Vittorio Storaro: scrivere con la luce
21 Aprile 2013 - 28 Aprile 2013
«Nato a Roma il 24 Giugno 1940 e figlio dell’operatore di proiezione della Lux Film, venni spinto dal desiderio paterno di frequentare l’Istituto Tecnico Fotografico “Duca d’Aosta” negli anni 1951-1956. Impossibilitato a frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, data la giovane età, mi iscrissi ai corsi di perfezionamento professionale negli anni 1956/58 presso il C.I.A.C. diplomandomi Assistente e Cineoperatore del Colore, pur continuando l’attività lavorativa di laboratorio fotografico. […] Finalmente nel 1958 la giuria del concorso d’ammissione del Centro Sperimentale, classificandomi al primo posto, mi ammise a frequentare il biennio di Cinematografia pur non avendo raggiunta l’età richiesta dal bando di concorso. […] Iniziò, tramite alcuni cortometraggi, a farsi luce in me il desiderio di “Foto-grafare” nel Cinema, tentare cioè in modo personale di “scrivere con la luce”; così, mentre continuavo ufficialmente l’attività di operatore, sperimentavo me stesso tra una Luce e un’Ombra, tra una Tonalità e un Colore. Il momento tanto inconsciamente sognato, tanto coscientemente preparato, mi arrivò sulla testa con una telefonata in un tardo mattino del 1968. Il regista Franco Rossi, proprio al seguito della visione del cortometraggio Rapporto segreto [di Camillo Bazzoni, n.d.r.], mi chiamò al suo fianco per ideare e dirigere la Foto-grafia di Giovinezza, giovinezza. […] Al richiamo di collaborazione con Bertolucci, risposi come a un appuntamento predestinato nel tempo. Iniziai al suo fianco un lungo sodalizio che mi dette modo di sviluppare, ampliare, maturare, quei concetti allora appena accennati in me e che divennero in seguito dei punti fermi del percorso Cinematografico della mia vita. Con Strategia del ragno nacque, crescendo al massimo della sua espressione nel Conformista, l’accostamento a una lunghezza d’onda luministica molto precisa: quella parte della nostra anima che si contraddistingue con la parola Azzurro. […] Poi un colore, una vibrazione elettromagnetica, che rappresenta un lato molto preciso del mio carattere: la passione, una contrapposizione ben distinta con l’altra parte raziocinante di me stesso, che si rivelerà in tutta la sua ampiezza in Ultimo tango a Parigi, tramite una tonalità dello spettro cromatico, un’emozione della vita, che si dice: Arancio. […] Novecento e ancor più Apocalypse Now, chiudendo su di me un capitolo di Innocenza, furono poi la logica conclusione di un periodo di vita vissuto sulla volontà di conoscere la Luce, particolarmente Naturale. […] L’ultimo imperatore fu la possibilità di visualizzare il viaggio in seno alla Vita con il viaggio in seno alla Luce. Come la luce bianca poteva rappresentare la vita del protagonista, così le varie età di Pu Yi potevano essere rappresentate con le varie Età dei colori. In realtà, un periodo personale di vita espressiva che si andava a completare per me nel viaggio all’interno della Luce, iniziato con la Simbologia dei colori nel film La luna, proseguito attraverso la Fisiologia dei colori nel film Un sogno lungo un giorno, completato con le Età dei colori nel film L’ultimo imperatore. Era giunto il tempo di fermarsi di nuovo, scavare ancora la terra intorno alle proprie radici, ripartire da un nuovo studio, per poter approfondire una nuova fase di vita espressiva e personale» (Storaro).
Il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale rende omaggio a uno dei suoi più illustri allievi, Vittorio Storaro, maestro della luce conosciuto e apprezzato in tutto il mondo (tre premi Oscar: 1980 Apocalypse Now, 1982 Reds e 1988 L’ultimo imperatore, in una carriera costellata di premi e riconoscimenti). La retrospettiva ripercorre le tappe salienti della sua lunga carriera: un viaggio nel cromatismo della fotografia cinematografica, che lo stesso Storaro approfondirà nel corso di due incontri e di un seminario su Caravaggio.
domenica 21
ore 17.00
Giovinezza giovinezza (1969)
Regia: Franco Rossi; soggetto: dal romanzo omonimo di Luigi Preti; sceneggiatura: Vittorio Bonicelli, F. Rossi; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia e costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; musica: Piero Piccioni; montaggio: Giorgio Serrallonga; interpreti: Alain Noury, Roberto Lande, Leonard Mann, Kathia Moguy, Olimpia Carlisi, Antonio Centa; origine: Italia; produzione: Daniel Film; durata: 108′
Le vite di tre ragazzi di Ferrara, amici dai tempi dell’infanzia, si dividono negli anni del fascismo. «Un bellissimo film. A quelli che hanno passato i quarant’anni ricorderà la giovinezza piena di amarezza, di contraddizioni, di dolorose attese, di speranze non di rado deluse, a quelli che hanno oggi vent’anni dirà, con equilibrio e civiltà, di un’epoca di cui hanno inteso parlare o troppo bene o troppo male e che oggi trova finalmente in Franco Rossi, sulle orme di un solido romanzo dell’on. Preti, il suo primo poeta». «Ebbi così modo, per la prima volta, di esprimermi completamente nell’arco di una storia tramite la Luce, inserendo in questo Film tutti quei concetti fotografici che mi erano, sono e saranno propri, trasferendo su uno schermo la visione Cinematografica che più mi apparteneva, come una individuale impronta digitale. Fu una grande emozione, come un primo amore. Ricordo ancora la concentrazione giornaliera nel cercare di assaporare ogni singolo momento di quell’esperienza, consapevole sin d’allora che non sarebbe stata più ripetibile; per quanti altri Film avrei potuto fare nel corso della mia vita, nessuno sarebbe stato come la “prima emozione”. Il tutto fu come una rivelazione e una perdita di Innocenza» (Storaro).
