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La famiglia dal Novecento ai giorni nostri tra cinema e psicoanalisi
14 Gennaio 2012 - 14 Gennaio 2012
Cinema e psicoanalisi hanno diversi punti in comune: nati e sviluppatisi nello stesso periodo storico, hanno continuato ad influenzare, con la propria ricerca, la cultura e l’arte da versanti diversi. Anche se il cinema non ha un presupposto terapeutico, alcuni aspetti della sua indagine hanno, tra l’altro, la capacità di stimolare e mettere in luce talune dinamiche psichiche , nascoste alla coscienza dello spettatore, in questo avvicinandosi alla ricerca ed alla pratica psicoanalitica. I film hanno, d’altronde, modalità espressive affini a quelle dei sogni e dell’immaginario, utilizzando quel registro iconico che la Psicoanalisi indaga quale livello fondamentale per la simbolizzazione psichica e la pensabilità. Partendo da un incontro fecondo d’interessi la Società Psicoanalitica Italiana e il Centro Sperimentale di Cinematografia hanno da alcuni anni avviato delle iniziative comuni, tra cui il ciclo “Cinema/Psicoanalisi” , articolato con delle proiezioni mensili al cinema Trevi. Dopo che negli scorsi anni si è messo l’accento sulla figura del padre ed alcuni aspetti del femminile, nel 2012 sarà il tema della famiglia al centro delle proiezioni e dei dibattiti. Le vicissitudini e le dinamiche familiari hanno da sempre interessato e investito le riflessioni non solo psicoanalitiche, ma anche sociologiche, storiche ed antropologiche. La ricerca psicoanalitica, nel suo studio a fini terapeutici dei livelli profondi della psiche, ha focalizzato nell’evoluzione dei rapporti familiari la matrice di molti disturbi mentali (basti ricordare, a tale proposito, la centralità del triangolo edipico), da qui l’interesse e il progetto di un ciclo di proiezioni che copra un periodo che va dalla fase tra le due guerre fino ai nostri giorni, capace di mettere l’accento sull’evoluzione ed i cambiamenti della e nella famiglia, aldilà di talune dinamiche che ne costituiscono il nucleo fondante. Verranno proiettati film dei più importanti registi italiani che hanno contribuito ad approfondire nel tempo il tema della famiglia. Parteciperanno agli incontri, introdotti e coordinati da Fabio Castriota, Presidente del Centro Psicoanalitico di Roma, diversi registi, critici e psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana.
 
ore 17.00
Gli indifferenti (1964)
Regia: Francesco Maselli; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, F. Maselli; fotografia: Gianni Di Venanzo; scenografia: Luigi Scaccianoce; costumi: Marcel Escoffier; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Claudia Cardinale, Rod Steiger, Shelley Winters, Tomas Milian, Paulette Goddard, Consalvo Dell’Arti; origine: Italia/Francia; produzione: Vides Cinematografica, Lux Film, Ultra Film, Compagnie Cinématographique de France; durata: 115′
«Anche quelli che non apprezzano Moravia riconoscono che nel 1929, quando si impose con Gli indifferenti, egli scrisse il suo romanzo più valido e, per quei tempi, più nuovo. Gli schemi narrativi, infatti, li aveva presi dalla vecchia letteratura – la famiglia in sfacelo, la madre anziana con l’amante ricco, il figlio orgoglioso e dolente, la figlia che, quasi per convenienza, sposa l’amante della madre – ma li aveva rivestiti di un clima esistenzialistico ante litteram, di un senso di impotenza di fronte al marcio della vita, di una nauseata indifferenza di fronte al crollo di tutti gli antichi valori, e questo aveva conferito loro una innegabile modernità, trasformando, oltre a tutto, ogni personaggio nel ritratto preciso di un’epoca e di una società. […] Maselli, convinto nell’universalità dei temi del romanzo e credendo che potessero essere trattati anche al di fuori dell’epoca in cui erano sorti, ha volutamente sfocato attorno ad essi la cornice degli Anni Trenta (pur accettandone fogge e costumi) e ha guardato a quei personaggi, quasi sempre in primo piano, come se fossero di oggi, con angustie, nausee, angosce, noie, facilmente riferibili a quelle di cui soffrono i contemporanei; senza accorgersi, invece, che quelle sofferenze non solo erano tipiche di quegli anni, ma che il modo con cui Moravia le aveva espresse era preso in prestito dalla vecchia letteratura» (Rondi).
 
ore 19.00
Storia di ragazzi e di ragazze(1989)
Regia: Pupi Avati; soggetto e sceneggiatura: P. Avati; fotografia: Pasquale Rachini; scenografia: Daria Ganassini, Giovanna Zighetti; costumi: Graziella Virgili; musica: Riz Ortolani; montaggio: Amedeo Salfa; interpreti: Lucrezia Lante Della Rovere, Davide Bechini, Felice Andreasi, Massimo Bonetti, Alessandro Haber, Mattia Sbragia; origine: Italia; produzione: Duea Film, Unione Cinematografica, Rai; durata: 99′
«Un lungo pranzo rurale di febbraio celebra il fidanzamento tra una ragazza di campagna divenuta dattilografa e un ragazzo di città, mette a confronto la famiglia contadino-operaia di lei e la famiglia medio borghese di lui con i loro conflitti e segreti. Il film corale di Pupi Avati, interpretato benissimo da “ventisei protagonisti”, girato in bianco e nero, ambientato nel 1936 fascista, omaggio al ricordo del fidanzamento dei genitori del regista, diretto con felice maestria, sentimento intenso, delicatezza e umorismo, è davvero bello» (Tornabuoni). «Il fascino della grande tavolata contadina è un archetipo che al cinema ha sempre funzionato. Non ho inventato niente. Mi interessava invece quello che accade intorno a quella tavolata, e che ho cercato di raccontare con una miscela, propria del mio modo di fare cinema, credo, di comico, drammatico e struggente» (Avati).
 
ore 20.45
Incontro moderato da Fabio Castriota con Pupi Avati e Italo Moscati
 
a seguire
Amarcord (1973)
Regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: F. Fellini, Tonino Guerra da un’idea di F. Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia e costumi: Danilo Donati; musica: Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Ciccio Ingrassia, Magali Noël, Alvaro Vitali; origine: Italia/Francia; produzione: F. C. Produzioni, P.E.C.F.; durata: 127′
L’adolescenza di Titta in un immaginario paese della Romagna, che evoca la Rimini felliniana, fra un padre antifascista, la madre bigotta, uno zio fascista, l’altro in manicomio, i compagni di scuola, la tabaccaia, Gradisca… «Quasi tutto Amarcord è danza macabra su un ilare sfondo e palio dei buffi fra quinte sinistre, con pause di assorto rapimento e amare discese agli inferi dove l’infanzia, quell’infanzia, alimenta le nostre nevrosi, la vocazione al patetico e al rissoso. Emozione e fantasia, invenzione d’artista e padronanza assoluta del mestiere si danno la mano in uno spettacolo senza ombra di intellettualismo dove nulla è vero, perché tutto è ricostruito (anche il mare), e tuttavia la realtà, portata al limite del tripudio onirico, ha come non mai peso e spessore, abitata da attrazioni e ripulse, attese e spaventi, che sono il tessuto della vita e il suo controcampo elegiaco. […] Federico Fellini ha detto con Amarcord, sull’Italia degli anni fascisti, forse più e meglio di tanti storici di professione. Dobbiamo essere grati al suo talento» (Grazzini).
Ingresso gratuito

 

 

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