Il progetto e le forme di un cinema politico / 2. Il Sessantotto
08 Novembre 2018 - 11 Novembre 2018
Nel 2018 ricorrono i cinquant’anni dal 1968. Questo grande movimento di protesta, studentesca e non solo, merita ancora di essere compreso nei suoi molteplici aspetti e di essere studiato a partire da prospettive e approcci disciplinari diversi. Inoltre, è forse superfluo ricordare come il ’68 fu un fenomeno mondiale – qualcuno lo paragonò al 1848 – che toccò tutti i continenti, sia pure in forme diverse. In Italia la rivolta degli studenti fece da detonatore ad altri movimenti sociali vecchi e nuovi, a partire da quelli operai e degli studenti medi, aprendo una stagione di mobilitazione durata un decennio. In questo quadro, uno di questi aspetti che merita ancora di essere compreso appieno si ritrova senza dubbio nello straordinario uso delle immagini che fecero all’epoca i protagonisti di quel movimento o che scaturì da quel momento fondativo. In altre parole, il Sessantotto, che portò a un radicale ripensamento e, in alcuni casi, a una trasformazione dei rapporti sociali e dei valori culturali correnti in diversi ambiti della vita collettiva, lasciò un segno profondo anche nel cinema, nelle arti e più in generale nel modo di concepire e usare, a tutti i livelli, le immagini. Ciò che si propone è di avviare un’indagine di ampio respiro attraverso una rinnovata visione dei documenti e una discussione scientifica appropriata.
Oltre alla retrospettiva, che ha inizio alla Casa del Cinema (da sabato 3 a mercoledì 7 novembre) e proseguirà al Cinema Trevi, è prevista una giornata studi lunedì 5 novembre presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
La rassegna è curata da Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Fondazione Gramsci, in collaborazione con Casa del Cinema, Cineteca Nazionale, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Università Roma Tre
giovedì 8
ore 16.30 Presentazione della rassegna
a seguire Usa: l’esercito dei disertori (1968, 7′)
Interviste a due disertori dell’esercito statunitense sul rifiuto della guerra in Vietnam e sul pacifismo (alle interviste si alternano le immagini delle manifestazioni svoltesi in tutto il mondo in favore della pace).
Copia proveniente dall’Aamod
a seguire La resa dei conti di Sergio Sollima (1967, 108′)
«Grande spaghetti western del periodo d’oro del genere. Tra i preferiti di Tarantino. Il primo, inoltre, che impone come protagonista Tomas Milian (doppiato da Pino Locchi) e che lancia il personaggio fondamentale di Cuchillo Sanchez, proto-Monnezza sessantottino, idolo di una generazione. Sollima, al suo primo western, non fa un sotto-Leone, ma si costruisce un suo cinema, aiutato anche da soggettisti come Franco Solinas e Sergio Donati e dalla grossa produzione Pea. Lee Van Cleef, proveniente direttamente da Per qualche dollaro in più, ne ripete il ruolo, mentre Tomas Milian aveva girato solo lo strano, affascinante The Bounty Killer, ma in una parte molto diversa, più da Actor’s Studio e meno picaresca. La sua è una entrata assolutamente nuova, originale nel mondo del western e lascerà il segno. […] Sollima ricorda così la genesi del film: “Il primo titolo della Resa dei conti era Ilfalcoelapreda. […] Volonté era la scelta iniziale per il messicano, e poi c’era Van Cleef ancora sotto contratto con Grimaldi. Su Tomas Milian invece tutti erano esitanti, perché veniva dal cinema d’arte. L’ho inventato io”» (Giusti).
ore 19.00 Presentazione di Gianfranco Pannone
a seguire Apollon, una fabbrica occupata di Ugo Gregoretti (1969, 66′)
«Apollon, una fabbrica occupata nasce dalla collaborazione tra un gruppo di cineasti, coordinato da Ugo Gregoretti, e gli operai che occupano l’industria tipografica Apollon, sita sulla via Tiburtina a Roma. In forma di docu-fiction, il film ricostruisce le vicende della lunga occupazione della fabbrica, iniziata il 4 giugno 1967 e terminata nel dicembre 1968. Gli operai interpretano sé stessi e vari altri ruoli (la polizia, i crumiri etc.), ma sono anche coautori del film, che non è una semplice cronaca degli avvenimenti, ma una lettura analitica della realtà della fabbrica, la storia della conquista di strumenti di lotta e democrazia, con l’indicazione di strategie di attacco al potere padronale. La storia, infatti, con un procedimento di ricostruzione narrativa, parte da molto prima, dal 1960, rievocando i primi scioperi operai, la lotta contro il padrone paternalista, la creazione di una cooperativa di consumo interna. La voce narrante di Gian Maria Volonté dà continuità al racconto e commenta i fatti» (www.aamod.it).
