“Dal 23 al 31 ottobre, al cinema Trevi, la rassegna “Cinema e Fede”
«In che misura il cinema è capace di articolare un discorso sulla fede? Quali strategie enunciative gli permettono di dire ciò che non può essere detto, di "vedere" quel che non ha immagine? E ancora: quale contributo - testimonianza - esso può dare del tortuoso percorso di conoscenza di Dio? Sarebbe facile ridurre l'intera questione al soggetto: i film a tematica religiosa si dichiarano esplicitamente, espongono la propria intenzione di trattare i rovelli dello spirito. Bastasse questo, non ci sarebbe differenza alcuna tra una fiction che narra la vita di un santo e uno dei grandi capolavori cinematografici della spiritualità, come l'Ordet di Dreyer o Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini. I titoli che compongono la rassegna Cinema e Fede, promossa dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, non sono segnati solo da un'affinità tematica ma dalla capacità di restituire - in tutta la sua drammaticità e con tutti i deragliamenti narrativi del caso - l'incontro/scontro tra umano e divino, Fede e Ragione, con la sola forza evocativa delle immagini. Tra La porta del cielo di Vittorio De Sica (che apre la rassegna) a Io, loro e Lara di Carlo Verdone (che la chiude) ci sono più di 60 anni di differenza, un'era geologica per la tecnologia, la cultura, il sapere. E un abisso per quanto riguarda lo stile, la forma, la storia narrabile. Eppure l'uno e l'altro rendono testimonianza, col solo tramite delle immagini, dell'impossibile scomparsa del mistero, del sacro, del divino dalla vita umana. E ci rivelano - come solo il cinema può, ovvero affettivamente, da cor ad cor loquitur - che finché ci saranno gli uomini scossi da un desiderio di infinito esisteranno film come questi, la cui luce si propaga oltre il raggio luminoso del proiettore» (Dario E. Viganò, Presidente Fondazione Ente dello Spettacolo).
martedì 23
ore 17.00
La porta del cielo (1945)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: tratto liberamente da La casa dell'angelo di Piero Bargellini [non accreditato]; sceneggiatura: Cesare Zavattini, V. De Sica, Diego Fabbri, Adolfo Franci, Carlo Musso, [non accreditato Enrico Ribulsi]; fotografia: Aldo Tonti; scenografia: Salvo D'Angelo; musica: Enzo Masetti; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Marina Berti, Elettra Druscovich, Massimo Girotti, Roldano Lupi, Carlo Ninchi, Elli Parvo; origine: Italia; produzione: Orbis Film; durata: 84'
Varia umanità in viaggio sul treno bianco diretto al santuario di Loreto. «Il film è assai nobile, rivela in ogni istante una scrupolosa cura, ha sequenze notevoli, ma è per lo più esteriore. Gli manca quel brivido umano e profondo che avrebbe dovuto far vibrare queste diverse ed uguali vicende; si compiace dell'inquadratura (e ve ne sono di bellissime), insiste su primi piani dolenti senza supporre che finiranno per elidersi a vicenda, e la stessa insistenza impiega in effetti sonori, dai canti alle preghiere» (Gromo). «La materia era ingrata per sua natura e gli sceneggiatori hanno cercato di alleggerirla e variarla lasciando parlare i fatti piuttosto che la propaganda e sforzandosi di correggerne l'inevitabile insipidezza con tratti arguti e particolari realistici. Tra le storie dei malati, rievocate mentre il treno corre alla volta di Loreto, le migliori ci sembrano quella del musicista e quella dell'operaio accecato. Non così riuscita ci pare la storia della cameriera fedele che va a impetrare la grazia della felicità domestica per il suo padrone. E a questo proposito vogliamo dire che le parti popolari nei film italiani sono sempre decisamente superiori a quelle signorili. Il nostro popolo è fotogenico, insomma, e la nostra borghesia non lo è. […] De Sica, che bisogna mettere tra i nostri migliori registi, ha diretto il film con umana misura e sobrietà di effetti» (Moravia).
ore 19.00
Paisà (1946)
Regia: Roberto Rossellini; soggetto: Sergio Amidei, Federico Fellini, Marcello Pagliero, Victor Alfred Haynes, R. Rossellini; sceneggiatura: S. Amidei, F. Fellini, R. Rossellini; voce narrante: Giulio Panicali; fotografia: Otello Martelli; montaggio: Eraldo Da Roma; musica: Renzo Rossellini; interpreti: Carmela Sazio, Dots Johnson, Maria Michi, Harriet Medin, William Tubbs, Dale Edmonds; origine: Italia; produzione: O.F.I.; durata: 133'
Attraverso sei episodi, il film rievoca l'avanzata delle truppe alleate in Italia. Si inizia con l'episodio dello sbarco in Sicilia, dove una ragazza e un soldato americano vedono troncare sul nascere la loro storia d'amore. Segue una scena a Napoli: i protagonisti sono un soldato afroamericano e un bambino che lo deruba. Inseguendolo, il soldato scopre la vita misera che il bambino conduce con la famiglia e decide di non denunciarlo. Il terzo episodio si svolge a Roma, dove un soldato incontra una prostituta, raccontandole di una ragazza che aveva conosciuto tempo prima. L'uomo non sa che quella giovane di cui serba il ricordo è proprio lei. Il quarto rievoca le drammatiche giornate della liberazione di Firenze, dove una donna cerca un suo amico pittore, ora capo partigiano. Il quinto si svolge in Romagna nella riposante quiete di un piccolo convento sulla linea gotica, dove si ritrovano tre cappellani militari, un cattolico, un ebreo e un protestante. L'ultimo, ambientato nel delta del Po, esalta la coraggiosa opera di partigiani italiani nelle paludi della valle padana. «[Il film] rispecchia dopo la tragedia della "città aperta", quella di tutto un popolo. [...] Tanta foga nel ritagliare figure e personaggi da una cronaca ancora viva negli occhi e nell'animo degli italiani, tanta avidità di scoprire, di raccontare, d'immergersi nelle dimensioni reali della nostra esperienza quotidiana e della nostra vita vissuta, sembrano suggellare la validità profonda delle aspirazioni del cinema e della cultura d'opposizione, e condurre a un approdo libero le prime rotture, i primi scandali antiretorici di De Sica e di Visconti» (Lizzani).
