Home > “Cinema Trevi: inizia il 31 marzo “Le stagioni del nostro cinema: Antonio Pietrangeli, Florestano Vancini, Valerio Zurlini”. Seconda parte”
“Cinema Trevi: inizia il 31 marzo “Le stagioni del nostro cinema: Antonio Pietrangeli, Florestano Vancini, Valerio Zurlini”. Seconda parte”
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C'è un filo conduttore che lega quasi tutte le rassegne di questo mese: gli anni Sessanta, il decennio di maggior creatività del cinema italiano. Come ha scritto Jean A. Gili nel libro di Valeria Napolitano Florestano Vancini. Intervista a un maestro del cinema, Liguori Editore, Napoli, 2008, da cui sono tratte le dichiarazioni di Vancini inserite nelle schede dei film, «Il 1960 rappresenta una data decisiva nella storia del cinema italiano, paragonabile forse, in una valutazione critica a posteriori, al 1945. In pochi anni si determina un cambio generazionale, che non troverà più riscontro nei decenni successivi». Esordiscono fra il 1958 e il 1962 Pontecorvo, Rosi, Olmi, Vancini, Damiani, De Seta, Montaldo, Pasolini, Petri, Bertolucci, i fratelli Taviani, Ferreri, Leone, esplodono i generi (il peplum, il western e, sul finire del decennio, il thriller) e il filone inesauribile dei film a episodi, si sviluppa l'underground, che proietta il cinema italiano in una dimensione internazionale, a stretto contatto, se non altro "elettivo", con le forze più innovative del cinema americano, e sull'onda della dolce vita il fenomeno del divismo scuote il provincialismo italico ponendo Roma e la Hollywood sul Tevere al centro del mondo. In questo periodo di fervore (anche critico grazie all'opera rigorosa di recensori e saggisti) gli autori dalla vena più personale sono rimasti inevitabilmente, in un'ideale foto di gruppo, un po' in disparte e meritano oggi, a distanza di decenni, una riflessione, purtroppo in molti casi postuma. È il caso dei tre autori presentati in questa retrospettiva, Antonio Pietrangeli (1919-1968), Valerio Zurlini (1926-1982) e il recentemente scomparso Florestano Vancini (1926-2008), tre registi di cui solo adesso si riesce a percepire pienamente la grandezza, lungo due direttrici, destinate a convergere: l'uomo (e la donna, soprattutto, vista come prospettiva privilegiata per registrare i cambiamenti sociali) e la Storia, con il peso della guerra che, esaurita la ricostruzione e iniziata l'era del boom, incombe sulle coscienze imponendo finalmente un esame, prima di tutto interiore. Lungo questi percorsi si è andati alla ricerca di ulteriori affinità elettive (le vite e le carriere dei tre registi si intrecciano) con film e registi guidati dalla medesima sensibilità, vera e propria cifra stilistica di uomini che alla macchina da presa chiedevano delle risposte alle loro ansie esistenziali. Come Paolo Spinola, a cui si rende omaggio questo mese (domenica 22 e martedì 24).
 
martedì 31
ore 17.00
Il delitto Matteotti (1973)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, F. Vancini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Egisto Macchi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Franco Nero, Mario Adorf, Riccardo Cucciolla, Damiano Damiani, Vittorio De Sica, Giulio Girola; origine: Italia; produzione: Claudia Cinematografica; durata: 120'
«L'assassinio di Matteotti, visto a distanza, non fu soltanto un delitto di Stato. Fu per i modi in cui accadde e per i contraccolpi, il nodo d'una doppia vergogna: dei mandanti e dei sicari, pagati dai criminali fascisti, ma anche degli antifascisti di poca saldezza, divisi e pavidi. In modo diverso, colpevoli anch'essi. Il merito primo di Vancini sta, nell'aver avuto ben chiara questa idea, e nell'aver concepito il film non già come una biografia romanzata del segretario del partito socialista unitario (il cosiddetto riformista), che fu rapito e trucidato a Roma il 10 giugno 1924, bensì, come un intenso affresco della vita politica italiana d'allora, composto di galantuomini e canaglie, di idealisti e trafficanti, di astuti capitani d'industria e di cardinali d'occhio lungo» (Grazzini). «La definizione del personaggio interpretato da Franco Nero non nasce da una scelta ideologica, politica, o morale; non avevo uno schema precostituito. Matteotti ha avuto due morti: la prima, legata all'eliminazione fisica, l'altra, legata all'eliminazione del soggetto e agente-storico. Dopo la sua uccisione se ne fa un santino, e si finisce per dimenticare non soltanto l'uomo, ma anche il politico e la sua intelligenza. Era un personaggio poliedrico, dotato di una complessità che non ho potuto sviluppare nel film» (Vancini).
Copia proveniente dalla Cineteca Griffith di Genova - Ingresso gratuito
 
