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Vittorio De Sica regista
06 Aprile 2013 - 14 Aprile 2013
Ripensare al cinema di Vittorio De Sica significa ripercorre un secolo di cinema in cui l’attore De Sica si (con)fonde, nella memoria dello spettatore, con quella del regista. «Nessuno aveva il suo calore, la sua capacità di avvolgere la persona che amava in una specie di affettuoso sortilegio. Ed era buono, Vittorio: me ne accorsi la prima volta che mi sorrise». Sono le parole di Maria Mercader, la seconda moglie dell’attore/regista, che chiudono il suo bellissimo libro La mia vita con Vittorio De Sica e che permetteno una chiave di lettura di tutto il suo cinema, ben analizzata da Franco Pecori: «Il suo rapporto con il cinema è anch’esso una storia d’amore. Una storia d’amore particolarmente intensa, vissuta in maniera molto personale e tuttavia carica di importanti implicazioni obiettive, che riguardano il cinema e la poesia (il fare cinema) in generale. Il rapporto di De Sica con il cinema è prima di tutto un amore per se stesso, quindi un fuoco che s’accende e produce un’immagine (il film), un bagliore riflesso, uno sguardo». Uno sguardo che non è mai autoreferenziale, ma che esce dal proprio narcisismo, per diventare etica di una visione umanistica. Non si troverà nessun film cinico diretto da Vittorio De Sica. Anche le pellicole più tragiche e più drammatiche (Umberto D. in primis, ma anche Sciuscià, I bambini ci guardano…) hanno una pietas, un’attenzione accorata e sentimentale ai più umili, agli ultimi. In quei primi piani o in quei campi lunghi, dove a volte il silenzio è più espressivo di mille discorsi retorici, è come se idealmente ci fosse una dissolvenza incrociata e (ci) apparisse l’attore Vittorio, con quel sorriso da buono, protagonista di mille commedie umane. Ma il viaggio nel cinema di Vittorio De Sica è irto di mille ostacoli come amaramente lui stesso dichiarò: «Non posso essere soddisfatto di quel che ho fatto come attore e regista. […] Mi sono dovuto piegare a un tipo di cinema prettamente commerciale, privo di personalità, ispirazione, originalità, eccezione. […] Quel che aveva valore per me, è rimasto solo in me. I produttori non riescono a vedere alcuna poesia nei sentimenti degli uomini. Sono inquieto, disturbato. Oggi vorrei riconquistare la mia indipendenza, il distacco dai mercanti di pellicole». Troppo umile in un mondo opportunista e vacuo, ecco una dichiarazione che racconta di sé molto di più di tanti manuali: «L’occhio del regista è come uno specchio che riflette l’immagine. I registi, come i poeti, possono avere dentro di sé un riflettore (l’osservazione), e un condensatore (la commozione). Essi cercano la vita, e la ragione che fa esistere la vita. Non ho mai avuto la presunzione di essere un regista». Al suo cinema e alla sua umiltà non possiamo che rispondere con una dichiarazione d’amore: non possiamo che essere desichiani in tutto e per tutto.
 
sabato 6
ore 16.30
Maddalena… zero in condotta (1940)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: tratto dalla commedia Magdát Kicsapjá di Laszló Kádár nella riduzione di Ferruccio Biancini; sceneggiatura: V. De Sica, Aldo De Benedetti, Sergio Pugliese; fotografia: Mario Albertelli; scenografia: Gastone Medin; musica: Nuccio Fiorda; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: V. De Sica, Roberto Villa, Carla De Poggio, Vera Bergman, Eva Dilian, Amelia Chellini; origine: Italia; produzione: Artisti Associati; durata: 78′
L’insegnante di corrispondenza commerciale in una scuola femminile per gioco scrive una lettera d’amore al destinatario ipotetico delle lettere commerciali citate nel libro di testo. La lettera finisce nelle mani di una studentessa che la invia davvero. In effetti l’uomo esiste, è un dirigente in un’industria in Austria, e lusingato dalla lettera va a Roma alla ricerca della sua misteriosa corteggiatrice, in verità all’oscuro di tutto. «De Sica ha diretto con molta delicatezza, disegnando attorno ai vari tipi motivi di caricature e di sentimentalismo, con garbo e scioltezza. Una regia e un’interpretazione che meritano lode: scivola via, anche per merito della sceneggiatura, con sicurezza di narrazione» (Sarazani).
 