ore 19.00
Addio fratello crudele (1971)
Regia: Giuseppe Patroni Griffi; soggetto: dalla tragedia Peccato che sia una puttana di John Ford; sceneggiatura: Alfio Valdarnini, Carlo Carunchio, G. Patroni Griffi; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Gianfranco Ceroli; costumi: Gabriella Pescucci; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Charlotte Rampling, Olivier Tobias, Fabio Testi, Antonio Falsi, Rick Battaglia, Angela Luce; origine: Italia; produzione: Clesi Cinematografica; durata: 111′
«Giovanni e Annabella sono fratello e sorella, ma nonostante ciò si amano. È un amore passionale ma disperato. Giovanni si confida con un frate che lo obbliga a ripensarci. Questi gli prefigura peccato e sventure. Ma l’amore dei due è troppo forte, si confessano l’uno all’altra, si giurano eterno amore e consumano la loro passione. Quando però Annabella rimane incinta il frate, su consiglio del cardinale, provvede a che Annabella almeno copra la colpa sposando il nobile Soranzo che già l’aveva richiesta e che era stato respinto» (Arcagni). «Ho amato molto il teatro elisabettiano e Addio fratello crudele è un omaggio a questa mia passione. Mi ha ispirato […] un testo teatrale di Ford, Peccato che sia una puttana. Credo che Addio fratello crudele costituisca una specie di tragedia moderna rielaborata da quel testo, di cui ho preso solo alcuni personaggi, che ho amato moltissimo. È la storia di quattro ragazzi, cui ho cercato di dare spessore, dignità e importanza» (Patroni Griffi). «Mi venne in mente tutta la pittura rinascimentale che potevo conoscere in quell’epoca, alcuni dipinti di Sandro Botticelli e particolarmente Andrea Mantegna che il regista mi portò a vedere durante un sopralluogo al castello di Mantova. L’idea che Peppino amava a trasmettere a me, a Mario Ceroli che si occupava della Scenografia e a Gabriella Pascucci che si occupava dei Costumi, era di realizzare un’opera visiva non duplicando o ricostruendo ciò che vedevamo nei dipinti di quel periodo storico, ma assorbendo ognuno quel tipo di atmosfera e di vita, riproponendola poi da noi interpretata, come se si svolgesse in quel periodo storico, in quegli ambienti, con quei costumi, con quelle luci, che normalmente avrebbero potuto far parte dell’epoca di quella particolare storia» (Storaro).
ore 21.00
Incontro moderato da Aldo Piro con Vittorio Storaro
a seguire
Il conformista (1970)
Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: B. Bertolucci, Franco Arcalli; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Ferdinando Scarfiotti; costumi: Gitt Magrini; musica: Géorges Delerue; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Pierre Clémenti, Gastone Moschin, José Quaglio; origine: Italia/Germania/Francia; produzione: Mars Film, Marianne Productions, Maran Film; durata: 113′
Il professor Marcello Clerici viene incaricato dalla polizia segreta fascista di eliminare a Parigi, dove deve recarsi in viaggio di nozze, il suo ex professore di filosofia, Quadri. Si invaghisce della moglie di Quadri e questo rende più difficile e tormentata la sua missione… «Il conformista è un film sul passato; io non ho conosciuto gli anni ’30, quindi l’unica memoria che ne ho viene da tutto il cinema di quell’epoca: Renoir, Sternberg, Ophüls, ecc.» (Bertolucci). «Ha preso il partito di suggerire i sommovimenti dell’epoca attraverso piccoli atti quotidiani, così come ha scelto un’angolatura da feuilleton cinematografico anni ’30 per stigmatizzare i suoi sicari da operetta. Ma, d’un tratto, la sua voce si incrina. Le notazioni vanno crescendo fino al doppio assassinio nella foresta, scena atroce dove il fascismo appare a viso scoperto. Così si trovano riuniti nella stessa condanna un regime e uno stile di vita: il fascismo e la spensierata società che ne ha fatto da precursore» (Gilles Jacob).«Anche se avevo guardato, particolarmente per la prima parte del film, ai dipinti Piazze d’Italia di Giorgio De Chirico, ai ritratti di Tamara de Lempicka, i miei occhi, specialmente per la parte parigina della storia, erano ormai pregni del colore del Pensiero, dell’Azzurro della libertà espressiva. […] La realtà degli ambienti interni in cui vive il protagonista, l’irrealtà degli ambienti esterni che si affacciano da questi interni, tendono solo a mostrare una realtà inesistente, alterano la visione dell’insieme, rappresentano l’occultamento di una parte di verità che egli tenta di vivere, non solo come visione individuale, ma come totale espressione politica del momento» (Storaro).
