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Musicisti dello schermo: Alessandro Cicognini
05 Giugno 2012 - 05 Giugno 2012
“Uomo per tutte le stagioni” nel senso più felice e nobile del termine, Alessandro Cicognini (1906-1995) ha attraversato, da autentico protagonista musicale, un trentennio tra i più fecondi e variegati del cinema italiano, misurandosi da par suo con i più disparati soggetti, stili e generi: nessuno escluso, almeno tra quelli frequentati dalla nostra cinematografia pre e post-bellica. Accostatosi allo schermo nel 1936 con I due sergenti di E. Guazzoni, Cicognini se ne ritira spontaneamente nel 1965, a neppure 60 anni, licenziando musicalmente l’ennesimo, svigorito capitolo della saga di Guareschi: Il compagno don Camillo, diretto da Luigi Comencini. In mezzo, oltre cento partiture per lo schermo, tra le quali più di una pietra miliare della musica cinematografica nazionale. Eppure, a dispetto di tanti risultati importanti e dell’altissima considerazione goduta anche tra i suoi colleghi, Cicognini, dopo uno slancio iniziale venato di utopia – testimonierà a Francesco Savio che «si illudeva che il cinematografo potesse in un certo senso sostituire il melodramma» -, si mostra via via più disilluso e amareggiato circa il ruolo effettivo che la musica può svolgere nel tessuto e nell’economia espressiva del film. Fino a che – a metà anni Sessanta, come s’è detto – si ritira dal set confessando poi che «la professione di musicista cinematografico gli aveva riservato molte amarezze, che talvolta aveva “sfiorato l’infelicità”». Ma questo disincanto non è esclusivo della fase terminale della sua parabola professionale: caso forse unico nel cinema italiano, Cicognini mostra di guardare al proprio ruolo e ai propri lavori – anche i più blasonati, come La corona di ferro (1941), Ladri di biciclette (1948) o Miracolo a Milano (1951) – con senso autocritico spiccato e quasi abrasivo; come quando ammette dinanzi alle telecamere della trasmissione Colonna sonora la sostanziale incapacità, sua e d’altri colleghi, di aver pienamente compreso caratteri e portata del fenomeno neorealista. Che si sia d’accordo o meno con una così insolita inclinazione verso bilanci tanto sinceri da suonare impietosi, certo non si può non riconoscere l’unicità di Cicognini nel porsi criticamente di fronte al suo artigianato, ed è comunque impensabile liquidarne frettolosamente pagine musicali di straordinario valore come quelle che troviamo disseminate in film quali Ettore Fieramosca (1938) o Una romantica avventura (1940), o ancora Prima comunione (1950), Ulisse (1954) e Il giudizio universale (1961) con la sua surreale ninna-nanna. Quel che appare chiaro, e che l’indagine storiografica non tarderà a registrare, a ormai 50 anni dall’allontanamento di Cicognini dal set e a quasi 20 dalla sua scomparsa, è che il suo contributo al cinema italiano – per brevità citiamo solo le molte collaborazioni con Vittorio De Sica e a buona parte della produzione di Blasetti – è essenziale, e di rara qualità. Come già nel 1940 aveva ben compreso Ennio Flaiano che, recensendo Un’avventura di Salvator Rosa, sulla musica di Cicognini scrive: «Un cenno a parte merita il commento musicale, ottimo. Questo film mostra cosa si può fare in Italia quando ad una seria organizzazione si affiancano degli ingegni agili e sensibili».
Rassegna a cura di Sergio Bassetti
 
ore 17.00
Un’avventura di Salvator Rosa (1940)
Regia: Alessandro Blasetti; soggetto: da una trama di Ugo Scotti Berni; sceneggiatura: Corrado Pavolini, A. Blasetti, Renato Castellani; dialoghi: Giuseppe Zucca; fotografia: Vaclav Vich; scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Gino C. Sensani; musica: Alessandro Cicognini diretta da Pietro Sassoli; montaggio: Mario Serandrei, A. Blasetti; interpreti: Gino Cervi, Luisa Ferida, Rina Morelli, Osvaldo Valenti, Ugo Ceseri, Umberto Sacripante; produzione: Stella Film; origine: Italia; durata: 97′
Napoli. La rivolta di Masaniello è fallita. Il peso della dominazione spagnola diventa ogni giorno più insopportabile. Il pittore Salvatore Rosa, conosciuto e ammirato dagli spagnoli, ha anche un’altra identità, quella di Formica, sorta di Robin Hood che si batte in favore degli oppressi e trama contro i potenti. «Un’avventura di Salvator Rosa è prodotto e distribuito nella stagione cinematografica 1939-40, quella in cui si cominciano a sentire gli effetti del R.D.L. 4 settembre 1938 n. 1398, sul “monopolio per l’acquisto, l’importazione e la distribuzione in Italia, possedimenti e colonie, dei film cinematografici provenienti dall’estero”. […] Tuttavia, all’epoca, fu soprattutto il film di Blasetti a godere di consensi. Isani […] lo definì addirittura “il miglior film italiano prodotto dal 1930 in poi» (Gori).
©1939 Stella Film; ©1996 Marzi Vincenzo; ©2004 MARZI SRL
Per gentile concessione di Ripley’s Film – Ingresso gratuito
 