ore 18.00
I bambini ci guardano (1943)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: tratto dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola; sceneggiatura: Cesare Zavattini, V. De Sica, C. G. Viola, Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Adolfo Franci, Maria Doxelofer; fotografia: Giuseppe Caracciolo, Romolo Garroni; scenografia: Vittorio Valentini; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Luciano De Ambrosis, Isa Pola, Emilio Cigoli, Adriano Rimoldi, Giovanna Cigoli, Jone Frigerio; origine: Italia; produzione: Scalera-Invicta; durata: 90′
Pricò è un bambino di sei anni che può solo osservare e subire le scelte degli adulti che lo circondano, in primis i genitori. La madre annoiata dalla vita familiare abbandona il figlio e il marito e fugge con l’amante. Dopo qualche tempo, durante il quale il bambino viene ospitato dai parenti sia materni che paterni, la madre ritorna ma è solo per poco prima di un allontanamento definitivo. «Tema difficile. Ebbene, nonostante tali difficoltà, Vittorio De Sica vi è riuscito avendo imbroccato nella scelta del minuscolo attore che ha appunto impersonato la parte di Pricò. […] Il merito non è soltanto suo, ma principalmente del regista» (Blandi).
 
ore 19.45
Ladri di biciclette (1948)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Cesare Zavattini dal romanzo omonimodi Luigi Bartolini; sceneggiatura: Oreste Biancoli, C. Zavattini, Suso Cecchi D’Amico, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, V. De Sica, Gerardo Guerrieri; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Antonino Traverso; musica: Alessandro Cigognini; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Lambeto Maggiorani, Enzo Stajola, Lianella Carell, Elena Altieri, Gino Saltamerenda, Vittorio Antonucci; origine: Italia; produzione: Produzioni De Sica; durata: 91′
Antonio Ricci riesce a trovare un impiego come attacchino grazie anche alla moglie che porta al Monte di Pietà delle lenzuola per riscattare la bicicletta, fondamentale per il nuovo lavoro del marito. Il primo giorno però qualcuno ruba la bicicletta, Antonio cerca di inseguire il ladro ma senza successo. Inizia così per l’uomo e il figlio, Bruno, un lungo peregrinare alla ricerca del ladro per una Roma domenicale e indifferente alla disperazione di questa famiglia. «È un capolavoro fatto di nulla, tra il primo Clair e il secondo Chaplin, pieno di delicate osservazioni d’ambiente, di trovate, d’atmosfera: un’elegia nata sotto il segno della grazia, e che sarà difficile ripetere» (Bianchi).
 
ore 21.30
La porta del cielo (1945)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: tratto liberamente da La casa dell’angelo di Piero Bargellini [non accreditato]; sceneggiatura: Cesare Zavattini, V. De Sica, Diego Fabbri, Adolfo Franci, Carlo Musso, [non accreditato Enrico Ribulsi]; fotografia: Aldo Tonti; scenografia: Salvo D’Angelo; musica: Enzo Masetti; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Marina Berti, Elettra Druscovich, Massimo Girotti, Roldano Lupi, Carlo Ninchi, Elli Parvo; origine: Italia; produzione: Orbis Film; durata: 84′
Varia umanità in viaggio sul treno bianco diretto al santuario di Loreto. «Il film è assai nobile, rivela in ogni istante una scrupolosa cura, ha sequenze notevoli, ma è per lo più esteriore. Gli manca quel brivido umano e profondo che avrebbe dovuto far vibrare queste diverse ed uguali vicende; si compiace dell’inquadratura (e ve ne sono di bellissime), insiste su primi piani dolenti senza supporre che finiranno per elidersi a vicenda, e la stessa insistenza impiega in effetti sonori, dai canti alle preghiere» (Gromo). «La materia era ingrata per sua natura e gli sceneggiatori hanno cercato di alleggerirla e variarla lasciando parlare i fatti piuttosto che la propaganda e sforzandosi di correggerne l’inevitabile insipidezza con tratti arguti e particolari realistici. Tra le storie dei malati, rievocate mentre il treno corre alla volta di Loreto, le migliori ci sembrano quella del musicista e quella dell’operaio accecato. Non così riuscita ci pare la storia della cameriera fedele che va a impetrare la grazia della felicità domestica per il suo padrone. E a questo proposito vogliamo dire che le parti popolari nei film italiani sono sempre decisamente superiori a quelle signorili. Il nostro popolo è fotogenico, insomma, e la nostra borghesia non lo è. […] De Sica, che bisogna mettere tra i nostri migliori registi, ha diretto il film con umana misura e sobrietà di effetti» (Moravia).
 
