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Omaggio a Tonino Guerra
25 Maggio 2012 - 27 Maggio 2012
«Alle 8.30 della mattina del 21 marzo 2012, in Piazza Ganganelli, a Santarcangelo, nella casa di Tonino Guerra è entrato il silenzio», sono queste le parole con le quali la moglie Lora e il figlio Andrea, musicista, hanno comunicato la scomparsa di Tonino Guerra, lo sceneggiatore, il poeta, l’affabulatore e costruttore di storie che sono entrate nella memoria del cinema. Una filmografia vastissima, iniziata negli anni gloriosi del neorealismo, proseguita nei toni grotteschi dalle sfumature surreali della commedia, per poi inoltrarsi nei mondi onirici e visionari di Federico Fellini o nelle alienazioni di una società in mutazione (Michelangelo Antonioni), senza mai dimenticare l’impegno civile (Francesco Rosi). «Un mondo straordinario e colorato, suggestivo e lirico, dove immagini e parole si incontrano per raccontarci realtà, favole e misteri del nostro tempo», scriveva Giacomo Martini curatore del volume Una regione piena di cinema. Tonino Guerra. «Tonino Guerra è soprattutto un poeta, un artista che indaga l’anima del mondo e degli uomini per scoprirne i più intimi segreti, le loro più nascoste emozioni, i sogni e le speranze, ci ha raccontato con il suo lavoro, non solo nel cinema, le bellezze di un ambiente che rischia di scomparire a causa dell’aggressione dell’uomo e ci ha insegnato a ritrovare nelle piccole cose della natura». Curioso che questo inizio 2012 sia stato segnato da due gravi lutti nel mondo del cinema: Angelopoulos e Guerra. Il celebra sceneggiatore aveva infatti collaborato a diversi film del cineasta greco, scomparso il 24 gennaio, e a lui aveva dedicato il suo ultimo romanzo, Polvere di stelle.
 
«Se volessimo usare una metafora geografica potremmo metterla così: nel grande mare della poesia si distinguono le isole e i faraglioni dell’arcipelago Tonino Guerra; e ogni terra emersa, grande o piccola che sia, ha il nome di un film, di un romanzo, o anche soltanto di un’idea, in una successione infinita che a vita d’occhio si prolunga e si perde oltre l’orizzonte. In questa plaga l’arte è bellezza naturale, la spontaneità è lo smalto delle cose, l’intelligenza fa la vista più acuta, il linguaggio ritrova il sillabario dei sentimenti e l’umorismo trasporta tutto in un’atmosfera di liberazione come per un ballo sull’aia».
                       Tullio Kezich
 
venerdì 25
ore 17.00
L’assassino (1961)
Regia: Elio Petri; soggetto: Tonino Guerra, E. Petri; sceneggiatura: Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, E. Petri, T. Guerra; fotografia: Carlo Di Palma; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Graziella Urbinati; musica: Piero Piccioni; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Marcello Mastroianni, Micheline Presle, Cristina Gajoni, Salvo Randone, Andrea Checchi, Giovanna Gagliardo; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, Vides Cinematografica, S.G.C.; durata: 98′
Alfredo Martelli è un giovane antiquario che viene fermato dalla polizia e portato alla Centrale senza avere spiegazioni dagli agenti. Dentro di sé l’uomo fa mille ipotesi sulle ragioni di quell’arresto: non sospetta nemmeno lontanamente che è indiziato di omicidio. La donna uccisa è una sua ex amante che l’antiquario ha incontrato proprio la sera prima della morte per chiederle la dilazione del pagamento di un debito. «È da notare, poi, come ne L’assassino siano contenuti […] germi delle opere del Petri maturo: la descrizione degli ambienti della questura e della prigione, ad esempio, anticipa Indagine: per inciso, ma non troppo, è da considerare come si trattasse, allora, di argomenti poco meno che tabù […]; e infatti la censura (non ancora “riformata” dalla legge del 1962) infierì sulla pellicola con un gran numero di piccoli tagli. Superfluo […] sottolineare […] la destrezza, la sicurezza del mestiere che il regista debuttante manifesta; l’evidenza del buon rapporto stabilito con gli attori […]; la cura delle immagini, con l’apporto di un operatore, come Carlo Di Palma» (Savioli). «Lo sceneggiatore (e soggettista) definirà L’assassino (1961) e I giorni contati (stesso anno) “dei buoni film” e nelle sue dichiarazioni non indulgerà mai troppo su di essi come su di essi non insisteranno successivamente i suoi intervistatori. Tanto basta per sospettarli come cose molto sue e anche per ritenerli cose molto pregevoli in una prospettiva generale» (Pellizzari).
 
