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“Dal 4 al 6 giugno, alla Sala Rocca, “La luce come compagna”, il cinema del dop Pino Pinori”
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«C'è una cosa dalla quale non posso prescindere, 
il filo rosso che ha tenuto insieme tutta la mia vita. 
Parlo della luce»
Giuseppe Pinori

 La luce come compagna. Viaggi, incontri, miracoli di un autore della cinematografia (Artdigiland, 2019). Un libro scritto con la passione che lo ha sempre contraddistinto.

 Italia proibita di Enzo Biagi e dei fratelli Brando e Sergio Giordani, I misteri di Roma, film collettivo di ascendenza zavattiniana, Italiani come noi di Pasquale Prunas, e il fantasioso Le schiave esistono ancoradi Roberto Malenotti. Con I dannati della terra di Valentino Orsini e Sotto il segno dello scorpione di Paolo e Vittorio Taviani Pinori inizia il viaggio nel cinema d'autore, costellato da importanti collaborazioni (Il rapporto di Massobrio, Melodrammore di Maurizio Costanzo, Circuito chiuso di Montaldo, Ecce bombo di Moretti, Maledetti vi amerò e La caduta degli angeli ribelli di Giordana, La festa perduta di Murgia, Copkiller di Faenza), senza peraltro disdegnare incursioni nei generi (L'arciere di fuoco di Ferroni, Decameron n° 3 e Canterbury proibito di Alfaro, Bada alla tua pelle Spirito Santo! di Mauri, Contamination di Cozzi, I guerrieri dell'anno 2072 e Murderock uccide a passodi danza di Fulci). Da anni si dedica a un ambizioso progetto con Romano Scavolini, L'apocalisse delle scimmie.

martedì 
ore 18.45 Sotto il segno dello scorpione di Paolo e Vittorio Taviani (1969, 90') 
«Lo Scorpione è un apologo semplice e lineare che si costruisce su un'isola, spazio collocato fuori dalla Storia, dimensione leggendaria, metafora di un presente (il '68/69) che non si vuole rappresentare col documento, bensì manipolare con la finzione. Invenzione e immaginazione sono i confini di questa narrazione dove i Taviani raccolgono frammenti di antiche leggende, che raccontano di Enea, di Romolo e Remo (Rutolo e Taleno, i due nomi sono onomatopeici), del ratto delle Sabine, ma di questo nel film non sono rimaste che piccolissime tracce, orme di ricordi impressi nell'infanzia; come una fotografia di un libro di Storia, dimenticata dagli autori e pur indelebile nella loro memoria. […] Rutolo e Taleno sono i due fratelli che con altri compagni approdano in cerca di salvezza su un'isola identica a quella da cui sono fuggiti: una realtà che si ripropone sempre uguale. Anche nell'isola la Storia segue ritmi troppo lenti rispetto all'esigenza di cambiare, di mutare, dei giovani fuggiaschi. Essi non possono accontentarsi della ricostruzione; esigono l'alterità, il nuovo, anche se sconosciuto. L'ambizione al continente, terra ove l'utopia potrà finalmente realizzarsi, spinge i giovani ad agire presto, subito: essi non hanno tempo» (Accialini-Coluccelli). «La chiave di volta della mia carriera è stata certamente Sotto il segno dello scorpione dei fratelli Taviani. Lavorare a questo film mi ha consentito non solo di entrare definitivamente nel cinema vero e proprio dopo il mio percorso nel documentario, ma anche di collaborare a qualcosa che sicuramente ha fatto storia» (Pinori).

ore 20.30 Tokende! di Ansano Giannarelli e Piero Nelli (1966, 21')
Il film, attraverso le testimonianze del gruppo musicale The Folkstudio Singers composto da giovani neri, indaga sui legami ideali, psicologici, affettivi, storici e politici tra i discendenti degli schiavi africani e la loro terra d'origine. Le riprese dei membri del gruppo, durante le loro testimonianze, si alternano a immagini fotografiche degli Stati Uniti e a documenti filmici sull'Africa contemporanea. La storia dello schiavismo e della deportazione, il razzismo e l'apartheid, la disuguaglianza sociale, la povertà e il benessere, ma anche l'indipendenza e la libertà sono le condizioni rievocate da Eddie, Jessie, Archie, Billy attraverso riflessioni, canti, poesie. «Avevo già fatto molti documentari con Piero Nelli e Ansano Giannarelli. Erano uno più entusiasta dell'altro, ma diversi, direi complementari. Piero era scatenato, Ansano era "la mamma" della troupe e con estrema dolcezza ti faceva fare le cose che voleva. Per Tokende Ansano mi chiese di adoperare il negativo SAV 6 asa, un negativo senza grigi, per raccontare l'Africa in modo diverso, e di usare il negativo colore con la luce ambiente. Avevano competenze tecniche straordinarie» (Pinori). 

a seguire I dannati della terra di Valentino Orsini (1969, 90')
Alla sua morte, il giovane regista africano Abramo Malonga lascia in eredità al suo antico maestro, il regista cinematografico italiano Fausto Morelli, il suo primo ed ultimo film ancora incompiuto. Morelli, visionato il lavoro, si trova di fronte ad un'opera sconcertante e complessa, una riflessione sui "dannati della terra" e le lotte di liberazione africane: decide allora di provare a ricostruire e completare il film. «E I dannati della terra, se non certo compiuto, è "bello" […], ci sembra un modo inconsueto di pensare il cinema, il film italiano ideologicamente e politicamente più avanzato» (Aristarco). «Una delle cose più folli e difficili che io abbia mai dovuto affrontare nella vita […]. Sono partito con Valentino [Orsini, n.d.r.] per la Guinea proprio mentre il paese era in piena lotta con il Portogallo per la propria indipendenza e mi sono gettato in mezzo a una guerra atroce» (Pinori).

