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Nuovi italiani. Da migranti a cittadini
21 Gennaio 2012 - 29 Gennaio 2012

Numerosi film italiani presentati all’ultima Mostra di Venezia hanno affrontato – quale che fosse il loro genere o la loro collocazione festivaliera – il tema dell’immigrazione e del rapporto con i cittadini di origine straniera nel nostro paese, tanto che da più parti si è parlato della nascita di un nuovo genere cinematografico. In realtà saper narrare il proprio tempo – anche a prescindere e spesso contro il potere politico o il pensiero unico dominante – è da sempre uno dei compiti e delle aspirazioni principali dei cineasti. Semmai possiamo parlare, questo sì, di film più o meno belli, più o meno riusciti. Di luoghi comuni e stereotipi oppure al contrario di storie e immagini che ci conquistano per la loro verità, per lo “splendore del vero”, o per la capacità di saper immaginare e creare per ogni singolo spettatore un paese diverso. La propria patria.
In Europa, e in Francia in particolare, il “cinema del métissage” ha spopolato, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, ma nessuno si è sognato di parlare di “eccesso”. L’Italia è un paese profondamente mutato negli ultimi trent’anni, che è divenuto, ed ha scoperto di essere divenuto,  un paese di immigrazione e un paese di “seconde generazioni”, di “nuovi italiani”: due cose che però non sono affatto divenute scontate e date per acquisite, come dimostra l’urgenza di cambiare la legge sulla cittadinanza, inserendo lo ius soli al posto dello ius sanguinis ancora paradossalmente in vigore.
L’idea di questa rassegna nasce da tutte queste riflessioni ed anche come sostegno ideale alla campagna “L’Italia sono anch’io”: una raccolta di firme (che si concluderà il 3 marzo 2012) per due leggi di iniziativa popolare per l’introduzione dello ius soli, la facilitazione dell’ottenimento della cittadinanza e il voto amministrativo agli stranieri.
La prima parte della rassegna, dedicata alla finzione e in programma a gennaio, presenta una carrellata retrospettiva dal 1980 al 2011 di molti dei lungometraggi italiani che hanno affrontato il tema degli stranieri in Italia, di volta in volta mettendo l’accento sul rapporto con l’Altro, sulla clandestinità, sull’emergenza, sulla ricerca dell’identità, oppure sulla possibilità dell’incontro, della solidarietà, della condivisione di uno spazio geografico e culturale in continuo mutamento.
La seconda parte della rassegna, dedicata al documentario e in programma a febbraio, è invece più centrata sul presente, dal 2005 ad oggi, con film che riescono a portare ancor più in primo piano le mille storie degli stranieri e delle cosiddette seconde generazioni che vivono in Italia, e che raccontano in prima persona e dal proprio punto di vista le sfide che hanno affrontato per raggiungere il nostro paese e i sogni con cui si confrontano giorno per giorno, nella lucida consapevolezza di essere innanzitutto cittadini.
Insomma due parti che si guardano allo specchio e che costruiscono le due facce di una stessa medaglia: per aiutarci a capire che solo insieme potremo raccontare e costruire oggi il nostro domani. Ci auguriamo che un ideale spettatore che possa seguire tutta la rassegna dall’inizio alla fine ne esca in qualche modo cambiato, quanto meno nel modo di rapportarsi al tema dell’immigrazione e degli stranieri in Italia: meno colpito dall’emergenza e più dall’idea di un incontro possibile, del nostro domani che già da oggi si va formando nelle piccole grandi azioni quotidiane, per forza di cose contaminate.
La rassegna, curata da Maria Coletti, è realizzata dalla Cineteca Nazionale in collaborazione con Archivio delle Memorie Migranti, Asinitas Onlus, Bolero Film, Cinecittà Luce, CSC Production, Eskimo, FactionFilms, Figli del Bronx, Filmalbatros, Ichnos Network Project, Il Labirinto, La Beffa Produzioni, La Sarraz Pictures, Medusa Film, Minerva Pictures, Movimento Film, Parthenos, Struggle Filmworks, Zalab, Zenit Arti Audiovisive.
Ringraziamo in particolare tutte le persone che ci hanno aiutato a costruire questa rassegna: Simone Amendola, Angela (Athena Cinematografica), Marta Bifano, Michela Calisse, Fabio Caramaschi, Alice Casalini, Giulio Cederna, Barbara Dante, Juan Francisco Del Valle Goribar, Federica Di Biagio, Gaetano Di Vaio, Alessandra Guarino, Giusy Gulino, Monica Iezzi, Fred Kuwornu, Angelo Loy, Giulia Moretti, Sergio Pelone, Francesca Portalupi, Marco Simon Puccioni, Camilla Ruggiero, Gianluca Scarabotti, Paola Scarnati, Andrea Segre, Davide Tosco, Massimiliano Trepiccione, Giorgio Valente, Dagmawi Yimer.

EVENTI GENNAIO:

Giovedì 26 gennaio 2012 ore 19
Omaggio al maestro Vittorio De Seta

Proiezione del film Lettere dal Sahara

Sabato 28 gennaio 2012 ore 18.30
Proiezione La straniera e incontro con il regista Marco Turco
In collaborazione con La Beffa Produzioni

Domenica 29 gennaio 2012 ore 16.30
Proiezione Là-bas di Guido Lombardi e incontro con Marta Bifano

Copia per gentile concessione di Ichnos Network Project

Domenica 29 gennaio 2012 ore 18.30
Proiezione Io sono Li e incontro con il regista Andrea Segre

Copia per gentile concessione di Parthenos

 

Parte prima. La realtà dello schermo
Cinema Trevi, 21-29 gennaio 2012

Sabato 21 gennaio
ore 17

L’altra donna (1980)
Regia: Peter Del Monte; soggetto e sceneggiatura: Peter Del Monte, Francesco Costa; fotografia: Tonino Nardi; scenografia: Elena Poccetto Ricci; costumi: Clara Longo; musica: Renato Piemontese; montaggio: Ursula West; interpreti: Francesca De Sapio, Fantu Mengasha, Edmund Purdom, Marisa Merlini, Renato Beltramo, Fabrizio Nascimben, Lidia Luzzi, Giovanni Colombo; origine: Italia; produzione: Roberto Levi per ITF Polytel Italiana, Rai – Radiotelevisione Italiana; durata: 87′

Regina, una ragazza etiope che ha lasciato il suo paese per cercare fortuna a Roma, lavora come domestica presso l’abitazione di Olga, una donna benestante, separata dal marito e con una figlia. Il rapporto tra Regina e Olga diventa ben presto confidenziale e la ragazza diventa per la ‘padrona’ un aiuto insostituibile. Un giorno, però, Regina scompare e Olga si mette alla sua ricerca senza esito. Finché, un giorno, Regina si ripresenta a casa di Olga. La ragazza aspetta un bambino, ma Olga le propone di vivere con lei e affrontare insieme il futuro.