ore 21.15
Saluto introduttivo di S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
a seguire
Un giorno nella vita (1946)
Regia: Alessandro Blasetti; soggetto: A. Blasetti, Mario Chiari, Diego Fabbri, Edoardo Anton; sceneggiatura: Anton Giulio Majano, Cesare Zavattini; fotografia: Mario Craveri; scenografia: Salvo D'Angelo, Franco Lolli, Aldo Tomassini; musica: Enzo Masetti; montaggio: Gisa Radicchi Levi; interpreti: Elisa Cegani, Massimo Girotti, Mariella Lotti, Amedeo Nazzari, Dina Sassoli, Ada Colangeli; origine: Italia; produzione: Orbis Film; durata: 117'
Un gruppo di partigiani per sfuggire ai tedeschi si rifugia in un convento. Dapprima le suore evitano qualsiasi contatto con loro, poi la necessità di soccorrere un ferito crea l'occasione per una maggiore comprensione. Il neorealismo secondo Blasetti che non rinuncia ad attori famosi e non scende per strada, chiudendo la macchina da presa all'interno di un convento, ma riesce a restituire e a riaffermare l'umanità che sopravvive a qualsiasi guerra. «Si osservi anche la perspicacia con cui il regista controlla e restringe il potenziale melodrammatico di Un giorno nella vita […] a beneficio di un'osservazione sfumata e minuziosa delle suore che sfilano davanti alla macchina da presa. Si apprezzi, inoltre, l'insolita curiosità che lo induce a scovare, sotto i panni severi e uniformanti di un ordine religioso, una soggettività e una femminilità non sopite, a dispetto degli esercizi adottati per il conseguimento di un assoluto distacco dai piaceri e dalle tribolazioni mondane» (Morandini).
mercoledì 24
ore 17.00
Francesco giullare di Dio (1950)
Regia: Roberto Rossellini; soggetto: R. Rossellini, ispirato ai Fioretti di San Francesco; sceneggiatura: F.Fellini, R. Rossellini, [non accreditato Brunello Rondi]; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Marina Arcangeli; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: fra' Nazario Gerardi, Aldo Fabrizi, Peparuolo, Arabella Lemaître, padre Sorrentino, fra' Nazareno; origine: Italia; produzione: Giuseppe Amato, Rizzoli Film; durata: 85'
«Il pregio maggiore del film sta proprio nell'aver ricondotto alla misura umana sentimenti grandi perché umani, nell'aver trattato i Fioretti come gli episodi di Paisà: persino con lo stesso ritmo e il medesimo tono fotografico. E se da un punto di vista strettamente religioso si comprendono critiche e riserve, non si può non riconoscere che attraverso questa opera il regista ha approfondito quel senso serio e religioso della vita che è nei suoi film, invitandoci a scoprire il divino che è nell'uomo e che può rilevarsi nella piccola azione […]. Tutto questo Rossellini non dice esplicitamente: la sua concezione si fa ritmo, taglio del quadro, tono fotografico, stile di recitazione, in una parola: espressione» (Chiarini).
ore 18.45
Francesco (1989)
Regia: Liliana Cavani; soggetto: L. Cavani; sceneggiatura: L. Cavani, Roberta Mazzoni; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia e costumi: Danilo Donati; musica: Vangelis; montaggio: Gabriella Cristiani; interpreti: Mickey Rourke, Helena Bonham-Carter, Paolo Bonacelli, Mario Adorf, Fabio Bussotti, Hans Zischler; origine: Italia/Germania; produzione: Karol Film, Rai, Istituto Luce-Italnoleggio Cinematografico, Royal Film; durata: 157'
«Un San Francesco che sarebbe piaciuto a Rossellini. Solo che il San Francesco di Rossellini era il "Serafico" dei Fioretti, questo di Liliana Cavani, distinguendosi anche dall'altro che la regista aveva realizzato nel '67 in cifre quasi solo di rivolta, è essenzialmente drammatico: perché lo scuote e lo percuote il dramma di capire fino in fondo la volontà di Dio a suo riguardo. Un dramma visto rigorosamente dal da fuori (e anche questo sarebbe piaciuto a Rossellini che preferiva mostrare anziché dimostrare) perché Liliana Cavani, anziché seguire le vie tradizionali della narrazione psicologica, se lo è fatto suggerire da quella Leggenda dei Tre Compagni in cui, nel 1244, frate Leone, frate Rufino e frate Angelo riferirono i momenti della vita di San Francesco cui avevano direttamente assistito, per ristabilire la verità sul suo insegnamento e impedire che il suo spirito di povertà e di abbandono venisse tradito all'interno dell'Ordine che aveva fondato» (Rondi).
ore 21.30
Francesco d'Assisi (1966)
Regia: Liliana Cavani; soggetto e sceneggiatura: Tullio Pinelli, L. Cavani; fotografia: Giuseppe Ruzzolini; musica: Peppino De Luca; montaggio: Luciano Gigante; interpreti: Lou Castel, Giancarlo Sbragia, Maria Grazia Marescalchi, Riccardo Cucciolla, Ludmilla Lvova, Kenneth Belton; origine: Italia; produzione: Rai Tv; durata: 105'
«Il Francesco è un film classico e d'avanguardia insieme, come è d'altronde emozionante, e al tempo stesso lucido nella costruzione strutturale. Nel momento in cui Rossellini, con La prise du pouvoir par Louis XIV, ricerca la geometricità classica di un cinema per lui diverso, la Cavani rende forse inconsciamente omaggio al primo cinema rosselliniano ritrovandone la purezza essenziale attraverso la composizione di una immagine nuda, che trasforma in stile la stessa povertà di mezzi, come il suo protagonista Francesco trasforma in "santità" la sua "povertà" esistenziale» (Tiso). «Ho fatto il film su Francesco […] mio malgrado. Io non ho avuta alcuna educazione cattolica, il soggetto non mi interessava in maniera particolare. Ma ho letto il libro di Sabatier che fa di Francesco un ragazzo di tutte le epoche, quindi anche della mia, e ciò mi ha interessato. Per questo si è detto che si tratta di un film sul primo contestatore. […] E Lou Castel che era sconosciuto nel 1965 si è tal punto innamorato del personaggio da identificarsi completamente con lui. È da quel momento che nacque la sua vocazione rivoluzionaria» (Cavani).
