Strane storie. Uno sguardo sul cinema italiano degli anni 90 (prima parte)
24 Gennaio 2017 - 31 Gennaio 2017
«Cosa hanno rappresentato gli anni Novanta per il cinema italiano, e perché con tanta facilità sono stati relegati in un cantuccio, quasi la produzione di quel decennio dovesse essere rimossa, cancellata, o comunque sbiadita nella memoria? Non è semplice ridurre dieci anni di produzioni e di narrazioni in diciannove film, e il rischio è sempre quello di creare ulteriore confusione. Nell’affrontare quel periodo storico, facendolo rivivere sullo schermo del Cinema Trevi, si è dunque presa una decisione drastica: tentare di donare nuova (e forse più fortunata) visibilità a opere che rischiano oramai di essere quasi completamente dimenticate. Nella settimana di proiezioni non ci sarà dunque spazio per i grandi autori del passato comunque attivi sul finire del millennio (Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Mario Monicelli, Ettore Scola, Dino Risi, Michelangelo Antonioni, Liliana Cavani) né per i registi la cui formazione si sviluppa in pieno nel corso del decennio precedente – fa eccezione Condominio di Felice Farina, a suo modo decisivo nel cogliere alcune istanze espressive della produzione anni Novanta. Nel prediligere dunque registi che hanno avuto modo di esordire proprio nel corso del decennio, si è poi optato per riscoperte critiche, casi produttivi emblematici e bizzarrie perdute nel tempo: anche gli autori già all’attivo nel decennio, ma che troveranno piena maturità negli anni duemila, sono stati lasciati in secondo piano, come dimostrano le assenze di Matteo Garrone ed Edoardo Winspeare. Questo non ha impedito ovviamente dolorose rinunce, come i film di Davide Manuli, Ciprì & Maresco, e Claudio Caligari, assurti comunque nel corso degli anni al ruolo di registi di culto. L’obiettivo dichiarato è dunque quello di togliere la polvere dagli scaffali in cui è stato rinchiuso il cinema italiano degli anni Novanta, cercando di dimostrarne la vitalità e soprattutto l’unicità. Un cinema che non ha padri e non ha generato figli, a parte coloro che esordirono proprio in quegli anni. Un cinema a suo modo “orfano”, solitario e inclassificabile, dotato di un coraggio produttivo che nel corso degli anni si è sempre fatto più fievole e impalpabile: chi darebbe vita oggi a follie anarcoidi come il film di Rezza/Mastrella, quello di Eros Puglielli (enfant prodige dell’epoca), o a schegge incontrollate – e controllatissime – come Il caricatore o Nella mischia? Sperando ovviamente di riuscire a tornare sull’argomento, per ampliare il discorso e completarlo. Buona visione» (Raffaele Meale).
Rassegna a cura di Raffaele Meale
martedì 24
ore 18.00 Mille bolle blu di Leone Pompucci (1993, 85′)
Roma. Estate 1961. In un grande condominio popolare della Capitale alcuni personaggi vivono, nell’arco di due giornate, un momento particolare della loro vita, un “appuntamento” col destino che potrebbe cambiare il corso della loro esistenza. «Bozzetti, ritrattini verosimili, redatti con gran ritmo, furberia e attenzione agli usi e costumi italiani d’epoca: la Seicento, Granada cantata da Claudio Villa, le Kessler sgambettanti con le calze Omsa, il Cinzanino, lo Yomo blu e così via carosellando. Lo spunto del casermone non è nuovo, ci sono precedenti illustri anche letterari come il capolavoro di Perec La vita istruzioni per l’uso e Il fabbricone di Testori, oltre al film di Felice Farina Condominio. Pompucci si distingue per la voglia di raccontare storie, curiosità e spingolature non causali, è uno che ci sa fare con i Mostri italiani e rifiuta la “nostalghìa”» (Porro).
ore 20.00 Condominio di Felice Farina (1991, 100′)
Assumendo l’incarico di amministratore di un enorme condominio in un popoloso quartiere romano – quattro scale e quattrocento alloggi – il “ragionier” Michele Marrone (Carlo Delle Piane), che lì si è trasferito con la moglie Irene (Leda Lojodice) e le due figlie, Mariella (Fausta Maria Rigo) e Benedetta (Laura Muccino), neppure immagina in quale pantano è andato a finire: sparito nel nulla, ma con la cassa, il suo predecessore inerte e imbroglione; bollette condominiali inevase, proprietari ed inquilini morosi e, soprattutto, gente litigiosa e riottosa. «Il film non fatica troppo a convincere perché, tenendo soprattutto ad essere il classico “spaccato di vita”, vi approda poi, con mezzi semplici ma, nella loro immediatezza, anche fini e concreti. Con il gusto della verità. Un piccolo film, ma con molti meriti» (Rondi).