mercoledì 5
ore 18.45 La casa rosa di Vanna Paoli (1996, 97')
«Il Ministero degli Affari Esteri comunica ad una ragazza italiana di origini slave che, dopo la caduta del comunismo nei paesi dell'Est, il governo ha reintegrato la proprietà privata e che pertanto è in possesso della casa dei suoi nonni materni. Recatasi con il suo fidanzato in Cecoslovacchia, la fanciulla rimane affascinata non soltanto dalla "Casa Rosa" di sua proprietà, ma anche dalla gente che abita nelle vicinanze» (Lancia). «Il film era ambientato a Praga, la città che in assoluto ricordo con il cielo più nero che abbia mai visto… […] tutto quel grigio rendeva le immagini meno sature e di una delicatezza quasi fiabesca» (Pinori).

ore 20.30 Ecce bombo di Nanni Moretti (1978, 100' 
«Per Ecce bombo (che è l'urlo di uno straccivendolo che, mi avevano raccontato, girava intorno a una scuola di Roma - e che compare in una scena del film) sono stato indeciso tra decine di titoli […] Uno era Sono stanco delle uova al tegamino, poi scelsi Ecce bombo che però suscitava poco consenso, ricordava "Ecce Homo", sembrava blasfemo. Senz'altro se il film fosse andato male la colpa sarebbe stata del titolo […]. Il tirante narrativo in una sceneggiatura tradizionale, anche se non si tratta di un giallo o di un poliziesco, si chiama suspence: è ciò che sviluppa il film, che avvince lo spettatore. Nel mio film non c'è nulla di tutto ciò. Ecce bombo ha una struttura invece molto più orizzontale, a incastro. […] Si trattava, e la messa in scena anche se molto povera lo ricordava, di un film d'artificio. E cercava di essere il meno possibile sull'attualità. I personaggi dei miei film sembrano vivere in un acquario, non si parla mai di un avvenimento accaduto in quel periodo in cui è ambientato il film» (Moretti).

La cosa che mi ha colpito di più di questa storia è il ricordo di suo padre, che, finite le riprese, è venuto da me per abbracciarmi e per ringraziarmi per tutto ciò che avevo fatto per suo figlio» (Pinori).
 

giovedì 6
ore 18.45 Copkiller di Roberto Faenza (1983, 107')
«A New York, sei poliziotti della Squadra Narcotici vengono uccisi da un misterioso assassino che usa come arma dei suoi delitti un coltello da cucina. Mentre la polizia indaga sugli scarsi indizi, la stampa accusa di corruzione e di responsabilità di quelle morti violente proprio gli ambienti ai vertici della Polizia. Ed effettivamente il tenente Fred O'Connor, incaricato delle indagini, ha una strana personalità: egli considera i deboli ed i drogati alla stregua di delinquenti che vanno puniti e, quindi, non prova rimorso ad approfittare di essi e farsi corrompere. Insieme all'amico e collega Bob, egli ha investito segretamente i soldi della corruzione in un lussuoso appartamento. Ed è proprio in quella casa che un giorno gli si presenta Leo, un giovane psicopatico, erede di una grande fortuna» (cinematografo.it). Con Harvey Keitel e John Lydon alias John Rotten. «Io e Roberto [Faenza, n.d.r.] andammo a New York con un mese di anticipo rispetto al resto della troupe per fare i dovuti sopralluoghi. È stato un mese meraviglioso in cui abbiamo avuto modo non solo di stringere un bellissimo rapporto, ma anche di confrontarci per cercare di arrivare a un risultato che fosse il più vicino possibile a quello che per noi era la perfezione» (Pinori).

ore 20.45 Incontro moderato da Adriano Aprà con Giuseppe Pinori, Roberto Faenza, Elda Ferri, Marco Tullio Giordana, Silvia Tarquini
Nel corso dell'incontro sarà presentato il libro di Giuseppe Pinori La luce come compagna. Viaggi, incontri, miracoli di un autore della cinematografia (Artdigiland, 2019)

 a seguire Maledetti vi amerò di Marco Tullio Giordana (1980, 85')
«Quel che colpisce è la freschezza di sguardo, ma anche l'impietosità, l'ironia, il sarcasmo con cui il regista riesce ad inquadrare la caduta degli ideali del '68 e il terreno sociale, politico, antropologico in cui nasce e matura l'esperienza della lotta armata. La vicenda personale di Riccardo detto "Svitol", un ex contestatore tornato a Milano dopo cinque anni di assenza trascorsi in Sud America perché convinto di essere ricercato dalla polizia, è quella di un'intera generazione uscita destabilizzata dagli anni di piombo. Gli occhi di "Svitol" registrano una realtà di cui non riesce a capacitarsi: tutto è diverso rispetto a quando è partito, a cominciare dai suoi ex compagni che, o si sono integrati nel Sistema, oppure hanno ceduto alla droga e alla depressione ("Ha ucciso più compagni la depressione che la repressione" dice uno di loro). La deriva ideologica ed esistenziale di una generazione che già nel '78 [...] prende corpo nel paesaggio di macerie materiali e morali in cui si aggira, come un fantasma tornato sulla terra, il Riccardo di Flavio Bucci» (Uva). «Quando Maledetti vi amerò vinse il Pardo d'oro a Locarno ricevetti da Giordana una telefonata che me lo fece piacere ancora di più. "Pino", mi disse, "abbiamo vinto il primo premio!". In quell'"abbiamo" c'è tutto» (Pinori).

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