giovedì 25
ore 17.00
Europa '51 (1952)
Regia: Roberto Rossellini; soggetto: R. Rossellini da un'idea di Massimo Mida e Antonello Trombadori; sceneggiatura: Sandro De Feo, Diego Fabbri, Ivo Perilli, R. Rossellini, Brunello Rondi, con la collaborazione di Mario Pannunzio, Antonio Pietrangeli; fotografia: Aldo Tonti; scenografia: Virgilio Marchi; costumi (per Ingrid Bergman): Fernanda Gattinoni; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Ingrid Bergman, Alexander Knox, Sandro Franchina, Ettore Giannini, Giulietta Masina, Teresa Pellati; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 118'
Irene, moglie di un diplomatico, conduce una vita sfarzosa fra un ricevimento e l'altro. Una tragedia familiare la costringerà drammaticamente a guardarsi dentro e a scoprire nuovi orizzonti. Un cammino interiore con echi spirituali. Film incompreso all'epoca (Moravia: «Rossellini ha addentato più di quanto fosse in grado di masticare»), la cui importanza è cresciuta nel tempo, fino a configurarsi come il vertice del sodalizio Rossellini-Bergman. Il bambino che interpreta la parte del figlio di Irene, Sandro Franchina, avrebbe poi diretto nel 1966 il significativo Morire gratis. «Rossellini vede nell'itinerario dei fatti solo un pretesto, sposta la sua messa in scena sui grandi conflitti ideologici, mostra un itinerario interiore, con la luce abbagliante della radiografia. Per questo Europa '51 è uno dei film più importanti di questi anni, il più attuale, il più sentito» (Bruno).
ore 19.15
La strada (1954)
Regia: Federico Fellini; soggetto: F. Fellini, Tullio Pinelli; sceneggiatura: F. Fellini, T. Pinelli, Ennio Flaiano; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Mario Ravasco; musica: Nino Rota; montaggio: Leo Catozzo; interpreti: Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart, Aldo Silvani, Marcella Rovena, Livia Venturini; origine: Italia; produzione: Ponti-De Laurentiis Cinematografica; durata: 107'
L'ingenua Gelsomina gira per l'Italia insieme al rozzo Zampanò, che si esibisce nei paesini con giochi di forza. Gelsomina stringe amicizia con un funambolo, il Matto, ma Zampanò lo uccide. «Parabola cristiana sul peccato, apologo sulla condizione umana in generale e della donna in particolare, è anche una picaresca escursione attraverso i paesaggi dell'Appennino Centrale» (Morandini). «La realtà, insomma, non è solo quella che si vede, ma anche (e soprattutto) l'altra che, nel mistero dell'invisibile, le dà valore, mete, significati. Questa la conclusione cui Fellini e Pinelli sono arrivati costruendo pazientemente, e tutto dal di dentro, il lungo e segreto travaglio dei loro due personaggi» (Rondi). Oscar per il miglior film straniero nel 1956.
ore 21.15
La leggenda del santo bevitore (1988)
Regia: Ermanno Olmi; soggetto: dal racconto omonimo di Joseph Roth; sceneggiatura: E. Olmi, in collaborazione con Tullio Kezich; fotografia: Dante Spinotti; scenografia: Jean-Jacques Caziot; costumi: Anne-Marie Marchand; montaggio: E. Olmi; interpreti: Rutger Hauer, Anthony Quayle, Sandrine Dumas, Dominique Pinon, Sophie Segalen, Francesco Aldighieri; origine: Italia; produzione: Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica, Aura Film, Rai; durata: 128'
Andreas è un barbone dedito all'alcol. Un giorno un uomo gli dona duecento franchi, chiedendogli di restituirli non a lui, ma di portarli la domenica mattina dopo la messa alla chiesa, in cui si trova una statuetta di Santa Teresa di Lisieux. Andreas, che è un uomo onesto, vorrebbe restituirli, ma alcuni incontri lo sviano dal suo proposito e finisce sempre con lo spendere per il bere con gli amici tutti i soldi che ha. «Perché Andreas non è un alcolista, è un bevitore. […] Spendere con gli amici all'osteria è una forma di comunione, un modo per celebrare insieme il rito della solidarietà umana, e per questo Andreas viene premiato. La piccola Thérèse, che lui vede come la santa, gli dice "tu non hai alcun debito con me". E lo stesso credo sia con Dio: noi non abbiamo debiti con Dio; abbiamo debiti con gli uomini, perché gli uomini sono quel che Dio ama di più» (Olmi).
venerdì 26
ore 17.00
L'inchiesta (1986)
Regia: Damiano Damiani; soggetto: Suso Cecchi d'Amico, Ennio Flaiano; sceneggiatura: D. Damiani, Vittorio Bonicelli; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia: Enrico Fiorentini; costumi: Giulia Mafai; musica: Riz Ortolani; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Keith Carradine, Harvey Keitel, Phyllis Logan, Lina Sastri, Angelo Infanti, John Forgeham; origine: Italia; produzione: Italian International Film, Clesi Cinematografica, Rai; durata:107'
«L'inchiesta è quella che viene a svolgere in Palestina, qualche anno dopo la crocifissione di Gesù, un inviato di Tiberio, Tito Valerio Vauro [Tauro, n.d.r.], per rassicurare l'imperatore che Gesù non è risorto […]. La ricerca di Gesù ad opera di un "laico". Nell'idea iniziale di Ennio Flaiano e Suso Cecchi d'Amico da cui questo film discende si arriva alla conversione (e così in una sceneggiatura mai realizzata di Valerio Zurlini in cui l'inquisitore-persecutore veniva addirittura assimilato a San Paolo), qui però, anche se non si disegna una vera conversione, si tratteggia, con intelligenza e finezza, non solo il ritratto di un uomo che si interroga con lucida ed ansiosa onestà su quello che vede, ascolta e spesso non capisce, ma anche e soprattutto - attorno a lui e alla sua inchiesta - un ritratto invisibile ma preciso di Gesù […]. Un ritratto che, né agiografico né tradizionale, è il segno più vivo del film perché il testo, scritto con molta attenta misura, giunge ad evocarlo via via anche tra le pagine in apparenza più esteriori del racconto […] facendoci a poco a poco trovare e sentire Gesù in tutti, e non solo evangelicamente: nei credenti e nei non credenti» (Rondi).