mercoledì 25
ore 17.00 Libera di Pappi Corsicato (1993, 83′)
Film a episodi su tre donne, Aurora, Carmela e Libera, che nasce e si sviluppa attorno al cortometraggio che dà il titolo all’intera opera. Storie di tradimenti, di passioni che rinascono, di complessi rapporti materni, di sguardi interiori e di dolorose scelte esteriori… «Con una rappresentazione che, senza tradire le sostanze di “napoletanità” e soprattutto senza distrarsi da serie tematiche sociali come droga, prostituzione e lotta di sopravvivenza, mantiene una certa coerenza di stile fra le parti facendo convivere dramma e melodramma, satira e sceneggiata, beffa acida e folklore in abili congegni narrativi cui spesso l’assurdo e il surreale si pensa spesso anche a Pedro Almodóvar lasciano un segno preciso e in qualche modo distintivo» (Trionfera).
ore 19.00 Morte di un matematico napoletano di Mario Martone (1992, 108′)
La figura di Renato Cacciopoli, illustre ed eccentrico matematico, raffinato pianista, nipote di Bakunin e militante comunista, viene liberamente ricostruita sulla base delle testimonianze di chi lo aveva conosciuto. O, meglio, essa viene delineata con la descrizione della sua ultima settimana di vita fino al suicidio e al successivo funerale. Il personaggio affiora attraverso una trama di comportamenti, dettagli, frasi appena accennate, che ne rivelano brandelli di passato senza mai troppo spiegare. Ma è soprattutto in relazione a Napoli, città-personaggio, al contempo spazio dell’anima e complessa realtà storica e umana, che il ritratto si struttura.
ore 21.00 Giro di lune tra terra e mare di Giuseppe M. Gaudino (1997, 125′)
«Un film fuori del comune, molto interessante, uno degli ormai rarissimi film che tentino una sperimentazione espressiva, nuovi linguaggi, modi diversi di raccontare. […] Come un Carmelo Bene non sarcastico o uno Straub non ieratico Gaudino mescola il presente difficile di Pozzuoli devastata dal bradisismo e il suo passato leggendario, dal 538 avanti Cristo al 1984. Unisce la narrazione realistica […] a immagini sfaldate, strappate e aggrumate che vogliono rispecchiare il caos e la decostruzione contemporanei. Gli interpreti sono perfetti, il tentativo di raccontare l’anima instabile di Pozzuoli è molto riuscito: il film trascina lo spettatore duttile come un fiume d’acqua o di lava, avvolgente o ardente» (Tornabuoni).
giovedì 26
ore 17.00 Quattro figli unici di Fulvio Wetzl (1992, 103′)
Virginia (Mariella Valentini), una giornalista trentatreenne divorziata dal marito Ennio (Ivano Marescotti), dirigente di un’azienda di computer, il quale le ha affidato, insieme alla loro figlia Micol di 12 anni (Ginevra Colonna), anche il sedicenne Paolo (Fabio Iellini), nato dal suo primo matrimonio, ospita spesso il proprio compagno Giorgio (Roberto Citran), un trentenne aspirante sceneggiatore, piuttosto immaturo, e privo di lavoro. Quando Virginia scopre che Paolo non ha dormito a casa, apprende da Micol che ciò accade da tre notti, e, chiesto l’aiuto di Giorgio, cerca invano fra compagni di scuola, discoteche, sale giochi e collina del motocross, apprendendo soltanto che Paolo (certamente scappato di casa) ha con sé un milione.
ore 19.00 Il caricatore di Massimo Gaudioso, Eugenio Cappuccio, Fabio Nunziata (1996, 95′)
«Cinema e vita. Cinema fai da te. Film nel film. Commedia all’italiana, stra-riveduta e corretta, eccentrica, stravolta. Sarebbe un errore di valutazione e una leggerezza imperdonabile, scambiare Il caricatore per un prodotto d’intrattenimento, per un divertito gioco sul (e con il) cinema. La vicenda dei tre protagonisti, tre dropouts del mondo della celluloide, tre sognatori precari del sottobosco cinematografico romano che cercano disperatamente di girare il loro primo film e si sottopongono ad ogni sorta di umiliazione e compromessi non è solo una sgangherata serie di sketches, né una caricatura. Ma anzi un film che, via via, va impregnandosi di uno spleen più intenso, di un sottotesto quasi cupo, di un discorso sul tempo che passa, si deteriora, si estingue. Popolato di zie, parenti e amici, intercalato dalle musiche indovinatissime di Daniele Sepe, ambientato tra una Roma off e periferica e una Foce Verde tristissima, il film ha tutte le carte in regola per diventare un piccolo cult, un Clerks tutto italiano» (Bo).
