13.12.2016-21.12.2016
«Quest’anno, in occasione della XXI edizione del Romafilmfestival, ho deciso di dedicare un omaggio a Franco Nero, con il titolo un attore per tutte le stagioni.
Franco Sparanero, in arte Franco Nero, con più di cinquant’anni di carriera non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo, e una filmografia di quasi 200 film, è un grande protagonista della storia del cinema. Fin dal suo esordio accanto ad Annie Girardot e Rossano Brazzi ne La ragazza in prestitodel ’64, il poliedrico Franco Nero dimostra le sue qualità d’attore di razza con il personaggio di Django nel film omonimo firmato da Sergio Corbucci, per continuare la sua incredibile carriera diretto da registi del calibro di John Huston, Elio Petri, Damiano Damiani, Luis Buñuel, Florestano Vancini, Rainer Werner Fassbinder, Pupi Avati, Carlo Lizzani, Michael Cacoyannis, Franco Zeffirelli, Gigi Magni, Claude Chabrol, Lucio Fulci, Marco Bellocchio, Lamberto Bava. Il giovane attore che esordisce nel mondo della celluloide, bruno, con un fisico atletico, due penetranti occhi azzurri, inizia una carriera inarrestabile che gli fa conquistare fama e prestigio anche all’estero, al pari di famosissimi colleghi come Paul Newman e Marlon Brando all’epoca ultraquarantenni. Questo grande protagonista, passato attraverso le stagioni più importanti non solo del cinema italiano, ma anche di quello internazionale, allo scoccare di più di mezzo secolo di carriera può vantare il primato di una seria professionalità, dimostrata in ogni sua interpretazione, sempre all’insegna di una grande modestia e sobrietà, insita nel suo dna. In una frase tratta da una sua intervista si può riassumere la filosofia di vita dell’attore: “Io ho avuto fortuna nella vita ho cenato con principesse sovrani e capi di Stato ma anche con contadini e gente umile. Non c’è dubbio che mi diverta di più in compagnia di questi ultimi”. Forse si può considerare l’ultimo grande divo del cinema italiano, divo nel senso più tradizionale, ovvero la fusione tra carisma e semplicità. Un divo che non ha mai ceduto alle lusinghe della pubblicità, nemmeno quando negli anni Settanta gli fu offerta la cifra fantasmagorica di 500.000 dollari, che rifiutò facendo un favore all’amico e collega Alain Delon.
Ammirato e stimato da registi del calibro di Quentin Tarantino, tanto da fargli dichiarare: “Franco è l’attore che più di ogni altro ha ispirato il mio cinema”, Franco Nero rappresenta senza dubbio, nel novero dei grandi del Cinema, un’importante icona del nostro tempo» (Adriano Pintaldi).
martedì 13
ore 17.00Il terzo occhio di Mino Guerrini (1966, 86′)
«Mino vive in un castello, la bella Marta che è innamorata di lui lo desidera e causa la morte della fidanzata Daniela. Mino è ossessionato da questa morte fino al punto di impagliare Daniela per avere con lei rapporti sessuali. Poi ci sono altri omicidi, tra i quali quello della madre di Mino, nonché l’arrivo di una donna che assomiglia molto a Daniela… Mino Guerrini, già pittore d’avanguardia con il Gruppo Forma 1, si era da tempo dedicato al giornalismo e al tempo stesso alla regia di film molto popolari. Qui promuove come protagonista Franco Nero, che già aveva interpretato nel ruolo principale qualche western, ma non Djangodi Corbucci, la cui lavorazione iniziò appena terminato il film di Guerrini. Memorabile (e scandaloso in seguito, visto che diventerà una delle più popolari presentatrici della Rai) è lo spogliarello (integrale nella versione per l’estero) di Marina Morgan, vero e proprio momento hot di un film che riprende molte situazioni hitchcockiane, ad esempio nel rapporto tra il protagonista e la madre» (Della Casa-Giusti).
ore 19.00 Django di Sergio Corbucci (1966, 94′)
«Supercult in tutto il mondo. E lancio di Franco Nero come star internazionale e del nostro western come trionfo del sadismo. “Mi ero messo a farlo alla mia maniera, con crudeltà, esagerazione, fango, schifezze, morti a raffica… per contrappormi a Leone che propendeva per una linea solare, fatta di sabbia e di sole. Mi ero ispirato un po’ alla linea giapponese, ai film di Akira Kurosawa…” (Corbucci). Da una parte il maggiore Jackson, razzista fanatico a capo di una setta di incappucciati, dall’altra una banda di messicani rivoluzionari ma fetenti. Poi i governativi. Django è un reduce che si trascina nella bara un mitra» (Giusti).
