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Ricordo di Nelo Risi
11 Novembre 2015 - 12 Novembre 2015
La Cineteca Nazionale gli dedicò una retrospettiva nel gennaio del 2009, dal quale riprendiamo l’introduzione: «Nelo Risi, classe 1920, uno dei massimi poeti italiani del secondo Novecento, laureato in Medicina come il fratello Dino, si avvicina al cinema alla fine degli anni quaranta con il cortometraggio Ritorno nella valle. L’amore per il documentario, così come l’attenzione pignola e attenta al dato reale lo accompagnano per tutta la vita. Ma il regista-poeta, accanto ai cosiddetti lavori d’impegno sociale, realizza per conto della Olivetti alla fine degli anni cinquanta dei documentari d’animazione in anticipo sui tempi per un’estetica pop che farà scuola. Il suo esordio nel cosiddetto film di finzione avviene nel 1961 con l’episodio Ragazze madri del zavattiniano Le italiane e l’amore. Il sodalizio artistico e sentimentale con la scrittrice, poetessa e a sua volta cineasta Edith Bruck lo porta a realizzare, subito dopo aver diretto l’interessante e appassionante film televisivo La strada più lunga, il film d’esordio, lo struggente e toccante Andremo in città. […] A questo film ne seguiranno diversi altri che segnano, come il suo percorso poetico, tappe importanti di un modo personalissimo e originale di fare arte all’insegna di un illuminismo tutto lombardo e da un disgusto sempre crescente per la cosiddetta società dei consumi: da Diario di una schizofrenica, raro e riuscito film psicoanalitico girato in Italia, al ritratto femminile di una donna in crisi in Ondata di calore e all’omaggio da poeta alla poesia di Rimbaud con Una stagione all’inferno, fino al manifesto manzoniano sprovvisto di Provvidenza La colonna infame. […] Di se stesso e sul suo essere poeta e cineasta scrive: “A vent’anni un uomo di grande gusto, l’editore Giovanni Scheiwiller, mi accolse tra i suoi autori stampando un libriccino dal titolo Le opere e i giorni che risentiva fortemente della lettura di Saint-John Perse più che di Esiodo. Fu il mio debutto letterario, non rilevato da nessuno. Il cinema venne casualmente, nell’immediato dopoguerra quando ogni giovane era alla ricerca di se stesso oltreché di un lavoro. Due documentari di fama (l’olandese J. Ferno e l’inglese americanizzato R. Leacock) vennero in Italia per realizzare un cortometraggio sulla valle del Po che testimoniasse dei disastri della guerra. Mi unii a loro rinunciando definitivamente alla carriera di medico, altro versante familiare già abbandonato da mio fratello Dino. […] Già, la poesia e il cinema su una formazione grosso modo scientifica; avevo almeno il vantaggio di non finire professore di Lettere in qualche liceo della Repubblica. Poi magari ti viene il rimpianto di non aver studiato, chessò, filologia romanza alla Normale di Pisa… allora ti chiudi in casa con la finestra che dà sul muro di fronte a organizzare un libro di versi che hai incasellato mentalmente per mesi, oppure traduci l’Edipo Re sulla scorta di un “bigino” ritrovato in un angolo basso della libreria. Tutto questo può sembrare uno svago da ricchi, con la poesia non si campa, così cerco di continuare il mio discorso sotto altra forma: per anni ho operato nel campo del documentario e delle inchieste televisive prediligendo “il reale”, poi lavorando su “l’immaginario” nei film di finzione scoprendo che il cinema non è poi così lontano dalla poesia, un’immagine e poi un’altra e un’altra ancora… un verso e poi un verso e un altro ancora. A volte le regole del cinema facilitano la scrittura, e viceversa”».
 
mercoledì 11
ore 17.00 Andremo in città diNelo Risi (1966, 103′)
«Tratto dal racconto omonimo di Edith Bruck, il film racconta i disastri della guerra e la persecuzione razziale durante l’ultimo conflitto mondiale in un paese dell’Est europeo. Ma il vero tema non è dato da questi materiali storici. Essi costituiscono l’orizzonte entro il quale il film si muove, non il suo fuoco. L’occhio del racconto si fissa piuttosto sulle conseguenze di quel contesto in una famiglia ebraica. Famiglia già smembrata nella quale mancano la madre, morta, e il padre, deportato. La spina dorsale del racconto è la relazione tra la sorella maggiore, Lenka, e Misha, il fratellino cieco di cui si prende cura in sostituzione della madre. La ragazza sfrutta la sua menomazione fisiologica per proteggerlo, per salvaguardarlo dagli orrori della guerra, per non privarlo anzitempo dell’infanzia» (De Giusti). «Sia l’Ungheria che la Polonia dopo vari sopraluoghi hanno rifiutato la storia del bambino ebreo cieco perché a quei paesi dava fastidio, a quell’epoca, toccare il tema dell’ebraismo. Le deportazioni di milioni di persone nei campi di concentramento e sterminio tedeschi hanno lasciato un senso di colpa nei dirigenti comunisti di allora che non volevano toccare quei temi troppo scottanti. […] Noi pensavamo di poter trovare un terreno fertile proprio là dove erano accadute le atrocità, questo enorme olocausto, invece abbiamo trovato la strada sbarrata politicamente. Alla fine l’unico terreno neutro possibile era la Yugoslavia di Tito, che infatti ci ha aperto le porte» (Risi). Con Geraldine Chaplin e Nino Castelnuovo.
 
