In ricordo di Pasquale Squitieri
28 Aprile 2017 - 30 Aprile 2017
Si è spento a Roma il 18 febbraio di quest’anno uno dei cineasti più controcorrenti e anticonformisti del cinema italiano. Nella forma e nei contenuti Pasquale Squitieri ha sempre tentato di “raccontare” questo strano paese “mancato” chiamato Italia. La Cineteca Nazionale gli rende omaggio con alcune chicche ingiustamente poco viste. Si comincia con uno dei primi drug-movies italiani, Viaggia, ragazza, viaggia: hai la musica nelle vene (1974), tragica odissea di una donna nei vortici della droga, uno dei film più sperimentali dell’autore. Fu bocciato dalla sesta Commissione di Censura e uscì solo dopo il grande successo de I guappi. Si prosegue con Razza selvaggia (1980),dove la macchina da presa squiteriana penetra nella città di Torino con i suoi monumenti, le sue statue equestri con spade aguzze e baffi a punta, espressioni dure e rapaci da “conquistadores”, in perfetta quanto crudele contrapposizione alle squallide abitazioni dei “terroni” o alla fabbrica della Fiat simile all’Alcatraz di Don Siegel. Poi uno spy-movie da fare invidia anche al cinema statunitense nella sua straordinaria operazione mimetica, Russicum – I giorni del diavolo (1988). E infine l’ancora attualissimo Il colore dell’odio (1989): in una Roma desolata e infernale si “consuma” una difficile storia d’amore interrazziale. A completare l’omaggio, la sua opera d’esordio, Io e Dio (1969), territorio seminale di tutta la sua filmografia, e L’ambizioso (1975), uno dei film più spietati sulla delinquenza napoletana e romana.
venerdì 28
ore 17.00 Viaggia, ragazza, viaggia: hai la musica nelle vene di Pasquale Squitieri (1974, 93′)
«Siamo nel 1972 e io uscivo da questo trionfo chiamato Camorra, ma ero al tempo molto di sinistra, pensavo cioè che l’intellettuale dovesse essere al servizio del popolo. Dopo anche i rimproveri della critica, decido di ricominciare con un film “impegnato”, cioè che contenesse un messaggio ben chiaro: attenzione alla cultura della droga, la droga non è una soluzione, è un rifugio, una fuga. Scrissi faticosamente questo film, basato appunto sulla cronaca. […] Nessuno voleva produrre né distribuire un film simile. E allora creai un gruppo di lavoro, una cooperativa. Questo film ospita una delle ultime interpretazioni di Vittorio De Sica. […] La musica nelle vene è stato bloccato in censura prima ancora di essere distribuito con la motivazione che il film era troppo duro in molte scene e si chiedeva un taglio di 300 metri!» (Squitieri). Con Victoria Zinny, Leopoldo Trieste, Raymond Pellegrin.
ore 19.00 Razza selvaggia di Pasquale Squitieri (1980, 100′)
«Razza selvaggia nasce dalla frequentazione con Nanni Balestrini, con il Gruppo ’63 e da una nuova concezione della questione meridionale. Devi sapere che Briganti! l’avevo scritto nel 1970 e sono riuscito a realizzarlo solo nel 1999! Razza selvaggia è un po’ il Vogliamo tutto. Mentre su certi film mi sono tenuto sulle pagine di De Roberto, Croce (specialmente Briganti!) con Razza selvaggia c’è questo nuovo modo di vedere il meridionalismo e comincia proprio da questo film la mia amicizia con Nanni Balestrini. Anche perché tutto nasce a Napoli, alla libreria Guida. Con questo film ho voluto disturbare chi più di tutti ha sfruttato il meridione: cioè la Fiat. […] Razza selvaggia rappresenta per me un grande film. Realizzai Razza selvaggia per raccontare questa colonizzazione d’importazione ovvero il fatto che i meridionali, che erano emigrati al nord per un posto di lavoro nella Fiat, fossero stati relegati in veri e propri ghetti. La Torino delle Mura era proibita ai meridionali. Non si affittavano case alla gente proveniente dal Sud. Uscì un articolo di giornale in cui si parlava di noi come di una “razza selvaggia”, di pirati, di ladri. La verità storica era che bisognava far passare noi del Sud per ladri per consentire i furti del Nord. Questo mio film era quindi contro lo sfruttamento del nord industriale nei confronti della manodopera del sud» (Squitieri). Con Saverio Marconi, Stefano Madia, Angelo Infanti, Enzo Cannavale.
