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Raf Vallone, un divo anomalo
24 Marzo 2016 - 29 Marzo 2016
«Giornalista di buona qualità, calciatore nel Torino (nella squadra granata lo vedevano come “una roccia”), traduttore di classici latini, partigiano in montagna, studente di lettere con Leone Ginzburg e Luigi Einaudi, divo a Hollywood, di casa nel cinema europeo: Raf Vallone è stato tutto questo e anche molto altro ma il suo amore, nonostante i tanti film, era sempre rimasto il teatro e in particolare l’amato Arthur Miller di Uno sguardo dal ponte. Vallone era nato a Tropea (Catanzaro) il 17 febbraio 1916 ma era di casa anche a Parigi, grazie al suo francese fluente, dove frequentava Sartre e Picasso e dove Albert Camus sognava di scrivere un dramma cucito sul suo talento. Cresciuto a Torino, dove i genitori si erano trasferiti, nel rispetto della cultura borghese delle idee progressiste, Vallone muove qui i primi passi di interprete prima di trasferirsi a Roma dove sarà attore radiofonico. Il suo pigmalione fu Giuseppe De Santis che lo volle nella parte del militare in Riso amaro del ’49. Faccia da buono e occhi chiari, fisico massiccio e muscoloso, Vallone sembrava più un’icona che un attore e forse per questo piacque al cinema neorealista dell’ultima onda, che lo promosse a protagonista con film come Il cammino della speranza di Pietro Germi (1950), Roma ore 11 di De Santis (1951), Gli eroi ella domenica di Mario Camerini (1952), La spiaggia di Lattuada (1953), La garçonniere ancora di De Santis (1960). La grande occasione per la notorietà arrivò nel 1953 in Teresa Raquin di Marcel Carné al fianco di Simone Signoret. Il piglio del seduttore, il francese impeccabile, la capacità mimetica, lo fecero notare da registi come Delannoy e Bardem, che lo guidarono verso la consacrazione definitiva. È a Parigi che interpreta Uno sguardo dal ponte di Miller e Sidney Lumet lo volle per adattare nel ’62 la pièce sullo schermo. Fece scandalo il suo bacio a Jean Sorel e commosse la sua disperata ricerca d’amore e, il suo entusiasmo, la sua inattesa duttilità. Vallone diventò così il nuovo astro del divismo italiano d’esportazione al fianco di latin lover come Rossano Brazzi e Marcello Mastroianni. Lui però non rinunciò al teatro e, non adattandosi al meccanismo dello show business, divenne più un caratterista di prestigio che un mattatore. […] Se si dovesse individuare un tratto distintivo nel carattere di Vallone, sarebbe certamente la curiosità. Non c’erano libri che non volesse leggere, traduzioni di copione cui non amasse mettere mano, avventura cui si sottraesse. […] Artista quasi rinascimentale, poliglotta e perfezionista, maniaco del suo lavoro, aveva anche prestato la voce ad audiolibri di poesia di Gibran ritrovando nuova popolarità in America. Per il cinema italiano può essere considerato il più anomalo dei divi essendo apparso in un’epoca in cui si privilegiava la spontaneità rispetto al professionismo. Ma forse sta proprio in questo aver coltivato le due personalità, quella segreta e colta e quella tutta esteriore e fisica, il segreto della longevità del suo successo» («La Repubblica»). La retrospettiva curata da Saverio Vallone con la Cineteca Nazionale.
 
giovedì 24
ore 17.00 Cuori senza frontiere diLuigi Zampa (1950, 90′)
Al termine della seconda guerra mondiale, la Commissione internazionale incaricata di tracciare il nuovo confine fra Italia e Jugoslavia stabilisce una linea che taglia a metà un paesino. I pali e il filo spinato non separano soltanto le abitazioni, ma anche gli affetti. Gli abitanti devono scegliere: o con l’Italia o con la Jugoslavia. All’epoca delle riprese, il tema era di intensa e rovente attualità: il film inscena un dramma politico e sociale i cui toni sono stemperati dalla commedia di costume. I critici cinematografici Callisto Cosulich, nei panni di un ufficiale sovietico, e Tullio Kezich, in quelli di un tenente jugoslavo, fanno capolino in questo episodio di neorealismo minore, in cui Zampa mostra quell’attitudine ai sentimenti e al tratteggio popolare che connoteranno il suo stile. Con Gina Lollobrigida e Raf Vallone.
 