«Del Monte ha azzeccato un film sensibile ma fragile, suggestivo ma precario. L’interpretazione professionale di Francesca De Sapio non rimuove del tutto dal film il sospetto di un’operazione più giovanile e sentimentale che realistica». (S. Frosali, “La Nazione”, 3 settembre 1980)

«Tra due donne diverse – Olga, borghese separata con figlio, angosciata e insicura, e Regina, una etiope emigrata a Roma dove fa la cameriera – nasce un’amicizia non priva di conflitti. Fa bene alla prima. E la seconda? Film da camera: pochi personaggi, scarsa azione, atmosfera. Del Monte filtra il sociale nel privato con discrezione, senza indulgere allo psicologismo. Aiutato dall’ironia evita le trappole del patetismo». (Morandini)

Premi: Menzione Speciale della Giuria alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

ore 19
L’articolo 2 (1993)

Regia: Maurizio Zaccaro; soggetto e sceneggiatura: Maurizio Zaccaro; fotografia: Pasquale Rachini; scenografia: Giovanna Zighetti; costumi: Laura Costantini; musica: Alessio Vlad, Claudio Capponi; montaggio: Rita Rossi; interpreti: Mohamed Miftah, Rabia Ben Abdallah, Fabio Bussotti, Susanna Marcomeni, Massimo Mesciulam, Fabio Sartor, Maria Pia Ferrari, Naima El Mcherqui; origine: Italia; produzione: Ernesto Di Sarro, Maurizio Nichetti e Marcello Siena per Bambù Cinema e TV, Produzioni Si.Re, con la collaborazione di Rete Italia; durata: 103′

«Said Kateb, algerino e musulmano, vive con la moglie e tre figli nell’hinterland milanese, come operaio edile apprezzato e ammirato dai compagni. La situazione si complica quando arriva Fatma, la seconda moglie, con tre bambini. Per la legge italiana è bigamo. Il caso è risolto con una giravolta giuridica: può tenersi le due mogli, purché non convivano nella stessa casa. Ispirato all’art. 2 della Costituzione e sostenuto da una forte spinta etica, è un film nobile come i suoi personaggi che, limitando al minimo i passaggi didattici, non scade né nel populismo né nella demagogia. Come Un’anima divisa in due (1993), diretto da un altro lombardo, si cimenta col problema centrale dell’Europa di oggi e di domani: l’incontro tra culture ed etnie diverse». (Morandini)

«Al suo terzo lungometraggio Zaccaro, pagati i debiti d’ispirazione, sembra aver imboccato una strada più personale con questo film dai vibranti contenuti sociali, in cui però non riesce del tutto ad evitare qualche sottolineatura superflua». (Segnocinema).

Premi: Premio Solinas 1991 per la Migliore sceneggiatura originale

ore 21
Un’anima divisa in due (1993)

Regia: Silvio Soldini; soggetto: da un’idea di Umberto Marino; sceneggiatura: Roberto Tiraboschi, Silvio Soldini; fotografia: Luca Bigazzi; scenografia: Sonia Peng, Elvezio V. D. Meijden; costumi: Franca Zucchelli; musica: Giovanni Venosta; montaggio: Claudio Cormio, Carlotta Cristiani (assistente); interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Maria Bakò, Philippine Leroy-Beaulieu, Jessica Forde, Felice Andreasi, Silvia Mocci, Edoardo Moussanet, Renato Scarpa, Patrizia Punzo, Zinedine Soualem, Sonia Gessner, Ivano Marescotti, Manrico Gammarota, Ines De Carvalho, Daniele Maggioni, Giuseppe Cederna, Moni Ovadia, Eugenio Canton, Giuseppe Battiston, Antonio Albanese, Giorgio Bezzecchi, Lionello Cerri; origine: Italia, Francia, Svizzera; produzione: Roberto Sessa per Aran srl, in collaborazione con P.I.C. Film, Mod Films, Rete Italia, Tsr-Rtsi (Radiotelevisione Svizzera Italiana), con il contributo di Eurimages del Consiglio D’Europa e del Dipartimento Federali degli Interni di Berna; durata: 124′

Pietro Di Leo, trentasette anni, vive e lavora a Milano. E’ impiegato nella sicurezza interna di un grande magazzino del centro. E’ separato dalla moglie, con un figlio di cinque anni che può vedere solo il fine settimana, e la sua vita va avanti per inerzia. E’ solo, insoddisfatto, perso. L’incontro con Pabe, una ragazza nomade colta in flagranza di reato, si trasforma dall’iniziale solita diffidenza in un desiderio di entrare in contatto con quella “diversità”, per scoprire quanto inconciliabili siano due mondi così distanti tra loro, non solo in apparenza. Insieme con Pabe, Pietro concepisce la fuga. Viaggiano verso sud, lungo la costa italiana fuori stagione. Pabe deve lentamente adattarsi, cambiare aspetto, mentre inizia una storia d’amore che li porterà entrambi ad inventarsi un nuovo possibile modo di vita…

«Ecco un film italiano che riesce a scrollarsi di dosso quell’etichetta di ‘carino’ che ormai sembra l’aggettivo inevitabile per definire il giovane cinema di casa nostra. (…) Sorretto da un intelligente uso di macchina da presa e montaggio, in un film dove il sole è quasi sempre soffocato dal grigio del cielo invernale e dallo smog della città, Soldini racconta con rigore il confronto tra una normalità (quella di Pietro) e una diversità (quella di Pabe, respinta sempre dal mondo, una volta scoperta la sua origine zingara), che finisce inevitabilmente con il perdere la propria identità; bellissimo, dopo un leggero stallo della vicenda, il ritorno di Pabe al campo nomadi che non c’è più. Un finale amaro e folgorante». (V.G. [Vito Guslandi], ‘Ciak’, ottobre 1993)

Premi: Coppa Volpi a Fabrizio Bentivoglio per la Migliore interpretazione maschile alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (1993).

Domenica 22 gennaio
ore 17

Vesna va veloce (1996)
Regia: Carlo Mazzacurati; soggetto e sceneggiatura: Umberto Contarello, Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Claudio Piersanti, Carlo Mazzacurati; fotografia: Alessandro Pesci; scenografia: Leonardo Scarpa; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Jan Garbarek; montaggio: Mirco Garrone; interpreti: Teresa Zajickova, Antonio Albanese, Roberto Citran, Antonio Catania, Andrea Karnasova, Tony Sperandeo, Silvio Orlando, Ivano Marescotti, Marco Messeri, Stefano Accorsi, Paolo Maria Veronica, Roberto Nobile, Patrizia Piccinini, Davide Dal Fiume, Karel Belorhadsky, Amushie Benedit Chieshieze, Paolo Montevecchi, Semsodin Mujic, Ivica Vidovic, Nicola Rignanese, Leonardo Scarpa, Raffaele Vannoli; origine: Italia, Francia; produzione: Cecchi Gori Group-Tiger Cinematografica, Ima Film; durata: 92′

«Vesna arriva in autobus a Trieste, da un villaggio della Repubblica Ceca e non riparte. Per mantenersi si prostituisce finché a Rimini conosce un caposquadra muratore che, dopo essere stato suo cliente, le si avvicina come persona, amico, amante. Ma lei gli sfugge: la sua determinazione a fare soldi è il suo destino. Si può vendere il corpo, salvando l’anima? Carlo Mazzacurati prova a dirlo con attenzione, pudore, rispetto, senza la pretesa di penetrare nel mistero di un essere umano e di spiegarlo allo spettatore. Da una sceneggiatura che deve essere stata laboriosa (scritta dal regista, Rulli e Petraglia, Umberto Contarello, Claudio Piersanti) è uscito un film sensibile, ma diseguale con molti vuoti d’aria che, cercando la corda della poesia lirica, diventa liricizzante». (Morandini)

«La vena solidaristica del regista si manifesta ancora una volta con lucidità anche se l’esito del film, dal punto di vista espressivo, è abbastanza modesto. Le interpretazioni funzionano (non tanto da parte della protagonista, una autentica céca che è soltanto una presenza, quanto da parte del comico Antonio Albanese, qui per la prima volta in un ruolo cinematografico, e drammatico per giunta), ma Vesna va veloce conta per il messaggio che, senza mai fare la voce grossa, con la (…) tranquilla vena di protesta che contraddistingue Mazzacurati, scalfisce la nostra superficie e ci spinge a riflettere su come siamo noi, non su come sono loro». (Ermanno Comuzio, “La Rivista del Cinematografo”, n. 10/1996)

ore 19
Terra di mezzo (1997)

Regia: Matteo Garrone; soggetto e sceneggiatura: Matteo Garrone; fotografia: Marco Onorato; scenografia: Matteo Garrone; costumi: Cristina Da Rold; musica: Dodi Moscati; montaggio: Marco Spoletini; interpreti: Fatou Kine Fall, Jacqueline Rose Nabagereka, Mariane Sano, Andrzej Pawlikowski, Kuc Jaroslaw, Mario Colasanti, Ahmed Mahgoub, Guglielmo Ferraiola, Massimo Sarchielli, Paolo Sassanelli, Giacomo Di Martino, Salvatore Sansone, Guglielmo Parasporo; origine: Italia; produzione: Archimede Film; durata: 77′

Tre episodi sulla vita quotidiana di alcuni stranieri a Roma.
“Silhouette” – Tre prostitute nigeriane, Tina, Barbara e Pascale, in attesa di clienti ingannano il tempo chiaccherando tra loro e raccontando quello che succede negli incontri con gli uomini.
“Euglen e Gertian” – Due giovani albanesi si vedono costretti ad accettare lavoro nero come muratori ed entrano in contatto con una vecchia, nobile signora romana.
“Self-Service” – Ahmed, egiziano ormai di mezza età, fa il benzinaio abusivo notturno con tutti i rischi che la situazione comporta. Poi, quando la mattina torna a casa, ricorda la sua precedente, importante, vita in Egitto, ormai lasciata alle spalle.

