori sulla tomba di Roberto che invece si è sposato e ha messo su famiglia.
Si ringrazia Dean Film

sabato 3 settembre
ore 20.30 Il professore, di Marco Ferreri episodio di Controsesso (1964, 29’)
Sceneggiato dal regista insieme a Rafael Azcona, Il professore è un capolavoro di psicopatologia e di umorismo nero, disturbante, perché ribalta la struttura tranquillizzante a episodi della commedia all’italiana degli anni Sessanta: un docente di mezza età (Ugo Tognazzi), che, per sorvegliare le studentesse, installa un gabinetto in classe diventando con ciò preda dei più vistosi turbamenti, era qualcosa d’impensabile per quei tempi. L’insegnante inoltre è un nostalgico del fascismo e le studentesse, come erroneamente si potrebbe pensare, non sono (quasi) mai belle: con quelle divise tutte uguali emanano ordine sociale ma nessun desiderio erotico, sembrano l’emanazione diretta delle istituzioni italiane infarcite ancora di eredità fascista. Lo stesso docente appare più una vittima che un mostro, preda di un voyeurismo soprattutto uditivo che è un ossimoro e che non trova mai un compimento sessuale. La modernità di Ferreri è anche quella di realizzare lunghe sequenze dominate dagli oggetti, preannunciando le tesi di Mario Perniola de Il sex-appeal dell’inorganico. Come ha scritto giustamente Emiliano Morreale: «l’alienazione di Antonioni diventa feticismo, la tragedia diventa grottesco, ma il sorriso si gela sulle labbra». E Tognazzi si conferma l’attore più sperimentale del cinema italiano.

a seguire La donna scimmia di Marco Ferreri (1964, 116’)
Un uomo (Tognazzi) e una donna (Girardot). Lei ha il corpo coperto di peli, lui la esibisce come freak nei baracconi e nelle piazze. Poi lei resta incinta. Parabola crudele, e a tratti perversamente tenera, sullo sfruttamento come fondamento delle relazioni umane. Il finale ebbe diverse varianti a seconda dell’edizione. Maria muore di parto poco dopo il bambino: i due cadaveri vengono imbalsamati ed esposti in un museo, ma Antonio, reclamati i corpi, decide di esporli in un baraccone da fiera: questo nell’explicit previsto (girato e montato) da Ferreri. Secondo il proposito del produttore Ponti, il film doveva invece fermarsi sulla morte (sacrificale) di madre e bambino. Un diverso epilogo conobbe la versione francese: la donna-scimmia perde i peli durante la gravidanza e dà alla luce un bambino normalmente glabro, condannando il marito a un lavoro onesto. Il restauro della Cineteca di Bologna e TF1 Studio in collaborazione con Surf Film presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata (Bologna, Parigi) ha recuperato e presenta i tre diversi finali.
«A Cannes fischiarono, urlarono, perché ai francesi Annie Girardot pelosa non piaceva, la trovavano di cattivo gusto. [...] Quando è uscito si diceva che era mal fatto. Che vuol dire che era mal fatto? È un dramma? È una commedia? Mah. Io non faccio distinzioni tra i generi: si ride, ci sono drammi che diventano commedie, commedie che diventano drammi» (Ferreri).
«II film fece abbastanza rumore all’epoca in cui uscì [...], ma non fu capito. Se qualcuno lo rivedesse oggi, lo troverebbe non solo normale, ma in più vi vedrebbe una piccola storia poetica senza alcuna traccia di scandalo» (Tognazzi).

giovedì 8 settembre
ore 20.30 Primo amore di Dino Risi (1978, 116’)
Ugo Cremonesi in arte Picchio (Ugo Tognazzi), vecchio comico di avanspettacolo, è ospite di villa Serena, una pensione per artisti. Aspetta la liquidazione per poter coronare la sua unica aspirazione: mettere insieme una compagnia. Nella casa di riposo incontra una bellissima e giovane inserviente (Ornella Muti) della quale si innamora. Giungono nel frattempo gli attesi milioni e, a sessant'anni con la sua bella Renata, parte per Milano allo scopo di realizzare il suo sogno. Grandi alberghi dove Renata è coperta di regali ma il successo è nullo. Con tale sperpero, è chiaro che il gruzzolo se ne vada e con esso anche l'amore di Renata. Ugo, più geloso che mai, quando scopre di essere tradito dà in escandescenze e finisce alla Neuro. Ne uscirà felice e smemorato per ritornarsene definitivamente all'ospizio.
«Nel film mi accadono cose che non si vorrebbe succedessero mai, nella vita. Un tipo di verifica che non può che risultare amaro. Ma una cosa è il film, e un’altra la vita… Se, girandolo, ho pensato a qualcosa di autobiografico? Non precisamente. Ma certamente mi sono ricordato di colleghi meno fortunati di me, e di tanti alti e bassi… Perché, oltretutto, io il varietà l’ho fatto davvero. E nel film rifaccio un’imitazione di Totò che presentavo quando avevo poco più di vent’anni e che, poi, non ho rifatto mai più. E faccio anche un altro numeretto – questo risale a più di trentacinque anni fa – che vidi fare da un fantasista che credo sia morto. Con questi ricordi, è riaffiorato un modo di esprimersi tipico del varietà, l’ingigantire le piccole cose, il darsi delle arie; tutto in una comicità di strafalcioni…» (Tognazzi).
Si ringraziano Dean Film e Titanus