Ingresso gratuito
lunedì 22
chiuso
martedì 23
ore 17.00
Orlando furioso (1973)
Regia: Luca Ronconi; soggetto: tratto dal poema di Ludovico Ariosto; sceneggiatura: Edoardo Sanguineti, L. Ronconi; fotografia: Vittorio Storaro, Arturo Zavattini; scenografia e costumi: Pier Luigi Pizzi; musica: Giancarlo Chiaramello; montaggio: Pino Giomini; interpreti: Massimo Foschi, Mariangela Melato, Ottavia Piccolo, Sergio Nicolai, Giacomo Piperno, Carlo Valli; origine: Italia; produzione: N.O.C. Cinematografica, Rai; durata: 137′
«Da uno spettacolo che era una tumultuosa festa popolare, oltre che un’esibizione di teatranti scatenati, Ronconi ha cavato un audiovisivo che per alcuni versi è di segno opposto alla versione teatrale, pur conservandone la coniugazione di ironia e straniamento, la rottura delle tradizionali logiche espositive e narrative, l’audacia delle sperimentazioni registiche. Il fantastico vagabondaggio dei personaggi ariosteschi è chiuso in saloni, scale, soffitte e cortili del Palazzo Farnese di Caprarola (VT) o, in misura minore, delle Terme di Caracalla, trasformati in un arsenale di macchine, sorprese scenotecniche, carrelli invisibili che trasportano gli attori. Tra le due tendenze primigenie del cinema – la realistica (Lumière) e la fantastica (Méliès) – Ronconi ha scelto la seconda, in coerenza con l’Ariosto e la propria poetica» (Morandini). «Gli innumerevoli protagonisti del poema si spostano, si librano, si mutano costantemente in un continuo movimento spaziale e luminoso che li nasconde e li rivela in una mobilità di trasporto che sembra non più appartenere alla loro coscienza corporale; i personaggi non si muovono infatti per loro volontà ma sono mossi, trasportati, dalla volontà di un congegno figurativo marionettistico da rappresentazione. La realtà e la fantasia, il Teatro e il Cinema vedono luci, odono suoni, declamano versi, in un duetto insolitamente univoco» (Storaro).
ore 19.15
Le orme (1975)
Regia: Luigi Bazzoni; soggetto: dal racconto Las Huellas di Mario Fenelli; sceneggiatura: M.Fenelli, L. Bazzoni; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia e costumi: Pier Luigi Pizzi; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Florinda Bolkan, Peter Mc Enery, Nicoletta Elmi, Caterina Boratto, Klaus Kinski, Lila Kedrova; origine: Italia; produzione: Cinemarte; durata: 96′
«Sconvolta da una trasmissione di esperimenti svolti su una cavia umana (un astronauta), Alice vive una doppia vita: quella di donna normale e quella inconscia, che le è rivelata da altre persone» (Poppi-Pecorari). «Una finezza estenuata e compiaciuta della sua stessa eleganza, una vocazione figurativa di notevole respiro – le immagini di Storaro hanno sovente splendidi e protervi trasalimenti pieni di languore, a ribadire il talento d’uno dei più sottili fra i nostri direttori della fotografia – un traliccio che sembra tirare, inizialmente, al misteriosamente fantascientifico, con echi di attonita ambiguità che non sarebbero dispiaciuti al Resnais di un tempo e che si rivelano poi diaframmi cifrati, ma decifrabilissimi, di una dominante malattia mentale» (Claudio G. Fava). «È da lungo tempo che la memoria di Alice porta scritto, ancora in modo indelebile, il ricordo del film di Fantascienza che l’ha così particolarmente segnata: con la sua glacialità di immagini ad alto contrasto, con la sua gamma di colore a bassa frequenza completamente Blu. È da sempre, che il pensiero di Alice vive in uno statico Presente di un Mattino Monocolore, Monocromatico, in cui le luci molto tagliate, le zone d’Ombra di densità profonda, sono senza alternativa tra loro, senza alcuna possibilità di unione, senza alcuna apertura di Penombra» (Storaro).
ore 21.15
Ultimo tango a Parigi (1972)
Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto: B. Bertolucci; sceneggiatura: B. Bertolucci, Franco Arcalli; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Maria Paola Maino, Philippe Turlure; costumi: Gitt Magrini; musica: Gato Barbieri; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo Girotti, Maria Michi, Giovanna Galletti; origine: Italia; produzione: P.E.A., Les Productions Artistes Associés; durata: 129′
Un uomo di mezz’età e una ragazza si incontrano casualmente in un appartamento in affitto, che farà da scenario a travolgente relazione sessuale e, in controluce, umana. «Ero partito per fare un film su una coppia, ma invece ho fatto un film su due solitudini. Esattamente nel momento in cui Maria sorpassa Marlon per strada e si volta a guardarlo, ho compreso che ciascuno dei due era condannato alla solitudine» (Bertolucci). «La prima di Ultimo Tango a Parigi […] ha avuto luogo in chiusura del New York Film Festival, il 14 ottobre 1972. Questa data dovrebbe diventare una pietra miliare nella storia del cinema […]. Questo dev’essere il più potente film erotico mai realizzato, e potrebbe diventare anche il film più liberatorio che ci sia […]. Ho cercato di descrivere l’impatto di un film che ha lasciato in me l’impressione più forte in quasi vent’anni di carriera. Questa è una pellicola di cui la gente continuerà a dibattere, credo, finché esisteranno i film» (Pauline Kael). Un film imperdibile che ha riscritto la storia del cinema (e della censura…). «È un nuovo incontro con la città di Parigi, lasciata imbevuta di Ombre Azzurre, ritrovata in un mattino assetato di Luci Arancio. Un’innumerevole entità di energia artificiale è sparsa all’interno di ogni palazzo, di ogni negozio, in ogni strada e piazza, tanto da rendere la città “vestita di Luce”. Queste vibrazioni ad alta lunghezza d’onda, in contrasto con la bassa luminosità delle luci dell’Inverno, rivelano ancor più evidentemente la differenza della temperatura di colore che le forma e le distingue. L’incontro è emozionante come una rivelazione, ha il peso di una nuova scoperta: le emissioni energetiche/luminose del colore Arancio» (Storaro).