Ingresso gratuito
ore 19.30
La ricotta (ep. di Ro.Go.Pa.G., 1963)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P.P. Pasolini; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Danilo Donati; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Orson Welles, Mario Cipriani, Laura Betti, Edmonda Aldini, Vittorio La Paglia, Rossana Di Rocco; origine: Italia/Francia; produzione: Arco Film, Cineriz, Lyre Film; durata: 36'
«Stracci, che "interpreta" come comparsa la parte del ladrone buono in un film sulla Passione di Cristo che un pretenzioso regista (impersonato da Orson Welles) che si autodefinisce marxista ortodosso sta girando su un enorme prato della periferia romana, è un sottoproletario perennemente affamato. La scena è ingombra di decine di membri della troupe e di comparse, che in mezzo alla scenografia "sacra", alcuni ancora in costume da santo, ballano un twist scatenato. Quando la sua povera e numerosa famiglia lo va a trovare sul set, Stracci dona loro il cestino del pranzo che gli spetta in quanto attore per consentirgli di consumare un misero pasto in mezzo al prato, che assume il valore di una vera e propria eucaristia. Per non saltare il pasto, Stracci, approfittando della confusione del momento di pausa, si traveste da donna e riesce a "rimediare" un nuovo cestino dalla produzione. Con infantile entusiasmo si accinge quindi a mangiarlo, al riparo da tutti, in una piccola grotta poco lontano dal set. Ma dal set giunge l'ordine di presentarsi in scena, e Stracci a malincuore è costretto ad abbandonare il suo cestino dietro un sasso. Quando torna, trova che il cagnolino della prima attrice del film ha divorato tutto il contenuto del suo cestino. Stracci, sconsolato, piange a grandi lacrime come un bambino» (Murri). «L'intenzione fondamentale era di rappresentare, accanto alla religiosità dello Stracci, la volgarità ridanciana, ironica, cinica, incredula del mondo contemporaneo» (Pasolini).
a seguire
Il Vangelo secondo Matteo (1964)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P.P. Pasolini dal Vangelo di Matteo; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: Luigi Scaccianoce; costumi: Danilo Donati: coordinamento musicale: Luís Enriquez Bacalov; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Enrique Irazoqui, Margherita Caruso, Susanna Pasolini, Marcello Morante, Mario Socrate, Settimio Di Porto; origine: Italia/Francia; produzione: Arco Film, Lux De France; durata: 137'
«Rispetto ad Accattone, il Vangelo secondo Matteo segna un progresso indubbio, prima di tutto per l'eccezionale impeto espressivo che in questo film rivela direttamente e immediatamente quali sono le cose che stanno a cuore a Pasolini. E in secondo luogo perché, nelle singole parti, Pasolini mostra questa volta di saper alleare la poesia ad una raffinatezza e levità che in Accattone, più elementare, non si potevano ancora che intravvedere. Pasolini ha un senso acuto della realtà del volto umano, come luogo d'incontro di energie ineffabili che esplodono nell'espressione, cioè in qualche cosa di asimmetrico, di individuale, di impuro, di composito, insomma il contrario del tipico. I primi piani di Pasolini sarebbero sufficienti da soli a mettere il Vangelo secondo Matteo sopra un livello eccezionale. […] Pasolini ha mirato a darci un Gesù duro, violento, iconoclasta, inflessibile, come appunto doveva apparire ai suoi contemporanei e non come appare oggi a noi che, com'è stato già detto, non possiamo non dichiararci tutti cristiani» (Moravia). «Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile» (Pasolini).
sabato 27
ore 17.00
Magnificat (1993)
Regia: Pupi Avati; soggetto e sceneggiatura: P. Avati; fotografia: Cesare Bastelli; scenografia: Giuseppe Pirrotta; costumi: Sissi Parravicini; musica: Riz Ortolani; montaggio: Amedeo Salfa; interpreti: Luigi Diberti, Arnaldo Ninchi, Massimo Bellinzoni, Dalia Lahav, Lorella Morlotti, Eleonora Alessandrelli; origine: Italia; produzione: Duea Film, Istituto Luce-Italnoleggio Cinematografico, Penta Film, Union P.N.; durata: 97'
«È, a parer mio, un bellissimo film, il migliore tra gli italiani di questa stagione, uno dei più belli degli ultimi anni, il risultato più alto nella ventennale carriera di Pupi Avati […]. Il film intreccia una mezza dozzina di storie cui fa da filo conduttore l'itinerario del boia Folco, esecutore di giustizia (l'intenso Arnaldo Ninchi) e del suo giovane assistente, e che convergono a Malfole, all'abbazia della Visitazione» (Morandini). «Volevo rappresentare attraverso una serie di quadri e di personaggi gli elementi di quella società: la fede e la violenza. A quel tempo le pratiche spirituali convivevano con la violenza di tutti i giorni. Nel mio racconto si mescolano dunque le esecuzioni dei boia, l'ingresso di un'oblata in un monastero, le ultime ore del signore del posto, un matrimonio. Su tutto regna il silenzio di Dio, un silenzio che a quel tempo non era motivato dall'assenza, come accade oggi» (Avati).
