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Fantasmi d’amore. Il gotico italiano
19 Gennaio 2012 - 19 Gennaio 2012
Il volto sensuale ed enigmatico di Barbara Steele, la regina incontrastata di tutte le Scream Queens. Il ghigno mefistofelico di Boris Karloff. Lo sguardo ipnotico di Christopher Lee. Ma soprattutto castelli diroccati, minacciosi pipistrelli, strani maggiordomi, bare nascoste in antri polverosi, pieni di ragnatele. Lugubri quadri che rivelano passaggi segreti tra i vivi e i morti. Specchi che riflettono inquietanti ombre dietro di noi. Scricchiolii di misteriosi passi su una scala a chiocciola. Trasposizioni letterarie molto libere magari dai racconti di Edgar Allan Poe. Chi se lo ricorda più il gotico all’italiana, nato agli inizi degli anni Sessanta, sulla scia del successo dei film inglesi della Hammer? Probabilmente il genere cinematografico più eccentrico del cinema italiano, ha poi proseguito a fasi alterne negli anni Settanta e Ottanta, cambiando volentieri “medium”, passando in televisione (l’inarrivabile sceneggiato televisivo Il segno del comando). A rispolverare e a far riemergere dall’oscurità – magari da un antico maniero abbandonato! – classici del gotico firmate dai grandi Mario Bava, Riccardo Freda, Antonio Margheriti e successivamente Dario Argento, insieme a opere più oscure e meno conosciute ci ha pensato il critico Roberto Curti, redattore di «Blow Up» e collaboratore del dizionario Mereghetti, da anni studioso di cinema non solo italiano, autore di esaustive monografie su James Coburn e Tonino Valerii, nonché d’importanti volumi sulla storia del cinema Sex and Violence – Percorsi nel cinema estremo (2003, con Tommaso La Selva), Italia odia – Il cinema poliziesco italiano (2006), Stanley Kubrick. Rapina a mano armata (2007), Demoni e dei. Dio, il diavolo, la religione nel cinema horror americano (2009). Fantasmi d’amore. Il gotico italiano tra cinema, letteratura e tv, l’ultima sua fatica, ripercorre la storia del genere dalle origini a oggi. Ne analizza i temi, lo stile, le avventure produttive e commerciali, il rapporto con le fonti letterarie e i legami con la storia, la cultura e il costume del nostro paese. Passa in rassegna non solo film dei grandi artigiani del cinema italiano ma anche quegli autori che con il genere gotico si sono cimentati in maniera imprevedibile e inusuale come Federico Fellini, Dino Risi, Pupi Avati… Ma il volume non trascura né le produzioni televisive, né i nuovi scenari dei giovani cineasti indipendenti degli anni 2000. «Considerato da questo punto di vista, il gotico italiano non cessa di esistere di colpo, non scompare d’emblée», scrive Curti nella premessa del volume. «Semplicemente, cambia pelle, assume forme nuove o presunte tali per arrivare fino a questi ultimi anni. E se oggi più che mai il gotico è una narrazione dell’alienazione attraverso l’inquietudine, che non abdica ai propri temi fondamentali – la paranoia, la barbarie, i tabù – ma li rielabora sulla base delle paure culturali del presente, l’oggetto di questo volume si spinge a comprendere pellicole sui generis che denotano analogie e risonanze a tratti sorprendenti con il cuore nero dell’esperienza gotica. Ed è attraverso questi esempi che vale la pena chiedersi se il gotico abbia ancora un margine di sopravvivenza e una ragione di esistere nel panorama italiano odierno, o se l’ottusa sazietà che contraddistingue il nostro quotidiano abbia avuto il sopravvento, e i mostri generati dal sonno della ragione abbiano spazzato via quelli, ben più inermi, nati dalla veglia dell’immaginazione».
 
ore 17.00
Fantasma d’amore (1981)
Regia: Dino Risi; soggetto: dal romanzo omonimo di Mino Milani; sceneggiatura: Bernardino Zapponi, D. Risi; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: Giuseppe Mangano; costumi: Orietta Nasalli Rocca; musica: Riz Ortolani; montaggio: Alberto Gallitti; interpreti: Romy Schneider, Marcello Mastroianni, Wolfgang Preiss, Eva Maria Meinecke, Michael Kroecher, Victoria Zinny; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Dean Film, Agence Méditerranéen de Location de Film, Roxy Film; durata: 98′
Nino, un uomo di mezza età, incontra una donna malaticcia alla quale presta una moneta da cento lire. Da quel giorno questa misteriosa signora lo perseguita. Dice di essere Anna, la donna che con Nino aveva vissuto un grande amore. E improvvisamente quella passione amorosa che sembrava ormai spenta nel corso degli anni rinasce più viva che mai. In un banale incidente durante una gita in barca Anna scompare tra i flutti. Nino vuole chiarire la sua posizione ma tutti gli confermano che la donna era morta tre anni prima. «Rispetto ad Anima persa, Risi e Zapponi immergono il loro racconto gotico in una cornice quotidiana, a tratti triviale, tra corse in autobus, feste borghesi e rimpatriate tra vecchi amici, risotti e pellicce, in cui le aperture fantastiche – e in un caso, l’omicidio della portinaia, orrorifiche – spiccano ancor di più, tra stilizzati flashback (la gita di Mastroianni e della Schneider in bici, con quella frasca malandrina in campo, rimanda a bava: ma anche quel bacio tra Nino e la sua amata Anna ridotta a un’anziana dai denti marci e dall’alito si presume putrido, con l’uomo che subito si pulisce la bocca con ribrezzo, ricorda il racconto di Tolstoj da cui Bava trasse I Wurdalak), ville cadenti e nebbie evocative» (Curti).
 