domenica 7
ore 17.00
Sciuscià (1946)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Sergio Amidei, Adolfo Franci, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini; fotografia: Anchise Brizzi; scenografia: Ivo Battelli; musica: Alessandro Cigognini; montaggio: Nicolò Lazzari; interpreti: Franco Interlenghi, Rinaldo Smordoni, Aniello Mele, Bruno Ortensi, Emilio Cigoli, Gino Saltamerenda; origine: Italia; produzione: Cinematografica Alfa; durata: 92′
Napoli, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le strade sono piene di orfani, bambini soli e abbandonati che sopravvivono facendo i lustrascarpe, gli “shoe-shine”, nella versione storpiata e italianizzata del termine inglese. Ci sono anche Pasquale e Giuseppe tra questi ragazzini che lavorano per le strade della città. I due vengono arrestati durante il tentativo di un furto e portati al riformatorio.
«L’uso abbondante di esterni e l’impiego di molti attori non professionisti, conferiscono al film una particolare spregiudicatezza e un’innocenza che meravigliano specialmente gli stranieri e fanno gridare al capolavoro. Il linguaggio di De Sica è scarno ma non tralascia l’osservazione commossa e partecipe» (Lizzani).
 
ore 19.00
Umberto D (1952)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: G. R. Aldo; scenografia: Virgilio Marchi; musica: Alessandro Cigognini; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Carlo Battisti, Maria Pia Casilio, Lina Gennari, Memmo Carotenuto, Alberto Albani Barbieri, Ilena Simova; origine: Italia; produzione: Rizzoli Film; durata: 90′
Un anziano impiegato ministeriale vive solo con il suo cagnolino in una stanza in subaffitto. Conduce una vita segnata non solo da gravissime ristrettezze economiche ma soprattutto da una grande solitudine. «Rivedendolo a cinque anni di distanza, il significato fondamentale di Umberto D. sembra consistere in una affermazione di vita, l’affermazione che la vita vale la pena di essere vissuta sempre e comunque, l’affermazione della dignità della persona umana e del suo affaticarsi su questa terra. Il nucleo poetico, il motivo ispiratore di tutto il film consiste nell’attaccamento alla vita e a una disperata volontà di vivere sino in fondo la propria esistenza terrena che, così spogli di ogni prospettiva metafisica, costituiscono la vera forza di Umberto D» (Spinazzola).
 
ore 21.00
La ciociara (1960)
di Vittorio De Sica; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: Gabor Pogany; scenografia: Gastone Medin; costumi: Elio Costanzi; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Sophia Loren, Eleonora Brown, Jean-Paul Belmondo, Raf Vallone, Renato Salvatori, Carlo Ninchi; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Marceau Cocinor, S.G.C.; durata: 101′
«Confesso che non ho nessuna propensione per questo genere di verismo in ritardo, anche se porta una firma letterariamente valida come quella di Moravia, questa storia della mamma popolana che, avendo grazie ai quattrini fatti con la drogheria e la borsanera passato il peggio della guerra nell’eremitaggio del paesello natale, proprio quando ormai sicura è in strada per tornare a Roma liberata, viene sorpresa da una squadra di marocchini in una chiesetta diroccata, e violentata insieme alla figlia adolescente. Ridotto all’essenziale nello scorcio violento imposto dal tempo dello schermo, questo non sarebbe se non un drammone di guerra in più, in cui il titillio della lagrima si sposa al pimento del sesso, se non ci fosse quella che direi la luce di De Sica, quell’effusa simpatia, e vitalità sorridente, e sofferta amarezza che è il senso, anche qui, di certe sorprendenti pagine […]. Mai credo, da quando esiste cinema, un episodio più osceno e più atroce fu raccontato con più lapidario ribrezzo, con più cristiano pudore. Soprattutto dopo. Guardate com’è osservato il passo della bambina quando esce fuori sulla strada in controluce, stanco, vacillante, un po’ trascinato, proprio il passo dell’agnellino piagato. Non mi ricordo un’altra immagine che condensi, senza dir nulla, un’accusa più tremenda contro tutto il male del mondo» (Sacchi).
 
