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“CSC- Cineteca Nazionale cura per la Festa del Cinema di Roma: Gli anni delle immagini perdute. Il cinema di Valerio Zurlini”
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«Se alla fine degli anni '50, in Francia, i giovani hitchcock-hawksiani dei "Cahiers du Cinéma" si muovono con lo sguardo frontalmente rivolto in avanti verso un cinema futuro, nel cinema italiano questa produttiva soluzione di continuità si rivela impossibile. Valerio Zurlini, e con lui tutta una leva di cineasti […], si trova a doversi misurare direttamente con i predecessori immediati ancora nel pieno della loro maturità creativa: e liberarsi dei fratelli maggiori è un'operazione indubbiamente più complessa che sbarazzarsi del "cinema di papà". Ne deriva, almeno nelle opere migliori, una modernità meno appariscente di quella rappresentata nel cinema italiano dalla generazione successiva dei Bellocchio e dei Bertolucci e, nel cinema in generale, dalla coeva generazione della Nouvelle Vague. Dunque un cinema che muove verso il futuro tenendo lo sguardo fisso al passato: definizione cui Valerio Zurlini corrisponde perfettamente, sia nelle opere successivamente realizzate, sia nell'acuta consapevolezza teorica che sviluppa nelle riflessioni sul mestiere di regista. Nasce probabilmente da qui la "riscoperta" recente di film come Cronaca familiareEstate violentaLa prima notte di quiete, che appaiono ai nostri giorni, in quello che è il loro "futuro", di una sorprendente modernità, opere a noi talmente contemporanee da non meravigliare come abbiano potuto essere sottovalutate all'epoca della loro uscita» (Toffetti).
La retrospettiva è curata da Mario Sesti (Festa del Cinema di Roma) e da Domenico Monetti (Cineteca Nazionale). In occasione della retrospettiva, la Fondazione Cinema per Roma pubblica il volume, a cura di Mario Sesti, Valerio Zurlini.
Per la proiezione del film Le soldatesse si ringraziano Lanterna editrice e Minerva Pictures.
 
domenica 16
ore 17.00 Racconto del quartiere di Valerio Zurlini (1950, 11')
Una giornata, dall'alba al tramonto, del quartiere romano di Trastevere. Strade di sanpietrini lucidi, illuminati dal primo raggio di sole, le persiane sono chiuse, un campanile, una donna che, come un'ombra, attraversa la strada, un gattino accanto a un'inferriata... La macchina da presa sosta al lavatoio, cogliendo gesti e volti di donne al lavoro. Poi, quando il sole è alto, s'inoltra in "mercati piccoli, incuneati in angoli di strade". Le donne si parlano da una finestra all'altra, i bambini giocano. A Regina Coeli, scrutata in ampie panoramiche e in piccoli dettagli, il tempo sembra sospeso. Le due. "Trastevere riposa immobile dal Gianicolo alla Lungara". Strade e vicoli vuoti.
 
a seguire Il blues della domenica di Valerio Zurlini (1951, 13')
Il ritratto di una particolare categoria umana: i "musicisti della domenica". Si tratta di jazzisti che per vivere sono costretti a praticare un altro lavoro e che solo come gruppo possono svolgere un'attività insieme ricreativa e creativa. La musica è la domenica della loro vita. Appare il primo locale jazz a Roma negli anni Quaranta. Zurlini tuttavia non si limita a realizzare un semplice documentario, ma unisce i suoni jazz con citazioni tratte da famosi testi blues e con immagini che tentano di renderne per scorci le storie di abbandono (un treno inquadrato dall'alto in lontananza) o di disperazione (un amore contrastato) o di solitudine (i desolati casermoni della periferia romana).
 
a seguire Il mercato delle facce di Valerio Zurlini (1952, 12')
«Il mercato delle facce, girato quasi interamente in una stanza del sindacato generici e comparse, è dedicato con solidarietà e attenzione ai poveri relitti che si guadagnavano sì e no di che mangiare ai margini del mondo del cinema. Una curiosità del film è costituita dal fatto che vi comparvero il povero Gianni Franciolini, Franco Rosi e Franco Zeffirelli in veste di attori» (Zurlini).
 
