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XX Roma Film Festival: Omaggio a Ennio Morricone, il fascino discreto di un genio
15 Dicembre 2015 - 20 Dicembre 2015
«È motivo di particolare orgoglio aver dedicato la XX edizione del Roma Film Festival, da me presieduto, ad un personaggio del calibro di Ennio Morricone. È anche importante aver scelto per l’assegnazione del premio alla carriera 2015, dopo i grandi registi e attori del cinema italiano, un musicista, “il musicista per eccellenza”, che rappresenta in assoluto il più prolifico ed influente compositore di colonne sonore di tutti i tempi. Ennio Morricone ha scritto le musiche di 528, tra film e serie tv, oltre che opere di musica contemporanea. La sua straordinaria carriera, che include un’enorme varietà di generi compositivi, lo pone ad un livello talmente eccelso da essere considerato universalmente una leggenda vivente.
Ho voluto intitolare l’omaggio a lui Il fascino discreto di un genio perché è importante sottolineare l’approccio che si ha con Ennio, un signore gentile, dai modi pacati, dotato per il suo naturale dna di una reale modestia, che, a volte, è anche disarmante se si pensa all’immensità della sua musica.
Il Maestro Morricone ha ricevuto un’enorme quantità di premi italiani come i Nastri d’argento, i David di Donatello, il Leone d’oro a Venezia e i più alti riconoscimenti internazionali. Il più importante, il Premio Oscar, assegnatogli alla carriera nel 2007, gli viene consegnato da Clint Eastwood con una enorme standing ovation da parte di tutti i membri dell’Academy. Ennio ha atteso con pazienza molti anni questo meritato momento, perché per ben cinque volte aveva ricevuto la nomination all’Oscar senza mai aggiudicarselo. In particolare, nel 1987 sembrava potesse ricevere la statuetta per Mission, ma anche quell’anno non ci fu nulla da fare e premiarono Herbie Hancock con Round Midnight.
Oggi il Maestro è sereno, ha appena ultimato altre due tappe importanti della sua incredibile carriera. Ha finito di registrare la colonna sonora de La corrispondenza, l’ultimo film di Giuseppe Tornatore, con cui ha creato un vero e proprio sodalizio fin dai tempi di Nuovo cinema Paradiso, in uscita nel 2016. Poi l’ultimo western di Quentin Tarantino, che lo ha convinto a scrivere la colonna sonora del suo film The Hateful Eight, in uscita a Natale. Tarantino non nasconde la sua personale vittoria su Morricone per averlo convinto a scrivere la musica per il suo film: “La colonna sonora del mio ultimo film, composta dal grande Maestro Ennio Morricone, segna il suo felice ritorno al genere western dopo 40 anni”.
L’omaggio a Morricone comprende la proiezione di uno speciale documentario, da me curato, che sarà proiettato nell’ambito di una serata d’onore co-organizzata con il Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale presso la Sala Blasetti l’11 dicembre. A seguire, fino al 20 dicembre, la Cineteca Nazionale e il Roma Film Festival presenteranno al Cinema Trevi una importante retrospettiva di film italiani e stranieri che recano la firma di Morricone.
Vorrei chiudere questo mio breve intervento con un affettuoso ringraziamento all’amico Ennio, che in tutti questi anni ci ha fatto sognare, ci ha trasportato in un’atmosfera magica con le sue note meravigliose.
Il Roma Film Festival è organizzato in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e promosso dalla Direzione Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali» (Adriano Pintaldi).
 
martedì 15
ore 17.00 I basilischi di Lina Wertmüller (1963, 82′)
«I basilischi sono dei vitelloni in chiave meridionale: figli in genere di gente abbastanza agiata, studiano tutti per avere una laurea, ma, confinati come sono nella loro modesta cittadina rurale, non si fanno grandi illusioni per l’avvenire; passano il loro tempo in strada, cercando di abbondare qualcuna delle difficili ragazze del luogo, oppure vanno ad oziare in una specie di circolo culturale che, come vero scopo, ha soprattutto quello di distinguere i suoi soci dal resto dei loro concittadini, favorendo fino all’esasperazione il senso delle differenze di abitudini e di classe» (Rondi). «Io e Tullio Kezich, che era lì per scrivere un libro sulla lavorazione di Salvatore Giuliano, ci sistemammo nella buca dov’era piazzata la quinta macchina. […] Mentre si aspettava che cominciasse la scena, raccontai a Tullio come mi avessero impressionato i miei cugini e la vita di Palazzo San Gervasio, quel paese del profondo Sud, al confine tra Puglia e Basilicata. E gli descrissi quelle terre aspre e antiche e la vita che nei paesi si conduceva. Tullio mi disse: “Perché non scrivi questa storia? Se ne potrebbe fare un film insolito sul Sud, che mostri la vita dei paesi fuori dalle normali rotte di chi viaggia in Italia, e questo loro profondo oblomovismo”. “La scrivo”, dissi subito io. E a Roma la scrissi» (Wertmüller).
 
