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Storie di ordinaria follia. I film di Marco Ferreri (parte seconda)
10 Febbraio 2017 - 12 Febbraio 2017
 
 
«La mia sola morale è quella di fare film negativi»
Marco Ferreri
 
«Il sarcasmo surreale eretto a sistema di ricerca antropologica. Gli uomini sono animali idioti (per effetto dei pregiudizi diffusi dalle religioni e dalle morali, nonché dalle abitudini), che debbono essere analizzati con distacco e divertimento. Ferreri – studente pigro che si trasforma in piazzista, in giornalista, in rappresentante di obbiettivi per macchine da presa – arriva al cinema, in Spagna, con queste semplici idee in testa. E produce satire antiborghesi e anticattoliche. Dei tre film spagnoli, El cochecito (1960) è il più crudele: prende di mira i vecchi. Ma la crudeltà rimbalza subito nei film girati in Italia: Una storia moderna – L’ape regina (1963), requisitoria contro il matrimonio; La donna scimmia (1964), sul personaggio patetico di una derelitta circuita da un cialtrone (Tognazzi); Dillinger è morto (1969), ritratto glaciale e atroce di un imbecille, ingegnere borghese dentro la società borghese. Non è necessario citare tutti i film di Ferreri per inquadrare la sua tesi. Basta osservare i più scabri e lucidi, i più gonfi di indignazione sarcastica. La grande abbuffata (1973) ha un piglio quasi epico nel descrivere l’incontro di quattro amici a Parigi per una lugubre orgia alimentare. Non toccare la donna bianca (1974) trasforma la buca dove sorgevano le Halles demolite in un set per una fiaba western, con cavalleria, indiani e spie, ottenendo effetti di grande ilarità. Ciao maschio (1978) descrive una New York astratta, da incubo, per raccontare l’autodistruzione di un matto che rifiuta l’amore. Chiedo asilo (1979) affida al folletto Roberto Benigni il compito di salvare l’umanità e la ragione» (Di Giammatteo).
 
venerdì 10
ore 17.00 Storia di Piera di Marco Ferreri (1983, 107′)
Nasce Piera, in una famiglia piuttosto sconquassata, almeno secondo la morale corrente: la madre è un specie di ninfomane, una candida amorale, un po’ ingenua e un po’ folle. Il padre è un attivista politico, disorientato dalla vita della moglie che ad ogni occasione lo tradisce, che vive sempre in bilico tra una gelosia inespressa ed una totale passività. «Il film ha peraltro momenti di forte emozione (basti citare l’incontro fra la giovane Piera e un atletico maschio che sembra uscire dalla mitologia) e, senza quasi mai offrire scene scabrose, esprime a meraviglia il clima inconsueto di quella famiglia, con quel coro di amiche di casa, quel piacere del gioco e della sfida, quell’inversione di ruoli fra madre e figlia» (Grazzini).
 
ore 19.00 Il futuro è donna di Marco Ferreri (1984, 102′)
In una discoteca Anna e Gordon, una coppia sposata senza figli, incontra Malvina, giovane donna incinta di sei mesi. Tra i tre nasce un rapporto intenso ma ambiguo, che viene interrotto dalla morte accidentale dell’uomo. Anna e Malvina restano sole: Malvina partorisce, lascia il figlio ad Anna e riprende il suo vagabondare. «Il futuro di Ferreri, dipinto come il massimo dell’evoluzione del costume e insomma del “progresso” […], finisce stranamente per somigliare a un incubo, a prefigurare una sgradita fine del mondo» (Frosali).
 
ore 21.00 I love you di Marco Ferreri (1986, 99′)
Michel è un giovane attraente e positivo, che ha un grande successo con le donne ed è amato da tutti. Una sera sente una voce suadente che gli sussurra «I love you». La voce fuoriesce dal ciondolo di un portachiavi raffigurante un viso di donna. Basta un fischio e il ciondolo ripete quelle parole. Michel sviluppa una vera e propria ossessione amorosa per quell’oggetto arrivando ad esserne geloso. «Come quasi sempre mi succede nel rivedere i suoi film, I love you guadagna a una seconda visione tanto più che all’ultimo festival di Cannes era stato presentato in edizione francese. Specialmente nei duetti tra Christophe Lambert e il suo patetico Sganarello Eddy Mitchell, candidato al Nobel per la jella, il film riesce a essere divertente nella sua ironia che lega i denti, simpatico nell’angoscia che impregna la descrizione della odierna gioventù di quieti senza causa, viandanti senza meta, afasici senza tormento (apparente)» (Morandini).
 