Copia proveniente dall’Aamod
ore 20.30 Nostra signora dei turchi di Carmelo Bene(1968, 142′)
Premio speciale della Giuria alla XXIX Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia («per la totale libertà con cui ha espresso la sua forza creativa mediante il mezzo cinematografico»). «Nostra signora dei Turchiè un melodramma, ma non per la melodia che arriva alle orecchie, per la melodia che arriva agli occhi. La musica ci libera dalle idee, da ogni cosa. Non credo che alla musica, e, grazie a Dio, non ho mai imparato a scriverla o a leggerla. Verdi ha creato un’arte drammatica per le orecchie, non per gli occhi. Io faccio il contrario. Verdi creava azioni per le orecchie, io creo musica per gli occhi. Credo sia la stessa cosa» (Bene).
venerdì 9
ore 16.30 Introduzione di Marco Gazzano
a seguire U.S.A. – Mortedellanonviolenza(1968, 10′)
Cinegiornale sull’assassinio di Martin Luther King, sulla sua politica e sulla violenza nei confronti dei neri.
Copia proveniente dall’Aamod
a seguire I dannati della terra di Valentino Orsini (1969, 90′)
Alla sua morte, il giovane regista africano Abramo Malonga lascia in eredità al suo antico maestro, il regista cinematografico italiano Fausto Morelli, il suo primo ed ultimo film ancora incompiuto. Morelli, visionato il lavoro, si trova di fronte ad un’opera sconcertante e complessa, una riflessione sui “dannati della terra” e le lotte di liberazione africane: decide allora di provare a ricostruire e completare il film. «E I dannati della terra, se non certo compiuto, è “bello” […], ci sembra un modo inconsueto di pensare il cinema, il film italiano ideologicamente e politicamente più avanzato» (Aristarco).
ore 18.30 L’offensivadelTet del Collettivo Cineasti del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam del Sud (1969, 28′)
«Gli operatori cinematografici del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam del Sud hanno seguito con la macchina da presa uno dei momenti più drammatici dello scontro armato del popolo vietnamita contro l’imperialismo nord-americano e il regime fantoccio di Saigon, realizzando una documentazione di grande interesse storico-politico e di particolare intensità. Il film è la cronaca, scarna e sintetica, dell’offensiva del Tet (Tét Nguyen Dan, letteralmente: “Il giorno del capodanno”), che scosse l’apparato militare degli Stati Uniti nel Vietnam del Sud, rivelando un’eccezionale capacità di lotta dei partigiani vietnamiti, i quali arrivarono perfino ad occupare, anche se solo per qualche ora, l’ambasciata Usa a Saigon (fortino ritenuto inespugnabile, almeno sino a quel momento dall’esercito statunitense) prima di ritirarsi nelle proprie posizioni, in attesa di assestare un nuovo duro colpo all’invasore» (www.aamod.it).
Copia proveniente dall’Aamod
a seguire Sierra Maestra di Ansano Giannarelli (1969, 112′)
«Il film narra la vicenda di un intellettuale italiano, Franco, che, deluso dalla situazione politica italiana, decide di partire per il Sudamerica per conoscere la realtà della guerriglia, essendone diventato un sostenitore. Franco viene incarcerato dal governo dittatoriale di un paese dell’America Latina, con l’accusa di aver avuto contatti e aver collaborato con bande armate di guerriglieri. Durante i giorni trascorsi in carcere il protagonista ripercorre e riflette sulla propria vita, gli interessi, le abitudini, gli amici, la propria donna, gli affetti lasciati in Italia. […] Il film vuole affrontare una duplice problematica: da un lato è incentrato sul tema della rivoluzione e della repressione in America Latina, dall’altro tenta un’analisi sul ruolo dell’intellettuale nell’ambito del processo rivoluzionario. Uno degli intenti principali del film e quindi del suo regista è infatti quello di avviare un’analisi critica sulla crisi e l’immobilismo della cultura di sinistra di quegli anni. In tal senso, Franco, il protagonista, è l’intellettuale fuggito dall’ambiente italiano che si scontra con la realtà della rivoluzione e la sua scelta acquista pieno significato solo quando viene raffrontata con gli intellettuali rimasti a casa» (www.aamod.it).