ore 19.00
I magi randagi (1996)
Regia: Sergio Citti; soggetto: S. Citti; sceneggiatura: S. Citti, con la collaborazione di David Grieco, Michele Salimbeni; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia e costumi: Danilo Donati; musica: Ennio Morricone; montaggio: Ugo De Rossi: interpreti: Silvio Orlando, Patrick Bauchau, Rolf Zacher, Nanni Tamma, Gastone Moschin, Mario Cipriani; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: I.PS., Istituto Luce, Films Sans Frontieres, Journal Film; durata: 101'
«Tre saltimbanchi presentano nei paesi un singolare spettacolo, un circo in cui invece delle belve si agitano esseri umani vestiti da nazisti e mafiosi, come esempi di belve peggiori delle bestie. Lo spettacolo non è compreso, i tre fuggono e si ritrovano in un paesello dove si sta allestendo il presepe. Il parroco li ingaggia per impersonare i Re Magi, e i tre riescono così bene nel loro compito da convincere gli abitanti a mettere di nuovo al mondo quei figli che nessuno voleva più. Nella notte una stella cometa appare nel cielo, i tre fingono di non vederla, ma poi ciascuno si incammina per conto proprio, e quando si ritrovano si accorgono di avere un compito comune: cercare il nuovo Bambin Gesù» (www.cinematografo.it). «Siamo dalle parti del bellissimo Minestrone, dove il surrealismo più spiazzante si mescola a umori concreti e umanissimi (la fame di cibo e di sesso, ma anche la voglia di dignità e rispetto). Non c'è alcuna tentazione spiritualista nel cammino che Citti fa percorrere ai suoi tre vagabondi, ma piuttosto il coraggio e l'originalità di chi non si è ancora fatto corrompere dai falsi miti del benessere e dell'egoismo (davvero magistrale la scena della telenovela vista nel bar), per spingerci a conquistare una "purezza di spirito" che sappia farci ritrovare la nostra perduta dignità. Poetico» (Mereghetti).
ore 21.00
Camminacammina (1983)
Regia: Ermanno Olmi; soggetto e sceneggiatura: E. Olmi; fotografia: E. Olmi; collaborazione alla fotografia: Gianni Maddaleni; scenografia e costumi: E. Olmi; musica: Bruno Nicolai; montaggio: E. Olmi; interpreti: Alberto Fumagalli, Antonio Cucciarrè, Eligio Martellucci, Fernando Guarguaglini, Anna Vanni, Renzo Samminiatesi; origine: Italia; produzione: Rai, Scenario Film; durata: 168'
«Un poeta che, per raccontare il Natale, la nascita del Figlio di Dio, la risposta dell'uomo a questa nascita annunciata per secoli dai profeti della Bibbia, si serve subito di un'invenzione che sulle prime sembra già nota ma che poi rivela un'originalità tutta speciale, sia lirica sia drammatica: la sacra rappresentazione. Non la sacra rappresentazione per i modi e gli schemi con cui il racconto si costruirà, ma per lo spunto dal vero che poi darà luoghi e verità, in un'epoca precisa, a tutto quanto ci verrà mostrato. Una Toscana forse di oggi, forse di qualche secolo fa. Tutto un paese si muove, in abiti fra il rinascimentale e il medievale, sempre disadorni, però, e contadini, per mettere in scena nelle strade la rappresentazione di un evento che si è verificato secoli prima. Siamo di colpo nel clima di questo evento, richiamati solo all'idea di rappresentazione dalle lingue rozze e dai toni ora stentati ora improvvisati di quelli che "recitano" [...]. La parafrasi natalizia, avviata con un viaggio di una settimana guidato da una cometa, si conclude, nel sangue, lasciando tutti gli altri testimoni dell'Evento a tu per tu con le proprie colpe, soprattutto i "Magi", responsabili o di non aver capito o, peggio, di aver tradito dopo aver capito, vinti dai difetti umani; presenti comunque, questi difetti, in varia misura, anche in tutti gli altri, o perché ciechi, o perché sordi, o perché aridi. Secondo il campionario abituale dell'umanità di tutti i tempi. Niente invece è abituale nella rappresentazione di questa parafrasi perché Olmi, appunto, è un poeta e il suo canto vola alto, su ali che non lo fanno somigliare a nessuno. La sua meditazione è amara, le sue considerazioni sui tradimenti nei confronti dell'Evento sono dolorose fino allo strappo, alla lacerazione, ma la sua favola "sul vero" non sfiora mai quei toni di predica che egli invece, per dolersene, attribuisce ai suoi personaggi sacerdotali. [...] Autore totale, e autore perciò anche della fotografia, dei costumi, delle scenografie, del montaggio, Olmi ha dato infatti alla sua opera una compattezza rotonda in cui tutto è ordine, misura, armonia: i ritmi lenti ma variati del viaggio, l'alternarsi di pause ora drammatiche ora gioiose, il sapore grezzo di terra e di campagna che tutta quella gente riflette, i colori sempre naturali e ottenuti sempre con luci naturali in cui la notte è notte davvero e i panorami con sole hanno tinte di un limpido intenso, gli abiti filati a mano che non fanno mai costume ma incontri di ieri, per strada, le musiche, da cantata e da ballata, in equilibrio fra antico e moderno, e una recitazione, finalmente, che frutto solo di fatiche e di sforzi di non professionisti, nelle voci sporche, negli impacci verbali, nei dialetti regionali toscani cui quasi per intero si affida, fa udire toni ed accenti cui il cinema non ci aveva più abituati dai tempi del neorealismo, qui tanto più efficaci in quanto la cronaca, anche se è dal vero, spazia nelle leggende e nella storia, portando i secoli nel quotidiano. Un film che nuovamente ricongiunge Olmi a Bresson e a Rossellini, che forse qualcuno non capirà, come in molti non hanno capito l'Evento, ma che, pur nei tormenti che esprime, dà gioia all'anima. Confermando la grandezza del cinema, anzi, dell'arte del film» (Rondi).