ore 19.00
Pianeta Tonino. Incontro con Tonino Guerra (2002)
Regia: Antonietta De Lillo; fotografia: Marco Tani; montaggio: Giogiò Franchini; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 50′
«Il ritratto dedicato a Tonino Guerra è un “disegno” in bilico tra la “grandezza” delle sue parole regalate alla poesia e al cinema e la semplicità del suo vivere “ritirato” a Pennabilli, luogo nel quale si respira un po’ ovunque la sua presenza. Tonino Guerra, intrecciata con alcune sequenze tratte dai film che testimoniano la sua lunga carriera di sceneggiatore di oltre 80 film, il suo rapporto con grandi registi quali Fellini, Antonioni, Rosi, Tarkovskij, i Taviani, Angelopoulos che, come Tonino ama ricordare, “sono quelli che lo hanno cercato, che hanno creduto di trovare in una parte di lui o in lui, quello che a loro fa comodo”. Ho tentato di costruire attraverso le sue parole, le sequenze dei film, le testimonianze della moglie, degli amici di Pennabilli, di Francesco Rosi e dei fratelli Taviani, un unico discorso capace di raccontare non tanto gli avvenimenti della sua vita, quanto le emozioni e le circostanze che li hanno generati. L’esplorazione della vita di Tonino Guerra mi ha rivelato un personaggio difficile, ma generosissimo; la cosa che più colpisce di lui è il modo in cui la sua energia creativa contamina tutto ciò che lo circonda: Tonino, con le sue poesie, con le sue sculture, le sue fontane, le sue porte, i suoi tanti segni, è riuscito a creare un mondo quasi da favola in cui vivere concretamente. Il PianetaTonino è, per me, il risultato dell’incontro con un uomo che possiede una enorme forza vitale, attraverso la quale egli costruisce le sue “favole” per sconfiggere la sua (e la nostra) più grande paura: la noia e la prevedibilità della vita quotidiana» (Antonietta De Lillo).
 
a seguire
L’avventura (1960)
Regia: Michelangelo Antonioni; soggetto: M. Antonioni; sceneggiatura: M. Antonioni, Elio Bartolini, Tonino Guerra; fotografia: Aldo Scavarda; scenografia: Piero Poletto; costumi: Adriana Berselli; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Eraldo Da Roma; interprete: Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Lea Massari, Dominique Blanchar, Renzo Ricci, James Addams; origine: Italia/Francia; produzione: Cino Del Duca, Societé Cinématographique Lyre; durata: 140′
Durante una crociera in Sicilia, una donna scompare misteriosamente. Il fidanzato e l’amica la cercano, sempre meno disperatamente… «Inedita l’utilizzazione del paesaggio siciliano come protagonista implicito: inospitale per i personaggi, esso costituì una notevole fonte di problemi anche per le riprese, avvenute su uno scoglio delle isole Eolie con il mare in tempesta» (Mereghetti). «Ci sono dei film gradevoli e dei film amari, dei film leggeri e dei film dolorosi. L’avventura è un film amaro, spesso doloroso. Il dolore dei sentimenti che finiscono o dei quali si intravvede la fine nel momento stesso in cui nascono. Tutto questo raccontato con un linguaggio che ho cercato di mantenere spoglio di effetti» (Antonioni). «Su un giornale di quei tempi (“Italia Domani” del 31 maggio 1959), a proposito de L’avventura che è al suo primo giro di manovella, leggiamo: “Il soggetto è dello stesso Antonioni, che però dichiara di aver trovato utilissimi e “funzionali” collaboratori nei due sceneggiatori Tonino Guerra e Elio Bartolini: due personalità molto diverse – il primo è un romagnolo sanguigno, un perfetto “tecnico”; il secondo è uno scrittore, un “intellettuale lucido” – che tutte e due hanno molto contribuito alla costruzione del romanzo”. Ebbene, quel “tecnico”, non ancora riconosciuto come “scrittore”, ha già compreso come nel nuovo Antonioni la parola sia destinata a soccombere davanti all’immagine, le battute di dialogo rischino di risultare infelici perché mutate di destinazione e di contesto, l’antipsicologismo stia per diventare la norma, la suggestione letteraria sia allo sbando e la rarefazione faccia il resto: occorre agire in termini di “segmenti” da un lato e in termini di “struttura” dall’altro, appunto fungere e funzionare da “tecnico”. L’avventura, felicemente definito “un giallo dei sentimenti”, richiede che venga sottolineato il termine “giallo” in quanto sintomo di perfetta struttura narrativa e venga trascurato il termine “sentimenti” in quanto retaggio di una letteratura negata se non nelle forme dell'”antiromanzo” di scuola francese» (Pellizzari).
 