ore 19.00 Per un pugno di dollari di Sergio Leone (1964, 97′)
Pistolero solitario, Joe arriva a San Miguel, cittadina al confine tra Stati Uniti e Messico divisa dalla lotta per il monopolio di due famiglie, i Rojo e i Baxter, che commerciano rispettivamente in alcol e in armi. Fingendo di vendersi ai primi, Joe fa in realtà il doppio gioco con lo scopo di mettere gli uni contro gli altri e trarre profitto dalla reciproca eliminazione delle forze antagoniste. Straordinario successo al botteghino, Per un pugno di dollari inaugura la fruttuosa stagione del cosiddetto “spaghetti western” e costituisce la prima astutissima mossa di quella “trilogia del dollaro” che, insieme a Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, consegnerà il cinema di Sergio Leone alla storia del cinema. Da un soggetto fortemente ispirato a La sfida dei samurai di Akira Kurosawa, che fece causa e fu risarcito con i diritti esclusivi di distribuzione in Estremo Oriente, Leone mette a punto, di fatto, un nuovo linguaggio in cui la fanno da padrone nichilismo e pessimismo, raggelante ironia e una generale brutalità a livello visivo, ritmico, recitativo.
 
ore 21.00 La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966, 121′)
«Nell’ottobre 1957, mentre i paracadutisti del colonnello Mathieu rastrellano la Casbah, Ali La Pointe, uno dei capi della guerriglia algerina, rievoca il passato, l’organizzazione dell’FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), gli attentati, gli scioperi, le delazioni. […] Sobria rievocazione di taglio documentaristico sulla base di una solida sceneggiatura di Franco Solinas che, con forte coralità e qualche dilatazione nelle fasi degli attentati, mostra una guerra di popolo, spiegando anche le ragioni del “nemico”, i francesi. Leone d’oro a Venezia, […] splendido bianconero scope di Marcello Gatti» (Morandini).
 
mercoledì 16
ore 17.00 Diabolik di Maria Bava (1968, 102′)
Trasposizione cinematografica del celebre fumetto delle sorelle Giussani. L’ispettore Ginko dà la caccia a Diabolik che, con l’aiuto di Eva Kant, ha rubato dieci milioni di dollari. Bava non ne aveva un grande ricordo (anche perché i tempi di lavorazioni, particolarmente lunghi, erano inusuali per lui): «Per Diabolik avevo a disposizione pochissimi mezzi, l’ho finito con circa duecento milioni di spesa, un’inezia. Si figuri che ho dovuto arrangiarmi a inventare tutto con i trucchi perché la produzione non mi forniva niente, ma proprio niente. Ha visto la capanna di Diabolik in campagna, il suo rifugio, il laboratorio, l’autorimessa…? Le giuro, erano tutti modellini, fotografie che io ritagliavo al momento, improvvisando per rimediare allo squallore della scena e incollavo su un vetro davanti alla macchina da presa». Invece Dino De Laurentiis, che produsse il film, serba un grande ricordo del regista: «Diabolik era uno di quei film che senza gli effetti speciali non si sarebbe potuto realizzare. All’epoca non c’era la tecnologia che c’è oggi, per esempio la computer animation, che ci consente di fare quasi tutto. All’epoca era necessario usare la fantasia e scelsi Mario Bava perché aveva quest’eccezionale capacità nel realizzare gli effetti speciali. Era un grande professionista e riusciva a risolvere problemi complessi in chiave tecnica con un’agilità eccezionale».
 