ore 21.00 Russicum – I giorni del diavolo di Pasquale Squitieri (1988, 111′)
«Russicum rappresenta l’unico caso di spy-movie italiano. In Italia nessuno sapeva che cosa fosse il Russicum, nessuno conosceva i servizi segreti del Vaticano. Ricordo
che ancora una volta fui arrestato una mattina, per fortuna per poche ore, in Piazza San Pietro perché avevo varcato il confine. Io non sapevo che tutte le mattonelle che ci sono intorno alla piazza segnano il confine tra l’Italia e la Città del Vaticano. Per me Russicum ha rappresentato un’esperienza unica, perché in Italia non esisteva la spy-story. Mario Cecchi Gori mi diede questa opportunità spendendo una cifra astronomica. Il film uscì, nel mercato home video, prima in America e poi in Italia. Tutto ciò fu dovuto alla presenza nel cast di Murray Abraham ancora fresco dall’Oscar per Amadeus (1984) di Milos Forman. […] In una pellicola sono riuscito a riunire attori del calibro di Treat Williams, Danny Aiello, il premio Oscar Murray Abraham, Leopoldo Mastelloni, Nigel Court e naturalmente il mito Rossano Brazzi» (Squitieri).
domenica 30
ore 17.00 Io e Dio di Pasquale Squitieri (1969, 83′)
«Pasolini diceva che solo i cattolici potevano fare la rivoluzione in Italia. Era il 1968 e io gli davo pienamente ragione. Per Io e Dio ragionai così: io sono un credente e non voglio nessuno tra me e l’Entità in cui credo, neppure il Vaticano che in quegli anni sentivo molto oppressivo. Ecco, io voglio un rapporto con Dio senza nessuno che si frapponga: Io e Dio. Poi il caso volle che il sacerdote rivoluzionario, Camillo Torres, avesse lo stesso cognome del mio attore protagonista: José Torres. E il film racconta proprio la storia di un prete del sud, un “cane” della Chiesa in lotta contro il Vaticano. Io e Dio è stato il mio ’68 cinematografico perché io andavo sia contro la politica del Vaticano sia contro un certo comunismo di allora che aveva rapporti diplomatici con le varie istituzioni e burocrazie. Il vero comunismo doveva parteggiare con il prete, con i contadini… accadde invece tutto il contrario» (Squitieri). Con José Torres, Anna Orso, Salvatore Puntillo, Salvatore Puntillo.
ore 19.00 L’ambizioso di Pasquale Squitieri (1975, 111′)
«Il tema del film […] è propriamente l’ambizione dei ragazzi di periferia di accedere al benessere della città. Nelle borgate, nelle crescenti fasce suburbane, nei ghetti, non arriva il benessere, ma la pubblicizzazione del benessere. Il benessere resta nell’Eden, cioè nella città. Chi non vi perviene, resta un escluso. La città è ancora un mito ma, per così dire, un mito concreto, in quanto rappresenta il benessere, il danaro, il potere, sia per quanto riguarda la società legale che la società deviante […]. Il problema […] è prevalentemente culturale. La pubblicità al servizio della società dei consumi è così martellante da creare nelle fasce periferiche e subperiferiche uno stato d’inferiorità e di frustrazione che rende quanto mai acuto il bisogno di pervenire all’Eden. Ma purtroppo mancano i mezzi culturali destinati a costituire dei ponti fra i ghetti e la città, a creare dei territori intermedi di comunicazione e di integrazione […]. I 197 chilometri di autostrada [la distanza tra Napoli e Roma e che Aldo, il protagonista del film, compie, n.d.a.] rappresentano, casello per casello, una tentazione, il miraggio dell’Eden. Li si può percorrere in 59 minuti. I giovani fanno a gara a chi li percorre più velocemente. La periferia romana e Roma è piena di napoletani che tentano l’assalto alla città» (Squitieri). Con Joe Dallesandro, Stefania Casini, Raymond Pellegrin.
ore 21.00 Il colore dell’odio di Pasquale Squitieri (1989, 97′)
«Considero Il colore dell’odio il primo tentativo cinematografico di avvicinare un problema vastissimo, l’immigrazione terzomondista nel nostro Paese, leggendola attraverso una drammatica singola vicenda. La storia del mio film è realmente accaduta nei suoi tratti principali ed è, inizialmente, una storia d’amore. Sono molti gli italiani e le italiane che vivono una stagione sentimentale accanto ad africani, indiani, vietnamiti ecc. L’ottica del film, dunque non è di avversione ma l’esatto contrario, eppure, anche in un rapporto d’amore resistono differenze culturali, religiose, di tradizioni. Tanto forti e sostanziali da renderlo vano, se non addirittura pericoloso […]. La Roma che ho conosciuto negli anni Sessanta oggi non esiste più. Un pesante fenomeno di urbanesimo l’ha ingolfata, soffocata, spersonalizzata. Le periferie e la provincia si sono riversate nella città senza alcun criterio accettabile e razionale di assimilazione» (Squitieri). Con Carolina Rosi, Salvatore Marino, Enrico Lo Verso, Victor Cavallo.