lunedì 8
chiuso
 
martedì 9
ore 17.00
Teresa Venerdì (1941)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: da un romanzo di Rudolf Török; sceneggiatura: V. De Sica, Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Franco Riganti, [non accreditato Aldo De Benedetti]; fotografia: Vincenzo Seratrice; scenografia: Ottavio Scotti; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Adriana Benetti, V. De Sica, Irasema Dilian, Anna Magnani, Virgilio Riento, Giuditta Rissone; origine: Italia; produzione: A.C.I. (Alleanza Cinematografica Italiana), Europa Film; durata: 91′
«Medico rubacuori di successo e pieno di debiti, afflitto da un’amante invadente e da una fidanzata sciocchina, incontra un’orfanella che, liberatolo delle due noiose, conquista il suo cuore e gli fa mettere giudizio. Ispirato a un romanzo di Rudolf Török, si distingue per il garbo della costruzione narrativa, l’esperta guida degli attori, la credibilità dei personaggi. Basterebbe A. Magnani nel personaggio della canzonettista Loletta Prima per raccomandarlo. Contribuirono alla sceneggiatura C. Zavattini e Aldo De Benedetti senza firmare: l’uno perché lavorò di nascosto, l’altro per motivi razziali (ebreo). Altro titolo: Il gallo della Checca» (Morandini).
 
ore 19.00
Un garibaldino al convento (1942)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Renato Angiolillo; sceneggiatura: Adolfo Franci, Margherita Maglione, Giuseppe Zucca, V. De Sica, Alberto Vecchietti; fotografia: Alberto Fusi; scenografia e costumi: Veniero Colasanti; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Carla Del Poggio, Maria Mercader, Olga Vittoria Gentili, Federico Collino, Clara Auteri Pepe, Elvira Betrone; origine: Italia; produzione: Cristallo Film, Incine – Industria Cinematografica Italiana; durata: 87′
Al tempo delle guerre risorgimentali, dopo uno scontro con dei soldati borbonici un garibaldino, ferito, si nasconde nel giardino di un collegio femminile. Viene trovato da Caterina, giovane ospite del collegio, che lo affida al guardiano, fervente patriota. La ferita del giovane è però grave quindi Caterina chiede aiuto a Mariella, con la quale ha continui scontri per un’antica rivalità familiare. Il garibaldino, Franco, è in realtà il fidanzato di Mariella, del quale la ragazza aveva perso le tracce. I borbonici penetrano nel convento alla ricerca del fuggiasco, tutto sembra perduto, ma Caterina riesce a scappare e trovare il soccorso necessario per salvare gli altri. «Il sentimentalismo (e un certo gusto decorativo) è mantenuto dal regista nei limiti di un discreto rispetto per la tradizione letteraria e figurativa. Ma nella cornice elegante della vita comunitaria delle giovinette irrompe una realtà drammatica ed eroica, che dà slancio alla vicenda. Il ritmo fa il resto» (Pecori).
 
ore 21.00
Miracolo a Milano (1951)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, V. De Sica fotografia: G. R. Aldo; scenografia: Guido Fiorini; costumi: Mario Chiari; musica: Alessandro Cigognini; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Francesco Golisano, Emma Gramatica, Paolo Stoppa, Guglielmo Barnabò, Brunella Bovo, Arturo Bragaglia; Anna Carena; origine: Italia; produzione: Produzioni De Sica, ENIC; durata: 97′
Il piccolo Totò viene trovato sotto un cavolo da Lolotta, donna povera ma buona. Alla morte di lei il bambino viene portato in orfanotrofio. Diventato grande Totò va a vivere in un baraccopoli alla periferia di Milano con altri barboni e disperati. Totò compie alcuni miracoli ispirati dalla bontà e dalla solidarietà. Quando il malvagio imprenditore Mobbi, scoperto il petrolio sotto il terreno della baraccopoli, cerca di cacciarli via, sarà Totò a trovare una inaspettata soluzione. «Con Miracolo a Milano De Sica e Zavattini sembrano volersi dichiarare soli al mondo, o meglio in compagnia dei soli “barboni”, dei semplici e dei diseredati, che rifiutano la società e i suoi sistemi perché vanno in cerca di “un regno dove buon giorno vuol dire veramente buon giorno”» (Pecori).
Giornata a ingresso gratuito
 
giovedì 11
ore 17.30
La riffa (ep. di Boccaccio ’70,1962)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Elio Costanzi; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Sophia Loren, Luigi Giuliani, Alfio Vita, Valentino Macchi, Tano Rustichelli, Antonio Ravaglia; origine: Italia/Francia; produzione: Cineriz, Concordia Compagnia Cinematografica, Francinex, Gray Films; durata: 46′
Zoe, bella e procace ragazza, è il premio di una riffa che viene organizzata nelle fiere di paese. Questa volta a vincere è il sacrestano.
 