ore 19.00 Incontro moderato da Adriano Pintaldi con Ennio Morricone
 
a seguire Omaggio a Ennio Morricone – Il fascino discreto di un genio di Adriano Pintaldi (2015, 40′)
Il documentario ripercorre, attraverso alcune clip tratte dai film più famosi per i quali Morricone ha scritto le sue indimenticabili colonne sonore, la straordinaria carriera del Maestro, entrato a far parte della storia del cinema di tutti i tempi.
Personaggi icone del nostro cinema come Gian Maria Volontè e Claudia Cardinale si alternano a star internazionali come Clint Eastwood, Sean Connery e Jack Nicholson, Robert De Niro; autori come Sergio Leone, Elio Petri, Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Giuseppe Torantore si fondono con Brian De Palma, Roman Polanski, Mike Nichols, Roland Joffé, in un caleidoscopio di meravigliose immagini entrate a far parte del nostro immaginario collettivo. Il documentario si chiude sulla leggendaria consegna dell’Oscar alla carriera a Ennio Morricone da parte di Clint Eastwood con la standing ovation di tutti i membri dell’Academy. Prima dei titoli di coda, con il titolo Caro Ennio, scorrono una serie di quotes di alcuni dei personaggi più importanti che hanno lavorato con il Maestro: Lina Wertmuller, Franco Zeffirelli, Quentin Tarantino, Giuseppe Tornatore, Carlo Verdone.
 
ore 21.00 L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento (1970, 96′)
«Sam, scrittore americano venuto a Roma in cerca d’ispirazione, vi trova invece una spaventosa avventura. Poche sere prima della data fissata per il ritorno in patria con la sua ragazza, Movita, gli accade di essere testimone di un tentato assassinio. Chiuso tra le porte di vetro di una galleria d’arte, egli vede una bella donna colluttare con un individuo tutto vestito di nero, che poi fugge, lasciando la donna accoltellata al suolo. Qualcosa, in tale visione, non quadra. Ma che cosa?» (Biraghi). «Tutto lo sforzo del protagonista sarà quello di ricostruire, retrospettivamente, una scena cui ha assistito un’unica volta: la memoria, purtroppo, non è una moviola, e Argento ne mima l’impotenza continuando a mostrarci porzioni della sequenza senza mai svelarcene l’elemento decisivo, il tratto distintivo dove risiede la chiave dell’enigma» (Pugliese).
 
giovedì 17
ore 16.30 Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo (1971, 125′)
La storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due immigrati italiani accusati di rapina a mano armata e omicidio e condannati alla pena di morte, malgrado l’assenza di prove a loro carico. Premio per la migliore interpretazione a Riccardo Cucciolla al Festival di Cannes. Le canzoni La ballata di Sacco e Vanzetti e Here’s to You sono eseguite da Joan Baez. «Esaminando i documenti del processo, io e Fabrizio Onofri, lo sceneggiatore, fummo colpiti dalla ferocia con cui Sacco e Vanzetti furono giudicati, dall’accanimento giudiziario nei loro confronti in quanto italiani e in quanto anarchici. Fu un processo politico, razzista e xenofobo. Tanto è vero che il titolo di lavorazione del film era Intolerance 1921. Poi pensammo di non disturbare il grande padre Griffith…» (Montaldo).
 
ore 18.45 La luna di Bernardo Bertolucci (1979, 142′)
Il figlio di un soprano di successo vive una profonda crisi adolescenziale, con conseguente uso di droghe, che l’amore della madre, spinto agli eccessi, non può a colmare. Film chiave nella filmografia di Bertolucci che fa i conti definitivamente con la figura paterna. «Il primo ricordo di mia madre – avevo sui due anni – riguarda me seduto dentro un cestino sulla sua bicicletta e la guardo. […] E improvvisamente vidi la luna nel cielo della sera. E c’era una confusione nella mia mente fra l’immagine della luna e quella del volto di mia madre» (Bertolucci). «Un lieto fine? Può sembrarlo. Un finale da melodramma? Certamente. Non fate caso all’ira degli imbecilli che a Venezia è salita al cielo cercando di sommergere La Luna. È un finale da canto spiegato, come un’onda alta di emozione. Colma un film cui si può rimproverare, forse, un incompleto controllo della materia narrativa. Come in altri film di Bertolucci, è un difetto per eccesso di generosità, fatto di sconfinamenti, fratture, liriche accensioni, sperperi romantici, rimandi simbolici troppo ostentati. Perché dovremmo preferirgli le piccole virtù di tanti altri registi?» (Morandini).
 