a seguire Pugilatori di Valerio Zurlini (1952, 11')
«Per settimane e settimane frequentai palestre, parlai con atleti e visitai i luoghi del lavoro quotidiano: un'umanità semplice e povera che attraverso uno sport pericoloso e violento intessuto di sacrifici e di rinunce cercava una possibilità di riscatto al grigiore della sua vita […]. Girammo ovunque, in molte palestre o ai bordi dei ring di periferia dove si disputavano sordidi match di novizi ai primi scontri; seguimmo all'alba le corse di allenamento degli atleti nella città ancora addormentata o l'estenuante lavoro quotidiano […] al quale quei giovani si presentavano puntuali avendo già speso almeno un'ora di sudore» (Zurlini).
 
aseguire La stazione di Valerio Zurlini (1952, 11')
«La stazione fu il primo esempio in assoluto di cinema verità, in anticipo di molti anni sulla nascita di questo stile. Il documentario fu girato in un mese, sempre nelle ore ancora livide dell'alba e sorprendeva dal vero la realtà di un'Italia che non è mutata: povera gente addormentata nelle sale d'aspetto di terza classe, meridionali in attesa del treno che doveva portarli al Nord per cercarvi un lavoro e tutta la vita nuda e segreta di quella bellissima stazione appena inaugurata […]. La macchina da presa non inventava niente, era solo un'attenta e fedele testimone di tanta umiltà e di così ingrate odissee» (Zurlini).
 
a seguire Serenata da un soldo di Valerio Zurlini (1953, 12')
«Serenata da un soldo raccontava la vita e l'organizzazione dei pianini di Barberia. Quanti mestieri nasconde una città e quanti sfruttati dietro ogni mestiere! I suonatori erano per lo più meridionali e dipendevano, compensati, con una paga miserrima, da una losca coppia di individui proprietari di una ventina di vecchie pianole che al mattino smistavano per la città fino al tramonto. I suonatori sceglievano i quartieri della periferia e sino a non molti anni fa quelle malinconiche cantilene popolari, non ancora soffocate dai rumori caotici del traffico, dall'ossessionante fracasso delle radioline, avevano un sapore paesano e confortante, un po' come le cornamuse che scendono dalle montagne dell'Abruzzo nei giorni che precedono il Natale» (Zurlini).
 
aseguire Soldati in città di Valerio Zurlini (1953, 10')
«La macchina da presa segue alcuni soldati durante la libera uscita per le vie di Roma. Mentre alcuni si aggirano come sperduti nei pressi della caserma, altri fraternizzano fra di loro e cercano di sconfiggere la solitudine con giochi chiassosi come la morra. "Ma non occorre molto perché comincino a fare conoscenze. I loro primi amici sono i bambini. Ne nascono amicizie sui campi di football della periferia o direttamente per la strada". Certo, un'inguaribile nostalgia di casa riaffiora a volte e si fa pungente: l'arrivo di una lettera, il passaggio di un treno […] E poi le donne. Incontri spesso malinconici, camminando in mezzo a strade desolate della periferia o stesi sui prati intorno all'EUR o seduti su un muretto del Lungotevere… E gli addii sono sempre molto tristi» (Toffetti).
 