ore 20.45 Incontro moderato da Raffaele Meale con Gianluca Arcopinto, Felice Farina, Giuseppe M. Gaudino, Massimo Gaudioso, Francesco Ranieri Martinotti, Enzo Monteleone, Eros Puglielli
a seguire Dorme di Eros Puglielli (1994, 75′)
Ruggero (Cristiano Callegaro), diciottenne della periferia romana, lasciato dalla fidanzata Anna (Anna Bastoni) perché è troppo basso non si rassegna e continua a telefonarle. Ogni volta gli viene risposto: «Anna dorme». Decide allora di andare insieme all’amico Michele (Alessio Muzi) ad aspettarla sotto casa, ma deve inoltrarsi nel quartiere delle Case popolari presidiato dai famigerati fratelli Riccio (Federico Calisti). «Onore a questo piccolo cult movie, dunque, che anni luce da Moccia prendeva il “basso” Ruggero e il mantra “Anna dorme” di una storia d’amore finita per gettare uno sguardo trash e autarchico su case popolari e fratelli (i, anzi, il Riccio) psicopatici, slang di borgata e surrealismo alla mano. Artigianale e perfettibilissimo, ma quanta canaglia nostalgia» (Pontiggia).
venerdì 27
ore 17.00 Nella mischia di Gianni Zanasi (1995, 93′)
«Classe 1965, studi al Centro Sperimentale l’esordiente Zanasi è di Vignola, in quel di Modena, e si sente. Nel suo film ci sono tracce di follia zavattiniana, mescolate all’indifferenza, alla finta furbizia, alla rassegnazione romane. Una Roma definitivamente (ma non tragicamente) post-pasoliniana. Omologata, ingenua, ma ancora capace d’invenzione, anche se l’imbarbarimento avanza e i micro-borghesi di oggi sono più sprovveduti dei sottoproletari di una volta. Alla fine del film un ragazzo che si è perso il fratellino (è andato a vedere il mare, come Léaud nei Quattrocentocolpi di Truffaut), è così impaurito che non suona alla porta di casa ma a quella dei vicini, sui quali scarica un fiume irrefrenabile di parole. È forse la scena più bella del film, la più scoperta. Una richiesta di dialogo, buffa e disperata, obliqua e insinuante. Cinema, insomma» (Ferzetti).
ore 19.00 Cous Cous di Umberto Spinazzola (1996, 90′)
Una giovane band multietnica, i Cous Cous, sempre alla ricerca di un luogo dove provare e suonare. Ma il loro acid jazz non è gradito e così i Cous Cous vengono sistematicamente cacciati da tutto e tutti. Si trasferiscono allora presso la baracca di un fratello di Evelina, anziana ottuagenaria componente della band; questo precario locale viene però abbattuto per fare posto ad un’autostrada in costruzione. I musicisti riprendono a vagare in cerca di un altro spazio. Forse Isaia è la loro ultima speranza… «Il film è un piccolo omaggio ad uno dei maestri del Cinema che amo di piú: Aki Kaurismaki. È anche un inno alla libertà della musica e di tutti i musicisti» (Spinazzola). Con Toni Bertorelli e Philippe Leroy.
ore 21.00 Il verificatore di Stefano Incerti (1995, 74′)
Crescenzio, impacciato verificatore per l’azienda napoletana del gas, è innamorato di una ragazza timida che lavora in un laboratorio con suo fratello, tipo ben più intraprendente. Anche il proprietario del laboratorio è invaghito della ragazza, ma ha mire meno nobili… «Il personaggio del verificatore è stato scritto su misura per Antonino Iuorio che proviene dal teatro come gli altri attori dei film (in testa un sordido Renato Carpentieri, proprietario maneggione della ditta per cui lavora la ragazza amata dal protagonista). La nuova drammaturgia napoletana, che ha preceduto di un decennio la nascita del cinema partenopeo – oggi il più vitale della penisola – ha contribuito in modo determinante a formare una nuova generazione di attori: è il serbatoio a cui puntualmente attingono, ora, i cineasti. E la fisicità del teatro partenopeo si è travasata, con gli attori, nel cinema» (Jandelli).