ore 21.15 Un sacco bello di Carlo Verdone (1980, 96′)
«Enzo – jeans attillati, camicia aperta sul petto, ciondolo al collo, passione per la musica, protagonista di mirabolanti avventure erotiche e infine proprietario di una rombante auto sportiva – cerca compagnia per un viaggio-lampo da Roma a Cracovia. La trova, ma il malcapitato gli si ammala in viaggio. Enzo lo accompagna all’ospedale, poi s’attacca al telefono per trovargli un sostituto: si dovrà accontentare di un ometto avanti negli anni. Ruggero – che ha lasciato casa e famiglia per fondare una comunità hippie – incappa, dopo due anni, nel padre, che lo convince a un breve ritorno tra le pareti domestiche. Gli tocca, così, sorbirsi le attenzioni di un prete, di un professore e di un amico d’infanzia, mobilitati dal padre per aiutarlo a far tornare il figlio a una vita normale. Leo, succube di una madre che veglia sulle sue amicizie, incontra una bella ragazza spagnola, Marisol, in crisi sentimentale. Potrebbe essere la prima avventura del giovanotto, ma l’imprevisto ritorno del ragazzo di Marisol distrugge le illusioni di Leo» (www.cinematografo.it).
«Questo giovanotto col volto quadrato e gli occhi che ogni tanto si rovesciano all’interno in cerca di segrete visioni; questo attore dalla voce nasale e intermittente che ripete con felicità i luoghi comuni; questo Carlo Verdone, scoperto e lanciato in fretta, è un talento umoristico che dà frutti ancora piccoli, ma gustosi. Crescerà; la sua fortuna naturale è di essere una maschera italiana aggiornata con garbo ai tempi. Verdone ha raccolto alcuni caratteri romani con la cura rispettosa dell’entomologo, del cacciatore di farfalle, non ha alterato i suoi modelli, qualche volta ne è stato complice: la comicità, la risata nascono dalla ripetizione del tic, dall’imperturbabilità dei difetti» (Reggiani).
 
venerdì 18
ore 17.00 C’era una volta in America di Sergio Leone (1984, 226′)
«Dal romanzo Mano armata (The Hoods, 1983) di Harry Grey (David Aaronson). All’origine dell’ultimo film di Leone (1929-89) c’è il tempo con la sua vertigine. Come struttura narrativa, è un labirinto alla Borges, un giardino dai sentieri incrociati, una nuova confutazione del tempo. La sua vicenda abbraccia un arco di quasi mezzo secolo, diviso in 3 momenti: 1922-23, quando i protagonisti sono ragazzini, angeli dalla faccia sporca alla dura scuola della strada nel Lower East Side di New York; 1932-33, quando sono diventati una banda di giovani gangster; 1968, quando Noodles (R. De Niro), come emergendo dalla nebbia del passato, ritorna a New York alla ricerca del tempo perduto. Se il 1922 e il 1932 sono flashback rispetto al 1968, il 1968 è un flashforward rispetto al 1933: il Noodles anziano è una proiezione di quel che Noodles, allucinato dall’oppio, ha sognato nella fumeria. Il presente non esiste: è una sfilata di fantasmi nello spazio incantato della memoria. Alle sconnessioni temporali corrispondono le dilatazioni dello spazio: con sapienti incastri tra esterni autentici ed esterni ricostruiti in teatro, Leone accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso l’America metropolitana (e la storia del cinema su quell’America) che è reale e favoloso, archeologico e rituale. Sono spazi dilatati e trasfigurati dalla cinepresa; spazi anche sonori e musicali, riempiti dalla musica di E. Morricone e da motivi famosi: Amapola, Summertime, Night and Day, Yesterday. È un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue, paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la pulsione sessuale è legata all’analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. È l’America vista come un mondo di bambini. Piccolo gangster senza gloria, Noodles diventa vero protagonista nell’epilogo quando si rifiuta di uccidere l’ex amico Max. Soltanto allora, ormai vecchio, è diventato uomo. Il produttore Arnon Milchan rimontò e ridusse il film a 2 ore per la versione da distribuire negli USA e fece fiasco» (Morandini).
 
ore 21.00 Mission di Roland Joffé (1986, 124′)
«Nel 1750 il capitano Mendoza, mercenario e mercante di schiavi, dopo aver ucciso il fratello in duello si fa gesuita, va in una missione del Sudamerica, riprende la spada per difenderla da una spedizione militare. Cinema spettacolare ad alto livello che ha tutte le carte per piacere a pubblico e critica: nobili temi e forti conflitti drammatici, una star (De Niro), un ottimo attore (Irons), bravi caratteristi, musiche di Ennio Morricone. Scritto da Robert Bolt, prodotto dall’italiano Fernando Ghia, costato 22 milioni di dollari» (Morandini).
 
