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“Il 14 marzo, al cinema Trevi, giornata omaggio dedicata a Fabio Garriba”
Centro Sperimentale di Cinematografia
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Nell'eterno gioco dialettico tra i due gemelli Fabio rivendica per sé quell'originalità, facendola risalire al suo saggio di diploma al Centro Sperimentale, I parenti tutti del 1967, altra variazione sul tema della morte (così come l'esercitazione di Mario Voce del verbo morire, a chiudere un ideale trittico): come avrebbe fatto due anni dopo Gino De Dominicis, Fabio Garriba fa stampare un necrologio in occasione della sua morte, duellando anche lui con l'immortalità. Fabio, studente di architettura, al primo anno era già arrivato alla corte di Le Corbusier, che, travolto dai suoi discorsi cinematografici (Pasolini lo inviterà a parlare da solo), gli segnala l'esistenza a Roma del Centro Sperimentale, dove Garriba entra "come caso eccezionale", non essendo ancora laureato. E come tale si comporta portando una vena di sana pazzia tra le mura del Centro, degno preludio a una breve, ma intensa, carriera da segretario di assistente-aiuto regista per Carmelo Bene (Capricci), De Sica (per l'episodio Il leone de Le coppie), Godard (Vento dell'est), Pasolini (Porcile) e Visconti (provini d'ammissione al Csc), prima di dedicarsi (purtroppo non definitivamente, solo per pochi anni) alla carriera di attore, con il suo inconfondibile volto («la faccia gemella, meno saggia e più tragica», rispetto a quella egualmente «straordinaria» di Mario, come scrisse affettuosamente Tatti Sanguineti), che avrebbe meritato sguardi più attenti, ma che oggi riecheggia prepotentemente nelle numerose particine che fuoriescono qua e là. Innumerevoli camei di un personaggio che portava con la nonchalance di un outsider la sua fama già postuma.
 
ore 17.30 Maschio femmina fiore frutto di Ruggero Miti (1979, 97')
«Forse lo zenith delle produzioni di Galliano Juso e trionfo assoluto della sua estetica trash-pugliese. Anna Oxa, nel suo unico film, si sdoppia in due gemelli, uno maschio, l'altro femmina, che arrivano a Roma da Bari e percorrono strade diverse, salvo poi finire entrambi a cantare come fossero una persona unica dal sesso ambiguo, come spiega appunto il titolo. Già questa partenza è micidiale, per non dire della costruzione dei due personaggi della Oxa e del femminismo alla romana modellato da Lidia Ravera, con la complicità del povero Enzo Ungari e di Gianni Barcelloni, che la cantante deve reggere sulle spalle. Il fatto è che i due gemelli, con tanto di accento pugliese, arrivano in una Roma anni '70 e fanno i soliti folli incontri da cinema sotto-bertolucciano come se fossero stati affidati a Juso per una vacanza premio. Certo, è anche per questo che si ama il film. Così si va da Carlo Monni che fa il guru alla toscana, grandissimo, a Massimo Boldi ancor giovane, a Ninetto Davoli tardo-hippy all'intellettuale di Mario [in realtà Fabio] Garriba (Dio mio!), a Jimmy il fenomeno fan della discomusic. Una bomba. Ho visto allora il film come qualcosa di irripetibile. Ruggero Miti ha poi supervisionato artisticamente la mega sitcom di Raitre Un posto al sole. Ma non ha mai più girato un capolavoro così» (Giusti).
 