ore 18.45 Il cammino della speranza di Pietro Germi (1950, 101′)
Un gruppo di minatori siciliani parte per la Francia in cerca di lavoro. Pagano un mediatore per passare il confine, ma l’uomo li denuncia. Opera corale, concepita da Germi coma una ballata popolare, con intenti nobilissimi ed echi melodrammatici. In origine doveva intitolarsi Terroni. «Se In nome della legge era neorealismo romanzesco, Il cammino della speranza è neorealismo epico, una ballata popolare scandite dalle note malinconiche ma non rassegnate di Vitti ‘na crozza. È un film tutto italiano, ai limiti del regionalismo, un viaggio morale attraverso il paese, da Sud a Nord. […] Il regista genovese non perde mai di vista gli individui, costruisce tassello dopo tassello un’opera corale in cui però sono frequentissimi i primi piani» (Giacovelli). Orso d’argento al festival di Berlino. Con Raf Vallone, Elena Varzi, Saro Urzì.
 
ore 20.45 Incontro moderato da Italo Moscati con Saverio Vallone, Pier Francesco Aiello, Lino Capolicchio, Laura Delli Colli, Valeria Fabrizi, Rocco Familiari
 
a seguire Toni di Philomène Esposito (1999, 92′)
Toni è un mafioso inviato a Parigi per conto della suo clan. Prende contatti con il “Vecchio”, uno strano personaggio messo in disparte dalla famiglia mafiosa, alla quale continua, peraltro, a rendere alcuni servigi. Grazie a lui Toni riuscirà a portare a termine la sua missione. Poi, consigliato dal Vecchio, sarà spinto ad uccidere il capo di un clan con il quale doveva limitarsi a trattare. Un grave errore… Con Alessandro Gassman, Béatrice Dalle, Raf Vallone, Venantino Venantini, Elena Varzi.
Copia proveniente da PFA Films – Si ringrazia Pier Francesco Aiello
 
venerdì 25
ore 17.00 Anna di Alberto Lattuada (1951, 106′)
«Anna è una sirena di locali notturni, è l’amante del barista (Vittorio Gassman), cui ella soggiace con l’oscura impressione d’una degradazione e d’una colpa, come al vizio d’una droga. Si innamora di lei un giovane signore di campagna (Raf Vallone) in cui ella intuisce che cosa può essere il compagno ed amico di tutta una vita. Finirebbe col consentire a sposarlo, e gli si presenta in casa dopo aver attinto ancora una volta all’uomo che la domina in ogni fibra, se non che, alla vigilia delle nozze, un incontro fra l’amante e il fidanzato si conclude in una tragedia» (Alvaro). […]L’ambiente in cui si svolge gran parte del nuovo film di Alberto Lattuada, Anna, un ospedale modernissimo, e precisamente il nuovo Ospedale Maggiore di Milano, sembrerebbe l’ambiente d’un documentario realizzato con estrema abilità. […] Non si può dire che il regista non abbia approfittato di questa visione che avrebbe esaltato un Balzac, con la sua gelida sinfonia di bianchi, lacche, vernici, biancheria. Per poco, un documentario simile non diventa allucinante» (Alvaro).
 
ore 19.00 Il bivio di Fernando Cerchio (1951, 111′)
«Alle origini del noir italiano non c’è solo Pietro Germi. Il bivio di Fernando Cerchio (1951) è una bella riscoperta: un vero “Capolavoro sconosciuto”, come suona il titolo della rassegna curata da Paolo Mereghetti nell’ambito della mostra sugli anni Cinquanta a Palazzo Reale. Raf Vallone è Aldo Marchi, il capo di una gang torinese che si infiltra nella polizia per avere le dritte giuste: ma stando dall’altra parte della barricata, ci prende gusto. Cerchio, forse mai così ispirato, racconta dilemmi morali senza moralismi: e rappresenta una metropoli notturna, povera, violenta, con invenzioni visive che lasciano a bocca aperta. Aveva visto i polizieschi francesi, dato che il coprotagonista è il grande Charles Vanel? O i noir realistici di Dassin? Poco importa: anche perché la storia ha salde radici nel contesto italiano, con riferimenti ai travagli post-resistenza. Da applaudire i caratteristi Saro Urzì e Carletto Sposito» (Pezzotta).
 