«La macchina da presa di Garrone cattura situazioni, gesti, paesaggi senza brutalità, con malinconica sollecitudine, manipolando (in senso buono) quelle testimonianze che si trasfigurano in storie, in quei dialoghi disinvolti, buffi e aspri, tra le prostitute africane e gli impacciati, venali, avventori italiani, nei silenzi attoniti e interrogativi dei giovani albanesi che barattano se stessi, nel volto segnato e (quasi) comico dell’immigrato quando chiacchiera, sempre all’erta, con automobilisti di passaggio forse amici, forse no. I venti minuti dell’episodio iniziale vinsero, l’anno scorso, il Sacher Film Festival di Nanni Moretti. E grazie a quel successo e alle premure del regista di Caro Diario, l’esordiente Matteo Garrone, 29 anni, ha avuto l’opportunità di confezionare un prodotto più completo, meno occasionale, più intenso». (Fabio Bo, “Il Messaggero”, 7 maggio 1997)

Premi: Premio Speciale della Giuria e Premio Cipputi per il Miglior film sul mondo del lavoro al Festival Internazionale Cinema Giovani, Torino 1996.

ore 21
L’assedio (1999)

Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto e sceneggiatura: Clare Peploe, Bernardo Bertolucci, da un racconto di James Lasdun; fotografia: Fabio Cianchetti; scenografia: Gianni Silvestri; costumi: Metka Kosak; musica: Alessio Vlad, Stefano Arnaldi (arrangiamenti musicali); montaggio: Jacopo Quadri; effetti: David Bush; interpreti: Thandie Newton, David Thewlis, Claudio Santamaria, John C. Ojwang, Massimo De Rossi, Cyril Nri, Veronica Lazar, Gianfranco Mazzoni; origine: Italia, Regno Unito; produzione: Massimo Cortesi per Fiction Films & Navert Film in associazione con Mediaset, Tele+; durata: 93′

«A Roma l’africana Shandurai si mantiene agli studi di medicina, facendo la cameriera in casa di Mr. Kinski, pianista e compositore inglese. Per comprare la liberazione del marito di Shandurai, in carcere per ragioni politiche, Kinski vende i preziosi oggetti antichi che possiede, pianoforte compreso. Conquistato dalla sua generosa dedizione, la giovane contraccambia il suo amore. Quarta storia d’amore di Bertolucci, impregnata e trainata dalla musica (Alessio Vlad), è un film – inizialmente girato per la tv – che procede, in modi concertanti e sconcertanti, per opposizioni: Africa/Europa, povertà/agiatezza, vitalità/nevrosi, leggerezza/intensità. Coinvolgente sul piano sonoro, specialmente nella seconda parte, è geniale su quello spaziale e scenografico. Alla verticalità dei rapporti tra i due protagonisti nella fatiscente casa liberty (il portavivande, le scale) corrisponde lo sviluppo concentrico a spirale (la tromba delle scale con le porte-finestre, il vulcano all’inizio). C’è anche l’opposizione tra l’interno (la casa in vicolo del Bottino a Trinità dei Monti) e l’esterno (una Roma africana e monumentale, calata in una luce calda e dorata). La vicinanza emotiva dell’autore ai due protagonisti induce qualche inconveniente nel disegno della psicologia e più di uno stilema di scrittura (i ralenti, per esempio) può irritare, ma sono emblemi, o tutt’al più peccati veniali, di un film libero e giovane, ricco di malia, invenzioni registiche, sequenze bellissime». (Morandini)

«Quanto alla dinamica a due, colpisce la candida chiave oppositiva scelta per contrapporre Shandurai e Mr. Kinsky, che va ben oltre l’ovvia isotopia musicale (pianismo europeo vs. pop africano), ed evoca coppie antinomiche al centro dell’immaginario coloniale come servo vs. padrone e natura vs. cultura, che si vanno a sommare alle altre differenze dichiaratamente in gioco (genere, razza, classe) in un mix davvero esplosivo. La tensione erotica viene costruita infatti non solo a partire dalla disponibilità e costante vicinanza fisica dei due, ma dall’asimmetria dei rapporti di forza che sollecita il ricordo di antichi diritti acquisiti. (…) L’impressione di chi scrive è, per concludere, che il partito preso di lavorare per sottrazione, esplicitamente dichiarato in diverse interviste, abbia giocato un brutto scherzo a Bertolucci e alla Peploe. A forza di togliere – eludere informazioni, evitare spiegazioni, omettere raccordi – questa «sorta di variazione postmoderna sul tema di Ultimo tango» ha portato allo scoperto strati profondi di un immaginario coloniale, sotto forma di motivi simbolici che appaiono essere stati rimessi in circolo con un imbarazzante candore». (Leonardo De Franceschi, “Cinemafrica”)

Premi: Globi d’Oro 1999 per il Miglior Film e la Migliore Musica

Martedì 24 gennaio
ore 17

Due come noi, non dei migliori (1999)
Regia: Stefano Grossi; soggetto e sceneggiatura: Tiziana Colussi, Daria De Florian, Stefano Grossi; fotografia: Marcello Montarsi; scenografia: Paola Bizzarri; costumi: Chiara Fabbri; musica: Alessandro Forti, Francesco De Luca; montaggio: Graziana Quintalti; interpreti: Stefania Orsola Garello, Marcello Sambati, Adel Bakri, Simona Caramelli, Stefano Abbati, Gemma Marigliani, Mario Patanè, Giorgio Podo, Nisrine Hassak, Dario D’Ambrosi, Dara Deflorian, Giuliana Majocchi, Ivan Lucarelli, Piergiorgio Colangeli, Milutin Dapcevic; origine: Italia; produzione: Laura Cafiero per Metafilm srl; durata: 109′

Due episodi sotto il segno dei versi di Montale (“Non si nasconde fuori dal mondo/ chi lo salva e non lo sa/ è uno come noi, non dei migliori”) che danno anche il titolo all’opera prima di Stefano Grossi. Yusuf è un vetraio tunisino emigrato a Roma, dove lavora come lavapiatti: un altro immigrato, polacco, gli ruba la prima paga all’ufficio postale, mentre una donna italiana, Ivana, lo soccorre e gli lascia in dono uno specchietto per la figlia Saida, rimasta in Tunisia… Ancora Ivana, che ha deciso di isolarsi dal mondo nella sua casa sulla Casilina, fa la traduttrice. Il telefono squilla ma lei non risponde, neppure al maniaco che le lascia inquietanti messaggi sulla segreteria. Finché una sua amica, Lea, non va a stanarla in casa…

