“Cinema Trevi: sabato 7 e domenica 8 marzo, per la retrospettiva “Alberto Grimaldi. L’arte di produrre”, film di Pasolini, Citti, Billy Wilder, Elio Petri.”
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sabato 7
ore 17.00
I racconti di Canterbury (1972)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto: dall'opera omonima di Geoffrey Chaucer; sceneggiatura: P.P. Pasolini; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: P.P. Pasolini, con la collaborazione di Ennio Morricone; montaggio: Nino Baragli; interpreti P.P. Pasolini, J.P. Van Dyne, Vernon Dobtcheff, Adrian Street, Franco Citti, Derek Deadmin; origine: Italia/Francia; produzione: P.E.A., Productions Artistes Associés; durata: 112'
«"C'è dentro ogni ben di Dio", scrisse John Dryden dei Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer (1340?-1400), vasto affresco incompiuto in versi sulla società inglese del XIV secolo. Ispirandosi forse a Boccaccio, ma comunque da buon conoscitore degli autori nostri, Chaucer immagina che nell'aprile 1383, durante un pellegrinaggio da Southwark all'abbazia di Canterbury, i partecipanti si narrino delle storie. Questi racconti dovevano essere 120: l'autore ne completò ventuno, ne lasciò abbozzati tre. Pasolini (che ridacchia in prima persona impersonando Chaucer nel film) ne ha scelti otto di tipo grottesco e scurrile, sorvolando sulla cornice che nel testo invece è molto significativa. Chi ha apprezzato il Decameron, più che il divertimento filologico stavolta assente per ovvie ragioni di lingua, ne ritroverà gli estri ribaldi nella nuova silloge (addirittura preceduta stavolta dalle solite contraffazioni truffaldine). In un carosello di peti, fornicazioni, nudi integrali e parolacce, Pasolini sembra rispondere all'esigenza del critico inglese che raccomandò, a proposito di Chaucer: "read him valiantly aloud", leggetelo coraggiosamente ad alta voce. Forse il brano più bello, tra altri di valore ineguale, è la Novella del venditore di indulgenze, che racconta i casi di tre compari alla ricerca della morte; oppure la Novella del frate, che vede il diavolo Franco Citti trascinare all'inferno un briccone. I toni acri e funerari si addicono al nuovo Pasolini, autocondannatosi all'umorismo coatto» (Kezich). Orso d'oro al Festival di Berlino.
Vietato ai minori di anni 14
ore 19.00
Storie scellerate (1973)
Regia: Sergio Citti; soggetto e sceneggiatura: S. Citti, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Francesco De Masi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Franco Citti, Ninetto Davoli, Nicoletta Machiavelli, Silvano Gatti, Enzo Petriglia, Sebastiano Soldati; origine: Italia/Francia; produzione: P.E.A., Les Productions Artistes Associés; durata: 97'
Esiste un legame fra Storie scellerate (1973), secondo film di Sergio Citti, il romanzo picaresco e in genere la tradizione realistica europea: il filo che li accomuna è l'assenza di preoccupazioni didascaliche e moraleggianti. I personaggi del film, infatti, appaiono ben poco dominati dalle esigenze morali, essendo portati per sopravvivere a compiere azioni riprovevoli. Gli episodi raccontati, ispirati in gran parte alle novelle del Bandello, mostrano da un lato il prevalere della nascente borghesia in cerca di successo, dall'altro il declino del mondo contadino e sottoproletario, a cui lo stesso Citti appartiene. In questo complicato processo il regista esamina, in fondo, il prevalere della mentalità piccolo-borghese, in un ambiente - quello dello stato della Chiesa descritto dal Belli - in cui i sentimenti della dignità e dell'onore tramontano in una competizione basata sulla beffa e sulla vendetta. Emerge, pertanto, un vivo senso del comico e toni spregiudicati in cui s'intrecciano il sesso e la morte. Quest'opera s'inserisce nel passaggio dalla Trilogia della vita alla Trilogia della morte di Pier Paolo Pasolini, co-sceneggiatore del film, ed è la rappresentazione di un mondo popolare in trapasso, fatto di giovani accattoni affamati di cibo ed eros, costretti a guadagnarseli con mille astuzie che li pongono di là della morale e della stessa storia civile.