ore 18.30 Le ragazze di San Frediano di Valerio Zurlini (1954, 90')
«È con quest'opera prima, da lui stesso sottovalutata, che Zurlini scopre tutta la sua grandezza: film quasi su commissione che già traccia il suo universo; film che conferma come il cinema italiano fosse rimasto ciclicamente segnato dall'invenzione del giovane Camerini; film accolto da molte sufficienze critiche che per esempio parlavano di cast femminile mediocre di fronte agli occhi di Marcella Mariani, alla tenerezza di Giulia Rubini, alla vitalità sinuosa di Giovanna Ralli, alla giocosità fisica di Rossana Podestà, alla seduzione provocante di Corinne Calvet... per fortuna Zurlini, come il protagonista del film, viveva l'indecidibilità dello sguardo del cinema di fronte all'infinitezza delle presenze che vi irrompono dal reale» (Germani). Malgrado il titolo, che si richiama espressamente al libro di Vasco Pratolini, la sceneggiatura sulla quale stiamo lavorando da due mesi si differenzia, nelle linee generali e particolari, in maniera sostanziale, dall'intreccio e dalle caratteristiche più peculiari de Le ragazze di Sanfrediano di Pratolini. Il breve romanzo del popolare scrittore fiorentino ci è servito soltanto come spunto e suggerimento per un film, nel quale i personaggi pratoliniani, pur mantenendo gli stessi nomi, assumono caratteri e significati diversi. […] È una commedia all'italiana, ma un po' diversa dai modelli di allora, tipo Pane, amore e fantasia. […] Le ragazze di Sanfrediano era un film spiritoso, allegro, ironico, tutto interpretato da attori alle prime armi, e questo gli dava un'aria di freschezza e di vivacità. Del resto era una commedia piena di malinconia: faceva ridere ma fino a un certo punto» (Zurlini).
 
ore 20.30 Estate violenta di Valerio Zurlini (1959, 98')
Riccione, luglio 1943. Un giovane di famiglia fascista si innamora della vedova di un combattente. Ben presto gli avvenimenti precipitano e i due decidono di fuggire. «Molti mi hanno rimproverato di non aver saputo operare la fusione tra il fatto storico e la vicenda privata; dal canto mio, posso dire che Estate violenta è stato fatto tra incredibili difficoltà. Doveva essere girato in otto settimane, non avevo neanche le divise dei soldati, l'abbiamo fatto con quattro soldi in condizioni di miseria estrema fino alla vigilia della scena del bombardamento. Goffredo Lombardo, il produttore, fece allora una scelta che cambiò le sorti del film, decidendo di buttare in quella sequenza i mezzi di un film normale, e anche qualcosa di più. Naturalmente, alla fine, questo "peso" di avventura collettiva, sia pure concentrato nel solo bombardamento, ma messo in scena con mezzi quasi all'americana, capovolge la qualità del film, fino ad allora di natura intimista, tutto nel gioco degli attori, fatto di sguardi, di sottintesi. Grazie a questa fusione finale, il film ebbe un successo straordinario quando uscì: erano in molti a ricordarsi di quel periodo [...] e si riconobbero nel film. Con il ritratto dell'ambiente analizzato in Estate violenta avevo cercato non di dare un'analisi critica, ma di ricordarmi di certe impressioni visuali provate nel corso di quell'estate del 1943. Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un'assenza di aspettative nel futuro» (Zurlini).
 
martedì 18
ore 17.00 La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960, 121')
Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigia è nato da un incontro. Un giorno, a Milano [...] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all'epoca faceva l'indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po' dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini).
 
ore 19.30 Cronaca familiare di Valerio Zurlini (1962, 122')
Enrico, giovane giornalista di un giornale romano, riceve l'annuncio della morte del fratello minore Dino. Folgorato dal dolore ripercorre con la memoria il proprio passato, e rivive la sua tormentata "cronaca familiare", sotto forma di un commosso colloquio col fratello. «Cronaca familiare avrebbe dovuto essere il mio primo film. Sono andato a trovare Pratolini per conoscerlo dopo aver letto Cronaca familiare, un libro che mi aveva colpito in modo incredibile. Così cominciò l'amicizia con Pratolini e nacque l'idea un po' folle - eravamo nel 1952 - di girare Cronaca familiare a colori. Se il film si fosse fatto all'epoca, saremmo stati su posizioni di totale avanguardia. Quando mi proposero di riprendere il progetto, diversi anni dopo, accettai perché è evidente che Cronaca familiare non era affatto invecchiato. [...] In Cronaca familiare ho volutamente abolito i movimenti di macchina, la composizione talvolta un po' elaborata delle mie inquadrature, ho ridotto al minimo i costumi, l'evocazione storica viene data da qualche simbolo, ho puntato tutto sulla "staticità", sui dialoghi, sulle battute molto lunghe di tono letterario, ho creduto in un film apparentemente senza storia. [...] Mi sembrava che nel libro mancassero delle pagine e chiesi a Pratolini di scriverle. Pratolini riconobbe l'effettiva mancanza di queste pagine, spiegandomene il motivo, ed accettò di scrivere qualcosa per raccontare simbolicamente quello che poteva essere stata l'opposizione tra lui e suo fratello. Di fatto, esistono nel film due sequenze che nel libro non ci sono, ma sono comunque anch'esse di Pratolini» (Zurlini). Il restauro del film, concluso nel 2005, è stato realizzato dalla Cineteca Nazionale con la supervisione di Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia del film.
 