sabato 28
ore 17.00 La vera vita di Antonio H. di Enzo Monteleone (1994, 94′)
L’attore Antonio Hutter (Alessandro Haber) recita, in un teatro decadente e con l’ausilio di un nastro registrato con applausi, la sua vita: figlio di un ebreo-romano assai tollerante e di una bolognese cattolica, vive l’infanzia in Israele, dove durante la sua prima apparizione teatrale esordisce facendosi la pipì addosso. Trasferitosi a Verona, è sommerso dall’onda dei film sexy anni ’60. A scuola va malissimo, tanto che il padre gli compra la licenza media. Affascinato dal cinema si esalta nel vedere il successo di Dustin Hoffman nel film Il laureato: anche lui come il protagonista non è un tipo aitante. Nel ’68 e negli anni di piombo, mentre una delle sue donne addirittura ospita dei terroristi, lui pensa solo al cinema, e decide di trasferirsi a Roma, dove ritrova un ex compagno d’armi e sollecita registi e produttori per ottenere una qualsiasi particina, importunando persino Godard e Welles. «Resta un film eccessivo e bizzarro con grandi momenti di culto, quello con la De Sio in terrazza, i Taviani, Bertolucci, che tagliò il suo ruolo in Il conformista, Nanni Loy, Marcello Mastroianni, Gabriele Salvatores. Monteleone definisce il suo film “Un finto documentario, una biografia immaginaria (a metà)”. È il nostro Forrest Gump… Soprattutto è il nostro cinema o quello che ci meritiamo» (Giusti).
ore 19.00 Escoriandoli di Flavia Mastrella e Antonio Rezza (1996, 95′)
«Uno dei film più scombinati che si siano visti negli anni ’90. Opera prima di Antonio Rezza, buon autore-attore teatrale, già attivo nei video, che capita nelle mani di Galliano Juso quando questo aveva appena prodotto Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco. Rezza cerca di adattare al film quattro raccontini surreali mantenendo però, come base, il suo personaggio grottesco già visto a teatro. […] Presentato al Festival di Venezia in una rassegna collaterale, non ottiene grande successo. Ricordo perfettamente che alla Sala Perla del Casinò i critici, soprattutto stranieri, scappavano incazzati, non capendo assolutamente né il livello camp né il livello artistico dell’operazione. Presentato “quasi” come un capolavoro, si può comunque rivalutare come operazione ultratrash. Grazie anche alla presenza di Franca Scagnetti» (Giusti).
ore 21.00 Strane storie. Racconti di fine secolodi Sandro Baldoni (1994, 82′)
«Durante un viaggio in treno un uomo racconta una serie di storie surreali alla figlia per trascorrere il tempo, prendendo spunto dagli altri viaggiatori che si siedono nello stesso scompartimento. Terminata la narrazione di tali storie di (stra)ordinaria quotidianità, i passeggeri scendono dal treno e si ritrovano in una stazione fantasma dove, in mezzo ai rifiuti, trovano la carcassa sventrata del treno Italicus, l'”espresso” Roma-Monaco di Baviera distrutto il 4 agosto 1974 da una bomba attribuita dalle indagini ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista. Un relitto simbolico, dunque, delle tante “strane storie” (ovvero i “misteri italiani”) che hanno costellato la storia repubblicana» (Uva).
domenica 29
ore 17.00 Un amore di Gianluca Maria Tavarelli (1999, 105′)
«Un’autentica sfida quella lanciata dal torinese Gianluca Maria Tavarelli con il suo secondo lungometraggio (dopo il bello e sottovalutato Portami via del ’94): dodici quadri girati in piano-sequenza (e in 14 giorni!) legati insieme da siparietti animati di 30′ ciascuno (opera di Laura Federici). Dodici piano-sequenza, quindi, per testimoniare i dodici momenti doc dell’intensa storia d’amore fra Marco e Sara, rivissuta in flashback, partendo dal 1982, anno del primo incontro avvenuto in una discoteca, e approdando al 31 dicembre 1999, evento epocale per la Storia e per il futuro dei due. Il titolo, preso in prestito da una poesia di Umberto Saba, è anche il paradigma di questo film semplice e articolato, in cui i piccoli spostamenti della macchina da presa vanno di pari passo con i piccoli spostamenti del cuore dei protagonisti» (Fittante).
