Mario Serandrei, un intellettuale in moviola
07 Gennaio 2016 - 10 Gennaio 2016
Il nome di Mario Serandrei per trentacinque anni, dall’avvento del sonoro alla metà degli anni Sessanta, si è stagliato imperioso su una buona parte del cinema italiano, a cui nel buio della sua moviola ha conferito l’immagine più splendente. Ma sarebbe riduttivo restringere l’apporto di Serandrei alla causa del cinema alla sola attività di montatore, che peraltro nobilitò togliendole la parvenza di pura perizia tecnica. Serandrei è stato un ideologo del cinema: si è interrogato, inseguendo massimi sistemi, e ne ha scritto con profonda cognizione, concependo il termine più abusato della nostra storia cinematografica, neorealismo («Non so come potrei definire questo tipo di cinema se non con l’appellativo di neo-realismo», scrisse in una lettera a Visconti a proposito di Ossessione, da molti considerato l’incipit di quel movimento). Nel 1998 il Centro Sperimentale di Cinematografia dedicò al montatore napoletano un volume, a cura di Laura Gaiardoni, sui suoi innumerevoli scritti e su Giorni di gloria, la sua unica regia, ovviamente per un film di montaggio.
Callisto Cosulich aprì il volume con un saggio intitolato Un intellettuale in moviola, che non possiamo non citare oggi, nel ricordare Serandrei a cinquant’anni dalla prematura scomparsa (a 59 anni, nel pieno della sua attività). Il tempo non ha scalfito la polvere attorno al suo nome, ma la parole di Cosulich risuonano ancora attuali: «Nella sua filmografia troviamo di tutto: la collaborazione al capolavoro, ma anche ai prodotti di tipo alimentare, persino al cinema di serie Z, di cui si sono perduti ogni traccia e ricordo. La sua è stata una disponibilità totale verso chiunque, dall’autore con la “a” maiuscola all’umile faticatore della pellicola. […] La specificità di Serandrei va perciò cercata altrove, precisamente nel suo approccio al cinema, così particolare che non è dato conoscerne simili, tranne – che si sappia – in un solo caso: quello di Giacomo Gentilomo. Ma Gentilomo è stato montatore solo per un breve periodo: il tempo di impratichirsi, per passare poi alla regia. Serandrei, invece, è rimasto in moviola sino alla fine dei suoi giorni. […] L’approccio al cinema, così come quello di Gentilomo, è avvenuto tramite la carta stampata. Serandrei è stato, tra l’altro, uno dei più assidui collaboratori di Alessandro Blasetti in “cinematografo”, il periodico che il futuro regista fondò il 6 marzo 1927 e tenne in vita sino all’inizio degli anni ’30. […] Tornerà a scrivere, ma saltuariamente, a partire dal 1941: non più come critico, ma in qualità di tecnico del cinema: tecnico illuminato e talvolta divinatore, come dimostrano le considerazioni che egli fa su certi film in fase di montaggio, il più delle volte per via epistolare. […] In questi scritti, purtroppo rari e solo in parte conservati, ritroviamo il Serandrei delle migliori recensioni, come se in mezzo non ci fosse stata alcuna soluzione di continuità. Ed è lì che individuiamo la specificità di questo intellettuale della moviola, la cui parabola non conosce eguali nella storia del cinema».
giovedì 7
ore 17.00 Non me lo dire! di Mario Mattoli (1940, 78′)
«Un ricco e nobile signore, di ritorno da un lungo viaggio in America, ha la sgradevole sorpresa di trovarsi povero in canna. Il suo fastoso castello è sotto sequestro ed egli, per non morire di fame; accetta di divenire guida dei visitatori ammessi ad ammirarlo. Alcuni loschi figuri pensano di sfruttare la situazione dell’ex ricco per impegnarlo in una fortissima polizza di assicurazione e, causandone la morte, incassare il relativo premio. Il piano delittuoso è pero sventato da una giovane segretaria dei lestofanti che mette sull’avviso la vittima» (www.cinematografo.it ). «Il film è piacevole, movimentato anche se ricorda un poco nell’andatura qualche modello d’oltreoceano. Macario è lui, cioè spassoso come ben lo conoscete» (Ceretto).