domenica 28
ore 17.00
Cercasi Gesù (1982)
Regia: Luigi Comencini; soggetto: L. Comencini, Massimo Patrizi; sceneggiatura: L. Comencini, M. Patrizi, Antonio Ricci; fotografia: Renato Tafuri; scenografia: Ranieri Cochetti; costumi: Maria Grazia Pera; musica: Fiorenzo Carpi; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Beppe Grillo, Maria Schneider, Fernando Rey, Alexandra Stewart, Ornella Pompei, Giuseppe Cederna; origine: Italia/Francia;produzione: Intercontinental Film Company, Société Nouvelle Cinévog; durata: 108'
«Cosa accadrebbe oggi al cristiano che volesse vivere realmente come tale? Che finirebbe di nuovo in croce, sconfitto, se si giudicano le cose con gli occhi del mondo, vincitore, se le si giudicano con quelli dello spirito. Ce lo hanno già detto in molti, soprattutto in letteratura (si pensi a Dostoevskij), ce lo dice adesso il nostro Luigi Comencini: con una favola gentile attraverso la quale, pur seguendo vie semplici, tranquille e non di rado persino dimesse, riesce realmente a formulare, come aveva detto anche a me, "una ipotesi sul comportamento cristiano nella società contemporanea"» (Rondi). «Una delle prime idee del soggetto, infatti, che ho rielaborato più volte insieme a Massimo Patrizi, era L'Idiota di Dostoevskij, il principe Myskin che, come venendo dal nulla, approda con un candore assoluto nella società di Pietroburgo sconvolgendola con la sua sola presenza, con la sua testimonianza. Dopo, dell'Idiota, è rimasto solo il punto di partenza, quasi con le stesse battute di Dostoevskij. [...] Le situazioni che seguono, ovviamente, non sono più quelle dell'Idiota, ma il principio è molto simile: quello del cristiano vero che mette tutti in contraddizione con se stesso» (Comencini).
ore 19.00
Cuore sacro (2005)
Regia: Ferzan Ozpetek; soggetto e sceneggiatura: Gianni Romoli, F. Ozpetek; fotografia: Gian Filippo Corticelli; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Catia Dottori; musica: Andrea Guerra; montaggio: Patrizio Marone; interpreti: Barbora Bobulova, Andrea Di Stefano, Lisa Gastoni, Massimo Poggio, Erika Blanc, Camille Dugay Comencini; origine: Italia; produzione: R&C Produzioni; durata: 119'
«Irene Ravelli ha ereditato dal padre non solo il patrimonio, ma anche uno spiccato senso degli affari. Ottenuto il dissequestro dell'antico Palazzetto di famiglia, Irene scopre che una delle stanze, abitate un tempo dalla madre, è rimasta intatta come se la donna ci abitasse ancora. Il fantasma della madre e l'incontro con una straordinaria bambina, Benny, generano in Irene un conflitto che la porta ad un totale cambiamento» (www.cinematografo.it). «Già queste scene fanno intuire quanto sia insolito, coraggioso e rischioso il nuovo film del regista della Finestra di fronte: un coraggio raro nel nostro cinema, di cui gli diamo atto con ammirazione. E tuttavia le immagini, impeccabili per grammatica e sintassi, non solo al livello di ambizioni così alte, non lasciano graffiti nella fantasia dello spettatore, stentano a dare forma al travaglio febbrile dell'imprenditrice senza scrupoli convertita in angelo della carità per vecchi e "nuovi poveri". Qualcosa di simile accade con le citazioni disseminate lungo il film, dalla sequenza della piscina (Il bacio della pantera) al santo strip-tease d'Irene (Teorema di Pasolini, autore col quale Ozpetek condivide il bisogno di sacro); eleganti, ma più optional che necessarie. Ormai legata a filo doppio a ruoli di smarrimento interiore, Barbora Bobulova si offre in olocausto con l'opportuna dedizione» (Nepoti).
ore 21.00
Presentazione di Saverio Costanzo
a seguire
In memoria di me (2007)
Regia: Saverio Costanzo; soggetto: liberamente ispirato al romanzo Il gesuita perfetto di Furio Monicelli; sceneggiatura: S. Costanzo; fotografia: Marco Amura; scenografia: Maurizio Leonardi; costumi: Antonella Cannarozzi; musica: Alter Ego; montaggio: Francesca Calvelli; interpreti: Christo Jivkov, Filippo Timi, Marco Baliani, André Hennicke, Fausto Russo Alesi, Alessandro Quattro; origine: Italia/Francia; produzione: Offside, Les Films des Tournelles; durata: 113'
«Dopo l'urgenza politica di Private, Saverio Costanzo sorprende tutti con un film "fuori dal mondo", In memoria di me, tutto chiuso nel seminario dove Andrea (Christo Jivkov) si rifugia in cerca di quelle certezze che la vita non ha saputo dargli e che spera di trovare nei voti e nella regola religiosa. Rarefatto e misterioso come i silenziosi ambienti del convento sull'isola di San Giorgio, a Venezia, dove è stato girato, il film mette in scena i grandi interrogativi della religione cristiana attraverso lo scontro di alcuni personaggi simbolo. [...] A Costanzo non interessa dare risposte univoche o risolvere dibattiti teologici, piuttosto vuole fare emergere il nodo, a volte doloroso, che si nasconde dietro quelle posizioni e che spinge i vari personaggi a scelte di vita diverse, se non opposte. Autore anche della sceneggiatura, che scarnifica il romanzo Lacrime impure di Furio Monicelli, Costanzo usa i silenzi, le architetture, gli sguardi, le regole di vita per rendere palpabile la tensione che ogni novizio porta dentro di sé, più preoccupato di farci condividere un'atmosfera che non di parteggiare per questo o per quello. Dimostrando così di aver raggiunto una maturità espressiva e una padronanza narrativa di prim'ordine» (Mereghetti).