mercoledì 24
ore 16.30
Giordano Bruno (1973)
Regia: Giuliano Montaldo; aiuto regia: Vera Pescarolo; soggetto e sceneggiatura: Piergiovanni Anchisi, Lucio De Carlo, G. Montaldo; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Sergio Canevari; costumi: Enrico Sabbatini; musica: Ennio Morricone; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Gian Maria Volonté, Charlotte Rampling, Hans Christian Blech, Mark Burns, Renato Scarpa, Massimo Foschi; origine: Italia/Francia; produzione: CCC, Les Films Concordia; durata: 120′
Gli ultimi anni di vita di Giordano Bruno fra Venezia e Roma, idee di libertà e torture, il cosmo e l’inquisizione, l’ascesa e la caduta. Grande prova, come sempre, di Volonté. «Il suo apporto fu straordinario. Fu lui, ad esempio, a risolvere il problema di “come” far parlare Bruno. Ce lo chiedemmo insieme: ma Giordano Bruno, intellettuale del Cinquecento, nativo di Nola, come parlava? Provammo a leggere le battute in un italiano pulito, e avevano una rigidità insopportabile. Lui ebbe l’idea di “sporcarle” di napoletano, un napoletano elegante, colto, ed era perfetto. Del resto, Vanzetti lo fece in piemontese. Era un mostro nel riprodurre i dialetti» (Montaldo). «La filosofia come pensiero individuale che si innalza verso intuizioni di vita; la vita come percorso tra gli uomini; una parte del tempo da doversi comunque percorrere, anche nostro malgrado, sono il conflitto centrato nella e sulla testa di un Bruno diviso e unito tra Pensiero e Azione, tra Luce e Ombra, tra elemento Naturale ed elemento Intellettuale, tra Innocenza e Consapevolezza. L’esperienza figurativa del Passato Rinascimento, l’ingresso nel Presente Barocco, la Futura visione prospettica nell’utilizzazione dell’Ombra in opposizione e in armonia alla Luce, sono ben radicate nell’immaginario che lo accompagna nel suo cammino, nell’ascesa dei gradini della sua espiazione» (Storaro).
ore 18.45
Malizia (1973)
Regia: Salvatore Samperi; soggetto: S. Samperi; sceneggiatura: Ottavio Jemma, S. Samperi, Alessandro Parenzo; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia e costumi: Ezio Altieri; musica: Fred Bongusto; montaggio: Sergio Montanari; interpreti: Laura Antonelli, Turi Ferro, Alessandro Momo, Gianluigi Chirizzi, Tina Aumont, Angela Luce; origine: Italia; produzione: Clesi Cinematografica; durata: 99′
Malizia rappresenta l’abbandono da parte di Samperi dei temi della contestazione, per seguire in modo realistico e accurato gli amori di un adolescente con la propria futura matrigna all’interno della provincia, set ideale di tante commedie all’italiana del bel tempo che fu. «La cornice di Luce, stranamente invernale in un Sud d’Italia normalmente più estivo, raccoglie un’immagine dipinta da un conflitto generazionale che distingue le differenti età di un padre e di un figlio, colti nell’antico tentativo di conquista di una nuova compagna. […] La storia è infatti illuminata da una luce selettiva di un Sole caldo al suo tramonto e carico di tutti i suoi toni Arancio, che incontra la luce avvolgente di una Luna fredda alla sua nascita e carica di tutti i suoi toni Azzurri, due Luci e Colori che si guardano tra loro riconoscendo ognuno nell’altro il proprio naturale opposto, il proprio naturale completamento» (Storaro).
ore 20.30
Apocalypse Now Redux (1979)
VERSIONE ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IT.
Regia: Francis Ford Coppola; soggetto: liberamente tratto dal romanzo Heart of Darkness di Joseph Conrad; sceneggiatura: F. F. Coppola, John Milius; fotografia: Vittorio Storaro; musica: Carmine Coppola, F. F. Coppola, Mickey Hart; scenografia: Dean Tavoularis; costumi: Charles E. James; montaggio: Lisa Fruchtman, Gerald B. Greenberg, Richard Marks, Walter Murch; interpreti: Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Frederic Forrest, Albert Hall, Dennis Hopper; origine: Usa; produzione: Zoetrope Studios; durata: 197′
«A Saigon il cap. Willard dei servizi speciali riceve l’ordine di risalire un fiume della Cambogia, raggiungere il colonnello Kurtz, che sta combattendo una sua feroce guerra personale, ed eliminarlo. Ispirato a Cuore di tenebra (1902) di Joseph Conrad, sceneggiato da J. Milius, splendidamente fotografato da V. Storaro, è il più visionario e sovreccitato film sul Vietnam, trasformato in mito. Delirante, eccessivo, diseguale, ricco di sequenze straordinarie, assai discusso e talvolta estetizzante nel suo ostentato brio stilistico, nella sua spropositata ambizione di grandiosa complessità. È una riflessione amara, forse disperata, sull’imperialismo USA, erede del colonialismo europeo, sulla follia omicida della civiltà occidentale, sul legno storto dell’umanità. Palma d’oro a Cannes, ex aequo con Il tamburo di latta. 2 Oscar: Vittorio Storaro (fot.) e Walter Murch (suono)» (Morandini). «Apocalypse Now vissuto non come un film, ma come un’esperienza fondamentale di vita. L’opera era talmente gigantesca da perdercisi ancor prima di cominciare a idearla. Temevo che con la sola esperienza artigianale del cinema italiano cui ero stato educato, di non essere giusto al livello di cinema internazionale che il film richiedeva. Il concetto di Joseph Conrad in Cuore di tenebra mi dette l’idea figurativa di tutta l’opera: la sovrapposizione di una cultura su un’altra cultura, visualizzata nelle sovrapposizione dell’energia artificiale sull’energia naturale» (Storaro).