sabato 19
ore 17.00 Gli intoccabili di Brian De Palma (1987, 120′)
Per riuscire a portare in tribunale Al Capone (Robert De Niro), che spadroneggia durante gli anni del proibizionismo, l’agente del Tesoro Elliot Ness (Kevin Costner) riunisce a sé un gruppo di “Intoccabili” incorruttibili: il vecchio poliziotto irlandese Malone (Sean Connery), il timido contabile Wallace (Charles Martin Smith), il caricatissimo italoamericano Giuseppe Petri alias George Stone (Andy Garcia). Il gangster-movie secondo Brian De Palma, dalle memorie del vero Ness dialogate con arguzia dal commediografo David Mamet: un trionfo di sequenze di cinema da antologia, che culmina nella battaglia a orologeria finale alla stazione con tanto di strizzata d’occhio alla Corazzata Potemkin di Ejzenstein. Un oggetto fuori dal tempo, e dall’estetica dei polizieschi/noir degli anni Ottanta: griffato (gli abiti del quartetto sono di Giorgio Armani, e si vede), stilizzato (impeccabili le musiche autoreferenziali di Ennio Morricone, candidate all’Oscar), citazionista. A neanche un decennio da Toro scatenato, De Niro ingrassò di nuovo a dismisura, stavolta per interpretare il famoso gangster. Ma se la sua interpretazione è l’apice di gigioneria di una carriera e alcune delle sue memorabili battute sono diventate proverbiali, a vincere il suo primo e unico Oscar (e un Golden Globe), a 57 anni suonati, fu il gigantesco, umanissimo Sean Connery.
 
ore 19.00 Légami! di Pedro Almodovar (1990, 92′)
«Dopo essere stato dimesso dal manicomio, solo al mondo, con un’infanzia triste e un’adolescenza tormentata alle spalle, Ricky piomba sul set di un film del terrore dove la protagonista, Marina, sta girando la scena finale sotto gli occhi ammirati del regista, Massimo, settantenne paralizzato, da sempre innamorato di lei. Ad osservare la scena c’è tutta la troupe e Lola, sorella di Marina, abile donna d’affari. Ricky cerca di avvicinare Marina ma non vi riesce ed allora la segue a casa e con la forza entra nell’appartamento. Il giovane inizia a picchiare la ragazza, che vorrebbe chiedere aiuto, la immobilizza e le spiega che la ama da tempo e vuole che lei lo ricambi, impari a volergli bene, si decida a sposarlo e a dargli dei figli. Marina è sconvolta, quell’uomo la terrorizza e la intenerisce nello stesso tempo. Lui, per farle piacere, le procura della droga portandola da Berta, una dottoressa senza scrupoli, affrontando anche la violenza di alcuni spacciatori e le insolenze di una cinica farmacista. Pian piano Marina, nonostante il sequestro e le minacce da parte di Ricky, incomincia a provare per lui attrazione» (www.cinematografo.it).
 
ore 21.00 Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore (1988, 157′)
«Due anni dopo la fine della II Guerra Mondiale a Ciancaldo, un paese siciliano, il cinema è l’unico divertimento. Davanti a una platea chiassosa, ma anche emotiva, il “parroco-gestore” fa passare sullo schermo celebri film americani e italiani, dopo adeguati tagli di cui si occupa l’anziano Alfredo, il proiezionista, che inizia ai misteri della macchina da proiezione Salvatore, un ragazzino di dieci anni figlio di un disperso in Russia e fanatico frequentatore del cinema. Quando la cabina si incendia perché Alfredo ha voluto proiettare anche in piazza un film comico, Salvatore, dopo aver salvato Alfredo, che per le ustioni al volto rimarrà cieco, prende il suo posto nel rinnovato Cinema Paradiso. Ormai adolescente si innamora di Elena, una ragazza benestante. Chiamato alle armi dopo aver chiesto invano un appuntamento a Elena per salutarla prima di partire, non riceverà nemmeno risposta alle numerose lettere che le invia, regolarmente respinte in caserma. Dopo il servizio militare Salvatore non torna più a Ciancaldo poiché Alfredo gli ha detto che il suo avvenire è altrove e dal paese molti sono emigrati in Germania per lavorare. Passano trent’anni» (www.cinematografo.it). «Le pagine migliori, anche se spesso le vicende private del protagonista hanno una certa intensità, sono quasi tutte quelle che ci rappresentano, attraverso quarant’anni, i comportamenti degli spettatori al cinema: seguendo le mode, i grandi attori di Hollywood e i vari “generi” italiani, qua e là con accenti ripetitivi, di solito però con una grande vivacità e un colore che, pur con toni di commedia spinti non di rado fino alla farsa, arrivano davvero a proporci uno spaccato di vita nelle sale di provincia italiane prima dell’arrivo della tv: con personaggi godibili anche quando si sfiora la macchietta, con giochi, scherzi e motteggi sempre sorretti, comunque, da sentimenti caldi e sinceri, ed anche, per ragioni, insisto, probabilmente autobiografiche, con uno spirito di osservazione della realtà molto attento e vivace, perfino quando si prediligono soltanto le burle» (Rondi). Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e Oscar per il miglior film straniero.
 