sabato 26
ore 17.00
La noia (1963)
Regia: Damiano Damiani; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Tonino Guerra, Ugo Liberatore, D. Damiani; fotografia: Roberto Gerardi; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Angela Sammaciccia; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Renzo Lucidi; interpreti: Horst Buchholz, Catherine Spaak, Bette Davis, Georges Wilson, Leonida Repaci, Isa Miranda; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Concordia; durata: 104′
«Dino, scoperta la sua incapacità di comunicare con il prossimo, si abbandona all’ozio più completo in compagnia di una giovanissima modella per la quale prova solo un’attrazione fisica. Anche questa passione sta per annoiarlo quando scopre che la ragazza, Cecilia, lo tradisce. Sorge allora in lui una furiosa gelosia che lo acceca. Pur di tenere legata a sé Cecilia, Dino le chiede di sposarlo» (www.cinematografo.it). «La noia è un romanzo di Moravia che Tonino Guerra e io, in fase di sceneggiatura, abbiamo tentato di rispettare quasi alla lettera, anche perché era una storia molto semplice […]. In fase di sceneggiatura, Moravia un po’ comparve, un po’ collaborò, perché gli facemmo scrivere i dialoghi. E quella, secondo me, fu un’operazione giusta. Nei confronti di una sua opera trasposta per lo schermo Moravia ha un’opinione precisa che io condivido: che un regista può fare qualsiasi cosa da un romanzo perché tanto è un’altra faccenda» (Damiani).
 
ore 19.00
Matrimonio all’italiana (1964)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: dalla commedia Filumena Marturano di Eduardo De Filippo; sceneggiatura: Renato Castellani, Tonino Guerra, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi; fotografia: Roberto Gerardi; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Vera Marzot; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Aldo Puglisi, Tecla Scarano, Marilù Tolo, Vito Morriconi; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Concordia; durata: 104′
«Dopo essere stata per molti anni la domestica e l’amante di Domenico Soriano, Filomena si finge in punto di morte per farsi sposare. Ma l’uomo scopre l’inganno ed è risoluto a sciogliere il matrimonio. La donna però non si arrende e gli rivela di avere tre figli, uno dei quali è figlio suo. Ma quale?» (www.cinematografo.it). «Esiste una prima sceneggiatura scritta dallo stesso Eduardo […]; esiste una seconda sceneggiatura di Renato Castellani […]; esiste una sceneggiatura (la terza?) di Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, ancora troppo aderente al testo di partenza e forse non particolarmente sentita. A questo punto a Guerra viene affidato l’incarico di responsabile unico e si ricomincia tutto da capo (anche se nei titoli di testa il suo nome apparirà affiancato – forse giustamente – a quello degli illustri colleghi): rispetto del testo ma ricorso a funzionali scene aggiuntive, rispetto del “peso” dei due attori (la Loren e Mastroianni allora al top della fama) ma nessun ricorso a mezzucci equilibrativi, soddisfazione un po’ per tutti di fronte al clamoroso successo del film e una volta superata qualche perplessità iniziale di Eduardo. Anche per la critica […] la sceneggiatura (una volta tanto si parla di lei) ha “l’indubbio merito di imbastire sulle tappe assai diverse della vita dell’eroina (da ospite di lupanare a mantenuta privata, a serva di casa, a moglie per inganno), e parallelamente sull’assolutamente uniforme esistenza del maschio italiano, sempre a galla, sempre sordo ai diritti più elementari della donna, la parabola di un rapporto che, sia pure attraverso i soprassalti del sentimento, non manca di incidere nel tessuto della nostra società, per quanto riguarda questo tipo di “contratto” (Casiraghi)» (Pellizzari).
 