mercoledì 14
ore 17.00 Il giorno della civetta di Damiano Damiani (1968, 109′)
«Nel febbraio 1968 un’immagine inedita buca gli schermi italiani: in un paese siciliano, un boss mafioso entra in una sede della Democrazia Cristiana per mostrare le sue amicizie potenti al capitano dei carabinieri che lo sorveglia […]. È una delle sequenze chiave di Il giornodella civettadi Damiano Damiani, e crea non pochi problemi al film fin dal momento delle riprese […]. Il giorno della civettaè anche il film che definisce Damiani come autore agli occhi del pubblico e della critica» (Pezzotta). David di Donatello a Franco Nero quale miglior attore protagonista.
ore 19.00 Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri (1968, 107′)
«Pittore di successo in crisi creativa, dilaniato dalla volontà di contestazione e dalle richieste del mercato, ha un rapporto schizofrenico di amore/odio con la donna che gli fa da amante, amministratrice e infermiera e, per sfuggirla, si rifugia in una villa veneta, da anni disabitata, e cerca la compagnia di un fantasma. Film sulla pittura (sulla pop art, usando i quadri dell’americano Jim Dine), sulla ricerca disperata della bellezza perduta, sulla morte dell’arte, sui rapporti tra arte e realtà, “… è prima di ogni altra cosa un giro di boa tecnico: di tecnica narrativa, di montaggio, di ritmi, di effetti speciali, di fotografia. Senza l’esperienza maturata sarebbero forse impensabili i successivi film…” (A. Rossi)» (Morandini).
ore 21.00 Confessione di un commissario di polizia al Procuratore della Repubblica di Damiano Damiani (1971, 101′)
Tipico film impegnato degli anni settanta, Confessione di un commissario di polizia al Procuratore della Repubblica racconta di un commissario sicilianodeciso a farsi giustizia da sé che scontra con un procuratore rispettoso allalettera della legge… «I due protagonisti conquistano allora la statura che loro compete: fiero e sanguigno il Commissario di Martin Balsam, un attore americano che sa ottimamente piegarsi ad una figura tipicamente insulare; travolto da intime crisi il Procuratore di Franco Nero, in una caratterizzazione che dimostra il suo intelligente evolversi d’interprete» (Biraghi).
giovedì 15
ore 17.00 Giornata nera per l’ariete di Luigi Bazzoni (1971, 95′)
«Dal romanzo di D.M. Devine. Tre donne assassinate, un uomo morto per spavento e la mancata uccisione di un bambino sono le imprese di uno psicopatico. Con molti mezzi a disposizione, una squadra di attori di rispetto e la raffinata fotografia di Vittorio Storaro, L. Bazzoni ha messo in piedi una lussuosa macchina per tagliare il brodo» (Morandini).
ore 19.00 Il delitto Matteotti di Florestano Vancini (1973, 118′)
«Il merito primo di Vancini sta, nell’aver avuto ben chiara questa idea, e nell’aver concepito il film non già come una biografia romanzata del segretario del partito socialista unitario (il cosiddetto riformista), che fu rapito e trucidato a Roma il 10 giugno 1924, bensì, come un intenso affresco della vita politica italiana d’allora, composto di galantuomini e canaglie, di idealisti e trafficanti, di astuti capitani d’industria e di cardinali d’occhio lungo» (Grazzini).
ore 21.10 Il cittadino si ribella di Enzo G. Castellari (1974, 100′)
L’ingegner Antonelli (Franco Nero) si ribella alle violenze subite da alcuni rapinatori e passa all’azione, aiutato da un ladruncolo. «Un film che cavalca l’ondata revanchista dell’epoca, anche se il personaggio di Nero non si trasforma mai in un vendicatore infallibile e conserva tratti più che umani» (Mereghetti). Poliziesco di culto, girato da Castellari con la consueta perizia e una suggestiva ambientazione a Genova, come il precedente La polizia incrimina, la legge assolve.