«Ci ha messo quasi un anno per uscire nelle sale ‘Due come noi non dei migliori’, titolo che il colto Stefano Grossi, milanese, classe 1963, ha preso in prestito a un verso di Montale. E’ il destino di tanti piccoli film italiani esposti ai capricci di un mercato che sembra aprirsi loro solo con l’arrivo della buona stagione, quando nessuno va più al cinema. Non che ‘Due come noi, non dei migliori’ possa ambire a incassi record, ma chi segue i nostri giovani autori potrebbe rintracciarvi qualche motivo di interesse (…) Rigorosamente fotografato da Marcello Montarsi, il film si perde in qualche sospensione estetizzante di troppo, e la citazione da Emily Dickinson magari suona un po’ gratuita, programmaticamente arty; ma gli interpreti restituiscono l’ulcerata esistenza dei due personaggi con una nota di dolente partecipazione, dai risvolti junghiani nel caso della donna. Qua e là il loro silenzio è interrotto dai rumori di una Roma becera, estenuata, masturbatoria, che parlano più di tanti discorsi». (Michele Anselmi, “L’Unità”, 6 maggio 2000).

ore 19
Occidente (2000)

Regia: Corso Salani; soggetto e sceneggiatura: Monica Rametta, Corso Salani; fotografia: Fabio Zamarion; musica: Flipper Music; montaggio: Luca Benedetti; interpreti: Corso Salani, Agnieszka Czekanska, Monica Rametta, Fabio Sabbioni, Gianluca Arcopinto; origine: Italia; produzione: Pablo; durata: 95′

Proveniente da Bucarest e in possesso di regolare soggiorno, Malvina vive ad Aviano, il paese del Friuli dove ha sede un’importante base militare statunitense. Lavora come cameriera in un ristorante e durante le ore libere segue un corso per infermiera. Alle spalle ha un’esperienza che l’ha segnata: nel 1989 ha partecipato, armi in pugno, alla rivoluzione rumena che ha abbattuto il regime di Ceausescu. Sempre ad Aviano c’é Alberto, giovane professore del locale istituto alberghiero, arrivato da un’altra città. Una sera Alberto va a cena con alcuni colleghi nel ristorante dove lavora Malvina e rimane colpito dalla ragazza. L’incontro con Malvina cambierà profondamente la sua vita.

«È davvero interessante, ed encomiabile, il cammino che Corso Salani si è scelto all’interno del cinema italiano: dopo aver recitato per Marco Risi in due film come ‘Il muro di gomma’ e ‘Nel continente nero’, accanto ad Abatantuono, avrebbe potuto tranquillamente fare l’attore nel cinema ‘commerciale’, invece ha scelto una strada più personale ed inquieta, a cavallo fra cinema narrativo e reportage d’autore. (…) L’Occidente di Salani è una doppia illusione: per noi che sogniamo l’America, per Malvina che ha sognato (altrettanto vanamente) l’Italia. Un film su mille solitudini, una love-story reticente ambientata in una Terra di Nessuno dove politica, memoria, sentimenti sono azzerati. Una Terra di Nessuno chiamata Nord-Est, Italia». (Alberto Crespi, “Film Tv”, 19 dicembre 2000)

ore 21
Tornando a casa (2001)

Regia: Vincenzo Marra; soggetto e sceneggiatura: Vincenzo Marra; fotografia: Ramiro Civita; scenografia: Roberto De Angelis; costumi: Antonella Cannarozzi; musica: Andrea Guerra; montaggio: Luca Benedetti; interpreti: Aniello Scotto D’Antuono, Salvatore Iaccarino, Giovanni Iaccarino, Abdel Aziz Azouz, Roberta Papa, Silverio Iaccarino, Fabio Romano, Marco Prosperini, Mario Doriano, Marcello Scotto Di Minico, Ciro Di Domenico, Giuseppe Di Domenico, Francesco Di Domenico, Angelo Testa, Michele Testa, Scipione Rezzo; origine: Italia; produzione: Classic srl; durata: 88′

Nel tentativo di rendere più copiosa la pesca, Salvatore – capitano di un gruppo di pescatori napoletani in Sicilia – spinge pericolosamente il peschereccio al limite delle acque territoriali africane. Scampato il pericolo, l’equipaggio decide di tornare a Napoli, nella zona Flegrea. Il più giovane di tutti, Franco, vorrebbe mollare tutto e partire per gli Stati Uniti in cerca di fortuna. Salvatore, invece, deve fare i conti con la malavita locale e con gli altri pescatori che non vedono di buon occhio il suo ritorno. La situazione diventa esplosiva, la tragedia è dietro l’angolo. Nel viaggio successivo, quando sono in mare aperto, Franco scompare e viene dato per disperso. Forse la morte é una soluzione. Aggregatosi ad un gruppo di clandestini, Franco, che è vivo, si fa passare per uno di loro, e viene rimpatriato in Africa, dove rimane.

Dalle note di regia: «Dopo aver cercato a lungo, ho trovato quattro meravigliosi pescatori, i protagonisti della mia storia. Loro, insieme a un vero peschereccio e a tutti gli altri attori non professionisti, hanno reso possibile la mia scommessa (…). Ho girato per tre quarti in mare aperto, in presa diretta nel dialetto originale del luogo».

«Marra non si limita a mettere in scena senza estetismi il lavoro rischioso e “inattuale” di chi ogni notte va per mare. Ma capovolge le retoriche dell’emarginazione spingendo il protagonista, colpito da una tragedia anche personale, a rinunciare alla sua identità per fingersi nordafricano, mescolandosi a un gruppo di clandestini rimpatriati». (Fabio Ferzetti, “Il Messaggero”, 4 settembre 2001)

Mercoledì 25 gennaio
ore 17
Saimir (2004)

Regia: Francesco Munzi; soggetto e sceneggiatura: Serena Brugnolo, Dino Gentili, Francesco Munzi; fotografia: Vladan Radovic; scenografia: Valentina Scalia; costumi: Loredana Buscemi; musica: Giuliano Taviani; montaggio: Roberto Missiroli; interpreti: Mishel Manoku, Xhevdet Feri, Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo; origine: Italia; produzione: Orisa Produzioni, Pablo Produzioni; durata: 88′

Saimir, un sedicenne albanese emigrato in Italia, vive in un sobborgo del litorale laziale dove suo padre Edmond gestisce un piccolo traffico di immigrati clandestini. Il ragazzo vorrebbe integrarsi con i coetanei italiani, ma, respinto da tutti, trova conforto solo frequentando un gruppo di rom che lo avvia alla piccola criminalità. Un giorno, Saimir scopre che Edmond è stato coinvolto nell’avviamento alla prostituzione di una minorenne e cerca di salvarla, attirando su di sé le ire dei complici di suo padre. Nonostante l’intervento del genitore, Saimir viene sottoposto a una punizione esemplare che scatena in lui una rabbia feroce che porterà ad un drammatico epilogo.

«Il film, raccontato con piena padronanza di mezzi tecnici e estetici, piena consapevolezza delle questioni etiche e morali, ha una cifra stilistica impressionante (una sorta di realismo rarefatto) e una fotografia straniante (dell’esordiente Vladan Radovic) che vira dal livido all’acquatico, tra grigi e marroni». (Dario Zonta, “L’Unità”, 29 aprile 2005)

«Dopo i molti festival, le molte candidature, i molti premi, fra cui uno a Venezia, torna in sala una delle migliori opere prime della scorsa stagione, di Francesco Munzi. Che racconta con uno stile essenziale e senza retorica, mescolando al meglio volti e paesaggi, parente del realismo oggettivo dei fratelli Dardenne, l’odissea triste di un giovane figlio di un immigrato albanese diviso tra l’illegalità paterna e il sogno di un avvenire legale e forse un po’ borghese. Attori in sintonia, messaggio lanciato senza che si veda il postino». (Maurizio Porro, “Corriere della Sera”, 21 aprile 2006)