ore 21.00
Amarcord (1973)
Regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: F. Fellini, Tonino Guerra da un’idea di F. Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia e costumi: Danilo Donati; musica: Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Ciccio Ingrassia, Magali Noël, Alvaro Vitali; origine: Italia/Francia; produzione: F. C. Produzioni, P.E.C.F.; durata: 127′
L’adolescenza di Titta in un immaginario paese della Romagna, che evoca la Rimini felliniana, fra un padre antifascista, la madre bigotta, uno zio fascista, l’altro in manicomio, i compagni di scuola, la tabaccaia, Gradisca… «Quasi tutto Amarcord è danza macabra su un ilare sfondo e palio dei buffi fra quinte sinistre, con pause di assorto rapimento e amare discese agli inferi dove l’infanzia, quell’infanzia, alimenta le nostre nevrosi, la vocazione al patetico e al rissoso. Emozione e fantasia, invenzione d’artista e padronanza assoluta del mestiere si danno la mano in uno spettacolo senza ombra di intellettualismo dove nulla è vero, perché tutto è ricostruito (anche il mare), e tuttavia la realtà, portata al limite del tripudio onirico, ha come non mai peso e spessore, abitata da attrazioni e ripulse, attese e spaventi, che sono il tessuto della vita e il suo controcampo elegiaco. […] Federico Fellini ha detto con Amarcord, sull’Italia degli anni fascisti, forse più e meglio di tanti storici di professione. Dobbiamo essere grati al suo talento» (Grazzini). «Cercai Tonino Guerra e gli dissi che volevo fare un film così. Tonino è di Santarcangelo, uno dei quartieri più poveri di Rimini, e anche lui aveva da raccontare storie simili alle mie, personaggi che avevano in comune con i miei la stessa follia, la stessa ingenuità, la stessa ignoranza di bambini mal cresciuti, ribelli e sottomessi, patetici e ridicoli, sbruffoni e umili. E in questo modo venne fuori il ritratto di una provincia italiana, una qualunque provincia, negli anni del fascismo» (Fellini). «Con Amarcord mi pare che lui e anch’io siamo riusciti a regalare l’infanzia al mondo. Insisto però il valore di questo messaggio è soprattutto suo» (Guerra).
 
domenica 27
ore 17.00
Uomini contro (1970)
Regia: Francesco Rosi; soggetto: dal romanzo Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu; sceneggiatura: Antonio Guerra, Raffaele La Capria, F. Rosi; fotografia: Pasqualino De Santis; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Franco Carretti, Gabriella Pescucci; musica: Piero Piccioni; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Mark Frechette, Alain Cuny, Gian Maria Volonté, Gianpiero Albertini, Pier Paolo Capponi, Franco Graziosi; origine: Italia/Jugoslavia; produzione: Prima Cinematografica, Dubrava film; durata: 101′
«Nel corso della prima guerra mondiale, i soldati del generale Leone, dopo aver conquistato, lasciando sul terreno tremila caduti, una cima considerata strategicamente indispensabile, ricevono l’ordine di abbandonarla. Poi l’ordine cambia: occorre che la cima venga di nuovo tolta al nemico. Gli austriaci, però, vi si sono saldamente insediati e la difendono accanitamente con due mitragliatrici. Gli inutili assalti, nemmeno protetti dall’artiglieria, si susseguono provocando ogni volta una strage tra gli attaccanti. Stanchi di essere mandati al massacro da un generale tanto incompetente, quanto stupidamente esaltato, una parte dei soldati inscena una protesta» (www.cinematografo.it). «Il nostro rapporto è molto caloroso, potrebbe perfino sfociare in un matrimonio, se fossimo di sesso diverso. Poiché non è nella mia natura fare dei complimenti, devo dire che tra noi qualche volta sorgono delle difficoltà marginali. Rosi viene chiamato comunemente “il professore”, e in ciò v’è una ragione. Se Rosi deve parlare di un paio di scarpe, comincia col descrivere i capelli di quello che le indossa […]. Per avere un rapporto perfetto con lui, vorrei avere una clessidra, così ciascuno parlerebbe per lo stesso tempo […]. Il mio secondo e ultimo desiderio sarebbe che Francesco si decidesse a dire più di frequente delle cose inutili, perché sono la base di tutto il resto […]. Quando vado a trovarlo sul set, Rosi mi accoglie come il guardiano del castello accoglie il proprietario, con umiltà e tenerezza. Naturalmente lo sceneggiatore così ricevuto si affretta a chiarire la situazione e a ridare a ciascuno il proprio ruolo» (Guerra).
 