ore 21.00 Contestazione generale di Luigi Zampa (1969, 126′)
Film a episodi che riconduce la contestazione nei canoni rassicuranti della commedia all’italiana con Gassman incontenibile regista d’avanguardia, Manfredi alle prese con un capitalista creato da Benvenuti e De Bernardi a immagine e somiglianza di Angelo Rizzoli, Sordi ingenuo prete di campagna, alle prese con il modernismo di Don Roberto, interpretato da Salerno. Dall’università al mondo del lavoro, dalla televisione al mondo ecclesiastico una fragile contestazione generale.
sabato 10
ore 16.30 Introduzione di VincenzoVita
a seguire Umano non umano di Mario Schifano (1969, 82′)
«Di fronte al “non umano” della chiacchiera culturale occidentale (Calvesi che parla d’arte, Aprà che parla di cinema, Moravia che parla di civiltà dei consumi, dei miti e dei riti della mondanità borghese […] dello spettacolo come vanità […] o della cultura come solitudine), sta l'”umano” della resistenza vietnamita, della rivoluzione cinese, del popolo sorridente» (Miccichè). Film presentato al Festival di Venezia nel 1969. «Umano non umano, uno dei pochi film d’artista ad essere stato prodotto, è da molti critici considerato come il più bel esempio sperimentale del cinema italiano anni Sessanta. Nel film fanno da cerniera tra una sequenza e l’altra le immagini di guerra riprese dalla televisione, mentre il trait d’union sonoro è il battito cardiaco che cessa solo in alcuni momenti» (Rebecca Tesciuba). Con Alexandra Stewart, Carmelo Bene, Rada Rassimov, Mick Jagger, Keith Richard, Sandro Penna, Alberto Moravia.
ore 18.30 Grazie zia di Salvatore Samperi (1968, 95′)
«Alvise, figlio di un industriale di provincia, esprime la sua protesta contro la società fingendo di essere paralizzato alle gambe. In partenza per Hong Kong i genitori lo affidano a Lea, una giovane zia che esercita la professione di medico e ha, da lunghi anni, una relazione con Stefano, un vanitoso e imbelle intellettuale di sinistra. Pian piano e sottilmente, Alvise stacca Lea da Stefano e la fa innamorare di sé, trascinandola, fino a farle dimenticare il mondo e la professione, in una serie di torbidi giochi, ma rifiutandosi di dare completezza all’insano rapporto» (www.cinematografo.it). «Arrischiando un’interpretazione simbolica dell’epilessia e della paralisi, si potrebbe dire che esse stanno a significare l’odierna ossessione giovanile dell’integrazione sociale e culturale intesa come infezione, ossia l’ossessione del sentirsi malati della stessa malattia contro la quale ci si rivolta» (Moravia).
a seguire Intervista a Daniel Cohn Bendit di Elio Petri(1968, 20′)
«A Roma, in piazza San Pietro, Elio Petri intervista in francese Daniel Cohn-Bendit, leader del movimento studentesco parigino. La scelta del luogo non è senza conseguenze. Subito dopo le prime battute, i due sono interrotti dalle forze dell’ordine e allontanati dalla piazza. Poco più in là, in via della Conciliazione, Petri e Cohn-Bendit (è presente anche Ugo Pirro) riprendono a discorrere della situazione politica in Francia, del rapporto tra il movimento e i partiti politici della sinistra storica, del potere della Chiesa» (www.aamod.it).