mercoledì 19
ore 17.00 Le soldatesse di Valerio Zurlini (1965, 120')
Fronte greco, 1942. Il tenente di fanteria Gaetano Martino viene incaricato di scortare un gruppo di prostitute destinate alle sedi militari. Dapprima offeso nella sua dignità di combattente, il giovane tenente sviluppa gradualmente un senso di solidarietà nei confronti di quella povera umanità degradata e si rende conto che molte di quelle donne hanno scelto il "mestiere" spinte dalla miseria e dalla fame. «Credo che l'interesse dei produttori per il progetto derivasse dal carattere un po' paradossale del soggetto: un giovane ufficiale italiano deve condurre a destinazione non un plotone di soldati ma un gruppo di prostitute. Fu Morris Ergas a chiamarmi perché mi occupassi del film, circa un anno prima delle riprese. Presi conoscenza della sceneggiatura scritta da Piero De Bernardi e Leo Benvenuti, una sceneggiatura che mi pareva molto affascinante per certi aspetti [...]. In fondo, la sceneggiatura partiva da una chiave di natura intimista: poco a poco l'ufficiale, nel corso del viaggio lungo e avventuroso, finiva per considerare quelle quindici povere ragazze che si prostituivano per miseria, come dei veri soldati del suo plotone. Mi pareva che la nascita di un rapporto così intenso all'epoca dell'occupazione italiana in Grecia costituisse un tema assai stimolante [...]. Alla fine della guerra gli italiani sono stati abilissimi a far cadere tutte le responsabilità su Mussolini e sui tedeschi. Secondo me, ciò che fa l'importanza di Le soldatesse, importanza spesso misconosciuta, è il fatto che il film dice: "No, la colpa non era loro ma nostra, anche noi abbiamo fatto la guerra come loro e ci siamo comportati male". E infatti è l'unico film italiano in cui si vede un massacro commesso da italiani, un atto di rappresaglia compiuto dalle camice nere, cioè dagli uomini che si distinguevano dai soldati normali soltanto per una differenza ideologica» (Zurlini).
Copia proveniente dall'Istituto Luce Cinecittà
 
ore 19.30 Come, quando, perché di Antonio Pietrangeli (1968, 103')
«Paola, moglie di Marco, conosce Alberto durante un ricevimento. Lui la corteggia senza risultati e lei per troncare quel rapporto che non vuole parte in anticipo per le vacanze. Raggiunta da Alberto la donna gli cede ed instaura con lui una relazione che si protrae anche dopo il ritorno in città» (Poppi/Pecorari). «Mentre sta girando il film, Pietrangeli affoga nel mare di Gaeta il 12 luglio 1968. Completato e montato da Valerio Zurlini, Come, quando, perché esce un anno dopo, senza la firma di Pietrangeli. Si possono fare alcune considerazioni. Al centro del racconto è ancora una figura femminile, Paola, signora della ricca borghesia torinese, sposata felicemente, che scopre il piacere di una sessualità vissuta senza inibizioni solo dopo una relazione extraconiugale. Le novità significative sono date dalla tonalità e dal linguaggio. Non è più la commedia a fornire l'intelaiatura. Il climax è quello tormentato di un dramma a sfondo sessuale. Il cambio di registro linguistico è notevole rispetto a Io la conoscevo bene[...]. Per la prima volta, dopo molti anni, la sceneggiatura non è scritta insieme a Maccari, ma con Tullio Pinelli. [...] La sceneggiatura prevedeva, tra l'altro, anche la partecipazione di Allen Ginsberg, nella parte di se stesso, che recita versi durante una serata di poesia» (Maraldi).
 