venerdì 16
ore 17.00 I guappi di Pasquale Squitieri (1974, 133′)
Secondo episodio di una ideale trilogia sulla camorra, inaugurata da Squitieri con Camorrae conclusa con L’ambizioso, I guappiè ambientato alla fine dell’800 e racconta la storia di due singolari figure, il guappo don Gaetano Fungilo e l’avvocato Nicola Bellizzi, legati da un indissolubile rapporto di amicizia. Attraverso di loro il regista napoletano descrive un mondo che non c’è più, basato sull’onore e mette in scena il conflitto tra la giustizia e la criminalità, attraverso una coinvolgente narrazione ricca di colpi di scena. Scritto dal grande sceneggiatore Ugo Pirro e interpretato da un cast eccezionale: Fabio Testi, Franco Nero e Claudia Cardinale. «Pasquale l’ho conosciuto qualche mese prima della lavorazione de I guappi. Avevo già visto un suo film, Camorra, che trovai molto interessante. Con Pasquale ho realizzato tre film e mi sono sempre trovato molto bene. È un regista sanguigno ed è uno dei pochi che ama il bello sullo schermo. Pasquale è anche un istrione, gli piace molto anche recitare. Realizzare I guappi, nella terra dov’è nato, era proprio il pane per i suoi denti. Ricordo di quel film soprattutto tante comparse napoletane. I napoletani sono l’unico popolo italiano nato attore. Ricordo l’enfasi di Pasquale nel coinvolgere queste comparse a recitare, a trasmettere delle emozioni. In una scena Pasquale disse con tono perentorio ed enfatico, accentuando da grande attore, le parole per far capire alle comparse quello che dovevano fare: “Allora, un uomo è stato ucciso. Piangeeete!”. Ricordo anche la scena di quando io dovevo fare l’arringa in tribunale. E Pasquale riusciva a far recitare a soggetto le comparse, proprio perché da napoletano, sa che il suo popolo ha l’improvvisazione nel sangue» (Nero).
ore 19.30 Profezia di un delitto di Claude Chabrol (1975, 94′)
«Metà “giallo” esotico, metà beffarda presa in giro della parapsicologia, Lesmagiciensoffre un campionario dei più collaudati luoghi chabroliani. […] Eppure, il prodotto finale non manca di una certa organicità, raggiunta in virtù di un controllo stilistico che, pur nello svariare dei toni, vieta alla “fabula” di soffocare il senso. […] La vera morale della storia consiste nell’abituale avvertimento a guardarsi dall’eccesso: anticipare il futuro è un atto di hybris e, pertanto, va punito affinché l’equilibrio naturale non sia turbato. La chiromanzia, ammonisce il regista, non è dannosa in sé ma in quanto può far nascere in qualche intelligenza maligna la tentazione di prendere il posto di Dio» (Moscariello).
ore 21.20 Gente di rispetto di Luigi Zampa (1975, 113′)
Un’insegnante anticonformista viene spedita in un paese siciliano, dove si scontra con la mentalità e gli usi antiquati della gente del posto. Un uomo che le ha fatto delle avances viene ucciso e simbolicamente esposto in piazza con un fiore in bocca. Ciò le procura un rispetto esagerato e incomprensibile.
sabato 17
ore 17.00 Marcia trionfale di Marco Bellocchio (1976, 116′)
«Vessato dai commilitoni e dai superiori, il soldato di leva Paolo Passeri (Placido, premiato col nastro d’argento), meridionale e laureato, passa sotto l’ala protettiva del capitano Asciutto (Nero): un fanatico che vuole fare di lui un vero uomo, e lo incarica di pedinare la propria moglie Rosanna (Miou-Miou). Ma Passeri diventa complice degli adulteri di Rosanna, e assiste allo sprofondare verso la follia di Asciutto. Bellocchio (sceneggiatore con Sergio Bazzini) descrive l’aberrazione del potere dall’interno, mostrando come si possa soccombere al suo fascino, e costruisce un rapporto a tre tanto esasperato nei risvolti simbolici (il capitano è frustrato dalla mancata paternità) quanto ambiguo. All’epoca il film piacque a pochi (e da sinistra ci fu chi accusò assurdamente il regista di cedimento commerciale), ma la crudezza nella descrizione del mondo della caserma lascia il segno; e il tono grottesco, violento e sopra le righe si fa leggere oggi come il riflesso di un’epoca cupa (con il ricordo del pasoliniano Salòben vivo), da cui Bellocchio sembra cercare una via d’uscita» (Mereghetti).