Premi: Menzione del Premio De Laurentiis per la Migliore opera prima alla Mostra di Venezia 2004 nella Sezione Orizzonti, Premio Navicella Cinema Italiano – RDC Awards 2005 e Nastro d’Argento 2006 per la regia di un’opera prima

ore 19
Quando sei nato non puoi più nasconderti (2005)

Regia: Marco Tullio Giordana; soggetto e sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Marco Tullio Giordana, dal romanzo omonimo di Maria Pace Ottieri; fotografia: Roberto Forza; scenografia: Giancarlo Basili; costumi: Maria Rita Barbera; montaggio: Roberto Missiroli; interpreti: Alessio Boni, Michela Cescon, Rodolfo Corsato, Matteo Gadoia, Ester Hazan, Vlad Alexandru Toma, Marcello Prayer, Giovanni Martorana, Andrea Tidona, Adriana Asti, Lola Peploe, Simonetta Solder, Fuschia Katherine Sumner, Kubiwimania George Valdesturlo, Fall Diop El Hadji Iba Hamet, Mohamed Nejib Zoghiami, Sini Ngindu Bindanda, Ana Caterina Morariu, Emmanuel Dabone, Paolo Bonanni, Walter Da Pozzo; origine: Italia, Francia, Gran Bretagna; produzione: Cattleya, Rai Cinema, Aquarius Films, Babe; durata: 115′

Sandro ha dodici anni e una vita spensierata in una piccola cittadina di provincia. Un giorno, durante un viaggio in barca nel Mediterraneo con il padre, cade in acqua e non riescono a raggiungerlo prima che sparisca tra le onde. Viene ripescato da uno scafo su cui sono imbarcati dei clandestini che fanno rotta verso l’Italia, sperando in una vita migliore e nel miraggio di un lavoro per poter mantenere le loro famiglie. Tra gli emigranti ci sono due fratelli rumeni, Radu e Alina. Hanno la stessa età di Sandro e tra i tre ragazzi si stringe un rapporto che somiglia sempre più ad un’amicizia, nonostante le diversità e la lingua diversa. Sandro si sente vicino a loro, e soprattutto ad Alina, così bella ai suoi occhi di adolescente. È l’età adulta che irrompe nella sua vita, mostrandogli lo squallore e la crudezza della realtà e costringendolo a guardare il mondo con occhi diversi…

Dalle note di regia: «Tra le fonti: il libro di Maria Pace Ottieri che ha dato il titolo al film, Migranti di Claudio Camarca, un piccolo saggio di Giuseppe Mantovani che s’intitola Intercultura… e naturalmente il cinema. Per quanto non esplicita c’è un’eco di Germania, anno zero di Roberto Rossellini o de I bambini ci guardano di Vittorio De Sica. La passeggiata finale del ragazzo nella “Corea” milanese è un po’, in orizzontale, la passeggiata che in Germania, anno zero il piccolo Edmund fa in verticale, prima di buttarsi giù. Come ne La meglio gioventù, c’è anche Truffaut – qui citato con un tema musicale composto da Georges Delerue per La peau douce – perché pochi come lui hanno saputo raccontare la fragilità dell’adolescenza e i traumi del passaggio verso la maturità».

«Rimossi con La meglio gioventù i suoi anni ’70, Giordana offre un film su essere e apparire, sulla convivenza, sulla multimedialità dei sentimenti. Vuole soprattutto spiazzare: niente pregiudizi e stereotipi, tutto è da conoscere e reinventare, anche a rischio di sacrificare un po’ di snobismo ed emotività per raccontare daccapo, con un cast eccezionale, come sta cambiando l’ Italia». (Maurizio Porro, “Corriere della Sera”, 14 maggio 2005)

ore 21
La sconosciuta (2006)

Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Tornatore; collaborazione al copione: Massimo De Rita; fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Massimo Quaglia; musiche: Ennio Morricone; costumi: Nicoletta Ercole; scenografia: Tonino Zera; suono: Gilberto Martinelli; interpreti: Ksenia Rappoport, Michele Placido, Claudia Gerini, Piera Degli Esposti, Alessandro Haber, Pierfrancesco Favino, Clara Dossena, Margherita Buy; produzione: Medusa Film, Manigolda Film, Sky; formato: 35 mm; durata: 118′.
Una metropoli italiana, oggi. Irena è una donna arrivata da qualche anno dall’Ucraina. Alle sue spalle ha un viaggio lungo e terribile e poi, in Italia, l’incontro con uomini senza scrupoli che si sono approfittati di lei, della sua ingenuità, della sua giovinezza. Malgrado sia passato tanto tempo, Irena non riesce ancora a dimenticare le tante umiliazioni e violenze subite. Ha un solo ricordo dolce, quello di un amore intenso che però ha perduto. Benché non sia più giovanissima, Irena è ancora una donna affascinante e, nonostante si nasconda dietro un’apparenza dimessa, nei suoi occhi brilla il fuoco della ribellione. Dopo lunghe e ragionate manovre, un giorno convince il portinaio del palazzo in cui vive ad aiutarla e a farla assumere come donna delle pulizie per il casermone di fronte. Irena si impegna senza risparmiarsi e lustra ogni angolo delle scale e dell’androne. Ma in realtà il suo obiettivo è un altro. Tiene d’occhio una famiglia di orafi che abita lì, gli Adacher. Donato e sua moglie Valeria si stanno separando e la loro unica figlia, Tea, sembra soffrirne particolarmente. Irena diventa amica di Gina, la loro anziana domestica e, pian piano, riesce ad entrare in quella casa. Gli Adacher la assumono come donna delle pulizie e Irena inizia a farsi strada nel cuore della piccola Tea. Un giorno, però, all’improvviso, ecco comparire un’ombra del passato di Irena, il suo antico aguzzino “Muffa”, che porta con sé una scia di nuovi orrori e violenze.
«La sconosciuta, innescato da un moto d’umanistica pietà per le violenze e le umiliazioni che toccano a tante ragazze emigrate in Italia dai paesi dell’Est postcomunista, si concentra e si sviluppa appieno sul registro di un giallo dell’anima, un noir al femminile, una prolungata e tormentosa partita a scacchi con il passato che alza la posta dei facili pamphlet contro i recessi della cronaca più oscuri e ripugnanti. A sei anni da Malena, il regista più dotato e generoso della sua generazione sceglie le tonalità struggenti di un incubo che si materializza progressivamente negli occhi, nei gesti, nelle azioni della protagonista e del coro di esseri ambigui e sinistri evocati da una trance sul filo del rasoio di Hitchcock e di Polanski. (…) La sinuosa onnipotenza di regia, insomma, non specula – come nei thriller seriali – sul pathos della povera perseguitata, bensì lo spende sul piano della lotta disperata per un potere alternativo a quello degli orridi fantasmi che le sono ormai alle spalle». (Valerio Caprara, “Il Mattino”, 19 ottobre 2006)
David di Donatello 2007 (miglior film, regia, attrice protagonista, fotografia e musica) e Nastro d’Argento 2007 (miglior film, regia, musica e attore non protagonista), La sconosciuta ha rappresentato l’Italia agli Oscar 2008 per il miglior film straniero e ha scoperto il talento dell’attrice russa di teatro, cinema e fiction Ksenia Rappoport.