ore 19.00
Nostalghia (1983)
Regia: Andrej Tarkovskij; soggetto e sceneggiatura: A. Tarkovskij, Tonino Guerra; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Andrea Crisanti, Mauro Passi; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Gino Peguri; montaggio: Erminia Marani, Amedeo Salfa; interpreti: Oleg Yankovskij, Domiziana Giordana, Patrizia Terreno, Laura De Marchi, Delia Boccardo, Milena Vukotic; origine: Italia/Francia/Unione Sovietica; produzione: Opera Film Produzione, Rai-Radiotelevisione Italiana, Sovin Film, Moskva; durata: 125′
Andrej Gonciacov è uno scrittore russo in viaggio in Italia sulle tracce di un compositore del Settecento suo conterraneo, Berezovskij, del quale sta scrivendo la biografia. È accompagnato dalla sua traduttrice una bellissima donna italiana. I due visitano alcuni luoghi di grande suggestione come la chiesa a Monterchi, dove è custodita la Madonna del parto di Piero della Francesca e Bagni Vignone, dove usava andare a curarsi Santa Caterina. La bellezza di questi luoghi rende ancora più cocente la nostalgia che Andrej sente per la sua famiglia e il suo Paese. «Prima o poi Guerra doveva pervenire a lavorare con un russo, e Tarkovskij – da cui pur lo separano l’ascetismo e il misticismo – godeva da tempo della sua incondizionata stima. L’incontro nacque quindi sotto i migliori auspici, come affermerà il regista: “Io sono gratissimo a Tonino Guerra. È una persona straordinariamente dotata. Ma è soprattutto un poeta. È accaduta con lui una cosa rara: mi ha capito perfettamente e io ho capito lui» (Pellizzari).
 
ore 21.15
Ginger e Fred (1985)
Regia: Federico Fellini; soggetto: F. Fellini, Tonino Guerra; sceneggiatura: F. Fellini, T. Guerra, Tullio Pinelli; fotografia: Tonino Delli Colli, Ennio Guarnieri; scenografia: Dante Ferretti; costumi: Danilo Donati; musica: Nicola Piovani; montaggio: Nino Baragli, Ugo De Rossi, Ruggero Mastroianni; interpreti: Giulietta Masina, Marcello Mastroianni, Franco Fabrizi, Frederick Ledebur, Augusto Poderosi, Claudio Botosso; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Pea, Rai – Radiotelevisione Italiana, Les Films Ariane, Revcom Film, F3, Stella Film, Anthea; durata: 127′
«Fellini ha fatto un film della maturità alla maniera dei grandi comici: prevale la malinconia, ma il carattere visionario non s’è perso (se il protagonista è come il Calvero di Chaplin, il quadro è un grottesco “1984” visto a posteriori col presentatore al posto del Grande fratello, il “1985” di Fellini). Si vedrà se la prima parte non sia troppo sottotono e prosaica rispetto allo splendore dell’esplorazione dentro il palazzo TV; ma va detto subito che Mastroianni è superbo, irripetibile (lo sguardo profondo di un disperato qualunque, ma anche di un alter ego poetico) e assai brava la Masina, opponendo all’omologazione televisiva la forza più antica della rispettabilità, della banalità più generosa. Forse, in un momento di buio ci daremo la mano» (Reggiani).

 

 

Date di programmazione