ore 19.00 Il trittico di Antonello di Francesco Crescimone (1992, 106′)
Il casale di Rafforosso, in cui si trova il malridotto trittico di scuola antonelliana, fa da sfondo alle vicende che tre donne di una stessa casata vivono in tre diversi contesti storici. Vicende minime ma che alludono a una “storia altra”, rimorso di quella declamata. Il film si snoda in tre episodi: “febbre”, “furore”, e “fiele”. Attraverso le vicende di Vera (Lorena Benatti), Saveria (Lydia Alfonsi) e Martina (Lorenza Indovina), viene tracciato in chiave critica un percorso storico, quello della Sicilia, dal 1894, quando era sconvolta dallo stato d’assedio e dai processi contro i militanti dei fasci dei lavoratori, fino ai giorni nostri, attraversando il periodo del separatismo del ’44, in piena resistenza antifascista.
ore 21.00 Il tuffo di Massimo Martella (1993, 98′)
Matteo (Vincenzo Salemme), laureato in Fisica, prepara un concorso e accudisce i genitori, ormai anziani. Non ha desideri, non ha amici, non ha una ragazza. Di fronte a sé ha soltanto l’estate. Matteo è inquieto: saranno il concorso, la malattia del padre, oppure quella sabbia rossa e finissima che viene dall’Africa e attraversa la cittadina, in un vento caldo e inoffensivo. Matteo raggranella qualche soldo dando ripetizioni di Fisica. I suoi allievi si chiamano Giulio (Arturo Paglia) ed Elsa (Carlotta Natoli). Hanno diciassette anni. Giulio è introverso, sensibile e parla poco. Elsa ha due occhi di fuoco, non ha paura di niente e di nessuno. «Il film segna il debutto di Massimo Martella, regista tarantino che mostra un buon talento nell’innestare in un tema arcinoto – la solitudine adolescenziale, sia quella dei teen-ager propriamente detti sia quella dei trentenni che hanno sprecato l’età felice – echi che sfuggono all’inevitabile banalità del soggetto per scavare più a fondo nella psiche dei personaggi. […] Il tuffo gode di felici intuizioni quali il parallelo tra le leggi della fisica e gli stadi del comportamento umano (inerzia, trasmissione del calore, moto perpetuo e campi magnetici, ovvero l’attrazione dell’amore) o l’ombrosità del ragazzo che si traduce in una costante telecronaca interiore. Suggestivo il finale tronco» (Guzzano).
martedì 31
ore 18.00 Abissinia di Francesco Ranieri Martinotti (1993, 87′)
Antonio (Enrico Salimbeni), venticinque anni, fa il cameriere stagionale in un mega ristorante. Licenziato su due piedi, ruba l’intero incasso. Pestato a sangue dai buttafuori del locale, viene abbandonato sul ciglio di una strada di campagna. La mattina dopo si sveglia in una cadente costruzione anni sessanta. Ce l’ha portato Enzo Pagnini (Mario Adorf), proprietario del “Titano”, fatiscente ristorante in riva al mare, in una zona così periferica da meritarsi il nome di Abissinia. Pagnini assume Antonio come cameriere, a fare cosa non si capisce bene, visto che in quel posto non ci va mai nessuno: il “Titano” infatti è popolato solo da chi ci lavora: la cuoca Armida (Milena Vukotic), il lavapiatti Marco (Luca Zingaretti) e Silvia (Danila Pisano), la nipote del proprietario. «Il film è un’opera prima che colpisce per l’originalità della storia e per l’organicità della sceneggiatura più che per la regia. Martinotti lascia parlare gli oggetti, lo squallore dei luoghi dove regna l’emarginazione facendo acrobazie per tagliare fuori immagini gaie da acqualand rivieraschi» (Repetto).
ore 20.00 Verso sud di Pasquale Pozzessere (1992, 88′)
Nel degradato ambiente che circonda la Stazione Termini vive Paola (Antonella Ponziani) uscita da poco dal carcere: le mancano sempre i soldi per i piccoli acquisti, e si prostituisce occasionalmente per mangiare e fare qualche regaluccio al figlio Chicco, due anni, che un Istituto tiene in custodia essendo lei inaffidabile come madre. Nello stesso ambiente vive Eugenio (Stefano Dionisi), che ruba le elemosine nelle Chiese, e frequenta amici ladruncoli e, pur non drogandosi, sovente abbonda con l’alcool. «La denuncia di Verso sud nasce così da dentro, vola alto, parla a nome di tutti gli umiliati e offesi con le armi espressive di un cinema misurato, civile e anche raffinato» (Porro).