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La forza dell’assenza. Il cinema di Claudio Sestieri
19 Marzo 2013 - 20 Marzo 2013
Ripensare cinematograficamente agli anni Ottanta non solamente come decennio effimero, ma come un insieme di esplorazioni disincantate nel medium espressivo con spirito postmoderno, significa anche (ri)scoprire cineasti come Claudio Sestieri. Avendo Michelangelo Antonioni come nume tutelare da una parte – non è un caso che si è laureato in Storia del Teatro e dello Spettacolo con una tesi su Antonioni! – e come faro ipotetico i falsi movimenti di wendersiana memoria e le tribolazioni sentimentali di tanto cinema francese coevo, Sestieri ha realizzato una serie di film che hanno spesso preannunciato per milieu fisico-esistenziale (appartamenti vuoti e freddi, città (ri)viste come non luoghi, simili a un trattato audiovisivo di Marc Augé) diversi successi internazionali, in primis quel Sesso, bugie e videotapes (1989) di Steven Soderbergh: già in Dolce assenza (1986) il video era lo strumento delle nostre ossessioni e delle nostre assenze comunicative. Sestieri, che si è sempre mosso con molta dimestichezza tra cinema e televisione e che per alcuni anni è stato critico cinematografico («Avanti!», «Tempo Illustrato»), non ha dubbi in proposito nel rivedere i suoi lavori come dei gialli dei sentimenti senza vittime né colpevoli e percorsi tematicamente dall’assenza. Forse perché la presenza è troppo ingombrante per poter conoscere le persone. Meglio l’assenza.
L’omaggio a Claudio Sestieri, curato dalla Cineteca Nazionale insieme al Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (Sncci) e a Rai Teche, vuole essere anche un ricordo dell’avv. Gianni Aringoli: da giovanissimo co-regista insieme a Sestieri di alcuni cortometraggi, distributore de L’uomo di marma di Wajda, infine per quasi vent’anni patron del Premio Capalbio.
 
martedì 19
ore 17.00
Chiamami Salomè (2008)
Regia: Claudio Sestieri; soggetto: Salomè di Oscar Wilde; sceneggiatura: C. Sestieri; fotografia: Marco Onorato; scenografia: Antonello Geleng, Mario Fontana Arnaldi; costumi: Lia Francesca Morandini, Stefania Svizzeretto; musica: Luigi G. Ceccarelli; montaggio: Claudio Di Mauro; interpreti: Ernesto Mahieux, Carolina Felline, Caterina Vertova, Elio Germano, Gilberto Idonea, Genti Kame; origine: Italia; produzione: Star Plex; durata: 96′
Tutto in una notte. Una notte di luna piena, una notte interminabile di festa in cui un innamorato respinto (Mahieux) perde il potere, l’ostaggio di un sequestro in crisi mistica (Germano) perde letteralmente la testa e un’adolescente incantevole e incantatrice (Felline) perde la verginità e scopre i misteri della vita e quelli della morte. Salomè, in una parola, il geniale atto unico di Oscar Wilde in una rilettura cinematografica visionaria che desidera rispettarne non solo lo spirito ma anche, in gran parte, la lettera. «Chiamami Salomè è una versione attualizzata e moderna del celebre dramma di Oscar Wilde. Claudio Sestieri rilegge un classico trapiantandolo nel contesto contemporaneo della criminalità organizzata, dove il boss napoletano Erode fa rapire Giovanni, figlio di un industriale, e allestisce una festa in una fabbrica abbandonata. Il gioco però gli sfugge di mano e una dark lady spinge la farsa verso la tragedia mettendo in pericolo la vita del giovane al quale il boss si è affezionato. Ernesto Mahieux nel ruolo di Erode ha raggiunto ormai nel cinema maturità espressiva e duttilità, mentre il camaleontico Elio Germano conferma di essere il più interessante attore italiano della sua generazione» (Alberto Castellano).
«È molto interessante l’elaborazione che Sestieri fa dello spazio, un discorso già iniziato nei film precedenti Dolce assenza e Barocco. Ambientato tutto in uno strano luogo, a metà tra un hangar e una discoteca, il film gioca suggestivamente con i diversi livelli della rappresentazione, instaurando un rapporto curioso tra set, palcoscenico e luogo della finzione filmica. Del teatro il film conserva essenzialmente lo spazio; ovvero, il set diventa la messa in scena. Lo spazio limitato della discoteca diventa spazio della rappresentazione, il palco dove gli attori agiscono. Ma il discorso di Sestieri è efficace specialmente per il rapporto che crea tra la regia e questa messinscena: lo sguardo vaga ad indagare lo spazio, esalta le espressioni e i personaggi, li sperde, scompone e ricostruisce l’ambiente con movimenti fluidi. Il montaggio e la naturale frammentazione dello sguardo cinematografico diventano così a un secondo livello cronaca del rapporto tra cinema e teatro, dell’occhio cinematografico che guarda e racconta (nuovamente) l’opera di Wilde. Lo spazio conserva quindi del palco teatrale la sua predisposizione all’astrazione, ovvero la possibilità per il palco di essere ogni luogo, spazio metafisico e simbolico, non schiavo dei dettami della verosimiglianza che il cinema invece si trova generalmente ad avere per la sua vocazione mimetica. Così, nel film, lo spazio in cui si svolge la storia è uno spazio fondante dove si gioca il dramma senza tempo e senza contesto di Salomè, la discoteca diventa un travestimento dello spazio generativo della recita. A un altro livello di lettura il film apre un discorso metacinematografico. Lo spazio sembra quello di un immaginario film “peplum” anni ’60. Un altro piano della rappresentazione: i personaggi sembrano attori del film che stiamo vedendo; il luogo, allestito come quell’ipotetico set, diventa il set vero del film che stiamo vedendo. Senza esplicitare carrelli e telecamere, questo metadiscorso serpeggia in nuce, come un sottotesto» (Andrea Esposito).
 