Ingresso gratuito
giovedì 25
ore 17.00
Novecento Atto I (1976)
Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto e sceneggiatura: B. Bertolucci, Franco Arcalli, Giuseppe Bertolucci; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Gianni Quaranta, Ezio Frigerio; costumi: Gitt Magrini; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Burt Lancaster, Donald Sutherland, Robert De Niro, Gérard Dépardieu, Alida Valli, Sterling Hayden; origine: Italia/Francia; produzione: P.E.A., Les Productions Associées; durata: 315′
Cinquanta di storia italiana dall’inizio del Novecento alla Liberazione in una corte della Bassa attraverso le vicende parallele di Olmo, figlio di mezzadri, e Alfredo, figlio del padrone e suo successore. «Mentre giravo Novecento tutto cambiava lentamente: il paesaggio, le stagioni, gli attori, la troupe, la mia faccia. La vita andava avanti e il film continuava come se non avesse mai dovuto fermarsi. Dopo un anno di riprese, vivere e filmare erano diventati una cosa sola e io, senza rendermene conto, non desideravo più che il film finisse» (Bertolucci). «Novecento, se non ci inganniamo, prefigura assai bene per Bertolucci un futuro in cui il rigore ideologico non viene meno ma si stempera in un lirismo esistenzialiggiante, il concetto si fa sentimento e quel recupero della cultura nazional-popolare che gli sta a cuore agisce più da lievito poetico che politico. A Cannes qualcuno oggi dice che Bertolucci è l’unico grande erede di Luchino Visconti. Se fosse vero, per qualche aspetto lo avrebbe già superato» (Grazzini). «Novecento narra il ciclo di un secolo della vita italiana e si rappresenta visivamente attraverso il ciclo delle quattro stagioni: Primavera, Estate, Autunno, Inverno. La primavera dell’ultimo dopoguerra vista come il presente desaturato cromaticamente, dove tutto è esasperatamente o bianco o nero. Il passato remoto come le estati della nostra vita, innocentemente e violentemente colorate con: albe rosse – distese di grano arancio – il sole giallo – l’erba verde – le sere azzurre – l’imbrunire indaco – le notti violette. Il passato prossimo, con i colori dell’autunno – della terra – dell’inverno spento di luci e in quasi costante monocromatismo» (Storaro).
Incontri con la cinematografia
Cinematografia, meglio ancora, nel termine inglese, Cinematography, indica nel modo più corretto il concetto, e la pratica, fondamentali nella realizzazione di un film, della fotografia cinematografica, della creazione delle immagini, della loro “illuminazione”. Ed è, appunto, dedicata alla Cinematografia, all’arte della luce che dà senso e spessore a un’opera filmica, che ne disegna ambienti e personaggi, una serie di incontri fra la critica cinematografica (spesso dimentica di questo formidabile strumento) rappresentata da alcuni autorevoli membri del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Romano, e gli autori della fotografia, i creatori e gli artisti della luce cinematografica, dell’AIC, l’associazione di categoria che li riunisce e che li rappresenta nel mondo dello spettacolo.
Ogni incontro (che avrà cadenza mensile) un film, commentato da entrambi secondo le proprie specifiche competenze e la propria professionalità. Ogni incontro un confronto fra queste due anime del mestiere del cinema, quella speculativa e quella fattiva, quella che osserva e analizza e quella che realizza l’opera, molte volte un’opera d’arte. Personaggi del calibro di Vittorio Storaro, più volte premio Oscar, indimenticato collaboratore delle opere più struggenti e suggestive di Bernardo Bertolucci, con un film del quale, Novecento, si alza il sipario sulla kermesse, Ennio Guarnieri, Luciano Tovoli, Beppe Lanci, Daniele Nannuzzi, Giuseppe Pinori, Roberto Girometti e altri, si alterneranno, nell’analisi tecnica e poetica dei loro film, a critici e storici del cinema, quali Bruno Torri, Cristiana Paternò, Piero Spila, oltre ai jeune turcs di ultima generazione. Per capire, cercare di penetrare a fondo, riuscire a interpretare e provare ad assimilare qualche segreto in più di quella magia della luce che tutti chiamiamo da più di un secolo Cinematografo.