a seguire
Il leone (ep. de Le coppie, 1970)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Ruggero Maccari, Rodolfo Sonego; fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Bruna Parmesan; musica: Manuel De Sica; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Alberto Sordi, Monica Vitti, Gigi Bonos; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 19′
Dopo il loro incontro settimanale, due amanti, Antonio e Giulia, non possono lasciare la casa perché un leone, scappato da un circo, ha bloccato la porta. La paura di essere così scoperti li porta a litigare e a scoprire la loro vera natura. «Il film non è dunque un capolavoro del genere, ma è ancora una di quelle commedie di gran qualità interpretate da una Vitti e un Sordi […] al meglio della loro forma» (Cornand).
 
ore 19.00
Il giudizio universale (1961)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: Gabor Pogany; scenografia: Pasquale Romano; costumi: Elio Costanzi; musica: Alessandro Cicognini; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Fernandel, Paolo Stoppa, Anouk Aimée, Silvana Mangano, Nino Manfredi, Alberto Sordi; origine: Italia/Francia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Standard Film; durata: 110′
A Napoli una voce proveniente da non si sa dove avverte tutta la popolazione che la fine del mondo è vicina. La città è anche colpita da un violento acquazzone, che amplifica l’inquietudine del momento. I vari personaggi che si incrociano via via affrontano in maniera diversa gli ultimi istanti prima del Giudizio Universale. «Il tema è ampio: Zavattini ha voluto rappresentare la vigliaccheria, la bassezza, l’ipocrisia, l’avidità che comandano le azioni di tanta parte del genere umano. […] sono tante le invenzioncelle estrose, e ad esse si è affidato il regista per comporre un film che ritmicamente non accusa un attimo di sosta» (Clemente).
Ingresso gratuito
 
ore 21.00
Il tetto (1956)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Gastone Medin; costumi: Fabrizio Carafa; musica: Alessandro Cigognini; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Gabriella Pallotta, Giorgio Listuzzi, Gastone Renzelli, Angelo Bigioni, Maria Di Rollo, Luciano Pigozzi; origine: Italia; produzione: Vittorio De Sica; durata: 98′
Luisa e Natale sono due giovani sposi troppo poveri per potersi permettere un appartamento in affitto. Inizialmente vivono con la famiglia di lui, ma la situazione diventa presto insostenibile. I due lasciano quindi quella casa ma sono costretti a separarsi: lei va a vivere nella casa dove presta servizio come domestica e lui in una baracca vicino al cantiere dove lavora come muratore. Quando Luisa viene a sapere che i poliziotti non li possono cacciare da una casa, seppur abusiva, se questa ha il tetto, convince Natale a provarci. «Ai suoi interessi più autentici e rigorosi De Sica ha fatto ritorno con Il tetto, film di genuina impronta neorealistica, tanto più notevole in quanto nato – per un atto di fede del regista e di Zavattini – proprio in un periodo in cui da molti il neorealismo veniva dato per esaurito e il cinema italiano attraversava una seria e complessa crisi» (Castello).
 
venerdì 12
ore 17.00
Il boom (1963)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: Armando Nannuzzi; scenografia: Ezio Frigerio; costumi: Lucilla Mussini; musica: Piero Piccioni; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Alberto Sordi, Gianna Maria Canale, Ettore Geri, Elena Nicolai, Antonio Mambretti, Mariolina Bovo; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 88′
Giovanni è un imprenditore che conduce una vita al di sopra dei suoi mezzi. Dietro una facciata di benessere e ricchezza si nasconde una realtà fatta di debiti e difficoltà. Pur di non cambiare niente della sua vita e del suo status, Giovanni decide di vendere un occhio a un ricchissimo uomo d’affari che ne ha perso uno in un incidente.
Ingresso gratuito
 