ore 19.00
Ulisse (1954)
Regia: Mario Camerini; soggetto: dall’Odissea di Omero; sceneggiatura: Franco Brusati, M. Camerini, Ennio De Concini, Hugh Gray, Ben Hecht, Ivo Perilli, Irwin Shaw; fotografia: Harold Rosson; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Giulio Coltellacci; musica: Alessandro Cicognini diretta da Franco Ferrara; montaggio: Leo Catozzo; interpreti: Kirk Douglas, Silvana Mangano, Anthony Quinn, Franco Interlenghi, Elena Zareschi, Rossana Podestà; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 104′
Mentre ad Itaca Penelope tiene a bada i Proci, attendendo col figlio Telemaco il ritorno del marito, Ulisse si sveglia sulla spiaggia dell’isola dei Feaci, incontra Nausicaa e, ritrovata la memoria, rievoca le sue peripezie. Il re Alcinoo gli dà una nave per tornare ad Itaca… Alessandro Cicogniniaveva uno stile che ereditava le marche espressive dell’operismo pucciniano e verdiano che si ibridava spesso con le note delle canzoni popolare italiane.
 
ore 21.00
Incontro moderato da Sergio Bassetti con Manuel De Sica
 
a seguire
Stazione Termini (1953)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, Luigi Chiarini, Giorgio Prosperi; dialoghi inglesi: Truman Capote; fotografia: G.R. Aldo [Aldo Graziati]; scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Alessandro Antonelli; musica: Alessandro Cicognini diretta da Franco Ferrara; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Jennifer Jones, Montgomery Clift, Gino Cervi, Paolo Stoppa, Nando Bruno, Enrico Glori; origine: Italia/Usa; produzione: Vittorio De Sica Produzioni, David O. Selznick; durata: 88′
«Maria, giovane signora americana, arriva a Roma per trascorrere un periodo di tempo con sua sorella. Ha lasciato a Philadelphia il marito e la figlioletta. Quando conosce Gianni Doria, un insegnante italiano, però, si innamora pazzamente di lui e inizia una relazione con lui. Dopo un mese, in seguito a una telefonata dall’America, Maria decide di ripartire immediatamente. Gianni la insegue e la raggiunge alla stazione, chiedendole almeno una spiegazione» (www.cinematografo.it) . «In effetti, questo primo tentativo di grande cinema commerciale si configura per De Sica come un compromesso a tutti i livelli. Per i dialoghi inglesi fu chiamato a seguire il film Truman Capote e perfino per le inquadrature in primo piano di Jennifer Jones, Selznick pretese che ci fosse un operatore speciale, Oswald Morris, mentre Aldo Graziani si doveva occupare dei campi lunghi. Eppure, De Sica è riuscito lo stesso ad imprimere al film un suo tono. Intanto ha colto, di tutta la storia d’amore, il momento più significativo, più intenso, concentrando la messa in scena sulla crisi morale-affettiva prodotta dalla drammatica indecisione di Mary, giovane signora americana in viaggio in Italia, madre di una bambina e colpita dal fulmine di un amore italiano […]. Dalla parte della regia, invece, De Sica sfodera tutta la sua maestria nell’uso del tempo, in quel suo modo specifico di adeguarlo, di compenetrarlo ai fatti, anche piccoli, in modo da trasformare i personaggi in esseri viventi. Sicché, al di là delle “sciocchezze” che la signora di Filadelfia e il giovane italiano (figlio di un’americana) si dicono, resta un sentimento profondo, che scaturisce da quel tempo trascorso insieme lì nella stazione in attesa del treno. È un sentimento di speranza, di attaccamento ad una realtà sognata, una realtà che si desidera diversa e che non si trova il modo di costruire veramente» (Pecori). «Il film tutto intero è una metafora o piuttosto lo svolgimento immaginario di una realtà spirituale» (Henri Agel).
Ingresso gratuito

 

 

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