ore 19.10
…e ridendo l'uccise (2005)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Massimo Felisatti, F. Vancini; fotografia: Maurizio Calvesi; musica: Ennio Morricone; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Manlio Dovì, Sabrina Colle, Ruben Rigillo, Marianna De Micheli, Giorgio Lupano, Carlo Caprioli; origine: Italia; produzione: Italgest Video - I.P.E.; durata: 132'
A Ferrara, agli inizi del 1500, alla morte di Ercole I, si scatena una lotta intestina senza esclusioni di colpi. «In definitiva il film si risolve in un saggio - per niente pedante - sui prodromi di una lotta di classe che troverà i suoi strumenti e le sue espressioni molti secoli più tardi. Coadiuvato da collaboratori di pregio (fotografia di Maurizio Calvesi, musica di Morricone, scenografia e costumi di Burchiellaro e Lia Morandini) il regista ci restituisce una ricostruzione d'ambiente non sfarzosa ma ricercata esprimendo la volontà di rispondere, da intellettuale oltre che da artista, a un bisogno. Rianimare lo scenario di un paese-museo che il mondo ci ammira e il nostro cinema non valorizza abbastanza per farne spettacolo: intelligente, colto, raffinato, come questo è, ma spettacolo» (D'Agostini). Il titolo è tratto dai versi finali del sonetto In morte di un buffone del poeta del Quattrocento Antonio Cammelli, detto "Il Pistoia" («Scherzò con lui la morte, nel transito con lui un pezzo rise, di poi scherzando e ridendo l'uccise»). «Il primo soggetto risale al 1981; in seguito ci ho lavorato per anni, effettuando ricerche dettagliate. Il film è frutto del mio interesse per la storia del Rinascimento, della quale sono un grande appassionato» (Vancini). Film molto apprezzato all'estero, colpevolmente ignorato in Italia.
 
ore 21.30
Le stagioni del nostro amore (1966)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Elio Bartolini, F. Vancini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Enrico Maria Salerno, Anouk Aimée, Jacqualine Sassard, Gian Maria Volonté, Gastone Moschin, Valeria Valeri; origine: Italia; produzione: Ga.Va. Film; durata: 93'
«Vancini conferma il suo interesse per un tipo di "eroe" incerto e dimidiato, colto in un momento di instabilità e di insicurezza: Vittorio Borghi, intellettuale di sinistra, che ha lasciato il giornale di partito per una sistemazione più vantaggiosa, ammantata di una vaga crisi ideologica, ha una bella casa, una moglie e un figlio tolleranti e apprensivi, ma si sente come tradito dalla vita, deluso, insoddisfatto, smanioso di una autenticità di rapporti che una furiosa parentesi erotica con una ragazzina gli darà l'illusione di aver raggiunto, per ripiombarlo poi nel solito giro di viltà, compromessi, rancori, più esasperati che dissolti da quella esperienza. Il nucleo del film è costituito da un breve ritorno del protagonista nella sua città, Mantova, dove egli, che vi è approdato nell'illusoria convinzione di ritrovare slanci e motivazioni di una stagione piena e felice - la Resistenza, le amicizie, le letture, le speranze di rinnovamento» (Ferrero). «Le stagioni del nostro amore è la storia di un intellettuale - brutta parola! - che osserva il mondo che lo circonda, prestando attenzione a tanti segnali, tante suggestioni. Qualcuno in passato ha sostenuto l'ipotesi secondo la quale il fatto che il personaggio non entri in chiesa può esser letto come un atto "religioso", di fede; ciò, evidentemente, a causa della sua filosofia, che traspare nel tessuto narrativo. Non nego questa possibilità. D'altronde il personaggio di un film deve esser libero di "costruirsi" una propria autonomia, anche attraverso l'interpretazione dello spettatore» (Vancini).
Copia proveniente da Cinecittà Holding - Per gentile concessione di Surf Film Vietato ai minori di anni 14 - Ingresso gratuito

 

 

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