ore 19.10 Keoma di Enzo G. Castellari (1976, 102′)
«”Il film più bello che ho fatto in assoluto e l’ultimo grande film della stagione western italiana” (Enzo G. Castellari). Forse l’ultimo western all’italiana veramente di culto. Per Enzo G. Castellari e Bolognini il loro western preferito. E così l’abbiamo visto tutti, anche perché era proprio il canto del cigno del genere. […] Woody Stroode tira con l’arco come nel capolavoro di Richard Brooks Iprofessionisti. Secondo Bolognini fu proprio Woody Stroode, che aveva incontrato sul set di Ciakmull, a regalargli un libro dal titolo Keoma, storia di una prostituta nel West, chiamata appunto Keoma, che darà così il titolo al film. L’aria è quella del tardo western barocco, con sangue e dolore per tutti. Keoma è un sangue-misto reduce dalla Guerra di Secessione che si trova a dover fare i conti, al ritorno al suo paese fetente, con la banda di Caldwell, cioè Donald O’Brien, ma anche con i suoi tre fratellastri che lavorano proprio per il cattivo. […] Alla sua uscita ebbe un’ottima recensione in Inghilterra da Colin Pahlow sul “Monthly Film Bulletin”, che conclude il suo articolo precisando che forse “il film non potrà resuscitare il genere, ma ricorda effettivamente che il western italiano era formalmente più intrigante di quanto i critici pensassero”» (Giusti).
ore 21.10 Un dramma borghese di Florestano Vancini (1979, 104′)
Rimasto vedova, Guido ritira Mimmina, la figlia sedicenne, dal collegio. I due decidono di fermarsi in un albergo, dove sono raggiunti da un’amica della ragazza, la quale diventa ben presto l’amante di Guido. Ciò scatena la gelosia di Mimmina. «Esplicito omaggio alla memoria dello scrittore Morselli e apologo sulla difficoltà di capirsi tra generazioni diverse, il film sfiora il tema dell’incesto con pudore ed eleganza formale, in un gradevole intreccio di commedia e tragedia» (Grazzini).
domenica 18
ore 16.30 Grog di Francesco Laudadio (1982, 95′)
Nicola (Franco Nero) e Pasquale (Omero Antonutti), evasi dal penitenziario durante una sommossa, si barricano in una villa di un quartiere residenziale prendendo per ostaggi tutti i componenti della famiglia. Hanno con loro anche una guardia carceraria ferita, alla quale avevano sottratto le armi. Acceso il televisore apprendono che il quartiere è circondato dalle forze dell’ordine. Terrorizzato Nicola telefona ad una televisione privata e intima al Direttore, pena l’incolumità degli ostaggi, di annunciare che le persone in ostaggio saranno uccise se non sarà dato a loro un aereo per fuggire. Il Direttore si rifiuta, ma propone a Nicola che sia lui stesso a lanciare il messaggio. Arriva così nella villa tutta la troupe della TV e allestisce una “diretta” dalla casa del sequestro. Ne nasce un gigantesco spettacolo tragico-comico che investe sequestrati, sequestratori, parenti, intermediari, poliziotti, giustizieri improvvisati, e persino una ditta di sponsor. «L’esordio di Laudadio […] è simpatico e promettente. Si affianca ai già tanto numerosi esempi di satira sullo strapotere televisivo con un estro surreale che ribalta la retorica imperante nei mass-media e conferma la loro virtù di digerire i veleni» (Grazzini). David di Donatello (1983) per il miglior regista esordiente.
ore 20.00 Il pentito di Pasquale Squitieri (1985, 120′)
Dopo aver assassinato un avvocato su commissione di un grosso banchiere, un mafioso deve scappare in America; la vendetta trasversale colpisce, però, la sua famiglia e lui si convince a collaborare con la giustizia. «Il materiale da cui è stato tratto Il pentitoviene prevalentemente dagli atti processuali del processo contro Buscetta e l’intera operazione nasce in collaborazione con le forze dell’ordine e con la magistratura. […] Praticamente il film traccia le tappe fondamentali della vita di Buscetta come un viaggio esistenziale al centro del quale viene celebrata la vita di un uomo malavitoso tra trionfalismo e pentitismo» (Squitieri).
ore 22.10 Diceria dell’untore di Beppe Cino (1990, 97′)
A guerra appena finita, un reduce, il professor Angelo, è accolto in un sanatorio siciliano. Uno dei suoi polmoni sembra ormai colpito, ma il primario, detto “il Gran Magro”, nel suo caso non esclude una guarigione. Là il malato conosce Marta, ex-danzatrice scaligera, ex-kapò in un lager ed ex-amante di un ufficiale delle SS. «Il film alterna momenti di staticità con scorci delicati; percorso qua e là da brividi sinistri, ha in Franco Nero un angelo molto concentrato che lascia intravedere la sua sofferenza con una recitazione corretta» (Grazzini).
