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“Esce il nuovo numero del quadrimestrale del CSC “Bianco e Nero”, il 576-7, dedicato ai cinquant’anni da “Il Gattopardo”
Centro Sperimentale di Cinematografia
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Parafrasando John Lennon, la Storia è quello che ti circonda mentre sei occupato a fare altro (lui parlava della vita, ma forse sarebbe d'accordo). Il 5 ottobre 2013, mentre tutti eravamo occupati a fare altro, la Storia (del cinema italiano, e non solo) ha deciso che per Carlo Lizzani era arrivato il momento, parole sue, di "staccare la spina". Il regista si è gettato dalla finestra della sua abitazione in via dei Gracchi, a
Roma. Aveva 91 anni. Carlo Lizzani non era solo uno dei più importanti cineasti italiani del dopoguerra. Era anche uno storico, un intellettuale, un operatore culturale e un caro amico: di chi scrive, della rivista che state leggendo e del Centro Sperimentale, dove spesso aveva condiviso con docenti e studenti la sua competenza, le sue esperienze, la sua passione per il cinema. Non potevamo non ricordarlo su questo numero di «Bianco e Nero». Scorrendo gli indici della rivista siamo rimasti colpiti dall'intervento che riproduciamo integralmente nelle prossime pagine. È il resoconto di una conversazione fra Lizzani e gli insegnanti e gli allievi del Centro, in occasione dell'uscita del suo film Il gobbo. Come tutti sanno, quel film racconta una storia vera e molto controversa: la breve vita di Giuseppe Albano, detto «il gobbo del Quarticciolo», un partigiano che dopo la liberazione di Roma continuò a modo suo la lotta armata diventando, di fatto, un fuorilegge. Fu ucciso a 19 anni il 16 gennaio 1945, in circostanze mai del tutto chiarite. Il gobbo è uno dei tanti film in cui Carlo Lizzani si confronta con la Storia del nostro Paese: dandone una rilettura "romanzata" - perché il cinema è prima di tutto racconto, narrazione - ma cercando di restituirne in modo dialettico tutta la complessità. Esistono film "storici" in senso stretto, nel senso che ricostruiscono eventi realmente accaduti: Il gobbo è
uno di questi. Ed esistono film "storici" in senso lato, che alla storia alludono attraverso il racconto (oggi si usa dire: la finzione): e in un certo senso Il gobbo appartiene anche a questa seconda categoria. La conversazione che docenti e allievi del Centro ebbero nel 1960 con Lizzani ci sembrava perfetta per introdurre il numero che avete fra le mani. Un numero che prende spunto dai cinquant'anni di Il Gattopardo di Luchino Visconti, in parallelo a un evento celebrativo che il Centro Sperimentale e la Cineteca Nazionale hanno organizzato a Palermo nel dicembre del 2013. Quando si parla di film "storico", o addirittura di kolossal "storico", Il Gattopardo - nell'ambito del cinema italiano, ma non solo - è una sorta di prototipo,
di pietra miliare, di termine di paragone. Celebrarne il mezzo secolo era doveroso, anche per ricordare una stagione del nostro cinema alla quale è impossibile non ripensare con nostalgia: nel 1963 uscirono anche 8 1/2 di Fellini, Le mani sulla città di Rosi, I compagni di Monicelli, I basilischi della Wertmüller, Il
maestro di Vigevano
di Petri, I mostri di Risi, Una storia moderna: l'ape regina di Ferreri, Il processo di Verona dello stesso Lizzani e quel "piccolo", magnifico film che è La ricotta di Pasolini. Ma ci è sembrato interessante partire da Il Gattopardo per portare allo scoperto alcune strategie narrative che il cinema italiano ha utilizzato per raccontare la Storia anche quando sembra parlare d'altro. Di qui le analisi del western e del peplum, forse i due generi più "storici" del nostro cinema, ma anche di autori come Luigi Magni, Nanni Moretti e Marco Bellocchio o addirittura di singoli eventi spettacolari come la rilettura dell'Inno di Mameli da parte di Roberto Benigni. Per arrivare alla rappresentazione del potere in Il divo di Paolo Sorrentino e al recupero degli anni '70 in una serie tv come Romanzo criminale. Come suol dirsi: la Storia, le storie. Tante storie che raccontano l'Italia in modo nascosto, surrettizio, quasi clandestino. Storie di Gattopardi e di altri strani animali…

                                                                                                   Alberto Crespi

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