Le storie scellerate di Giuseppe Sansonna
15 Marzo 2017 - 15 Marzo 2017
«Il cinema chiede, come lo sport, degli scrittori che siano destinati a raccontarlo. Giuseppe Sansonna, che si è anche occupato di sport (ma di Zeman, figura buona per un film di Herzog), è il Gianni Brera del cinema. In Hollywood sul Tevere (Minimum fax, 2016, […]) pesca le storie più stralunate di attori magnificati dalla gloria e dalla dannazione del palcoscenico, che vampirizza, ti ruba la vita. Così, Sansonna convoca la figura di Salvo Randone, che “nel 1972 Francis Ford Coppola lo vorrebbe nel Padrino, ma lui rifiuta cortesemente». Evoca, con tratti lunari, La diva mancata, Tina Aumont, “una donna dalla bellezza lancinante”, superba unione di due divi, l’assoluto Jean-Pierre Aumont e l’annullante Maria Montez, “morta d’infarto mentre era immersa nella schiuma della sua vasca, in una villa parigina di Suresnes”. […] Probabilmente l’attrice più affascinante mai apparsa a Cinecittà, Tina muore dieci anni fa, il 28 ottobre del 2006, nel sud della Francia. Irredenta, inquieta, irrisolta. Una “perduta”. Assunta tra le rare attrici che ci hanno convinto che dietro il divo c’è il divino» (Davide Brullo).
ore 16.30 Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli (1965, 117′)
Adriana, una bella ragazza di campagna, dal Pistoiese si trasferisce a Roma in cerca di fortuna. Comincia a lavorare come domestica, poi fa la parrucchiera, quindi la maschera in un cinema, poi la cassiera in un bowling. Credulona, ingenua, ignorante, attratta soltanto dai dischi e dal ballo, mentre passa da un mestiere all’altro, subisce con indifferenza e con amoralità ogni compagnia maschile che le si presenta. Ma il suo non è calcolo, bensì fragilità, incoscienza e bisogno d’affetto. «Pietrangeli […] gli sta chiedendo solo una rapida apparizione, un pretesto per inserire il suo nome a caratteri cubitali nei titoli di testa: deve vestire i panni di un attore cinico e affermato, premiato in un salotto romano, affollato da trepidanti marginali della Hollywood tiberina. Tognazzi dà una rapida scorsa al copione, poi fulmina il regista: “Sono libero solo stanotte, per due ore, ma non per la parte del grandattore stronzo. Voglio essere l’altro, il fallito che gli striscia ai piedi, il guittaccio da avanspettacolo”, è la sua proposta. Pietrangeli accetta felicemente, lasciando carta bianca all’attore sulla costruzione del personaggio» (Sansonna).
ore 18.30 Todo modo di Elio Petri (1976, 137′)
«Mentre in Italia si scatena una terribile epidemia, un centinaio di “notabili” del partito che governa l’Italia da tre decenni si riunisce in un albergo-convento, costruito nel sottosuolo di una pineta, per eseguirvi un corso di esercizi spirituali condotto dal severo gesuita don Gaetano. […] Forse l’opera più “politicamente scorretta” sulla figura di Aldo Moro (rappresentato da colui che tutti chiamano “il presidente”). Film cupo, grottesco, profetico, nel quale lo statista democristiano vi è rappresentato come colui che dovrà “portare la croce della mediazione sul Monte Calvario dei nuovi assetti”» (Uva). «Gian Maria Volonté aveva incarnato lo statista democristiano nel discusso e cupidissimo Todo modo. “È meglio di Noschese”, avevano scritto i giornali, per denigrare il virtuosismo tecnicista dell’attore» (Sansonna).
ore 21.00 Incontro moderato da Emiliano Morreale con Giuseppe Sansonna
Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Giuseppe Sansonna Hollywood sul Tevere. Storie scellerate (minimum fax, 2016).
a seguire L’urlo diTinto Brass (1970, 93′)
«Lo stimolo erano i fatti che succedevano. Mi ricordo che avevo scritto due o tre cartelle che cominciavano così: “Se la storia si mette a correre il cinema non può continuare a camminare”. Ciò rende l’idea del film a cui pensavo quando l’ho proposto a De Laurentiis. Tutti quei fermenti erano nell’aria. Non è un film sul Sessantotto, ma del Sessantotto. Che respira quegli umori. E che ruota attorno ad un’idea metaforica: una fuga virtuale che può durare sette giorni – infatti c’è una scansione a episodi che fa pensare a una durata di sette giorni – oppure sette minuti, sette secondi, eccetera» (Brass). «Tina [Aumont], con la sua sola presenza in scena, avoca il film a sé. Profonde generosamente innocenza infantile, lampi vampireschi, urla lacerate. Ha gli occhi bistrati di nero pece, le giarrettiere macchiate di sangue fresco, la bocca perennemente dischiusa. Sembra la Lady Godiva, nuda a cavallo, di John Collier: una donna fatale […]. Al suo fianco, ad arginarne l’impatto perturbante, c’è un Gigi Proietti logorroico e sconnesso, con un piede ancora nell’avanguardia e l’altro nell’infinito cabaret a venire» (Sansonna).