martedì 20
ore 17.00 Io e il re di Lucio Gaudino (1995, 82′)
Era il 9 settembre 1943. Racconta Matilde: «Il giorno dopo nel castello della mia famiglia ci sarebbe stato un matrimonio. Si sposava Maria la figlia della cuoca, una ragazzina di 17 anni. Io ne avevo tredici. Nessuno poteva immaginare che a quel fatto per me eccezionale, se ne sarebbe sovrapposto un altro: l’arrivo del Re, della Regina e del principe Umberto. Con loro c’erano il governo e lo stato maggiore dell’esercito al completo. Tutti in fuga verso Pescara e poi verso la Puglia. Tra gli ufficiali c’era il maggiore Ferri, un bell’uomo che guardava mia madre e la faceva arrossire. Io capii subito che erano stati innamorati e forse lo erano ancora. Non mi crederete, ma quel giorno mi capitò anche di salvare la vita al Re». «Nonostante il tema (e i personaggi) il film è niente affatto documentato o regale. Volutamente è girato in un bianco e nero sommesso, è intriso di atmosfere segrete un po’ “avatiane”, è concepito dal punto di vista della tredicenne Matilde, la curiosa figlia dei conti che accolgono il sovrano nella loro sontuosa dimora» (Bo).
ore 18.45 Jonathan degli orsi di Enzo G. Castellari (1995, 124′)
Jonathan, rimasto orfano, cresce insieme a un orso e viene allevato dagli indiani, dei quali sposa la causa contro gli sfruttatori, pronti a tutto pur di impossessarsi del giacimento petrolifero scoperto nel loro territorio. Castellari con l’amico Nero torna al western dopo vent’anni, utilizzando le praterie russe al posto dei paesaggi dell’Almeria. Potenza del cinema, che il regista cerca di rinverdire in anni di minimalismo e di appiattimento televisivo. Il pubblico e la critica non lo seguono, ma il tentativo è nobile e ambizioso.
mercoledì 21
ore 17.00 La rabbia di Louis Nero (2008, 104′)
«Il mio è un film sul mondo del cinema non è completamente autobiografico, ma è quello che un giovane deve affrontare quando vuole portare avanti una sua idea. Il protagonista va a bussare alle porte dei produttori per cercare i finanziamenti per il suo film, ma non trova mai nessuno disponibile all’ascolto. Decide perciò di fare una rapina in banca per prodursi da solo il film, per poi scoprire che dopo il produttore c’è da affrontare ancora il distributore. Un disastro, insomma, perché oggi si sceglie di non guardare nemmeno i nuovi progetti, le voci fuori dal coro» (Louis Nero). Un cast di nomi illustri quello de La rabbia: oltre ai due protagonisti, Franco Nero e l’esordiente attore tedesco Nico Rogner, a prendere parte a questo ambizioso progetto dalle tinte sperimentali nomi come Giorgio Albertazzi, Tinto Brass, Arnoldo Foà, Philippe Leroy e addirittura un premio Oscar, Faye Dunaway. Un film co-prodotto dal regista e da Franco Nero, che ha creduto fortemente nel progetto.
ore 19.00 Forever Blues di Franco Nero (2005, 90′)
Luca è trombettista jazz che si esibisce in un locale buio e fumoso, Marco è un bambino autistico che vive isolato dal resto del mondo. Per una serie diversa di eventi, questi due personaggi passano insieme un po’ di tempo in cui il bambino impara ad assaporare alcune gioie della vita mentre l’adulto ha finalmente qualcuno a cui trasmettere le proprie esperienze di vita. Un tragico avvenimento scuoterà il bambino dal suo isolamento e l’avventura vissuta insieme a Luca segnerà per sempre la sua vita portandolo a seguire le orme dell’amico…
ore 21.00 Angelus Hiroshimae di Giancarlo Planta (2010, 80′)
Durante una battuta di caccia, un uomo ferisce quello che scoprirà essere un ragazzo dai tratti orientali, dotato di un paio di lunghe ali pelose. Nella propria casa, l’uomo accudisce il ragazzo fin quando quest’ultimo si ristabilisce. Da quel momento, tra i due, si instaura un rapporto senza parole destinato a sfociare in una serie di eventi tragici. «Il rischio mi ha sempre spronato. Penso a Querelle de Brestdi Fassbinder, a tanti gialli politici e ai primi western italiani. Angelus Hiroshimae, però, è il mio film più estremo. […]La storia sul dolore di un padre che in un incidente stradale perde il figlio era stata pensata molto prima di quanto poi è accaduto a Natasha, la figlia di Vanessa morta per una caduta sugli sci. Angelus Hiroshimaeè a lei dedicato» (Nero).