ore 19.00 Diario di una schizofrenica di Nelo Risi (1968, 107′)
«Opera seconda del regista e poeta Nelo Risi […], Diario di una schizofrenica è ispirato a un memoriale scientifico assai noto in Francia scritto dalla psicologa svizzera Marguerite Andrée Séchéhaye. Sceneggiato da Risi con la collaborazione di Fabio Carpi e la consulenza scientifica di Franco Fornari, il film fu interpretato nel ruolo della protagonista Anna da un’attrice francese agli esordi, Ghislaine D’Orsay, e venne apprezzato da pubblico e critica in occasione della sua anteprima alla mostra di Venezia del 1968. Selezionato per l’Oscar, non fu poi accettato per cavilli burocratici, con il pretesto che non era uscito nelle sale, e fu sostituito da La ragazza con la pistola di Monicelli. Nel 1970 ha ottenuto un Nastro d’Argento per la sceneggiatura» (Maria Coletti). «La storia è centrata su tre donne: una madre ancora giovane, piacente, egoista e fatua, che ha respinto la figlia come un ingombro quando è venuta al mondo […] e non ha voluto o potuto allattarla; una figlia che sin dalla primissima infanzia soffre del mancato amore materno […] fino al punto che perderà la ragione; un’analista, donna sulla cinquantina dotata di una straordinaria carità umana, che lotta in due direzioni: contro la famiglia e contro il mondo accademico che non crede alla bontà del suo esperimento. Tre personalità distinte: l’isterica, la dissociata, la scientifica. Un triangolo di odio – delirio – amore, direbbe il soffietto pubblicitario. Un film non psicologico ma analitico, con un lato sperimentale da non sottovalutare» (Risi).
 
ore 21.00 Ondata di calore di Nelo Risi (1970, 91′)
Ritratto di una donna americana in crisi esistenziale e coniugale con il marito architetto, con finale giallo. Sullo sfondo, la città marocchina di Agadir, ricostruita dopo il terribile terremoto del 1961. Joyce, sola nella sua casa, oppressa dal caldo afoso portato da una violenta tempesta di sabbia, è ossessionata dalle improvvise apparizioni di Alì, il giovane amico del marito. «La storia prende spunto da un racconto di Dana Moseley ma ce ne siamo distaccati. Praticamente io e Anna Gobbi l’abbiamo reinventata spostandola ad Agadir, abbiamo inventato questa omosessualità del marito, che non si vede mai, se non in fotografia. Soltanto alla fine si scopre che la donna lo ha ammazzato all’inizio del film. Film severo, difficile, quasi un monologo pochissimo parlato. È una sorta di puzzle, di mosaico costruito, devo dire, con eleganza, con una certa abilità, che però non ha toccato il pubblico. Eppure per la prima volta nella mia vita godevo di una buona distribuzione, la Titanus, ma questo non mi ha aiutato affatto» (Risi). «Fenomelogia dello straniamento, e ipotesi dell’impossibile redenzione che […] Nelo Risi è riuscito a sottrarre al pericolo della divulgazione e delle metafore uggiose per chiuderle nel cerchio di ferro delle “conquiste” personali» (Elio Maraone). Con Jean Seberg e Luigi Pistilli.
 
giovedì 12
ore 17.00 Au dessus de la vallée diNelo Risi (Ritorno nella valle, 1949, 15′)
«Nella Grecia aspra, desolata e distrutta, all’indomani della guerra, un gruppo di famiglie fa ritorno al villaggio di montagna abbandonato durante il conflitto. Dopo un tratto di percorso in camion, il viaggio prosegue coi muli. Con il loro arrivo il villaggio pian piano torna a vivere. I bambini crescono. Imparano a leggere e a scrivere in una scuola di fortuna allestita all’aperto, nella piazza del paese. La ricostruzione si conclude nell’allegria di una festa paesana. […] In questo folgorante inizio cinematografico di Risi si sente la lezione dei grandi maestri del documentario. Il taglio dell’immagine, il modo di comporla e montarla sono di forte impatto visivo. Una sola inquadratura, dalla quale si sprigiona una inedita forza poetica, può valere da esempio: un fuoco arde, in primo piano, sulla spiaggia, il mare è sullo sfondo e d’improvviso entra in campo, tra il fuoco e il mare, come un cuneo, un gregge di pecore. Composto solo successivamente nella forma in cui lo conosciamo, il cortometraggio è nato da uno dei tanti frammenti di realtà sociale che, all’indomani del secondo conflitto mondiale, Risi andava documentando come reporter operante nell’equipe di Ferno, con sede a Parigi. È in tale veste che compie una serie di viaggi e soggiorni, con l’occhio dentro l’obbiettivo, tutto teso a catturare le immagini delle diverse situazioni sociali in Europa e nel Nord Africa» (De Giusti).
 