ore 21.30 Seduto alla sua destra di Valerio Zurlini (1968, 93')
«Non parlerei di metafora evangelica sulla violenza. Non gli darei questa importanza. Io vedo il film sotto un altro aspetto: direi che è un piccolo apologo sulla grazia, e nient'altro. Di conseguenza il film si pone su un terreno di racconto simbolico. Ci sono dei perseguitati e dei persecutori. Che non si identificano né con Lumumba né con i mercenari. Improvvisamente un piccolo delinquente - che è poi il ladrone che alla sinistra di Cristo sulla croce dirà "Ricordati di me quando sarai nel tuo regno" - incontra un uomo dotato di una grande luce spirituale. Toccato dalla grazia, gli chiede di ricordarsi di lui. Non ho preteso di fare Vangelo '70, né di fare un rapporto storico e religioso sul nostro tempo. Ho semplicemente raccontato come la grazia possa arrivare in qualsiasi posto, in qualsiasi momento, attraverso qualsiasi sbaglio» (Zurlini).
Copia proveniente dall'Istituto Luce Cinecittà
 
giovedì 20
ore 17.00 La promessa di Valerio Zurlini (1970, 143')
«Preceduta da una breve ripresa dalla versione teatrale del 1968, l'unica regia tv di Zurlini, essenziale per il suo cinema. Giannini anticipa il suo personaggio de La prima notte di quiete in questo film elettronico che si conclude con una delle uscite di campo più radicali di tutto il cinema» (Germani).
Copia ritrovata da Fuori orario nell'archivio Rai
 
ore 20.00 La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972, 132')
Daniele, un insegnante quasi quarantenne senza radici, trova un incarico di supplente in un liceo di Rimini. Entrato nel giro notturno di alcuni mediocri "vitelloni" locali, egli è attratto dalla sua allieva Vanina, già a sua volta legata da un arido rapporto senza amore con uno di loro, il cinico Gerardo. «Tuttavia, direi che La prima notte di quieteè nato davvero per la voglia che avevo di mettere in scena un personaggio del genere. Un personaggio frutto ovviamente di numerosi incontri, forse di certe somiglianze con me stesso, quella base di nichilismo, quel cristianesimo rifiutato ma presente... È un personaggio nato in modo molto strano, in un momento di estrema diffidenza: non trovavo niente di personale da raccontare. Un giorno, mi metto alla scrivania e in venti giorni scrivo in un racconto di cento pagine la storia di quest'uomo alla fine della vita - il racconto esiste ancora e credo che non sia male. Ma questo racconto oggettivo, ha origine anche da quelle stagioni invernali, così brutali, così violente, così incanaglite, così antifemminili, così oppressive, così eccessive, stagioni che pure avevo conosciuto. Quella costiera adriatica che avevo visto l'inverno, quando non c'è l'esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L'avevo vista, quella violenza dell'uomo sulla donna. La prima notte di quiete è un film molto legato ad un certo ambiente geografico. Contiene anche un aspetto di "storia popolare": la storia di un uomo che ha un rapporto ormai di morte con gli altri, e che incontra la giovinezza. Una giovinezza che nasconde in realtà la morte: è un romanzo popolare vecchio come il mondo. [...] [Il titolo del film] è un verso di Goethe che si può tradurre più o meno così: "La morte, la prima notte di quiete"» (Zurlini).
 