a seguire
Una sera come le altre (ep. de Le streghe,1966, 26′)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, Enzo Muzii, Fabio Carpi; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia: Piero Poletto; costumi: Piero Tosi; musica: Piero Piccioni; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Silvana Mangano, Clint Eastwood, Armando Bottin, Valentino Macchi, Gianni Gori, Franco Moruzzi; origine: Italia/Francia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Les Productions Artistes Associés; durata: 26′
Giovanna si sente trascurata dal marito, ormai impegnato e interessato solo al lavoro. Vorrebbe tradirlo ma riesce a farlo solo in sogno. «Un discorso unitario si può fare per l’interpretazione di Silvana Mangano, sempre perfettamente “a posto”, […] rigorosa nella scelta dei particolari significanti […] senz’altro l’attrice più completa del nostro cinema, oggi» (Ivaldi).
Ingresso gratuito
 
ore 19.00
Matrimonio all’italiana (1964)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: dalla commedia Filumena Marturano di Eduardo De Filippo; sceneggiatura: Renato Castellani, Tonino Guerra, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi; fotografia: Roberto Gerardi; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Vera Marzot; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Aldo Puglisi, Tecla Scarano, Marilù Tolo, Vito Morriconi; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Concordia; durata: 102′
«Dopo essere stata per molti anni la domestica e l’amante di Domenico Soriano, Filomena si finge in punto di morte per farsi sposare. Ma l’uomo scopre l’inganno ed è risoluto a sciogliere il matrimonio. La donna però non si arrende e gli rivela di avere tre figli, uno dei quali è figlio suo. Ma quale?» (www.cinematografo.it). «Esiste una prima sceneggiatura scritta dallo stesso Eduardo […]; esiste una seconda sceneggiatura di Renato Castellani […]; esiste una sceneggiatura (la terza?) di Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, ancora troppo aderente al testo di partenza e forse non particolarmente sentita. A questo punto a Guerra viene affidato l’incarico di responsabile unico e si ricomincia tutto da capo (anche se nei titoli di testa il suo nome apparirà affiancato – forse giustamente – a quello degli illustri colleghi): rispetto del testo ma ricorso a funzionali scene aggiuntive, rispetto del “peso” dei due attori (la Loren e Mastroianni allora al top della fama) ma nessun ricorso a mezzucci equilibrativi, soddisfazione un po’ per tutti di fronte al clamoroso successo del film e una volta superata qualche perplessità iniziale di Eduardo. Anche per la critica […] la sceneggiatura (una volta tanto si parla di lei) ha “l’indubbio merito di imbastire sulle tappe assai diverse della vita dell’eroina (da ospite di lupanare a mantenuta privata, a serva di casa, a moglie per inganno), e parallelamente sull’assolutamente uniforme esistenza del maschio italiano, sempre a galla, sempre sordo ai diritti più elementari della donna, la parabola di un rapporto che, sia pure attraverso i soprassalti del sentimento, non manca di incidere nel tessuto della nostra società, per quanto riguarda questo tipo di “contratto” (Casiraghi)» (Pellizzari).
 
ore 21.00
I sequestrati di Altona (1962)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: tratto dal dramma di Jean-Paul Sartre; sceneggiatura: Cesare Zavattini, Abby Mann; fotografia: Roberto Gerardi; scenografia: Elvezio Frigerio; costumi: Pier Luigi Pizzi; musica: Dimitri Sostakovic; montaggio: Manuel del Campo, Adriana Novelli; interpreti: Sophia Loren, Maximilian Schell, Fredrich March, Robert Wagner, Alfredo Franchi, Lucia Pelella; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, Société Générale de Cinématopraphie; durata: 107′
Franz è un ex ufficiale nazista, che durante la guerra si è macchiato di crimini atroci. Vive ancora nascosto nella soffitta della casa paterna, nascosto dal padre e dalla sorella, che per evitare che esca e venga arrestato, continuano a raccontargli di una Germania ancora fatta di rovine e macerie. Quando nella casa arrivano il fratello Werner e la moglie la verità non potrà che deflagrare. «”Lo sporco passato – ebbe a dire De Sica – esiste tutt’ora. La Germania occidentale è tutt’ora inficiata dal nazionalsocialismo”. Nella lucida requisitoria costruita attorno al dramma di Sartre, De Sica getta uno sguardo estremamente impietoso, ma disperatamente vivo e aspro» (Bruno).
 