a seguire Sud come Nord di Nelo Risi (1957, 15′)
Descrizione dello stabilimento della Olivetti a Pozzuoli. Grazie all’insediamento della fabbrica piemontese in quell’area disagiata del meridione si realizzò una bonifica del territorio con un conseguente miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale.
 
a seguire Elea classe 9000 di Nelo Risi (1960, 32′)
Il documentario, realizzato per la Olivetti, illustra le caratteristiche generali dei grandi elaboratori elettronici attraverso una breve storia dei procedimenti di calcolo del passato. Vengono descritte le peculiarità costruttive dell’Elea classe 9000 seguendone le fasi di realizzazione: dal progetto alla costruzione. Alcuni esempi illustrano i campi di applicazione del calcolatore e i vantaggi offerti da quest’ultimo. La voce off esprime con fermezza il concetto chiave del film: «Gli elaboratori elettronici non sono pensati per sostituire l’uomo ma per promuovere un miglioramento delle sue condizioni lavorative liberandolo dalla fatica e dalla ripetitività delle azioni». Musica di Luciano Berio, animazione di Gianni Polidori e Giulio Gianini.
 
a seguire La memoria del futuro di Nelo Risi (1960, 13′)
Nelle città moderne è necessario razionalizzare i servizi e programmare le singole attività per migliorare la qualità di vita. Il documentario, realizzato per la Olivetti, con l’ausilio dell’animazione creata da Gianni Polidori e Giulio Gianini, racconta brevemente la storia dei calcolatori. Viene descritto l’utilizzo della valvola e del transistor nei calcolatori moderni illustrandone le componenti. L’evoluzione del calcolatore deve però essere supportata dalla scienza e da una continua ricerca. Il filmato si conclude con il seguente enunciato: «L’elettronica è una tecnologia che libera l’uomo dai lavori meccanici e ripetitivi». Musica di Luciano Berio.
 
ore 19.00 Una stagione all’inferno di Nelo Risi (1971, 128′)
«Mi è stato proposto su soggetto di Giovanna Gagliardo. Ho chiamato poi Raffaele La Capria e abbiamo lavorato assieme alla sceneggiatura, trovando un produttore disponibile a mettere in piedi un film che per la prima volta mi poteva dare la possibilità di avere grossi mezzi, tanto è vero che poi mi è stato rimproverato che il film era troppo ricco. […] Rimbaud era un tema che mi stava a cuore. La scommessa fino all’impossibile da parte di un uomo che era stato un genio a 18 anni e che, a un certo punto, butta via la poesia (per la quale tutto sommato io vivo) e si mette a fare il trafficante d’armi» (Risi). «Di questa burrasca romantica, che avrebbe potuto ispirare un film gremito di luoghi comuni sui poeti maledetti, Nelo Risi ci dà […] una versione assai nitida, dove, raccontando in parallelo le vicende della prima gioventù di Rimbaud, trascorsa in Europa (dall’adolescenza riottosa ai litigi con Verlaine) e quelle vissute in Africa, alle prese con i ras e gli speculatori, descrive con occhio asciutto la contraddittoria e misteriosa personalità del poeta e dell’avventuriero, diviso fra rivolta permanente e il sogno d’una famiglia, e la colloca con brevi tratti sullo sfondo d’un’epoca inquieta in cui s’annuncia il crollo della civiltà borghese e l’avvento di nuovi valori» (Grazzini). Con Terence Stamp, Jean-Claude Brialy, Florinda Bolkan e Pier Paolo Capponi.
 
ore 21.15 Un amore di donna diNelo Risi (1988, 102′)
Gabriella è una giovane donna che vive separata dal marito, un anziano avvocato che lei ha sposato a diciott’anni. Il suo rapporto con la madre è molto tormentato. A una festa Gabriella conosce Franco Bassani, un pilota collaudatore di aerei, afflitto da una malinconia di un’avanzata maturità. L’attrazione reciproca si trasforma subito in amore, un sentimento che però non è libero di crescere sia per i grovigli affettivi del passato della donna, sia perché il marito la tiene legata a sé col ricatto economico: madre e figlia dipendono da lui. «È un film, questo sì, d’occasione, che mi è stato offerto. Non sarebbe nelle mie tematiche, ma ho scelto due attori in cui credo, che sono Laura Morante e Bruno Ganz, e ho portato una certa problematica a me cara all’interno di una storia che poteva essere fatta da un altro regista. Quindi tutto sommato è anche un film che mi appartiene per dei risvolti che mi sono affini: il film racconta la storia della crisi di una donna. […] Io ho un grande interesse per la figura femminile. La figura femminile problematica mi intriga e mi piace, non la donna di commedia, ma la donna che ha dei problemi, ed è in crisi. Qui, ancora una volta, c’è una donna in crisi, con un matrimonio andato male, che cerca l’amore ma quando lo trova è piena di ripensamenti. Una vicenda che lascia adombrare un lieto fine piuttosto incerto» (Risi). Con Laura Morante e Bruno Ganz, Claudine Auger.
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