sabato 11
ore 17.00 Come sono buoni i bianchi! di Marco Ferreri (1988, 98′)
«Su cinque autocarri una spedizione umanitaria internazionale porta aiuti alimentari alle popolazioni affamate del Sahel. Finisce male. Ovvero: degli europei portano da mangiare agli africani e gli africani li mangiano. Film estremo, radicale – scritto con Raphael Azcona – nell’irrisione del terzomondismo, della carità come business, del mal d’Africa come rimorso, tormento, paura delle anime belle europee. Notevole per la sincerità della rabbia ferreriana, madre di un sarcasmo ironico e sornione, e per la traslucida trasparenza dello stile, interessante persino nei suoi difetti, divertente. Ma si ride verde. Fu inevitabilmente un insuccesso commerciale» (Morandini).
 
ore 19.00 La carne di Marco Ferreri (1991, 90′)
Paolo, separato con due figli, è impiegato al Comune e la sera suona il piano un po’, dove capita. Il suo problema è ritrovare Dio. La sua Prima Comunione è stata un’esperienza di totale immersione nel divino e lui vorrebbe riviverla. Francesca è una giovane donna autosufficiente, bianca e luminosa. Gira il mondo senza meta, vivendo quello che le capita. Viene da un’esperienza con un guru indiano. È rimasta incinta. Ha abortito ed è tornata a vagare. Paolo e Francesca si incontrano nel night di un amico di Paolo. Tra loro è subito amore. Si rinchiudono nella casa al mare di Paolo, da cui escono solo per acquistare cibo, specialmente carne, conservata in un frigorifero vicino al letto. Ma gli amplessi frenetici non riescono a realizzare la totalità che Paolo sogna. Il rapporto si esaurisce e Francesca pensa di andare via. Paolo sogna un’altra possibilità di fusione… «La carne di Marco Ferreri è una commedia in forma di incubo, un film che verrà rivalutato negli anni. La sceneggiatura era composta solo da una trentina di pagine di una storia al limite della comprensibilità e ho capito subito che tutto sarebbe stato cambiato sul set, che avremmo lavorato in un modo totalmente diverso. E infatti è stata un’esperienza importante sul piano dell’improvvisazione e dell’immediatezza» (Castellitto).
 
ore 21.00 La casa del sorriso di Marco Ferreri (1991, 94′)
«Ferreri per accompagnarci nel “mondo dei vecchi”, si inventa una scrittura cinematografica e una drammaturgia miracolosamente mimetiche rispetto all’oggetto del suo racconto. La casa del sorriso è un film “scritto a mano”: le inquadrature si succedono in fila indiana, a piccoli passi, come in una coda all’ufficio postale. Oggettive e ineluttabili, inquadrature apparentemente casuali si accumulano in un gorgo di vertiginosa, sublime spersonalizzazione. […] La casa delsorriso è la storia di una dentiera che viene trafugata e nascosta per dispetto. La “casa” della dentiera (e del sorriso) è la bocca di Adelina (Ingrid Thulin), Miss Sorriso 1947. Dunque è un film sull’oralità, sull’unica oralità sopportabile, quella pacificata dei vecchi: i vecchi parlano, mangiano, si baciano e sorridono nella giusta misura. […] In questo senso il film è un’ininterrotta ode alle virtù degli anziani» (G. Bertolucci). Il film ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1991.
 
domenica 12
ore 18.00 Diario di un vizio di Marco Ferreri (1993, 90′)
«Diario di uno schiavo d’amore tenero, tragico, solitario, alla deriva sui tram e sugli scampoli del sesso. Su di lui, e sulla ingenua, derelitta e trepidante interpretazione che ne dà Jerry Calà (“rivelazione” drammatica, ma anche notevole performance ironica e veicolo di forte angoscia quando, di tanto in tanto, gli spuntano dagli occhi lacrime strazianti), Ferreri apparecchia una specie di fotoromanzo estroso ed inedito, costruito su scene brevi e spoglie come i pensieri telegrafici travasati nel diario, decalcomanie di paure e desideri primitivi, uno schema nebulizzato cui corrisponde, però, un felicissimo, simmetrico accordo di corrispondenze narrative, sensibili introspezioni e armonie poetiche» (Trionfera).
 
ore 20.00 Nitrato d’argento di Marco Ferreri (1996, 90′)
«Lezione di storia del cinema raccontata dalla parte dello spettatore, della sala: una lezione sul cinema che non c’è più. Sciamannata più che accademica, ravvivata da paradossi e freddure, ma anche astratta, torbida, funebre. L’autore voleva intitolarlo La casa dei poveri, perché ci andavano soprattutto loro: per divertirsi, evadere, sognare, ma anche per vivere, stare insieme, parlare, pomiciare o imparare l’inglese come gli immigrati europei negli Stati Uniti. E un viaggio in un mondo perduto dove si parlano molte lingue, persino l’ungherese, perché Ferreri lo girò gran parte in Ungheria dove le comparse costano meno e si trovano ancora le faraoniche sale del tempo che fu. E un film stracolmo di citazioni eterogenee dove sono stati impiegati 240 attori […] e 12000 comparse. Non mancano i riferimenti alla storia e ai suoi orrori: guerre, dittature, nazionalismi, censure, lotta di classe, scioperi» (Morandini).
Date di programmazione