Rassegna organizzata da Cineteca Nazionale, AIC, SNCCI
ore 20.30
Incontro con Vittorio Storaro e Bruno Torri
a seguire
Novecento Atto II di Bernardo Bertolucci (1976, 154′)
Ingresso gratuito
venerdì 26
ore 16.30
Ladyhawke (1985)
Regia: Richard Donner; soggetto: Edward Khmara; sceneggiatura: E. Khmara, Tom Mankiewicz, Michael Thomas, David Webb Peoples; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Wolf Kroeger; costumi: Nanà Cecchi; musica: Andrew Powell; montaggio: Stuart Baird; interpreti: Matthew Broderick, Michelle Pfeiffer, Rutger Hauer, Leo McKern, John Wood, Ken Hutchison; origine: Usa; produzione: 20th Century Fox, Warner Bros.; durata: 121′
«In un borgo fortificato del Medio Evo francese, ha la sua corte un vescovo-signore. Ma è un uomo dall’animo malvagio e corrotto. Invaghitosi di Isabella d’Angiò, la fidanzata del capo delle guardie – Etienne Navarre – colpisce la giovane e bella coppia con la sua maledizione. Così Etienne è condannato ad andarsene ramingo ed ogni notte a trasformarsi in lupo, mentre la donna lo segue: ma sarà tale solo di notte anche lei, mentre di giorno non è che un falco, aggrappato al pugno dell’amato. Durante una delle sue malinconiche peregrinazioni, il cavaliere incontra Philippe (detto “il topo”), un ladruncolo evaso dalle segrete del castello vescovile e lo salva dagli armigeri, che cercano lui e Etienne stesso con il suo prezioso falcone. Il ragazzo gli si affeziona, viaggia con lui ed un giorno accompagna Isabella dal monaco Imperius, perché il falcone è stato ferito da una freccia e solo il monaco, ubriacone, mezzo mago ma saggio e che vive isolato tra i ruderi di un antico maniero, può salvarla dalla morte. lmperius riesce nell’intento. Philippe, che volta a volta è stato spettatore delle due trasformazioni, riesce anche a salvare Etienne, una notte in cui il lupo sta per affogare in mezzo al ghiaccio» (www.cinematografo.it). «Una storia su un amore impossibile tra due amanti, ostacolati da una maledizione che li costringeva a una modifica del loro corpo, e li legava ai loro simboli celesti. L’Uomo viveva di Giorno in simbiosi con il Sole, mentre la donna veniva trasformata in un Falco.
La Donna viveva di Notte in simbiosi con la Luna mentre l’Uomo veniva trasformato in un Lupo: condannati a essere sempre insieme eppure eternamente separati. Sino però a un particolare momento stellare, un destino che avrebbe potuto farli reincontrare nei loro giusti corpi di Uomo e di Donna quando insieme nei cieli, uniti nei loro simboli, il Sole e la Luna, si fossero abbracciati in una Eclisse. Preparai per il regista una visualizzazione del progetto attraverso la pittura rinascimentale e pre-Raffaellita. Particolarmente utilizzando i dipinti di San Giorgio e il Drago di Vittore Carpaccio e i bellissimi ritratti femminili di Dante Gabriel Rossetti» (Storaro).
ore 18.45
Un sogno lungo un giorno (1982)
Regia: Francis Ford Coppola; soggetto: Armyan Bernstein; sceneggiatura: A. Bernstein, F. F. Coppola, con la collaborazione ai dialoghi di Luana Anders; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Dean Tavoularis; costumi: Ruth Morley; musica: Tom Waits, Teddy Edwards; interpreti: Frederic Forrest, Teri Garr, Raul Julia, Nastassja Kinski, Lainie Kazan, Harry Dean Stanton; origine: Usa; produzione: Zoetrope Studios; durata: 107′
«Il “sogno” di una coppia di Las Vegas che, durante la notte del 4 luglio (il giorno dell’indipendenza americana), si concretizza in due scappatelle sentimentali reciproche. Il film, costato 26 milioni di dollari, si è rivelato una catastrofe al botteghino. Coppola ha realizzato il film con l’elettronica del mezzo televisivo e Storaro si è sbizzarrito nella fotografia. Ma la favola-musical pretesto per un gioco di tecnica non ha convinto la critica» (Morandini). «Una storia ambientata nella città della Luce, Las Vegas, ideata sul concetto della “Fisiologia dei colori”; una città che accende una enorme quantità di Luce Artificiale per poter ripristinare nell’essere umano quella energia luminosa che normalmente lo irradia durante il giorno. Un’Energia che lo spinge fisiologicamente verso un’attività corporale, nella città del gioco, a “giocare” continuamente anche quando la emissione naturale, energetica del Sole, va a tramontare. Una storia che visualmente mi aiutarono a realizzare i vari dipinti su celluloide creati dai disegnatori-pittori della Walt Disney. Certamente sin dal primo animato cinematograficamente, quegli artisti si resero conto che le loro immagini dovevano rappresentarsi in modo molto semplice, primitivo, per dare alla mente dei loro piccoli spettatori quelle emozioni primarie che attraverso il segno, ma specialmente attraverso i colori, riuscivano a convogliare nelle giovani mente la comprensione emotiva delle storie che andavano visualizzando» (Storaro).
ore 20.45
Reds (1982)
VERSIONE ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IT.