ore 19.00
La cripta e l’incubo (1964)
Regia: Thomas Miller [Camillo Mastrocinque]; soggetto e sceneggiatura: Robert Bohr [Tonino Valerii], Julian Berry [Ernesto Gastaldi]; fotografia: Julio Ortas Plaza, Giuseppe Aquari; scenografia: Demos Philos [Demofilo Fidani]; costumi: Milose [Mila Valenza]; musica: Herbert Buckman [Carlo Savina]; montaggio: Herbert Markle; interpreti: Christopher Lee, José Campos, Adriana Ambesi, Carla Calò, Vera Valmont, Ursula Davis [Pier Anna Quaglia]; origine: Italia/Spagna; produzione: Mec Cinematografica, Hispamer Film; durata: 82′
«II conte Ludwig Karlstein (Lee) teme che la figlia Laura (Ambesi) sia la reincarnazione di un’antenata strega: e mentre si ricerca un ritratto rivelatore, le morti si moltiplicano. Elegante gotico italiano pieno di personaggi doppi e tripli, che unisce, come d’abitudine, velate suggestioni morbose (il lesbismo) a un’atmosfera di minaccia e di mistero, qui più riuscita che in altri epigoni» (Mereghetti). «In La cripta e l’incubo il quadro misterioso diventa lo spunto per una detection gialla, con la trovata del dipinto originario celato sotto un altro, elemento che anticipa pellicole come Profondo rosso e La casa dalle finestre che ridono. Inoltre, il film di Mastrocinque evita i luoghi comuni del filone: non v’è traccia di canini appuntiti, laddove Le Fanu insiste sui denti affilati di Carmilla […]. Infine, e soprattutto, il film di Mastrocinque ribalta le caratteristiche fisiche delle due protagoniste. Laura, che nel racconto è la tipica damsel in distress vittoriana […] sullo schermo assume i tratti mediterranei, i capelli corvini e le curve sensuali di Adriana Ambesi. Di contro, Ljuba/Carmilla […] ha le sembianze angeliche dell’innocente biondina Ursula Davis […]. Valerii e Gastaldi mescolano abilmente le acque, associando a Laura tutte le caratteristiche che Le Fanu riserva a Carmilla, come i repentini mutamenti d’umore, e mettono in bocca a Ljuba le parole che lo scrittore fa a dire a Laura a proposito di Carmilla […]. A dispetto delle importanti alterazioni rispetto al testo, Valerii e Gastaldi colgono e amplificano la potenza sensuale del racconto» (Curti).
 
ore 20.45
Presentazione del volume di Roberto Curti Fantasmi d’amore. Il gotico italiano tra cinema, letteratura e tv (Lindau, 2011).
Partecipano Roberto Curti, Ernesto Gastaldi, Tonino Valerii
 
a seguire
Toby Dammit (ep. di Tre passi nel delirio,1967)
Regia: Federico Fellini; soggetto: dal racconto Non scommettere la testa col diavolo de I racconti straordinari di E.A. Poe; sceneggiatura: F. Fellini, Bernardino Zapponi; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia e costumi: Piero Tosi; musica: Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Terence Stamp, Salvo Randone, Antonia Pietrosi, Polidor, Marisa Traversi, Milena Vukotić; origine: Francia/Italia; produzione: Cocinor, Les Films Marceau, P.E.A.; durata: 44′
«Fellini e Zapponi stravolgono completamente il personaggio di Toby, nel racconto un brutto ceffo malfidato e losco, scommettitore accanito per vizio e per abitudine […]. Ne fanno un divo, ammirato e coccolato, gli danno il volto angelico di Terence Stamp, e lo plasmano in modo da aggiungerlo alla galleria dei protagonisti felliniani. […] Esibito, usato, sballottato da un set all’altro, costantemente fuori fuoco, confuso, ebbro. Come se l’unico modo per interagire con la (o per sopravvivere alla) realtà in cui è precipitato sia una perenne alterazione sensoriale. Toby non interagisce se non attraverso la catalogazione passiva del suo sguardo, che registra orrori su orrori facendo da filtro per lo spettatore. […] È stupido, è ottuso. È venuto a Roma solo perché gli hanno promesso una Ferrari, con cui si schianterà perdendo la testa. Il suo patto col diavolo è quello: la bambina che reclama il pegno è solo l’utilizzatrice finale, tutti gli altri sono complici e artefici della sua rovina» (Curti). Nel 2008 la Cineteca Nazionale ha realizzato, con la supervisione di Giuseppe Rotunno, il recupero cromatico dell’episodio Toby Damnit. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con il Taormina Film Fest e con il contributo di Ornella Muti e KGC.
Ingresso gratuito
 

 

 

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