ore 19.00 4 passi fra le nuvole di Alessandro Blasetti (1942, 91′)
«Paolo Bianchi, un commesso viaggiatore sposato con figli, incontra in treno una ragazza sedotta da un uomo che l’ha poi abbandonata. Ritorna dai suoi genitori in campagna ma ha timore di confessare loro la sua sventura e prega lo sconosciuto di accompagnarla e di presentarsi – soltanto per qualche ora – come suo marito» (www.cinematografo.it ). «Città contro campagna, corruzione contro onestà: nonostante le apparenze, niente a che vedere con l’esaltazione ruralista di Mussolini. Qui è lo spirito populista di Zavattini […] a prendere il sopravvento sulla regia solitamente “tirannica” (ma sempre puntuale) di Blasetti. Del resto, la crisi coniugale e la compromissione amorosa non erano certi temi graditi al regime, soprattutto se introdotti da efficaci squarci di degradazione urbana. Un piccolo grande film che contribuì a incrinare irreparabilmente gli edificanti ritratti ufficiali, anticipando umori e caratteri che sarebbero emersi compiutamente nel periodo neorealista» (Mereghetti).
ore 20.45 Ossessione di Luchino Visconti (1943, 141′)
«Dal romanzo Il postino suona sempre due volte (1934) di James Cain: malmaritata a un uomo più vecchio di lei, una donna induce un giovane vagabondo di cui è diventata l’amante a uccidere il consorte in un incidente automobilistico truccato. Qualcosa di più di un film: una bandiera, un manifesto, un simbolo. Memorabile esordio di Visconti, aprì la strada al neorealismo postbellico, agganciò il cinema italiano alla cultura europea della crisi, fu la scoperta di un’Italia amara, fatta con violento pessimismo, tramite il filtro del romanzo nordamericano e del realismo francese di J. Renoir. Nonostante difetti, eccessi, compiacimenti estetizzanti, un ammirevole esempio di fusione tra realismo e decadentismo. […] Il romanzo di Cain fu filmato dal francese P. Chenal (1939) e dagli americani T. Garnett (1946) e B. Rafelson (1981)» (Morandini).
venerdì 8
ore 17.00 Il fidanzato di mia moglie di Carlo Ludovico Bragaglia (1943, 83′)
Alla vigilia delle nozze in differenti matrimoni, quando sono esposte in parrocchia le “pubblicazioni” nuziali, una signorina e un giovane aristocratico scoprono di essere entrambi già coniugati. Errore dell’anagrafe? No, è la stravagante vendetta di un impiegato comunale ingiustamente licenziato. I due fanno amicizia … Scritta dal prolifico Bragaglia, che morì a 103 anni, è una gaia commedia che vanta un’interpretazione maiuscola di Eduardo De Filippo.
ore 19.00 Fari nella nebbia di Gianni Franciolini (1942, 79′)
«Abbandonato dalla moglie, camionista perde la testa per una squinzia che lo tradisce con il suo abituale compagno di guida. Tornato a casa con propositi sanguinosi, ha la sorpresa di trovarci la moglie pentita. Curioso esempio dell’influenza del naturalismo francese su un melodramma italiano della gelosia. Attori efficaci, suggestiva fotografia di Aldo Tonti» (Morandini).
ore 20.30 Giorni di gloria di Luchino Visconti, Marcello Pagliero, Giuseppe De Santis, Marcello Pagliero (1945, 70′)
«Il film è la rievocazione dei mesi concitati e drammatici che portarono alla liberazione d’Italia: combattimenti partigiani contro gli occupanti, rastrellamenti, rappresaglie nazifasciste, tedeschi che si arrendono, attività clandestine nelle città, lanci con paracadute di rifornimenti ai reparti partigiani; e infine la mobilitazione e gli scioperi che preannunciarono l’insurrezione e la liberazione, ad opera dei reparti partigiani del Comitato di Liberazione Nazionale, di alcune città del Nord: Genova, Torino, Milano, Venezia. Due episodi sono sviluppati con particolare evidenza: il processo a Pietro Caruso, cronaca drammatica del procedimento contro l’ex questore di Roma, uno dei compilatori degli elenchi di ostaggi da trucidare alle Fosse Ardeatine, e il ritrovamento, la ricomposizione e il riconoscimento dei corpi dei 335 esseri umani trucidati dai nazisti e rimasti sepolti per mesi sotto tonnellate di tufo nelle Ardeatine» (Marco Grossi).
sabato 9
ore 17.00 I figli di nessuno di Raffaello Matarazzo (1951, 100′)
«Guido, il proprietario di una cava di marmo, ha una relazione con la figlia di un suo dipendente, Luisa. Per evitare che i due si sposino, la madre di Guido lo spedisce in Inghilterra e fa in modo di intercettare tutte le lettere che lui scrive a Luisa. La ragazza, incinta, credendo di essere stata abbandonata, scappa e si rifugia in casa di una contadina dove pensa di crescere il suo bambino. La madre di Guido, però, organizza il rapimento del nipote e le fa credere che il piccolo sia rimasto vittima di un incendio. Disperata, Luisa si chiude in convento, mentre Guido, credendo che la donna che ama sia morta, sposa un’altra» (www.cinematografo.it ). Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, la coppia d’oro del melò all’italiana.