sabato 10 settembre
ore 20.30 Caro papà di Dino Risi (1979, 107’)
Albino (Vittorio Gassman), ex partigiano ed ex uomo di sinistra, è divenuto uomo d’affari di un certo peso. Ha una villa a Ginevra dove vive con la moglie (Andrée Lachapelle) e un’altra a Roma che divide con il figlio Marco (Stefano Madia). Per caso, durante un suo soggiorno romano, trova il diario di Marco sul quale oltre ad appunti politici, frasi di Mao, Marx, Croce e Lenin, scopre che il figlio è immischiato in un gruppo di estremisti. Nelle ultime pagine si precisa che il giorno 12 dovrà essere giustiziato il Sig. “P.”. Cerca il figlio per avere da lui una spiegazione. È scomparso portandosi dietro anche il diario. Nessuno degli amici sa dove sia. Il giorno 12 Albino arriva a New York e in albergo gli viene consegnato un messaggio di Marco che lo esorta a non uscire dall’Hotel sino a mezzanotte. La “P.” del diario sta forse per Papà?
Tragicommedia sul rapporto padri e figli, destinati all’incomunicabilità perché gli uni ossessionati dal potere, gli altri dalla furia sanguinaria di una rivoluzione armata già persa in partenza. David di Donatello a Vittorio Gassman quale miglior attore.
Si ringraziano Dean Film e Titanus

giovedì 15 settembre
ore 20.30 La terrazza di Ettore Scola (1980, 150’)Nel corso di una sera mondana in una terrazza romana, si intrecciano le vite e le esperienze di diversi invitati, accomunati dall’età non più giovanissima e dal lavoro nella comunicazione. Enrico (Jean-Louis Trintignant) è uno sceneggiatore che, nonostante la moglie (Milena Vukotic) tenti di risollevarlo, versa in una crisi che lo porterà in una casa di cura. Amedeo (Ugo Tognazzi)
il produttore e, per scelta, finanzia solo film popolari di serie B; seguendo le velleità della moglie (Ombretta Colli), prova a dedicarsi a un’opera più ambiziosa, ma l’insuccesso lo farà tornare sui suoi passi. Luigi (Marcello Mastroianni), un giornalista lasciato dalla moglie (Carla Gravina), sconsolato si lascia andare fino a perdere anche il lavoro. Sergio (Reggiani), che sognava di diventare uno scrittore, si è accontentato di un piccolo lavoro in televisione, dove non viene stimolato e cede al peso della routine. Galeazzo (Benti), ormai anziano e deluso dalla sua patria e da quanti un tempo considerava amici, vuole smettere di fare l’attore e tornare in Venezuela, dove ha vissuto per un periodo in cerca di fortuna. Mario (Vittorio Gassman), ex partigiano, è diventato un deputato del partito comunista, ma vede naufragare giorno dopo giorno tutti gli ideali per i quali ha combattuto e, ormai in crisi, vive con leggerezza la storia d’amore con Giovanna (Stefania Sandrelli), lasciando che tra loro ci siano soltanto quei brevi incontri sulla terrazza nelle belle serate romane…
«È difficile perché, in fondo, non è un ruolo a me congeniale: il personaggio dovrebbe ispirare, Ettore me lo ha detto, molta tenerezza, e questo è un tipo di risultato che a volte mi è riuscito, ma sempre con enorme fatica, una fatica terribile. Comunque, incrocia con un momento giusto della mia vita e la mia idea sul mestiere è molto biologica: l’attore è uno che sfrutta le euforie e le sue crisi. Io sono in crisi da una ventina d’anni ed oggi in un momento particolarmente acuto: non so bene cosa voglio, dove voglio abitare, che mestiere voglio fare “da grande”, e tutto questo, forse si può travasare in una crisi che può avere l’identità anche di una crisi politica (io sono Mario, un deputato) ma che è soprattutto umana» (Gassman).
Uno dei capolavori di Ettore Scola, La terrazza, oltre che raccontarci dall’interno la fine di un mondo e di una società, annovera uno straordinario Ugo Tognazzi nella parte di un produttore cinematografico, ormai solo e sorpassato dai “tempi moderni”.
Si ringraziano Dean Film e Titanus

sabato 17 settembre
ore 20.30 Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976, 150’)
Il giovane Drogo (Jacques Perrin), appena nominato ufficiale, viene assegnato ad una fortezza ai margini di un immenso deserto. Da anni la guarnigione si prepara, tra pattugliamenti, addestramenti e discussioni, a un possibile attacco nemico. Anche Drogo entra in questo meccanismo: passano gli anni, arrivano le promozioni, i comandanti si avvicendano, ma la lunga snervante attesa non ha fine. Quando infine avverrà l'invasione, Drogo non sarà presente: vecchio e malato, viene trasferito verso l'interno, lontano dalla battaglia a cui si era preparato per tutta la vita.
Tratto dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati, liberamente adattato da André Brunelin e Jean-Louis Bertucelli, Il deserto dei tartari è l’ultimo film di Valerio Zurlini, l’unico non scritto da lui ma che gli appartiene non solo a livello stilistico (suoi i dialoghi italiani). Come Buzzati, anche Zurlini condivideva una sensazione esistenziale d’inutile attesa e una profonda malinconia. Non a caso una delle frasi che sintetizza meglio la Weltanschauung del cineasta era: «Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l’unica giustificazione». Cast strepitoso con una menzione particolare a Vittorio Gassman in uno dei suoi ruoli drammatici migliori, quello del Colonnello Conte Giovanbattista Filimore. Esterni meravigliosi girati in una fortezza abbandonata di Bam (Iran), splendidamente fotografati da Luciano Tovoli.
Si ringrazia Istituto Luce-Cinecittà

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