Copia proveniente dall’Aamod
ore 20.45 Presentazionedi Giovanni Spagnoletti
a seguire Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri(1970, 115′)
Un commissario di polizia uccide la sua amante e lascia ovunque, nella casa della donna, indizi contro di sé. Vuole verificare fino a che punto il potere, di cui egli è un esaltato rappresentante, riuscirà a proteggerlo, al di là di ogni prova che possa incriminarlo. «Petri, preso alla gola dall’attualità, e probabilmente compiaciuto del suo ruolo scandaloso, ha insistito su un solo versante, forzando le tinte nella pittura dei metodi polizieschi. Ma basta scalfire con l’unghia il suo film, ricordare il timbro esistenziale che accompagna la sua opera precedente, per toccarne il tessuto più vero, intinto di angoscia storica espressa in forme di paradosso. Impressione accentuata dalla struttura narrativa, da quell’aprirsi e chiudersi del film su toni grotteschi (il delitto iniziale, il rinfresco sul finire) che stringe in una tenaglia di sarcasmo il cuore realistico del racconto» (Grazzini). Fra i tanti premi vinti, spicca l’Oscar per il miglior film straniero.
domenica 11
ore 16.30 Introduzione di Ermanno Taviani
a seguire Lettera aperta a un giornale della sera di Francesco Maselli (1970, 121′)
«Lettera aperta a un giornale della sera (1970), un film sulla contraddizione – quella della “politica” vista esistenzialmente e della “esistenza” vista politicamente […] -, appare, anche a distanza, uno dei più significativi, e sintomatici, documenti intellettuali di fine anni ’60: dove il tono fotografico delle immagini, la tecnica delle riprese, la qualità degli sfondi e dell’ambientazione, i ritmi del montaggio puntano, infatti, a delineare una vera e propria stilizzazione del malessere (morale, politico, ideologico), in un periodo chiave della nostra recente storia, restituendo per un attimo al cinema quel valore testimoniale che esso aveva avuto nelle stagioni immediatamente postbelliche. Nel film sette amici comunisti decidono, con una “lettera aperta ad un giornale della sera”, appunto, di non firmare più appelli per il Viet-Nam, e di partire volontari per quel fronte. Ma quella che voleva essere una semplice provocazione finisce per diventare una cosa seria, mettendo in crisi il gruppo, le sue intricate relazioni interne, il rapporto con il partito, l'”esistenza” e la “politica”, insomma. Fino a quando giunge da Hanoi un cortese, ma fermissimo rifiuto. E tutto, con le vecchie e nuove contraddizioni, riprende come prima» (Micciché).
ore 19.00 Incontro con Gianni Ramacciotti e Silvio Montanaro
a seguire 1968. Gli uccelli, un assalto al cielo mai raccontato di Gianni Ramacciotti e Silvio Montanaro (2018, 72′)
Febbraio 1968.”Gli Uccelli” Paolo Ramundo, Gianfranco Moltedo e Martino Branca fanno un nido per trentasei ore sulla cupola di Sant’Ivo alla Sapienza a Roma, occupando simbolicamente, la prima e storica università della capitale. Così gli studenti escono dalle aule universitarie per dar vita a un ’68 all’insegna della libera creatività. Come quando bloccano gli esami universitari lasciando razzolare nella facoltà cento galline donate dall’artista Manzù. Le loro imprese finiscono sulle pagine dei giornali di tutto il mondo e colpiscono l’attenzione di tanti artisti, tra i quali Schifano, Pasolini, Moravia, Max Ernst, Dorazio, Angeli, Tano Festa e perfino i Rolling Stones. Le loro azioni diventano una delle più interessanti espressioni artistiche del Sessantotto italiano. Il documentario ripercorre gli avvenimenti salienti di cui furono protagonisti “Gli Uccelli” attraverso le interviste ai protagonisti e il ricco materiale di repertorio, fatto di filmati d’epoca, fotografie spesso inedite e articoli dei giornali.
ore 21.00 L’invasione di Yves Allégret (1970, 90′)
Un gruppo di contestatori invadono la casa di un ricco architetto con moglie, mettendo a soqquadro l’abitazione. «Se 12 capelloni scatenati invadessero la mia casa e scoprissero che rompere i piatti è divertente almeno quanto imbrattare le pareti del mio soggiorno […], non esiterei a scaraventarli fuori ed esigerei che mio marito mi aiutasse. Ma poiché tutto questo avviene nel film […], sto al gioco e la cosa mi diverte» (Lisa Gastoni). Doveva essere diretto in principio da Luciano Salce. «Sarà un film sulla contestazione giovanile ma su una contestazione portata dentro casa. Tutta la storia, nello spazio di un venerdì notte e del giorno dopo, si svolge infatti nell’abitazione razionale e modernissima di un architetto di Roma. Quando l’invasione ha fine, i due coniugi si ritrovano soli, più soli di prima, ma qualche cosa si spera sia mutato nei loro rapporti» (Allégret).