ore 19.00 Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti (1954, 96′)
Un tassista conosce una ragazza, figlia di un ladro di valigie e dedita anche lei al furto, insieme a due compari. I tre orchestrano un colpo ai danni del tassista sfruttando la bellezza e le doti di seduzione della ragazza, ma il tassista s’invaghisce veramente di lei. Blasetti lancia la coppia per eccellenza del cinema italiano, Loren-Mastroianni, optando per la commedia di caratteri: «Prima crea dei personaggi con un loro carattere, poi da questi caratteri fa dipendere l’azione; quindi stabilisce che a prendere l’iniziativa sia il personaggio femminile […]; infine sceglie l’happy end programmatico. È questo, detto in maniera assai schematica, il modello blasettiano di commedia» (Gori). «Il film si articola su un ritmo vivacissimo in cui l’assoluta pulizia formale, il gusto di molte situazioni narrative e la perizia della interpretazione concorrono a creare un equilibrio e una spigliatezza non comuni» (Ghelli).
ore 21.00 Poveri ma belli di Dino Risi (1956, 102′)
Due bulli trasteverini litigano per la stessa ragazza, ma poi finiscono per interessarsi alle rispettive sorelle. Uno dei più fulgidi esempi del neorealismo rosa. La critica storse il naso, ma il pubblico affollò le sale. Caso abbastanza raro di successo al box office di un film interpretato da attori sconosciuti, Poveri ma belli è il prototipo del film dialettale, giovanile, proletario nell’estrazione, piccolo-borghese nello spirito. Con Marisa Allasio, Maurizio Arena, Renato Salvatori, Alessandra Panaro.
domenica 10
ore 17.00 Esterina di Carlo Lizzani (1959, 93′)
Ragazza di campagna semplice e ingenua, Esterina è sempre più annoiata dalla vita che conduce e vorrebbe conoscere più da vicino quella molto più attraente della città. Quando le viene rubata una bicicletta a motore, i suoi padroni la rimproverano duramente e vorrebbero denunciarla ma intervengono in sua difesa Gino e Piero, due camionisti di passaggio, che la prendono con loro. In seguito vorrebbero abbandonarla ma la ragazza, vincendo la diffidenza dei due, riesce a restare con loro e, con i suoi modesti risparmi, li aiuta a pagare una cambiale. «Esterina fu presentato al festival di Venezia […]. René Clair si complimentò con noi, con Carla Gravina, affermando che il film gli era piaciuto, anche per l’aria svagata e bizzarra della protagonista. Scelsi di girare a Torino fin dalla prima stesura del soggetto. Torino rappresentava l’Italia industriale nonché la prima capitale del cinema, ma soprattutto faceva da contraltare, con la sua struttura razionale, alla bizzarria della protagonista della mia storia» (Lizzani).
ore 19.00 La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960, 121′)
Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigia è nato da un incontro. Un giorno, a Milano […] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all’epoca faceva l’indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po’ dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini). Con Claudia Cardinale e Jacques Perrin.
ore 21.15 Giorni di furore di Isacco Nahoum, Giovanni Canavero, Alfieri Canavero, Gianni Dolino (1963, 109′)
Giorni di furore riecheggia nel titolo Giorni di gloria, girato all’alba della Liberazione da Visconti, De Santis e Marcello Pagliero. Documentario di montaggio – oltre a scene già utilizzate in Giorni di gloria si riconoscono immagini tratte dal documentario di Fernando Cerchio Aldo dice 26 x 1 – viene realizzato per celebrare il ventennale della Resistenza da un gruppo di intellettuali e tecnici di area comunista: gli ex comandanti partigiani e poi dirigenti del PCI Isacco Nahoum e Gianni Dolino; il più importante direttore della fotografia del cinema torinese Alfieri Canavero e il fratello Giovanni in funzione di fonico; mentre la supervisione al montaggio viene affidata a Mario Serandrei, già montatore di Giorni di gloria. Al testo di commento collaborano il futuro storico Paolo Spriano e Italo Calvino. Nonostante possa contare su un buon repertorio di immagini, alcune delle quali all’epoca inedite, Giorni di furore resta tuttavia un’opera un po’ appesantita dagli intenti celebrativi che la mancanza di una forte mano di regista non riesce sempre a trasformare in percorsi narrativi.