ore 21.00 Camicie rosse (Anita Garibaldi) diGoffredo Alessandrini, Francesco Rosi; (1952, 103′)
«La vita e le imprese di Garibaldi dalla caduta della Repubblica romana, nel 1819, alla fuga verso Venezia, alla morte di Anita. Verso la fine delle riprese Alessandrini abbandonò il set per motivi “sconosciuti”, ma che andavano ricercati in disaccordi con la produzione e con Anna Magnani (che era coproduttrice del film). Proprio grazie alla Magnani, per terminare il film, fu scelto l’esordiente Rosi […]. Il film fu prodotto dalla P.G.F. (Produzione Grandi Film) di Bologna (Alberto Giovagnoli). Bolognesi erano Biagi e Renzi, il musicista Masetti e gli attori Ninchi e Fantoni» (Chiti-Poppi). Con Raf Vallone, Anna Magnani, Serge Reggiani, Carlo Ninchi, Michel Auclair, Jacques Sernas.
 
sabato 26
ore 17.00 Riso amaro di Giuseppe De Santis (1948, 109′)
«A Torino ci rivolgemmo a Cesare Pavese e a Lajolo per avere i primi suggerimenti. […] Lajolo, come direttore dell'”Unità”, ci mise a disposizione un redattore della “terza pagina” che avrebbe potuto capire meglio i nostri problemi e accompagnarci nelle zone di maggiore interesse e aiutarci per tutti i possibili contatti. Si trattava di Raf Vallone, al quale poi, qualche mese più tardi avremmo affidato la parte del “sergente” in Riso amaro, e che ci aiutò con passione per tutte le nostre ricerche. […] Volevamo, naturalmente tante cose. Un grande racconto popolare. Un racconto, però, che fosse cinema ad ogni pagina. E che fosse sempre vero» (Lizzani). «Lavoravo all’Unità di Torino come giornalista: avevo realizzato da poco un servizio fotografico e scritto sulle risaie. [De Santis, n.d.r.] venne a trovarmi in redazione con Lizzani. Preparavano Riso amaro. Mi aveva visto a teatro nella prima rappresentazione del Woyzeck e mi voleva assolutamente in questo nuovo film. Scrisse la parte per me. […] Passai notti insonni prima di dire di sì. Fare il giornalista mi piaceva. Torino era la mia città. E poi all'”Unità” ero stato accolto molto bene, anche se non avevo mai preso la tessera del partito comunista. Ma De Santis mi affascinò. C’era tra noi una forte consonanza ideale, anche se lui era assai più intransigente di me. De Santis aveva un enorme talento cinematografico: aiutato da suo fratello Pasqualino usava la macchina da presa come un pittore adopera il pennello» (Vallone).
 
ore 19.00 Non c’è pace tra gli ulivi di Giuseppe De Santis (1950, 103′)
«Il pastore Francesco Dominici, tornato dalla guerra, cerca invano lavoro nella sua terra segnata dagli eventi bellici. Una notte, per vendicarsi di un furto di pecore subito dalla sua famiglia e perpetrato dal losco Agostino Bonfiglio, arricchitosi con la borsa nera e l’usura, va a riprendersi le sue pecore con l’aiuto della sua innamorata Lucia e della sorella Maria Grazia, ma viene denunciato e arrestato» (Marco Grossi). «Ogni inquadratura sarebbe da citare, per mettere in rilievo la scultoreità delle pose, il bloccaggio degli sguardi, la composizione in profondità di campo e in diagonali che correlano i personaggi fra loro, la figurazione in contrasti estremi fra bianchi e neri. Se ne potrebbe dedurre un’impressione di staticità complessiva; essa è tuttavia animata, anzi musicalmente ritmata sia dagli stacchi di montaggio, che sono sistematicamente oppositivi, anche se non necessariamente dissonanti, sia dai movimenti di macchina, sempre tesi non ad accompagnare un’azione ma, visibili come sono, a “coreografarla”. […] Tutto questo rende difficile se non impossibile parlare di neorealismo» (Aprà). Con Raf Vallone, Lucia Bosè, Folco Lulli, Maria Grazia Francia, Dante Maggio.
 