ore 19.00
Barocco (1991)
Regia: Claudio Sestieri; soggetto: C. Sestieri; sceneggiatura: C. Sestieri, Antonella Barone; fotografia: Raffaele Mertes; scenografia: Paolo Innocenzi; costumi: Vera Cozzolino; musica: Luigi G. Ceccarelli; montaggio: Simona Paggi; interpreti: Cristina Marsillach, Massimo Venturiello, Davide Bechini, Matteo Gazzolo, Agnese Nano, Carlo Lizzani; origine: Italia; produzione: Globe Films, P.F.A. Films, Rai, Istituto Luce-Italnoleggio Cinematografico; durata: 96′
In una notte già calda di maggio, Valeria (Cristina Marsillach), una studentessa straniera di restauro, abbandona la casa del suo compagno, (un dj notturno), decisa a crescere, a cambiare. Chiede asilo da una coppia gay di compagni di studio (Davide Bechini e Matteo Gazzolo) finendo per destabilizzare il loro rapporto e poi sbarca nella villa di un gruppo di gente più grande a Sabaudia, legandosi ad un video artista (Massimo Venturiello) e mandando in pezzi la sua relazione con la professoressa più amata da Valeria (Ottavia Piccolo). Torna a Roma, infine, dove affronterà un bizzarro finale di partita con il suo compagno perduto che, nel frattempo, ha continuato a braccarla solo attraverso la voce. Film manifesto del disordine amoroso, Barocco mette in scena la deriva sentimentale di una fuggitiva tra assenze sempre presenti, eccessi, ossessioni, falsi movimenti, fughe e ritorni. «Un film, dunque, sulla frammentarietà e, allo stesso tempo, sulla forza dei sentimenti, in un’epoca che, dopo essere stata definita post-moderna, viene oggi classificata come “neo-barocca”. Al di là delle terminologie, se come sostiene il sociologo Omar Calabrese “La crisi, il dubbio, l’esperimento sono una caratteristica barocca, la certezza è la caratteristica del classico”, può avere un senso per questa storia un titolo come Barocco. […] Perché in Barocco il gioco punta non solo sull’immaginario visivo ma anche su quello sonoro e sulle grandi potenzialità evocative che esso può sviluppare. Se è vero, infatti, che mai come oggi le immagini hanno avuto un ruolo così importante nella vita di tutti noi, mi sembra altrettanto vero che allo stesso modo mai come oggi si è sviluppata una sorta di estetica del suono, per cui soprattutto i giovani sono abituati a scandire i loro tempi tra “voce-musiclae” (radio, hi-fi, walkman, autoradio) e “voce-umana” (telefono e segreteria telefonica): l’una e l’altra, comunque filtrate e mediate attraverso un mezzo tecnico. Uno spazio, dunque, che coincida con le emozioni ed i sentimenti rappresentati, non più sfondo più o meno suggestivo ma co-protagonista; un’attenzione al momento del suono non meno intensa di quella dedicata al momento visivo; un personaggio maschile capace ugualmente di muovere la storia nell’assenza, ed un personaggio-femminile continuamente presente: tutto per raccontare un rapporto d’amore sempre in forse, sempre sul margine di una contraddizione decisiva dove la confusione del desiderio è una costante e solo il riemergere della memoria dalle fenditure della propria anima può imporre una svolta» (Sestieri).
 