Giovedì 26 gennaio
ore 17
Io, l’altro (2006)

Regia: Mohsen Melliti; soggetto: Mohsen Melliti; sceneggiatura: Mohsen Melliti con Alessandro Sigalot e Saverio Di Biagio; fotografia: Maurizio Calvesi; montaggio: Marco Spoletini; musiche: Roberto Colavalle, Louis Siciliano; costumi: Carolina Olcese; suono: Gilberto Martinelli; interpreti: Raoul Bova, Giovanni Martorana, Mario Pupella, Davide Lo Verde, Alessia Luongo, Samia Zibidi; produzione: Trees Pictures e Sanmarco Film in associazione con Passworld, Minollo Film, Usmarketing; formato: 35 mm; durata: 80′.
L’acquisto di un peschereccio usato permetterà finalmente a Giuseppe e Yousef di affrancarsi dopo anni di lavoro sotto padrone. Quando il mondo viene sconvolto dall’ennesimo atto terroristico, per Yousef e Giuseppe tutto sembra andare avanti allo stesso modo, fino a quando, durante una battuta di pesca in mezzo al mare, la radio annuncia che la Polizia Internazionale sta ricercando un terrorista di nome Youssef.
«Io, l’altro, affronta un tema così decisivo con uno stile semplice, d’ispirazione post neorealista. Però spiega bene ciò che, con parole dotte, va ripetendo il grande sociologo Zygmunt Barman: l’incertezza e la precarietà della vita contemporanea trovano un capo espiatorio “nell’altro”, facendone il colpevole di tutti i mali; anche se in realtà, come recita il titolo, “io” e “l’altro” sono la stessa cosa. Se il pescatore italiano diventa il suo persecutore per diffidenza e pregiudizio, neppure Youssef è rappresentato come un santo: lo dimostra l’episodio del ritrovamento di un cadavere, gettato da una carretta del mare. Pur a prezzo di qualche ingenuità, quello di Mohsen Melliti è un film civile, benintenzionato, a suo modo importante». (Roberto Nepoti, “La Repubblica”, 18 maggio 2007)
«Il dramma di questi due uomini nel film viene rappresentato attraverso una forma espressiva che si colloca in una posizione di confine tra il teatro e il cinema ed è amplificato dall’isolamento, perché i due pescatori si trovano nel mezzo del mare che, come dice Giuseppe, “devi rispettare perché non lo conoscerai mai fino in fondo”. Io, l’altro in breve tempo prende una forma che sia avvicina a quella del thriller psicologico, alternando il punto di vista di Giuseppe a quello di Yousef, per poi prendere le vesti di una tragedia: il tradimento in un sentimento profondo come l’amicizia, o l’amore, non si può perdonare, e non a caso la barca si chiama Medea». (Alice Casalini, “Cinemafrica”)

ore 19
Omaggio al maestro Vittorio De Seta
Lettere dal Sahara (2006)

Regia: Vittorio De Seta; soggetto e sceneggiatura: Vittorio De Seta; fotografia: Antonio Grambone; montaggio: Marzia Mete; musiche: Fabio Tronco, L’Orchestra di Piazza Vittorio, Ismaël  Lô; costumi: Fabio Angelotti; scenografia: Fiorella Cicolini; interpreti: Djibril Kebe, Paola Ajmone Rondo, Stefano Saccotelli, Madawass Kebe, Fifi Cisse, Thierno Ndiaye, Luca Barbeni; produzione: A.S.P., Metafilm, con il contributo del MiBac; formato: 35 mm; durata: 123′.
Assane, un senegalese naufrago sull’isola di Lampedusa, in sei mesi risale l’Italia passando per Napoli, Firenze e Torino, cambiando di volta in volta lavoro. Quando finalmente riesce a ottenere il permesso di soggiorno, viene quasi linciato in una rissa fuori da una discoteca ed entra in crisi. Decide allora di tornare in Senegal e, una volta tornato al villaggio natale, di fronte alle insistenze del suo vecchio maestro, racconta la sua esperienza.
«De Seta (…) attraverso gli occhi di Assane sembra descrivere impressionisticamente, senza tentare di spiegare, la realtà italiana e quella dell’immigrazione: due mondi che scorrono paralleli, senza (quasi) mai incontrarsi. Ma è grazie all’acume e all’attenzione del regista che, come spettatori e come cittadini, scopriamo – forse la prima volta così nettamente – che dietro ogni immigrato c’è un emigrato. Una persona che ha una storia, un passato, una famiglia e degli affetti lasciati alle spalle per il desiderio di una vita migliore: in modo semplice e icastico De Seta spiega meglio di qualsiasi servizio televisivo l’inutilità e l’ingiustizia di una legge che considera l’immigrazione come un problema di ordine pubblico piuttosto che come un dramma umano e sociale che provoca dolore, ma anche immensa ricchezza». (Maria Coletti, “Cinemafrica”)

ore 21
Riparo (2007)

Regia: Marco Simon Puccioni; soggetto e sceneggiatura: Marco Simon Puccioni, Monica Rametta, Heidrun Schleef; fotografia: Tarek Ben Abdallah; montaggio: Roberto Missiroli; musiche: Cristiano Fracaro; costumi: Ludovica Amati; scenografia: Emita Frigato; suono: Luca Bertolin, Michele Tarantola; interpreti: Maria de Medeiros, Antonia Liskova, Mounir Ouadi, Vitaliano Trevisan, Gisella Burinato, Gerard Koloneci; produzione: Mario Mazzarotto per Intel Film, RAI Cinema, Adésif; formato: 35 mm; durata: 100′.
Anna e Mara tornano dalla loro vacanza in Tunisia: vivono insieme e hanno una relazione complicata dal fatto che Mara lavora come operaia nella fabbrica di scarpe di proprietà della famiglia di Anna. La loro vita si complica ancora di più nel momento in cui Anis, un ragazzo marocchino, si nasconde nella loro automobile per raggiungere l’Italia clandestinamente. Per un po’ di tempo la convivenza dei tre sembra andare per il meglio, ma quando il ragazzo perde il lavoro e manifesta un forte sentimento per una delle due ragazze, l’equilibrio del ménage inizia a vacillare…
«Il buonismo di Anna e l’apparente freddezza di Mara nascondono il triste, e più o meno consapevole, uso per fini personali che le due donne fanno del ragazzo: Anis è lo strumento per ricattarsi a vicenda, per cercare uno stimolo a reagire ed a guardare in faccia la realtà. Nessuno dei tre protagonisti sa esattamente quello che vuole e cosa diventare, anche nel caso di Anis, apparentemente sicuro del suo percorso. Ognuno dei tre si trova costretto a cambiare e a guardarsi allo specchio (…). I tre girano su se stessi, si cercano e si rincorrono tra le verdi e fredde colline del Friuli Venezia Giulia e attorno alla rotonda dove troneggia una sedia enorme, simbolo dell’Italia che produce». (Alice Casalini, “Cinemafrica”)

Venerdì 27 gennaio
VARIAZIONE DI PROGRAMMA:

IL CINEMA E’ CHIUSO CAUSA SCIOPERO
I CORTOMETRAGGI CSC PRODUCTION PREVISTI PER LE ORE 19.00
SARANNO PROIETTATI DOMENICA 29 GENNAIO ALLE ORE 16.30 AL POSTO DEL FILM “LA-BAS” DI GUIDO LOMBARDI

Sabato 28 gennaio
ore 16.30
La giusta distanza (2007)

Regia: Carlo Mazzacurati; soggetto: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati; sceneggiatura: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Paolo Cottignola; musiche: Tin Hat; costumi: Francesca Sartori; scenografia: Giancarlo Basili; suono: Remo Ugolinelli; interpreti: Giovanni Capovilla, Ahmed Hafiene, Valentina Lodovini, Giuseppe Battiston, Fabrizio Bentivoglio, Ivano Marescotti; produzione: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema; formato: 35 mm; durata: 106′.
In un piccolo paese immaginario alle foci del Po ha luogo la relazione tra Hassan, un meccanico tunisino, onesto lavoratore stimato e rispettato dai suoi compaesani, e Mara, una giovane supplente che ha accettato l’incarico di insegnante a tempo determinato. Testimone degli avvenimenti tragici che inaspettatamente vedono protagonisti i due amanti è Giovanni, un giovane aspirante giornalista, amico di Hassan, costretto a fare i conti con i suoi sentimenti di amicizia e con il dovere di cronaca.
«Il fascino del film sta altrove. Nei paesaggi, in primis: Mazzacurati torna sui luoghi del suo brillantissimo esordio, Notte italiana (1987), e li racconta col senno di poi. E’ un nord-est abbagliante, magnificamente fotografato da Luca Bigazzi, nel quale si nascondono solitudini, rancori, violenze inespresse. Si parla anche di immigrazione, di lavoro in nero, della voglia di fuggire da un delta inquinato come il fiume che lo forma. La giusta distanza è il ritratto di un paese malato, in cui forse è inutile cercare colpevoli perché nessuno è innocente. Molto bravi i due protagonisti (Valentina Lodovini e Ahmed Hafiene), brillanti i cammei di tre talenti quali Fabrizio Bentivoglio, Giuseppe Battiston e Ivano Marescotti». (Alberto Crespi, “L’Unità”, 20 ottobre 2007)

ore 18.30
Incontro con Marco Turco
La straniera (2008)  (ingresso gratuito)