ore 21.00 Roma ore 11 di Giuseppe De Santis (1952, 108′)
Richiamate dall’offerta di un posto di lavoro come dattilografa, letta su un annuncio economico, alcune centinaia di ragazze accorrono da tutti i punti di Roma alla sede della ditta in cerca di personale. L’attesa dura diverse ore e le ragazze si affollano sulla scala. Ad un certo punto una delle ragazze tenta di passare avanti alle altre con uno stratagemma. Questo provoca nel gruppo una violenta agitazione e la scala, non resistendo all’insolita pressione, crolla trascinando con sé le ragazze. Molte riportano contusioni, alcune sono ferite leggermente, altre gravemente, mentre una, malgrado il pronto intervento chirurgico, muore. Lo sfortunato incidente avrà per le singole concorrenti conseguenze diverse. «Il film si rifà a un fatto di cronaca realmente accaduto; ma va oltre la cronaca. Nel rielaborare la realtà, De Santis ha però talvolta forzato la realtà stessa, tanto che si può parlare, come qualcuno ha fatto, di “più che neorealismo”. Trovandosi di fronte a un materiale così ampio e carico di significati, dovendo tipicizzare un folto numero di figure, questa tipicizzazione e questi significati spesso rimangono nell’ambito dello schematismo critico […]. Malgrado queste limitazioni rimane la qualità sociale dell’opera e non soltanto sociale. Roma ore 11 segna un passo avanti di De Santis, un suo progresso spirituale» (Aristarco). Con Lucia Bosé, Carla Del Poggio, Maria Grazia Francia, Delia Scala, Elena Varzi, Lea Padovani.
 
martedì 29
ore 17.00 Teresa Raquin di Marcel Carné (1953, 88′)
«Teresa ha sposato il cugino Camillo, uomo debole, malaticcio, non per amore, ma obbedendo ad un sentimento di riconoscenza verso la madre di lui. La sua vita scorre monotona e tranquilla fino al giorno in cui ella fa per caso la conoscenza di un camionista italiano, di nome Lorenzo. Gli sguardi di costui le parlano un linguaggio appassionato, al quale non resta insensibile. Lorenzo le propone di fuggire con lui: ella rifiuta, ma lo rivede più volte. Lorenzo decide di dire la verità al marito che dapprima supplica Teresa di non abbandonarlo, poi le chiede di trascorrere con lui ancora tre giorni a Parigi; ma durante il viaggio, Lorenzo, che segue la coppia, viene a diverbio con Camillo e lo getta dal treno. La polizia ha dei sospetti su Teresa; ma non ci sono prove e la pratica viene archiviata» (www.cinematografo.it). Con Simone Signoret e Raf Vallone.
 
ore 19.00 Tra due donne di Laszlo Benedek (1960, 96′)
«Abbandonato dalla sua donna (Riva), Mario Di Donati (Vallone) si autodenuncia per diserzione dopo molti anni, perde il lume della ragione, evade e fa del suo meglio per finire tragicamente. Pesantemente letterario (il regista adatta un romanzo di Noël Calef) e insopportabilmente fatalista e moralista, come si usava all’epoca» (Mereghetti).
 
ore 20.45 Uno sguardo dal ponte di Sidney Lumet (1962, 117′)

«Eddie Carbone, un emigrato italiano a Brooklyn che vive con la moglie Bea e la nipote diciottenne Caterina, non ha difficoltà a far sbarcare due cugini di Bea, Marco e Rodolfo, che sono arrivati clandestinamente dall’Italia per lavorare. Li ospita in casa sua e trova loro un’occupazione al porto. Ma la serenità della famiglia è subito messa a dura prova. Tra Caterina e Rodolfo nasce infatti una reciproca simpatia, che Eddie non riesce assolutamente ad ammettere. Egli crede infatti che Rodolfo corteggi la ragazza per farsi sposare da lei ed ottenere in tal modo la cittadinanza americana e il diritto di restare in America. Le continue provocazioni, con cui Eddie sfida Rodolfo fanno insorgere Marco, Caterina e Bea. Incapace di trattenere il suo risentimento, Carbone denuncia all’ufficio immigrazione i due clandestini, che vengono subito fermati e condotti nel centro di raccolta di Long Island» (www.cinematografo.it ). Con Raf Vallone, Jean Sorel, Raymond Pellegrin, 

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