sabato 13
ore 17.00
I girasoli (1970)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Tonino Guerra, Cesare Zavattini; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia: Piero Poletto; costumi: Enrico Sabbatini; musica: Henry Mancini; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Ljudmila Saveljeva, Galina Andreeva, Anna Carena, Germano Longo, Glauco Onorato; origine: Italia/Francia/Urss; produzione: Compagnia Cinematografica Champions, Les Films Concordia, Mosfilm ; durata: 107′
Durante la seconda guerra mondiale la napoletana Giovanna e il soldato del nord Antonio si incontrano e per ritardare la partenza del giovane si sposano. Lui prova in tutti i modi di rimanere accanto a lei ma viene mandato sul fronte russo, dove alla fine della guerra viene dato per disperso. Giovanna è convinta che sia vivo e dopo alcuni anni va alla sua ricerca. Lo ritrova ma ormai sposato con la donna che lo ha salvato dal gelo e che gli ha dato anche una figlia. Giovanna scappa e torna in Italia. Anche Antonio prova a seguirla ma ormai la tragedia della guerra li ha divisi. «Come appare chiaro, l’intento degli autori era di fare un grosso romanzo popolare, una macchina di sicura presa emotiva e commerciale. […] De Sica raggiunge (in varie scene) l’estremo dell’effetto nell’estremo della semplicità […] e crea l’atmosfera emotiva che permette a una tragica e splendida Loren di toccare coi mezzi più semplici tutte le corde della disperazione e della pietà» (Sacchi).
 
ore 19.00
Il giardino dei Finzi Contini (1970)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: dal romanzo omonimo di Giorgio Bassani; sceneggiatura: Ugo Pirro, Vittorio Bonicelli; fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia e costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; musica: Manuel De Sica; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Dominique Sanda, Lino Capolicchio, Helmut Berger, Fabio Testi, Romolo Valli, Cinzia Bruno, Camillo Cesarei, Inna Alekseieff; origine: Italia/Repubblica Federale Tedesca; produzione: Documento Film, C.C.C. Filmkunst; durata: 95′
Tratto dal fortunato romanzo omonimo di Giorgio Bassani, pubblicato nel 1962, il film narra le vicende di un gruppo di giovani della borghesia ebraica di Ferrara, che vede la sua vita agiata travolta dalle leggi razziali, dalla guerra e infine dalla deportazione. «Se la partenza del film costruisce atmosfere in una qualche misura aderenti al libro di Bassani, i suoi sviluppi cercano una più lunga gravitazione. Suddiviso complessivamente in due grossi quadri sequenziali, il racconto di immagini s’accosta alle esperienze private dei personaggi ma si allarga alle vicende politiche e storiche che con quelle hanno continuità. Di qui forse discende la perdita di circolarità (che Giorgio Bassani aveva ricavato da Proust), con l’acquisto invece di una spiccata linearità» (De Santi).
 
ore 21.00
Il viaggio (1974)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: tratto dall’omonima novella di Luigi Pirandello; sceneggiatura: Diego Fabbri, Massimo Franciosa, Luisa Montagnana; fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia: Luigi Scaccianoce; costumi: Marcello Escoffier, Bruno e Gerardo Raffaelli; musica: Manuel De Sica; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Sophia Loren, Richard Burton, Ian Bannen, Annabella Incontrera, Barbara Pilavin, Daniele Vargas; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia Cinematografica Champions, Capac Film ; durata: 99′
Inizio del secolo scorso in Sicilia, Adriana è da sempre innamorata del conte Cesare Braggi, ma è costretta a sposare il fratello minore di lui, Antonio, da cui ha un figlio. Accetta tristemente la sua condizione di madre e moglie mentre Cesare preferisce allontanarsi. Improvvisamente Antonio muore in un incidente e Adriana si chiude nel lutto. Le sue condizioni di salute però si aggravano e Cesare è costretto prima a portarla da un dottore a Palermo, e, avuto un responso negativo, partono alla volta di Napoli. Solo la consapevolezza della morte imminente, permetterà ai due di vivere il loro amore mai sopito.
 