Regia: Warren Beatty; soggetto e sceneggiatura: Trevor Griffiths, W. Beatty, [non accreditati Peter S. Feibleman, Elaine May, Jeremy Pikser; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Richard Sylbert; costumi: Shirley Russell; musica: Dave Grusin, Stephen Sondheim; montaggio: Dede Allen, Craig McKay; interpreti: W. Beatty, Diane Keaton, Edward Herrmann, Jerzy Kosinski, Jack Nicholson, Maureen Stapleton; origine: Usa; produzione: Paramount Pictures, Jrs Productions, Barclays Mercantile Industrial Finance; durata: 195′
«Gli ultimi anni di John Reed (1887-1920), giornalista americano socialista che, dopo una tempestosa relazione con Louise Bryant, parte con lei per Pietroburgo dove sta per scoppiare la rivoluzione. Scriverà I dieci giorni che sconvolsero il mondo (1919). Uno dei pochi film hollywoodiani dove gli intellettuali sono raccontati con simpatia, e l’unico che ha per protagonista un comunista rispettabile e sensibile. Un po’ squilibrato nel rapporto tra privato e pubblico, tra sentimenti e idee, ma con vigorose pagine specialmente nella parte finale in Russia. 12 nomination e 3 premi Oscar (regia, fotografia di V. Storaro e M. Stapleton attrice non protagonista nella parte di Emma Goldman)» (Morandini). «Continuavo a tenere avanti agli occhi alcune immagini pittoriche di Reginald March per tentare di mantenere quell’atmosfera d’epoca di New York che, pur girando in uno studio a Londra, tentavo di ricostruire» (Storaro).
Ingresso gratuito
sabato 27
ore 17.00
Tosca – Nei luoghi e nelle ore di Tosca di Giuseppe Patroni Griffi (1992, 115′)
Evento in collaborazione con Prix Italia – Ingresso gratuito
ore 19.00
Tango(1998)
Regia: Carlos Saura; soggetto: Juan C. Codazzi; sceneggiatura: C. Saura; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Emilio Basaldua; costumi: Beatriz De Benedetto; musica: Lalo Schifrin; montaggio: Julia Juaniz; interpreti: Cecilia Narova, Miguel Angel Solá, Mía Maestro, Juan Carlos Copes, Carlos Rivarola, Mabel Pessen; origine: Argentina/Spagna; produzione: Adela Pictures, Alma Ata International Pictures, Argentina Sono Film S.A.C.I., Astrolabio Producciones, Beco Films, Hollywood Partners Munich, Pandora Cinema, Saura Films, Terraplen Producciones; durata: 115′
«A Buenos Aires Mario Suarez, quarantenne regista di talento, è in grave crisi per l’abbandono della moglie e, per superare il difficile momento, decide di dedicarsi completamente alla realizzazione di un film sul tango. In un locale conosce Angelo Larroca, ricco ma non limpido uomo d’affari, che diventa uno dei finanziatori del film e gli chiede di fare un provino alla sua amante, la giovane Elena Flores. Incontrata Elena, Mario ne rimane affascinato, vuole rivederla, sottrarla in qualche modo alla cattiva compagnia di Larroca. Dopo qualche incertezza, Elena si fa coinvolgere da Mario, per il quale da quel momento vita privata e memoria collettiva confluiscono sempre di più nello svolgimento dello spettacolo: gioia e dolore dei sentimenti da un lato, la storia dall’altro, con le repressioni militari e l’arrivo di emigrati in Argentina» (www.cinematografo.it).
Ingresso gratuito
ore 21.00
L’ultimo imperatore (1987)
Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto: dall’autobiografia di Aisin Gioro Pu Yi, Da imperatore a cittadino; sceneggiatura: B. Bertolucci, Mark Peploe, con la collaborazione iniziale di Enzo Ungari; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Ferdinando Scarfiotti, con Gianni Silvestri, Giovanni Giovagnoni, Maria Teresa Barbasso; costumi: James Acheson, Ugo Pericoli (divise); musica: David Byrne, Ryuichi Sakamoto, Su cong; montaggio: Gabriella Cristiani con Elvio Sordoni; interpreti: John Lone, Joan Chen, Peter O’Toole, Wu Jun Mei, Ying Ruocheng, Victor Wong; origine: Inghilterra/Cina/Italia; durata: 162′
«Nel 1908, il piccolo principe Pu Yi è designato a salire sul trono del Drago all’età di solo 3 anni… Quando avviene la rivoluzione del 1911, la Cina diventa una repubblica; tocca all’ex Figlio del Cielo, privo ormai di ogni potere, rimanere confinato con la sua corte nella gabbia dorata della Città proibita, prima di esserne espulso nel 1924 da un generale ribelle. […] Il successo planetario de L’ultimo imperatore farà di questo finto kolossal hollywoodiano – in realtà una superproduzione indipendente europea condotta dall’inglese Jeremy Thomas, che si rifà altrettanto alla tradizione dell’Aida verdiana o della Turandot di Puccini – l’evento che contribuì a legare nuovamente l’antico “Impero di mezzo” al resto del mondo, come aprirà pure la strada del cinema cinese ai maggiori festival internazionali» (Fabien S. Gerard). «L’idea dell’arte come bene collettivo (ma anche come creatività collettiva) e l’indifferenza di fronte all’individuo-artista sono state le più difficili da accettare tra tutte le diversità cinesi e la domanda che mi pongo nelle mie quasi quotidiane visite al set in cui gireremo per le prime dieci settimane di riprese è sempre la stessa, ossessiva: qual è il segreto della Città Proibita?» (Bertolucci). «Con il coraggio che ci vuole, Bertolucci si affaccia sulle profondità dell’inconscio e cerca di raccontare le sue emozioni esistenziali. Insomma, nonostante i rischi che comporta la formula del kolossal d’autore, il Nostro sembra tornato sulla via maestra: L’ultimo imperatore è l’opera di un cineasta pienamente maturo, pronto per chissà quante altre imprevedibili avventure» (Kezich). «Il film era basato figurativamente su un percorso comparativo tra Vita e Luce, con l’applicazione di ogni colore dello spettro cromatico a ogni ricordo dell’Imperatore nella forzata autoanalisi che la nuova Cina lo costringeva a fare per plasmarlo come uomo uguale agli altri. Un percorso tra le varie età della sua vita, visualizzato in simbiosi con l’età dei colori che cercavo di ricostruire attraverso un percorso cromatico della pittura classica cinese e la successiva evoluzione in pittori come Alexander Deineka e Gregory Zhilinsky, nato da quell’impatto che la cultura russa ebbe nel secondo dopoguerra nella cultura cinese» (Storaro).