ore 21.00
Incontro moderato da Vito Zagarrio con Claudio Sestieri
 
a seguire
Dolce assenza (1986)
Regia: Claudio Sestieri; soggetto: C. Sestieri; sceneggiatura: Sandro Petraglia, C. Sestieri; fotografia: Charles Rose; scenografia: Ada Legori; costumi: Ester Marcovecchio; musica: Mauro Pagani; montaggio: Gennaro Oliveti; interpreti: Jo Champa, Fabienne Babe, Sergio Castellitto, Pier Luigi Crespi, Alessandro Balducci, Raffaele Fallica; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 106′
Nella Milano glamour del 1986, Gloria (Jo Champa), una modella di successo e Sara (Fabienne Babe), una baby sitter lunare e introversa, sono amiche e dividono lo stesso appartamento. Quando improvvisamente Sara scompare, Gloria inizia a cercarla aiutata da Vittorio (Sergio Castellitto), autoironico giornalista sportivo e corteggiatore di Sara. La scoperta del diario-video tenuto segretamente dalla baby sitter permette a Gloria e Vittorio di seguire le sue tracce perdute e di riscoprirla molto diversa da come credevano fosse. E intanto, quella fase di assenza sarà servita per far crescere e ridefinire sentimenti e desideri. Definito da Tullio Kezich come “un omaggio a Antonioni dalla civiltà dell’immagine” e costruito come un giallo dell’anima, Dolce Assenza è il primo film (due anni prima di Family Viewing di Atom Egoyan e tre prima di Sesso, bugie e videotape di Soderbergh) a proporre un giornale intimo su Vhs. «Non meritava la lunga attesa cui è stata costretta, e la mediocre “uscita” cui è stata emarginata, l’opera prima di Claudio Sestieri – critico cinematografico […], documentarista e regista televisivo […]. Ma il film non è soltanto un prodotto affettivamente, e affettuosamente, “antonioniano”, coltamente memore di un capolavoro che segnò l’inizio degli anni ’60. L’avventura, oltreché un gran film, fu anche, in quelle lontane stagioni, la radiografia di un ambiente e di una classe, nonché di una generazione e di un’epoca, cui non erano rimasti altro sentimento che la pietà, altra umanità che la reciproca solidarietà nella comune aridità sentimentale. Ad oltre un quarto di secolo di distanza, Sestieri propone una situazione analoga (l’Assenza), un meccanismo narrativo non dissimile (la Ricerca), una conclusione non troppo diversa (la Solidarietà). […] Ebbene Dolce assenza vuole essere, ed è suo merito riuscirci almeno in parte, un film sul mutamento e sulla immodificabilità, cioè proprio sul percorso – ovvero sulla identità e sulla diversità – da quella “assenza” amara che investiva, nel ’60, Claudia e Sandro e la scomparsa Anna, all'”assenza” dolce che investe, nell’86, Gloria e Vittorio e la scomparsa Sara. Sestieri punta essenzialmente […] su due elementi differenzianti, ambientale e mediologico. In Antonioni la “avventura” aveva uno sfondo naturale, che puntava tutto o quasi su mirabili “esterni” e sul contrasto con un paesaggio meraviglioso ed estraneo; la “avventura” di Gloria, Vittorio e Sara si svolge invece essenzialmente in glaciali “interni” colmati di “oggettistica” di consumo, caratterizzati da un’amorfa sordità. In Antonioni lo “sguardo” cinematografico era quello con cui veniva “oggettivata”, in mirabili immagini, la angoscia soggettiva; in Dolce assenza lo sguardo cinematografico si sdoppia, sgranandosi nelle immagini algidamente meccaniche del “medium cool” televisivo, cui Sara – prima di sparire – ha affidato un proprio diario e la registrazione di un proprio irripetibile “presente”, che continua a turbare Gloria come la traccia di una realtà che è contemporaneamente indelebile e irripetibile» (Miccichè).
Ingresso gratuito
 
mercoledì 20
ore 17.00
La strada segreta (1999)
Regia: Claudio Sestieri; soggetto: Gabriella Giuliani, Massimiliano Orfei; sceneggiatura: G. Giuliani, M. Orfei, C. Sestieri; fotografia: Marco Sperduti; costumi: Roberta Ciotti; musica: Paolo Emilio Marocco, Massimiliano Orfei; montaggio: Claudio Di Mauro; interpreti: Irene Ferri, Toni Bertorelli, Arnoldo Foà, Giovanna Di Rauso, Franco Trevisi, Federico Pacifici; origine: Italia; produzione: Bros Film, Rai; durata: 93′
Mauro, giovane musicista jazz che vive a Modena, rimane vittima di un gravissimo e inspiegabile incidente d’auto ed entra in coma. Al suo capezzale arriva da Roma Lucia (I. Ferri) la sorella gemella, di professione astronoma. In rapporto telepatico con il fratello, Lucia si rende progressivamente conto che la versione ufficiale nasconde una verità oscura e terribile.
Per gentile concessione di Rai Teche
 