domenica 14
ore 17.00
Un mondo nuovo (1966)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini, con la collaborazione di Riccardo Aragno; fotografia: Jean Boffety; scenografia: Max Douy; costumi: Tanine Autre; musica: Michel Colombier; montaggio: Paul Cayatte; interpreti: Nino Castelnuovo, Christine Delaroche, Madeleine Robinson, Georges Wilson, Pierre Brasseur, Isa Miranda; origine: Francia/Italia; produzione: Terra Film, Les Productions Artistes Associés, Sol Produzione, Compagnia Cinematografia Montoro; durata: 77′
«Un mondo nuovo è un bel film? Meglio ancora: è un film fresco, aggressivo, dove anche gli errori hanno qualcosa di giovanile. Ci propone un De Sica consapevole dei problemi attuali, attirato stilisticamente dagli esempi della nouvelle vague. Al suo fianco Cesare Zavattini trova quasi sempre nei dialoghi un perfetto equilibrio tra impegno letterario e funzionalità drammatica. Se per esempio il protagonista, un fotoreporter che va matto per i ritratti, dice: “C’è tutto nelle facce della gente, anche la guerra che ci sarà”, la battuta può apparire forzata; ma impeccabile, davvero zavattiniana, è la replica di un amico: “Allora bisogna prenderle a sberle, quelle facce, non fotografarle”. Siamo a Parigi, nell’ambiente studentesco della facoltà di medicina. Al ballo annuale della Salle Wagram, sfrenato come vuole la tradizione goliardica e perfino animato da qualche donnina nuda che la censura non intende tollerare, il giovane fotoreporter Carlo incontra Anne, una ragazza di Clermont-Ferrand che frequenta il primo anno. Senza quasi dirsi una parola si amano dietro una tenda, poi nella confusione si perdono di vista. È il primo film dove una vera storia d’amore comincia in questo modo, contro il pregiudizio italico che la cosiddetta “prova” sia piuttosto un motivo di separazione fra gli innamorati» (Kezich).
 
ore 19.00
Stazione Termini (1953)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, Luigi Chiarini, Giorgio Prosperi; dialoghi inglesi: Truman Capote; fotografia: G.R. Aldo [Aldo Graziati]; scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Alessandro Antonelli; musica: Alessandro Cicognini diretta da Franco Ferrara; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Jennifer Jones, Montgomery Clift, Gino Cervi, Paolo Stoppa, Nando Bruno, Enrico Glori; origine: Italia/Usa; produzione: Vittorio De Sica Produzioni, David O. Selznick; durata: 88′
«Maria, giovane signora americana, arriva a Roma per trascorrere un periodo di tempo con sua sorella. Ha lasciato a Philadelphia il marito e la figlioletta. Quando conosce Gianni Doria, un insegnante italiano, però, si innamora pazzamente di lui e inizia una relazione con lui. Dopo un mese, in seguito a una telefonata dall’America, Maria decide di ripartire immediatamente. Gianni la insegue e la raggiunge alla stazione, chiedendole almeno una spiegazione» (www.cinematografo.it) . «In effetti, questo primo tentativo di grande cinema commerciale si configura per De Sica come un compromesso a tutti i livelli. Per i dialoghi inglesi fu chiamato a seguire il film Truman Capote e perfino per le inquadrature in primo piano di Jennifer Jones, Selznick pretese che ci fosse un operatore speciale, Oswald Morris, mentre Aldo Graziani si doveva occupare dei campi lunghi. Eppure, De Sica è riuscito lo stesso ad imprimere al film un suo tono. Intanto ha colto, di tutta la storia d’amore, il momento più significativo, più intenso, concentrando la messa in scena sulla crisi morale-affettiva prodotta dalla drammatica indecisione di Mary, giovane signora americana in viaggio in Italia, madre di una bambina e colpita dal fulmine di un amore italiano […]. Dalla parte della regia, invece, De Sica sfodera tutta la sua maestria nell’uso del tempo, in quel suo modo specifico di adeguarlo, di compenetrarlo ai fatti, anche piccoli, in modo da trasformare i personaggi in esseri viventi. Sicché, al di là delle “sciocchezze” che la signora di Filadelfia e il giovane italiano (figlio di un’americana) si dicono, resta un sentimento profondo, che scaturisce da quel tempo trascorso insieme lì nella stazione in attesa del treno. È un sentimento di speranza, di attaccamento ad una realtà sognata, una realtà che si desidera diversa e che non si trova il modo di costruire veramente» (Pecori). «Il film tutto intero è una metafora o piuttosto lo svolgimento immaginario di una realtà spirituale» (Henri Agel).

 

 

Date di programmazione