lunedì 29
chiuso
martedì 30
ore 17.00
La suora giovane (1964)
Regia: Bruno Paolinelli; soggetto: dal romanzo omonimo di Giovanni Arpino; sceneggiatura: B. Paolinelli; fotografia: Erico Menczer; scenografia: Piero Poletto; musica: Teo Usuelli; montaggio: Piera Bruni; interpreti: Laura Efrikian, Jonathan Elliot, Cesarino Miceli Picardi, Maria Sardoch, Marcella Rovena, Aide Aste; origine: Italia; produzione: Ager Film, Film Coop., D'Errico Film, Italspettacolo; durata: 100'
«Un impiegato quarantenne si innamora di una novizia che incontra tutte le sere alla fermata del tram: troverà il modo anche di parlarle, ma i suoi dubbi rischiano di mettere in crisi il rapporto. Fedele e pudico adattamento del romanzo omonimo di Giovanni Arpino, sceneggiato dal regista e ambientato in una Torino deserta e notturna. Come il libro, il film scava nella psicologia dei due protagonisti, mettendo a confronto l'ingenua concretezza contadina della suora con le insicurezze piccolo-borghesi dell'uomo e lasciando allo spettatore il compito di tirare i fili di una storia d'amore in cui i due "fidanzati" nemmeno si sfiorano. Il miglior ruolo della Efrikian. Presentato fuori concorso al festival di Venezia [1964], in un montaggio diverso da quello poi distribuito in sala» (Mereghetti). «Paolinelli ha girato il suo film con misura e semplicità, seguendo passo passo il libro, in un'aria di difesa, con molte ombre, molti silenzi, molta crepuscolare intimità. Laura Efrikian è assai brava nella parte difficile della suora, tutta concentrata in minime espressioni del volto e degli occhi. Jonathan Elliot è un efficace e vero Antonio» (Moravia).
ore 19.00
Fuori dal mondo (1999)
Regia: Giuseppe Piccioni; soggetto e sceneggiatura: G. Piccioni, Gualtiero Rosella, Lucia Zei; fotografia: Luca Bigazzi; scenografia: Marco Belluzzi; costumi: Carolina Olcese; musica: Ludovico Einaudi; montaggio: Esmeralda Calabria; interpreti: Margherita Buy, Silvio Orlando, Giuliana Lojodice, Carolina Freschi, Alessandro Di Natale, Riccardo de Torrebruna; origine: Italia; produzione: Lumière & Co.; durata: 101'
«A Milano, oggi, Caterina, giovane suora prossima alla dichiarazione di professione perpetua, si vede affidare da un uomo di passaggio un neonato abbandonato nel parco. Caterina lo porta all'ospedale ma non riesce a dimenticarlo, lo va a trovare e sente dentro di sé l'urgenza di sapere qualche notizia in più. Partendo dal maglione nel quale era avvolto, Caterina risale alla lavanderia di Ernesto, uomo solo, con frequenti sbalzi di umore e pressione. Ernesto aveva lasciato il maglione a casa di Teresa, una ragazza che aveva lavorato al negozio. Caterina vuole trovare la madre del bambino, Ernesto vorrebbe chiudere subito la questione ma la possibilità di essere il padre fa nascere in lui reazioni mai provate» (www.cinematografo.it ). «Una storia semplice eppure originale in un panorama che malgrado le enunciazioni alla moda non presta attenzione alla spiritualità, non si sofferma più di tanto su ciò che può significare mettere una vocazione alla prova del confronto con la tristezza, la solitudine, la violenza ma anche le passioni della vita reale» (D'Agostini).
ore 21.00
L'amico immaginario (1994)
Regia: Nico D'Alessandria; soggetto e sceneggiatura: N. D'Alessandria; fotografia: Bruno Di Virgilio; fotografia: Bruno Di Virgilio; scenografia: Giuliana Mancini; musica: Riccardo Fassi; montaggio: Maurizio Baglivo; interpreti: Victor Cavallo, Valeria D'Obici, Rocco Mortelliti, Roberto D'Alessandria, Fulvia Mosconi, Giancarlo Parodi; origine: Italia; produzione: N. D'Alessandria; durata: 84'
«Il cinquantenne Dino fa un bilancio della propria vita, dei suoi rapporti con il suo bambino, con le donne che ha amato, con il proprio lavoro e con gli amici intimi, uno dei quali, sacerdote, muore un giorno improvvisamente. Anche dall'al di là, però, l'amico continua ad essergli vicino, come un angelo custode, per sostenerlo nei momenti più angosciosi della sua esistenza» (Poppi). «C'è tutta una parte di cinema italiano che, se non proprio sommersa, è perlomeno emarginata, confinata negli angoli di uscite estive frettolose, fatte di poche sale d'essai e di cineclub. [...] Anche se girato in un evidente stato di precarietà, con pochi mezzi a disposizione e con penuria di pellicola, anche se qua e là acerbo e stentato, L'amico immaginario - interpretato da quello straordinario attore colpevolmente trascurato dal cinema italiano che è Victor Cavallo - trae il suo vigore poetico dalla commossa sincerità con la quale Nico D'Alessandria va alla ricerca di quella strada smarrita che è la concezione religiosa della vita» (Natta).
mercoledì 31
ore 17.00
Tutta colpa di Giuda (2009)
Regia: Davide Ferrario; soggetto e sceneggiatura: D. Ferrario; fotografia: Dante Cecchin; scenografia: Francesca Bocca; costumi: Paola Ronco; musica: Fabio Barovero; montaggio: Claudio Cormio; interpreti: Kasia Smutniak, Fabio Troiano, Gianluca Gobbi, Luciana Littizzetto, Cristiano Godano; origine: Italia; produzione: Rossofuoco; durata: 102'
Una giovane regista è chiamata a mettere in scena in un carcere una Passione di Cristo, ma nessun detenuto vuole interpretare la parte di Giuda. «Frequento il carcere da otto anni e ad un certo punto ho deciso di ambientarci un film perché qui è di scena la vita vera. Nel carcere si vede un'umanità che non esiste fuori, la nudità dell'uomo che si scopre per com'è, nel bene e nel male» (Ferrario).
«Opera sorprendente di straordinaria libertà visiva intellettuale, un ibrido di generi. Film carcerario, ma anche musical alla Jesus Christ, storia di training teatrale autogeno in cui una miscredente regista off off (brava, tosta e bella Kasia Smutniak) prova ad allestire coi carcerati attori, […], una Passione (ecco la concomitanza) danzando perfino aerea sulla Croce. […] Così un film pop ateo acquista una dimensione oltre ed altra per merito di un gesto autentico di fiducia. Dulcis in fundo una brava Littizzetto "gioca" sorniona da suorina superiora inesorabile e molesta: ma come farà a diventare antipatica?» (Porro).