In collaborazione con La Beffa Produzioni
Regia: Marco Turco; soggetto e sceneggiatura: Marco Turco e Monica Zapelli, con la collaborazione di Andrea Porporati, dal romanzo omonimo di Younis Tawfik; fotografia: Paolo Carnera e Alessandro Pesci; montaggio: Massimo Quaglia; musiche: Natacha Atlas, Tim Wheelan, Hamilton Lee; costumi: Silvia Nebiolo; scenografia: Alessandro Marrazzo; interpreti: Kaltoum Boufangacha, Ahmed Hafiene, Sonia Bergamasco, Claudio Gioè, Beauty Obasuvi, Jamil Hammoudi, Chiara Nicola, Eugenio Allegri, Aziza Nadir, Mohamed Majd; produzione: Monica Iezzi e Melania Iezzi, per La Beffa Produzioni, in collaborazione con Rai Cinema; formato: 35 mm; durata: 110′.
Amina, una giovane araba, giunge clandestinamente in Italia con il marito, ma poco dopo il loro arrivo lui scappa lasciandola sola. Per riuscire a sopravvivere, la donna entra nel giro della prostituzione, ma quando incontra Naghib, un architetto connazionale di cui si innamora, ricambiata, vede un barlume di speranza per una vita migliore. Tuttavia, la sua felicità è destinata a breve durata perché quando Naghib scopre come si guadagna da vivere le chiede di scomparire dalla sua vita. Quando lui si renderà conto dell’importanza di Amina nella sua vita e inizierà a cercarla per le strade di Torino, forse sarà troppo tardi…
«È uscito almeno in homevideo, La straniera di Marco Turco, che nessun distributore ha avuto il coraggio di portare in sala. (…) L’epilogo del film è molto diverso da quello, disperato e lisergico, del romanzo, e non è l’unica licenza che si prendono Turco e i suoi sceneggiatori (…). Nell’operazione di adattamento dal romanzo, il carattere di Amina perde forse di intensità ma viene depurato dal fastidioso e insistito riferimento a una sessualità ferina, secondo modelli archetipici comuni alla cultura mediterranea (da Aicha Kandisha alla Lupa verghiana). Nel panorama dei film che indagano la condizione dei migranti in Italia, l’opera prima di Marco Turco si ritaglia un posto significativo. Per la prima volta, forse, vediamo portati in un ruolo da protagonisti due migranti (e non, poniamo, uno straniero e un’italiana, o viceversa). Il regista e gli sceneggiatori fanno del loro meglio per assicurare allo spettatore una dinamica di coinvolgimento sentimentale, tale da superare pregiudizi e steccati ideologici. Lo fanno, correndo il rischio di alcune forzature e scorciatoie da fiction televisiva (…). Ma la quadratura drammaturgica dei due personaggi principali è assai solida, grazie a una convincente direzione/resa attoriale». (Leonardo De Franceschi, “Cinemafrica”)

ore 21.15
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (2010) (ingresso gratuito)

In collaborazione con Bolero Film
Regia: Isotta Toso; soggetto e sceneggiatura: Maura Vespini, Isotta Toso, dal romanzo omonimo di Amara Lakhous; fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Patrizio Marone; musiche: Gabriele Coen e Marco Rivera; costumi: Eva Coen; scenografia: Anna Forletta; suono: Gilberto Martinelli; interpreti: Kasia Smutniak, Daniele Liotti, Serra Yilmaz, Ahmed Hafiene, Marco Rossetti, Kesia Elwin, Milena Vukotic, Luigi Diberti, Roberto Citran, Francesco Pannofino, Ninetto Davoli, Fabio Traversa; produzione: Maura Vespini e Sandro Silvestri per Emmecinema; formato: 35 mm; durata: 96′.
Roma, quartiere Esquilino. In uno stabile di Piazza Vittorio, tra i vari condomini ha luogo uno “scontro di civiltà” sull’uso dell’ascensore, dovuto all’appartenenza a diverse identità culturali, religiose e di classe che fanno nascere diffidenze, malintesi e piccole prevaricazioni. Una morte improvvisa e un’indagine poliziesca romperà “l’instabile equilibrio” condominiale allontanando per un momento ogni contrasto…
«La Piazza Vittorio come via Padova a Milano, zona di conflitti multietnici che rimandano a vecchi vizi sociali. Epicentro, un ascensore di un condominio dove nessuno è come sembra ma un delitto, risolto alla Agatha Christie, mette a nudo ossessioni di ancien e nuovo régime. Isotta Toso mette tutta l’ideologia in tavola ed è troppa, ma ha il coraggio dell’impegno, fa qualche proclama di buon senso tra le macerie dei derelitti e il cast funziona bene nella contaminazione degli stili». (Maurizio Porro, “Corriere della Sera”, 14 maggio 2010)
«Molta della feroce energia dissacrante e della lacerante trascrizione di un’esperienza d’esilio sono andati persi nel passaggio dalla pagina allo schermo. Ma a colpire negativamente è la constatazione che nella trasposizione – resa difficoltosa (di qui la scommessa) dal fatto che si tratta, a suo modo, di una sorta di romanzo epistolare, o confessionale, a più voci, alla Rashomon, senza un vero e proprio plot – si siano operate scelte sceneggiatoriali che hanno avuto l’effetto di marginalizzare e ridimensionare il personaggio di Amedeo/Ahmed, narratore per così dire privilegiato del romanzo, depositario ultimo dell’ethos e del vissuto dello scrittore algerino». (Leonardo De Franceschi, “Cinemafrica”)

Domenica 29 gennaio
VARIAZIONE DI PROGRAMMA: IL FILM “LA-BAS” DI GUIDO LOMBARDI E L’INCONTRO CON LA PRODUTTRICE MARTA BIFANO NON AVRANNO LUOGO PER MANACATA AUTORIZZAZIONE DELLE PROSUZIONE E DELLA DISTRIBUZIONE
ALLE 16.30 CORTOMETRAGGI CSC PRODUCTION

La rivale (2006)
Regia: Carlo Pisani; soggetto e sceneggiatura: Serena Cervoni, Mariano Di Nardo, Carlo Pisani; fotografia: Renzo Angelillo; montaggio: Gianni Forteleoni; musiche: Umberto Smerilli; scenografia: Lia Canino; costumi: Vanessa Mantellassi; suono: Andrea Sileo; interpreti: Carmen Giardina, Djibril Kebe, Ayda Mbaye; produzione: CSC Production; formato: 35 mm; durata: 17′.
Adelaide, un’insegnante quarantenne, convive con Steven (Djibril Kebe, il protagonista di Lettere dal Sahara di Vittorio De Seta), un conduttore radiofonico senegalese di dieci anni più giovane. La loro serena vita di coppia è sconvolta dall’arrivo di Oumi, la sorella di Steven. Ma è veramente sua sorella?
Dentro Roma (2006)
Regia: Francesco Costabile; soggetto e sceneggiatura: Francesco Costabile, Devor De Pascalis, con la collaborazione di Francesco Apice, Daniela Gambaro, Francesco Lodico; fotografia: Valentina Summa; montaggio: Stefano Mariotti; musiche: Rocco Centrella, Gianluca Licciardi; costumi: Alessandra Stella; scenografia: Giovanna Cirianni; suono: Valentino Giannì; interpreti: Vlad Alexandru Toma, Cosimo Bani, Sandrina Seserman, Giuseppe Antignati; produzione: CSC Production; formato: 35 mm; durata: 27′.
Il ricordo di una notte trascorsa percorrendo le strade della città eterna, seguendo i passi di due giovani ragazzi: Vlad, moderno ragazzo di vita rumeno, e Cosimo, appena trasferitosi in città. Entrambi alla ricerca di una redenzione, di una liberazione o forse di un luogo in cui nascondersi.