Vietato ai minori di anni 18
ore 20.45
Il fiore delle mille e una notte (1974)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto: liberamente basato sulla raccolta di novelle orientali Alf Laylah wa-Laylah; collaborazione alla sceneggiatura: Dacia Maraini; fotografia: Giuseppe Ruzzolini; musica: Ennio Morricone; montaggio: Ugo De Rossi; interpreti: Franco Merli, Ines Pellegrini, Ninetto Davoli, Tessa Bouché, Franco Citti, Fessazion Gherentiel; origine: Italia/Francia; produzione: P.E.A., Les Productions Artistes Associées; durata: 130'
«Un film semplicissimo, ma anche difficile, suscettibile di letture molteplici: stilistiche, ideologiche, etnologiche. Incominciamo dal testo. La sua fonte, naturalmente, sono Le mille e una notte, l'opera letteraria più famosa della civiltà araba da cui, come dal Decamerone e dai Racconti diCanterbury, è nata tutta intera una letteratura (e per questo Pier Paolo Pasolini vi ha fatto ricorso per il suo ultimo film della "Trilogia della vita", sorretta all'interno dal denominatore comune della nostalgia del passato). Le novelle scelte sono una decina, volutamente le meno note, con un filo conduttore che riassume in chiave meno favolistica quello di Shahrazàd e del re Shahriyàr sostituendolo con quello del giovinetto Nur ed-Din che vaga disperatamente alla ricerca della sua amatissima schiava Zumurrud rapita da un rivale. I canovacci delle novelle riproducono fedelmente quelli della celebre raccolta, con varie contaminazioni, però, e delle concatenazioni ripetute che, facendo scaturire i vari racconti l'uno dall'altro e intersecandoli, danno alla struttura narrativa un aspetto concentrico, quasi a scatola cinese. I personaggi, gli uni "raccontandosi" agli altri, oltre ai due innamorati che reggono le fila della narrazione, sono re, principi, demoni, giganti e geni. Quello però che ha attratto Pasolini nelle novelle non è tanto il "loro carattere fiabesco, esotico, magico, quanto il loro realismo: il senso esistenziale della vita quotidiana dell'antico mondo arabo e la rappresentazione della società osservata con rigore quasi etimologico". Un realismo, comunque, in cui è possibile "vedere il Destino alacremente all'opera, intento a sfasare la realtà: non verso il surrealismo e la magia, ma verso l'irragionevolezza rivelatrice della vita, che solo se esaminata come "sogno" o "visione" appare come significativa". Realismo, dunque, ma in un contesto "visionario, in cui i personaggi sono "rapiti" e costretti a un'ansia conoscitiva involontaria, il cui oggetto sono gli avvenimenti che gli accadono". Svolti, questi avvenimenti, costruiti questi personaggi con una struttura di racconto che tende volutamente al discorso piano, diretto, immedesimandosi ai toni di esposizione grezzi e popolari di quei tanti narratori che, ricchi e poveri, principi e mendicanti hanno tutti una identica cultura [...]. Le ragioni, però, vanno ricercate in quella volontà dell'autore di porsi oggettivamente dalla parte di chi ricorda e ricrea le proprie gesta nell'ambito della propria cultura (come già nel Decameron, come già nei Racconti diCanterbury); e preferire qui una narrazione di tipo tradizionale o estetizzante vorrebbe dire non intendere il succo dell'operazione letteraria tentata ancora una volta da Pasolini; né i suoi criteri d'interpretazione. Lo stesso principio, naturalmente, sorregge poi la "messa in scena" del testo, affidata appunto ad un "realismo visionario" in cui tutto, anche il favoloso, appare nitido e concreto e in cui, contemporaneamente, il reale, pur nella sua secchezza, ha sempre un sottofondo onirico; senza misteri, ma pieno di sospensioni, di tensione» (Rondi).
Vietato ai minori di anni 14
domenica 8
ore 16.30
Avanti! (Cosa è successo fra mio padre e tua madre?, 1972) (replica)
Regia: Billy Wilder; soggetto: dalla commedia di Samuel Taylor; sceneggiatura: B. Wilder, I.A.L. Diamond, Luciano Vicenzoni; fotografia: Luigi Kuveiller; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Ralph E. Winters; interpreti: Jack Lemmon, Juliet Mills, Clive Revill, Edward Andrews, Gianfranco Barra, Franco Angrisano; origine: Usa/Italia; produzione: Mirisch Corporation of California,P.E.A.; durata: 144'
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