domenica 28
ore 16.30
Piccolo Buddha (1993)
Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto: B. Bertolucci; sceneggiatura: B. Bertolucci, Rudy Wurlitzer, Mark Peploe; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia e costumi: James Acheson; musica: Ryuichi Sakamoto; montaggio: Pietro Scalia; interpreti: Ying Ruocheng, Bridget Fonda, Chris Isaak, Alex Wiesendanger, Sogyal Rinpoche, Jigme Kunzang; origine: Gran Bretagna/Francia; produzione: Sahara Ltd Co., Ciby 2000; durata: 141′
Un bambino di Seattle viene individuato da un gruppo di religiosi tibetani quale possibile reincarnazione del Venerabile Lama Dorje, deceduto otto anni prima in esilio in America. Inizialmente reticente, il padre del bambino accetta l’invito del vecchio Norbu di accompagnare suo figlio nell’Himalaya. «Mi sono chiesto più volte: io dove sto se l’Occidente insegna la paura della morte e se l’Oriente vive la reincarnazione come la condanna a ritornare nel ciclo infernale di nascite e morti, ri-nascite e ri-morti, […] tranne per quei pochi che riescono a raggiungere l’illuminazione e il nirvana? Ebbene, […] penso di avere trovato un piccolo posto proprio sullo spartiacque tra queste due posizioni e di aver imparato a credere nell’idea dolce di reincarnazione intesa come pensiero che rimane, che muta, che viene raccolto e trasmesso da altri» (Bertolucci). «La ragione che fa di Piccolo Buddha un evento […] dal punto di vista della tecnologia cinematografica è questa: siamo di fronte al primo film di grande rilevanza dai tempi di Lawrence d’Arabia, girato su una pellicola a 70mm, una pellicola il cui formato consente dei risultati di definizione e nitidezza dei dettagli, spettacolarità dell’insieme di gran lunga superiori al tradizionale CinemaScope a 35mm» (Storaro). «Dopo trent’anni passati a fare film appassionatamente scettici, Bertolucci ha firmato qui un’opera della più sofisticata semplicità. Il suo trionfo sta nel farci vedere il mondo del Buddhismo attraverso i suoi occhi. Risplende come innocenza reincarnata» (Richard Corliss). «Mi affidai alla teoria degli Elementi degli antichi filosofi greci per individuare cromaticamente ognuno dei protagonisti e fondamentalmente provare sul piano figurativo che solo l’Armonia tra elementi opposti, in questo caso visualizzando ogni personaggio con il suo elemento Terra-Fuoco-Acqua-Aria, avrebbe portato a un Equilibrio, all’Energia» (Storaro).
Ingresso gratuito
ore 19.00
Goya (1999)
Regia: Carlos Saura; soggetto e sceneggiatura: C. Saura; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Pierre-Louis Thévenet; costumi: Pedro Moreno; musica: Roque Baños; montaggio: Julia Juaniz; interpreti: Francisco Rabal, Maribel Verdú, Eulalia Ramón, Dafne Fernandez, José Coronado; origine: Italia/Spagna; produzione: Andres Vicente Gomez – Lif, Rai, Tve, Via Digital, Lola Films; durata: 104′
«In esilio nella cittadina francese di Bordeaux, l’ormai 82enne pittore spagnolo Francisco Goya ripensa alla propria vita, agli amori, ai successi storici di un artista in grado di influenzare pesantemente la storia e le vicende di una nazione» (www.cinematografo.it). «Nel rievocare l’arte, gli amori, le invidie e la passione politica del grande artista aragonese, Carlos Saura sceglie un approccio da kolossal onirico visionario, prestando ovviamente molta attenzione alla pastosità dei colori, delle linee, delle ombre e delle luci (la fotografia è di Vittorio Storaro). Il risultato è un affresco sontuoso e cupo che valorizza la sua personalità turbolenta ma anche i grandi avvenimenti storici spagnoli» (Fabio Bo).
ore 21.00
Seminario su Caravaggio a cura di Vittorio Storaro
a seguire
Caravaggio (2007)
Regia: Angelo Longoni; soggetto e sceneggiatura: James Carrington, Andrea Purgatori; fotografia: Vittorio Storaro; scenografia: Giantito Burchiellaro; costumi: Lia Francesca Morandini; musica: Luis Enríquez Bacalov; montaggio: Mauro Bonanni; interpreti: Alessio Boni, Claire Keim, Jordi Mollá, Paolo Briguglia, Benjamin Sadler, Elena Sofia Ricci; origine: Italia; produzione: Titania Produzioni; durata: 135′
«La travagliata vita di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, dai primi anni della giovinezza alla morte sopravvenuta sulla spiaggia di Porto Ercole. Gli anni passati a Roma, le numerose incarcerazioni, la fuga a Napoli e poi a Malta, il rifugio a Siracusa. Una vita, breve, trascorsa sotto il dominio dell’impulsività e di una creatività innovativa e disturbante per l’accademismo e la convenzionalità del suo tempo» (www.cinematografo).
Ingresso gratuito