a seguire
Dentro Roma(2006)
Regia: Francesco Costabile; soggetto e sceneggiatura: F. Costabile, Devor De Pascalis, con la collaborazione di Francesco Apice, Daniela Gambaro, Francesco Lodico; fotografia: Valentina Summa; montaggio: Stefano Mariotti; musiche: Rocco Centrella, Gianluca Licciardi; costumi: Alessandra Stella; scenografia: Giovanna Cirianni; suono: Valentino Giannì; interpreti: Vlad Alexandru Toma, Cosimo Bani, Sandrina Seserman, Giuseppe Antignati; produzione: CSC Production; durata: 27′
Il ricordo di una notte trascorsa percorrendo le strade della città eterna, seguendo i passi di due giovani ragazzi: Vlad, moderno ragazzo di vita rumeno, e Cosimo, appena trasferitosi in città. Entrambi alla ricerca di una redenzione, di una liberazione o forse di un luogo in cui nascondersi.

La seconda famiglia (2009)
In collaborazione con Medusa Film
Regia: Alberto Dall’Ara; soggetto e sceneggiatura: Andrea Cedrola, Stefano Grasso, Carlotta Massimi, Alberto Dall’Ara; fotografia: Ethel Pistritto; montaggio: Han Eul Lee; musiche: Roberto Boarini; costumi: Alice Bucelli; scenografia: Lara Sikic; suono: Giulio Capanna, Vincenzo Schiavo; interpreti: Alba Rohrwacher, Rinat Khismatouline, Karina Drahynych, Claudia Della Seta, Alberto Di Stasio, Alessandro Mistichelli; produzione: CSC Production, Medusa Film; formato: 35 mm; durata: 26′.
Roma. Margherita, giovane assistente sociale, dà lezioni di italiano alla piccola Alina, da poco in Italia, e instaura con la famiglia della bambina un rapporto che va al di là di quello professionale.

Ore 18.30
Incontro con Andrea Segre
Io sono Li (2011) (ingresso gratuito)

Copia per gentile concessione di Parthenos
Regia: Andrea Segre; soggetto: Andrea Segre; sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Sara Zavarise; musiche: François Couturier; costumi: Maria Rita Barbera; scenografia: Leonardo Scarpa; suono in presa diretta: Alessandro Zanon; interpreti: Zhao Tao, Rade  Serbedzija, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston; produzione: Francesco Bonsembiante per Jolefilm, in coproduzione con Francesca Feder per Aeternam Films, in collaborazione con Rai Cinema, in co-produzione con Arte France Cinéma; formato: 35 mm; durata: 96′.
Shun Li lavora in un laboratorio tessile della periferia romana per ottenere i documenti e riuscire a far venire in Italia suo figlio di otto anni. All’improvviso viene trasferita a Chioggia, una piccola città-isola della laguna veneta per lavorare come barista in un’osteria. Bepi, pescatore di origini slave, soprannominato dagli amici “il Poeta”, da anni frequenta quella piccola osteria. Il loro incontro è una fuga poetica dalla solitudine, un dialogo silenzioso tra culture diverse, ma non più lontane. È un viaggio nel cuore profondo di una laguna, che sa essere madre e culla di identità mai immobili. Ma l’amicizia tra Shun Li e Bepi turba le due comunità, quella cinese e quella chioggiotta, che ostacolano questo nuovo viaggio, di cui forse hanno semplicemente ancora troppa paura.

«Cambiare Paese è anche sperimentare letteralmente questo spaesamento, fare esperienza di morte e (forse) rinascita, è la quotidianità purgatoriale – in certi momenti infernale – del viaggio: andare concretamente al di là (ma il bar dove la donna serve si chiama Paradiso…). E Segre, già abituato a documentare questo trapasso nella sua attività di film maker, qui riesce a non ridurre il dramma alla mera cronaca, a trascendere una denuncia per quanto necessaria del reale, e con sensibilità misurata e visione personale – di cui la par condicio dialettica (veneto e cinese come lingue ugualmente straniere) è soltanto un indizio rivelatore – descrive la potenza incandescente dell’incontro, la forza scandalosa dello sguardo, la poesia come materia che arde. “Dunque il poeta è veramente un ladro di fuoco” direbbe Rimbaud, ma qui il riferimento è alla festa delle barchette in onore del poeta cinese Qu Yuan: candele trasportate dalla corrente (…). Come fiamme nell’acqua, persistenti e labili, trascinate da derive inattese, gli uomini e le donne che si salvano reciprocamente con il candore della parola e lo scandalo dell’amore offrono un esempio assoluto di resistenza alla grettezza della società (…)». (Matteo Columbo, “Duellanti”, novembre 2011)

Premi: presentato all’8a edizione delle Giornate degli Autori/Venice Days (Mostra di Venezia 2011), ha ricevuto il Premio Fedic, il Premio Lanterna Magica (CGS) e il Premio Lina Mangiacapre.

ore 21.15
Good morning Aman (2009) (ingresso gratuito)

In collaborazione con Cinecittà Luce
Regia: Claudio Noce; soggetto e sceneggiatura: Heidrun Schleef, Diego Ribon e Claudio Noce, con la collaborazione di Elisa Amoruso; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Andrea Maguolo, Paola Freddi; musiche: Valerio Vigliar; costumi: Veronica Fragola; scenografia: Paki Meduri; suono: Mirko Perri; interpreti: Valerio Mastandrea, Said Sabrie, Anita Caprioli, Amin Nur, Giordano De Plano, Adamo Dionisi, Sandra Toffolati, Rino Diana; produzione: DNA Cinematografica, Rai Cinema, Relief, con il contributo del MiBAC; formato: 35 mm; durata: 103′.
Roma. Aman, ventenne di origine somala che lavora presso un rivenditore di auto usate, una sera incontra Teodoro, ex pugile quarantenne intrappolato nel suo oscuro passato. Tra i due nascerà un sodalizio che aiuterà entrambi a dare una svolta alle rispettive esistenze.
«Cose mai viste. Un film italiano con un ragazzo nero per protagonista. Una storia gonfia del razzismo spicciolo e persistente che avvelena gli italiani, raccontata senza sconti ma evitando le prediche e il ricatto dell’attualità. Facce, corpi, voci di una Roma popolare e malavitosa, dimenticata dal cinema ma ancora ostinatamente presente. Un complicato gioco di specchi fra sogni e destini di un ex-pugile sui quaranta che non esce più di casa e un ragazzino di origine somala che parla il romano del Corviale (l’inedito Said Sabrie). Il tutto morbidamente impastato in un film che fonde con disinvoltura ruvidezze quasi pasoliniane e virtuosismi da clip o da film di Spike Lee. Parliamo del notevole Good Morning Aman, debutto di un regista già molto apprezzato per corti e documentari, Claudio Noce. Non una commedia e nemmeno un dramma sociale, una di quelle storie esemplari ispirate alla cronaca che piacciono tanto alle nostre tv, ma una autentica tragedia, come il nostro cinema osa fare di rado, cucita addosso a due scorticati vivi che non hanno nulla in comune ma che faranno un pezzo di strada insieme. Malgrado tutto».
(Fabio Ferzetti, “Il Messaggero”, 13 novembre 2009)

 

Date di programmazione