venerdì 21
ore 17.00 Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976, 150')
Il ventenne tenente di fresca nomina Drogo viene assegnato, forse per errore, alla fortezza Bastiani, ultimo baluardo posto ai confini dell'impero prima del deserto anticamente popolato dai Tartari. Nella postazione avanzata, tutti aspettano con ansia l'eventuale arrivo dei nemici come riscatto dall'opprimente grigiore della vita di guarnigione. «Il primo a voler girare Il deserto dei Tartari è stato Antonioni, poi Vittorio Gassman, Mauro Morassi, Franco Brusati... Insomma, è un progetto che ha interessato un po' tutti i cineasti italiani. Quasi una chimera, un film impossibile. [...] L'interesse per un adattamento cinematografico coinvolge allora i francesi: Jacques Perrin pensa per primo di fare un film a partire dal Deserto dei Tartari. [...] Il film, costato quasi due miliardi di lire, ma in Francia ne sarebbe costati tre, è stato coprodotto da Italia, Francia, Germania e Iran. [...] La mia intenzione era di fare un finale estremamente fedele al libro. [...] Non è stato fatto perché per finire il film abbiamo dovuto pagarci le spese di viaggio. Abbiamo finito tutto il denaro disponibile: Jacques Perrin correva disperato tra Roma e Parigi per trovare il modo di comprare un po' di pellicola. [...] È davvero per la mancanza di mezzi che non abbiamo potuto girare un finale conforme al libro, e seguire il finale previsto da Brunelin nella sceneggiatura. [...] Ho fatto otto film, e nei miei otto film c'è un tema minore - quello di Buzzati - che è contenuto nel tema maggiore. Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l'unica giustificazione. Io arrivo alla morte in tre dei miei film, Cronaca familiare, Seduto alla sua destra, La prima notte di quiete, con lo stesso significato che in Buzzati: la morte è la ragione della fine dei sentimenti. La validità di un sentimento non esiste, la validità di un'illusione non esiste, non c'è idealismo che tenga, non c'è nulla che sia al di fuori dell'amara sopravvivenza. Esiste una consolazione cristiana ma in un senso laico [...]. Così, senza arrivare alla grandezza tematica di Buzzati, tutti i miei film si assomigliano, dal primo all'ultimo. È inutile amarsi perché amarsi implica l'infelicità, è inutile credere in qualcuno, perché ci deluderà» (Zurlini).
 
ore 20.30 Gli anni delle immagini perdute di Alfredo Conti (2012, 90')
Gli anni delle immagini perdutedelinea il ritratto umano e artistico di Valerio Zurlini, scomparso il 26 ottobre 1982, poche settimane dopo aver partecipato come giurato al 50° Festival del Cinema di Venezia. Zurlini sapeva di essere malato e aveva dedicato gli ultimi mesi di vita alla scrittura del proprio testamento spirituale, che uscirà postumo col titolo Gli anni delle immagini perdute. Un bilancio esistenziale spietato, il racconto di un mondo che cambia in modo irreversibile, un appello struggente in difesa del cinema d'autore. Come nel libro così in questo film Zurlini racconta se stesso in prima persona. Secondo uno studiato "disordine" cronologico il regista ripercorre gli episodi più importanti della propria vita, indica le ragioni del suo cinema, ricorda gli artisti che l'hanno formato. Soprattutto Zurlini denuncia le "immagini perdute", i tanti film cioè che egli scrisse e preparò senza riuscire a portarli a compimento. Tra il 1962 (anno del Leone d'oro per Cronaca familiare) e il 1982 Zurlini gira solo quattro film, mentre decine sono i progetti che rimangono sulla carta. Gli anni delle immagini perdute torna nei luoghi in cui Zurlini amava ritirarsi a vivere, raccoglie le testimonianze di amici e collaboratori, ripropone il repertorio di interviste e conversazioni, nel tentativo di capire le cause di questo forzato e fatale "silenzio" produttivo.
 
sabato 22
ore 17.00 Le ragazze di San Frediano di Valerio Zurlini (1954, 90')(replica) 
ore 18.45 La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972, 132') (replica)
 
ore 21.15 Cronaca familiare di Valerio Zurlini (1962, 122') (replica)
 
domenica 23
ore 17.00 Estate violenta di Valerio Zurlini (1959, 98') (replica)

ore 18.45 La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960, 121') (replica)
ore 21.00 Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976, 150') (replica)
 
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