domenica 20
ore17.00 Dimenticare Palermo di Francesco Rosi (1990, 105′)
Carmine Bonavia, giovane uomo politico di successo, candidato alle elezioni per il posto di sindaco di New York, è un italo-americano, figlio di un contadino emigrato negli Stati Uniti e arricchitosi con un ristorante. Egli, che non ha rapporti né legami con la terra di suo padre, parte in viaggio di nozze con la bella moglie giornalista: va a Palermo. Trova una città che pare divorata dalla lebbra. «Un film bello, e importante. Francesco Rosi torna a raccontare (ispirandosi molto vagamente al romanzo di Edmondo Charles-Roux) il Sud italiano tragico, come nei momenti più alti del suo lavoro di regista, da Salvatore Giuliano in poi. Torna a impegnarsi politicamente con un’opera su un dramma sociale non soltanto italiano, la droga» (Tornabuoni).
 
ore 19.00 WolfLa belva è fuori di Mike Nichols (1994, 124′)
«Investendo di notte, in campagna, un lupo, Will Randall, redattore della casa editrice MacLeish, viene morso. L’indomani si vede soppiantato dal collega Stewart Swinton: a lui il direttore Raymond Alden affida, durante un party creato ad hoc, il mercato dell’est europeo. Frattanto Will scopre di spaventare i cavalli e sentendosi male viene soccorso dalla bella Laura, figlia di Alden. Il recupero della vista, l’olfatto acutissimo, il vigore sessuale non lo consolano dalla scoperta che Stewart è l’amante di sua moglie Charlotte. Ritiratosi in albergo, Randall escogita una manovra ricattatoria contro Alden, minacciando di togliergli una parte degli scrittori per erigere una nuova casa editrice: Alden cede al ricatto e lo reintegra. Invitato a cena da Laura, Will con la luna piena ha un attacco di licantropia ed abbatte un cerbiatto nel parco della villa… cosa gli sta succedendo? E come fare a controllare questa mutazione che di certo non gli renderà la vita semplice?» (www.cinematografo.it).
 
21.15 Sostiene Pereira di Roberto Faenza (1995, 104′)
«A Lisbona nel 1938, finito, dopo trent’anni di cronaca, a dirigere la pagina letteraria del quotidiano “Lisboa”, il dottor Pereira, colpito da un articolo del giovane saggista Monteiro Rossi sulla morte, lo contatta per ingaggiarlo come praticante per il giornale. Conosce così anche Marta la sua ragazza, ostile al regime. Il primo scritto, su D’Annunzio, lo sconcerta per la violenza critica nei confronti del poeta, ed egli consiglia al giovane, che ottiene un anticipo in denaro, prudenza e moderazione. Incline a tenersi fuori da questioni politiche, Pereira va in cura alle terme dove incontra il direttore del giornale che lo rimprovera per un racconto di Daudet che termina con le parole: “viva la Francia”. Al ritorno trova che l’invadente portiera, moglie di un poliziotto e informatrice del regime, ha un centralino a sua disposizione. Frattanto Marta cerca ancora di indurlo a scrivere contro il regime, ma lui non vuole guai. Tornato alle terme, fa amicizia col dottor Cardoso, che lo introduce ai metodi psicoanalitici ed alla teoria della “confederazione delle anime”» (www.cinematografo.it). «In un contesto di attori manierati (fa eccezione l’estroso Daniel Auteuil come medico psicologo), Marcello Mastroianni trova l’ispirazione, il tono e la grazia per darci una delle più travolgenti e autobiografiche interpretazioni della sua lunga carriera. Marcello fa crescere a vista sotto i nostri occhi l’antieroe borghese e lo trasforma un passo alla volta in un vero eroe, un uomo che ha ritrovato se stesso e perfino un modello da imitare» (Kezich).
Date di programmazione