ore 19.30 I parenti tutti di Fabio Garriba (1967, 18')
Un ragazzo immagina di essere morto e di sentire i commenti di familiari e amici. «"Mi sento un cadavere, devo far presto a seppellirmi altrimenti puzzo!". Da questa osservazione si è sviluppato in me il desiderio di assistere ai miei funerali: desiderio elementare che credo ognuno di noi abbia provato. Si trattava cioè di un mio bisogno personale di vedere morta e seppellita la mia infanzia, la mia adolescenza e chiudere così i rapporti con i familiari per poter resuscitare adulto. Tuttavia nel cortometraggio si crea un'ambiguità che porta a sospettare che il protagonista non sia morto. Questa ambiguità riflette la mia situazione reale. Oggi a un anno di distanza posso dire in sincerità che la cassa caricata sul carro funebre era vuota perché mi ritrovo con addosso ancora il mio cadavere alla ricerca di una fossa dove seppellirlo» (Fabio Garriba).
 
a seguire Mai visto un fiume? di Liu Fong Kong (1967, 10')
Un critico d'arte invita un giovane pittore di nature morte a rinnovarsi, a inventare un nuovo stile per conquistare soldi e fama. Il pittore segue la sua creatività e in due mesi si presenta al pubblico con opere astratte che riscuotono grande successo. Veste così i panni del pittore d'avanguardia, che risponde a tono e lancia frasi ad effetto. Al raffinato critico che lo incalza risponde come gli ha suggerito il suo mentore: «Hai mai visto un fiume?». Quando però questi è pronto a riscuotere i frutti dei suoi consigli, il pittore rivolge anche a lui la fatidica domanda, lasciandolo spiazzato. Con Fabio Garriba e Renato Scarpa.
 
a seguire Anni di Ustun Barista (1967, 10')
Tratto da Cesare Pavese. Un uomo e una donna trascorrono insieme un'ultima notte insieme prima di lasciarsi, a casa lei. Dormicchiano, si sfiorano, si allontano, parlano brevemente. La mattina dopo, l'uomo la offende, forse per sentirsi meglio, prepara il caffè e poi se ne va, senza una parola, in una Roma deserta.Con Fabio Garriba e Olimpia Carlisi. Fotografia di Renato Berta.
 
ore 20.30 Sequenza tratta dal programma Come mai
Fabio Garriba interpreta la parte di un regista che gira una pubblicità di un liquore all'interno del lungo servizio di Guido Blumir e Alberto Grifi dal titolo La politica dell'alcool.
Copia proveniente dalle Teche Rai
 
a seguire Ammazzare il tempo diMimmo Rafele (1979, 90')
Sara è una giornalista trentenne che vive sola in una città non sua. Ha come amante uno psicanalista che però un giorno non la lascia entrare, perché, come Sara scoprirà poi, è in compagnia di un'altra. È l'inizio di un triangolo tra un uomo apparentemente tranquillo, una ragazza che si droga e la giornalista, incuriosita dal comportamento libero della sconosciuta e dal rapporto che intrattiene con Igor, lo psicanalista. «"Siamo veramente una generazione disperata: abbiamo 25 anni, 27, 30 e siamo disposti a fingerne 50 pur di non avere la nostra età. O imitiamo i vecchi o imitiamo i ragazzini. Ma è proprio tanto una colpa avere 30 anni? Voglio dire: è impossibile portarseli addosso con quello che significano?". Così dice Sara, protagonista del romanzo di Lidia Ravera da cui il film è tratto. È da qui, […] che parte il film, cercando di cogliere il delicato e doloroso passaggio dall'adolescenza all'età adulta, quasi una linea d'ombra che, per la generazione che ha oggi trent'anni, corrisponde anche al crollo delle "speranze rivoluzionarie". Questo doppio invecchiamento, biologico e storico, viene messo a fuoco oltre che su Sara, la protagonista, anche su altri personaggi, anch'essi, in diversa misura, testimoni e vittime di questa lacerante condizione. […] Contrapposti a questi personaggi, quasi come uno specchio che deforma talmente da rendere indistinguibile l'immagine che riflette, stanno gli adolescenti di oggi, polo dialettico del romanzo e del film» (Rafele). Con Stefania Casini, Paola Morra, Flavio Bucci, Fabio Garriba, Angelo Infanti. Sceneggiatura di Ravera, Rafele ed Enzo Ungari.
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