ore 19.00
Infiltrato (1996)
Regia: Claudio Sestieri; soggetto: Maurizio Gallo, Luca Monesi; sceneggiatura: M. Gallo, L. Monesi, C. Sestieri; fotografia: Maurizio Dell’Orco; costumi: Stefano Giambanco; musica: Fabrizio Siciliano; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Valerio Mastandrea, Barbora Bobulova, Massimo Wertmuller, Marco Giallini, Ilaria Borrelli, Anna Melato; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 94′
Matteo (Valerio Mastandrea), condannato a 5 anni per una rapina, esce dal carcere ancora con il complesso di colpa per la morte del fratello minore, avvenuta proprio durante quella sfortunata rapina. Ora sogna una nuova vita, nonostante nel suo quartiere nulla sembri cambiato. Vorrebbe un lavoro, una ragazza. Finisce per innamorarsi di Marika (Barbora Bobulova), una giovanissima prostituta slava, tossicodipendente. Mentre un lavoro glielo offre Giuliano (Massimo Wertmuller), un lavoro che potrebbe cambiare non solo la sua vita ma anche quella dei suoi ex compagni. Ma… Drammi di vita e malavita nell’estrema periferia romana. Primo ruolo da protagonista per Mastandrea e prima apparizione italiana per la Bobulova, scelta tra un centinaio di giovani attrici dell’Est.
Per gentile concessione di Rai Teche
 
ore 21.00
Incontro moderato da Bruno Torri e Patrizia Pistagnesi con Claudio Sestieri
 
Nel corso dell’incontro
Hanno detto il tuo nome (1968)
Regia: Gianni Aringoli, Claudio Sestieri; soggetto e sceneggiatura: G. Aringoli, C. Sestieri; fotografia: Carlo Alberto Cerchio; montaggio: Carla Simoncelli; interpreti: Arrigo Palcani; origine: Italia; produzione Nexus Film; durata: 12′
In un borgo isolato circondato da scabre montagne, Arrigo, militante della Resistenza, in seguito ad un trauma subito crede sia ancora in corso la guerra di Liberazione e freme in attesa di ordini. Gli abitanti del paese sono complici nel mantenerlo in questa folle convinzione, in bilico tra la classica beffa paesana e il desiderio di trasferire su Arrigo il loro inconscio desiderio di rivolta. Beffardo apologo sulla Resistenza tradita, il film è stato girato a marzo del 1968 nel territorio di Caserta vecchia e ad agosto era già (unico corto italiano) in concorso al Festival di Locarno. Debutto di Aringoli e Sestieri nel cinema professionale.
 
a seguire
Il vuoto (1965-2013)
Regia: Gianni Aringoli, Claudio Sestieri; soggetto e sceneggiatura: G. Aringoli, C. Sestieri; interpreti: Enrico Mugnoz, Simonetta Grassi, G. Aringoli, C. Sestieri; origine: Italia; durata: 58′
Enrico, fragile liceale romano, galleggia impacciato alla ricerca di se stesso, crede di innamorarsi ma si rende conto di non essere capace di amare sempre, scopre quasi casualmente l’impegno politico e finisce per perdersi tra echi e suggestioni dei miti degli anni Sessanta. Finché non si ritroverà dentro un irreale processo condotto dai suoi amici/giudici. Girato tra l’ottobre del ’64 e l’estate del ’65 durante il primo liceo, Il vuoto è stato recentemente ricostruito grazie al digitale da un supporto originale in 8 mm e da un nastro magnetico separato, e riemerge dopo oltre quarant’anni come documento di un’epoca e di una lontana, radicale passione adolescenziale per il Cinema.
 
a seguire
Per Giuliano (1969)
Regia: Gianni Aringoli, Claudio Sestieri; soggetto e sceneggiatura: G. Aringoli, C. Sestieri; fotografia: Carlo Alberto Cerchio; montaggio: Carla Simoncelli; origine: Italia; produzione: Nexus Film; durata: 20′
Nel nome di Giuliano Taccola, amato centravanti della Roma morto a 25 anni per un collasso durante la gara Cagliari-Roma del 16 marzo 1969, un documentario creativo che ripudia qualunque coinvolgimento emotivo e immagina che un militante politico indaghi sui meccanismi psicologici e le pulsioni più profonde della Macchina Calcio. Tutto programmaticamente fuori-campo e, negli interventi di P.P. Pasolini, addirittura volutamente fuori sincrono. Una risposta azzardata e controcorrente alle classiche tesi francofortiane sul calcio come ideologia.
Giornata a ingresso gratuito

 

 

Date di programmazione