«Opera sorprendente di straordinaria libertà visiva intellettuale, un ibrido di generi. Film carcerario, ma anche musical alla Jesus Christ, storia di training teatrale autogeno in cui una miscredente regista off off (brava, tosta e bella Kasia Smutniak) prova ad allestire coi carcerati attori, […], una Passione (ecco la concomitanza) danzando perfino aerea sulla Croce. […] Così un film pop ateo acquista una dimensione oltre ed altra per merito di un gesto autentico di fiducia. Dulcis in fundo una brava Littizzetto "gioca" sorniona da suorina superiora inesorabile e molesta: ma come farà a diventare antipatica?» (Porro).
ore 19.00
La messa è finita (1985)
Regia: Nanni Moretti; soggetto e sceneggiatura: N. Moretti, Sandro Petraglia; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia: Amedeo Fago, Giorgio Bertolini; costumi: Lia Morandini; musica: Nicola Piovani; montaggio: Mirco Garrone; interpreti: N. Moretti, Margarita Lozano, Ferruccio De Ceresa, Enrica Maria Modugno, Marco Messeri, Dario Cantarelli; origine: Italia; produzione: Faso Film; durata: 96'
«Dopo essere stato studente, regista, professore, era arrivato il momento di accostarmi a questo personaggio, quello del sacerdote, che per sua istituzione deve occuparsi dei problemi degli altri. La parrocchia assomiglia un po' al mondo dei miei film precedenti; ma mentre prima potevo ripiegarmi su me stesso, qui ho il dovere - ma è anche un'esigenza personale - di immischiarmi nella vita degli altri. Ero interessato alla difficoltà che troviamo nel fare qualcosa per gli altri. Forse questo personaggio in confronto a quello di Bianca, ugualmente rigido, ugualmente costruito a partire da basi di moralità, di perfezione, di assoluto, inizia ad accettare un po' di più gli altri, ad accettare la realtà» (Moretti). «La messa è finita è gustoso e interessante, si ride anche. Lo spettacolo è fine, diverso, qualche incertezza iniziale e poi prende, piace. Sotto l'espressività giovane, viva, spontanea si avverte un mestiere paziente e maturo. Le situazioni sfrecciano sullo schermo incisive, spesso con sbocchi a sorpresa; c'è ironia, dolcezza, stupore, delusione; e poi scatti improvvisi di irritazione, un velo di tristezza. Il primo piano è monopolio di don Giulio, umanissimo, un po' nevrotico, lunare. L'attore Moretti è fin troppo bravo, simpatico e mostra fin troppo di saperlo. Eppure quello sceneggiato da Moretti e da Sandro Petraglia, non è un film comico: ti alimenta dentro un senso sottile e vago di disagio, di accoramento. Si risolve in una resa alla solitudine» (Luigi Bini).
Copia stampata con il contributo del Festival Internazionale del Film di Locarno
ore 21.00
Presentazione di Marco Giallini
a seguire
Io, loro e Lara (2010)
Regia: CarloVerdone; soggetto e sceneggiatura: C. Verdone, Francesca Marciano, Pasquale Plastino; fotografia: Danilo Desideri; scenografia: Luigi Marchione; costumi: Tatiana Romanoff; musica: Fabio Liberatori; montaggio: Claudio Di Mauro; interpreti: C. Verdone, Laura Chiatti, Anna Bonaiuto, Marco Giallini, Sergio Fiorentini, Angela Finocchiaro; origine: Italia; produzione: Warner Bros. Italia; durata: 115'
«Carlo Mascolo, sacerdote missionario in Africa, viene assalito da una profonda crisi esistenziale e di fede. Tornato a Roma, dietro suggerimento dei suoi superiori, decide di prendersi una pausa di riflessione, ritrovare il calore della sua famiglia e cercare di superare il problema. Tuttavia, il suo ritorno gli riserverà amare sorprese, poiché si troverà intrappolato in una società schizofrenica assolutamente priva di rapporti umani, con i suoi familiari - il padre Alberto, il fratello Luigi e la sorella Beatrice - troppo concentrati su se stessi e che sembrano ignorare i suoi problemi» (www.cinematografo.it). Verdone ha cominciato la sua carriera all'Alberichino, producendosi in gustose incarnazioni ritagliate dalla realtà: dal bullo al borghese ipocrita all'imbroglione cinico. Un repertorio che poi ha travasato nei film, passando dallo sghiribizzo al disegno composito. Tuttavia il prete di Io, loro e Lara non è un personaggio parodico (Un sacco bello) o un impostore (Acqua e sapone); semmai ricorda (ma con tutt'altro spirito) il sacerdote Nanni Moretti di La messa è finita, che tornato in famiglia scopriva un mondo talmente privo di valori da indurlo a ripiegare nella fuga. [...] Questo Don Carlo di Verdone non aspira a farsi maschera, piuttosto si mantiene incredulo e indignato sul limitare del teatrino di contemporanea decadenza che ha davanti. Salvo poi, spinto dalla generosità e dal candore, a cacciarsi in situazioni assurde che Verdone imbastisce in modo esilarante e di cui è protagonista sublime; mentre l'impalcatura architettonica del racconto soffre di qualche fragilità e gli altri caratteri, nonostante il buon (e ottimo) livello degli interpreti, non sono del tutto messi a fuoco. Ma a rendere comunque coerente la commedia, assicurandone la riuscita, provvede la sentita motivazione che la pervade. Da credente autentico seppur eterodosso, si direbbe che Verdone abbia voluto rivolgere un appello alla chiesa, sollecitandola a prendere posizioni meno teologiche e più pragmatiche. Come fa il suo onestissimo Don Carlo, sempre pronto a guardare (se non ad assolvere) il prossimo con l'affettuosa tolleranza di chi vive sulla propria pelle debolezze e disagi dell'umano vivere» (Levantesi).
"
Condividi