Il cinema (delle origini) è femmina: Francesca Bertini
09 Giugno 2013 - 09 Giugno 2013
«Pensavamo di titolare questa rassegna di cinema muto accompagnato dal vivo con Il cinema è donna, ma nel rifletterci più appassionatamente abbiamo deciso per femmina che ci è suonato più autorevole ma non retorico, più impetuoso ma non enfatico, più seducente ma non provocatorio. Qualcuno ha detto che la donna è come la Natura, generosissima ma spietata, e prendendo per buona questa definizione, seppur estrema, abbiamo compilato il programma includendo non solo dive ma anche registe e autrici. Perché affermiamo che Il cinema è femmina? Sebbene rispondere a una domanda con un’altra domanda cozzi violentemente contro la buona creanza, ci concediamo uno scampolo d’insolenza replicando: “Cosa vagheggeresti se anziché spiegarti il perché e il percome nominassimo semplicemente Francesca Bertini? Greta Garbo? Louise Brooks? Pina Menichelli? Mary Pickford? Leda Gys? Quali e quanti cassetti della tua memoria e della tua anima si spalancherebbero rovesciando cascate di emozioni e di immagini?”. Il cinema come arte prenderebbe immediatamente corpo nel tuo immaginario al di là di tutte le chiacchiere, troverebbe istantaneamente nitida connotazione, schiettissima identità fino alla tanto paradossale quanto legittima asserzione che per quanto volessimo disquisire sul Cinema, per quanto volessimo essere accademici, ecumenici e snob, la donna uscirebbe sempre e comunque dalla porta per rientrare dalla finestra, gettando alle ortiche tutti i possibili papiri e le possibili ciance. Per questa rassegna il Cinema Trevi sarà la nostra spalancata finestra. Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).
L’appuntamento di giugno è dedicato a Francesca Bertini. «Nata a Firenze l’11 aprile 1888. Figlia adottiva di Arturo Vitiello, trovarobe napoletano, trascorse l’infanzia a Napoli. La madre era fiorentina, modesta attrice di posa, Adelaide Fratiglioni. A undici anni esordisce al Teatro Nuovo di Napoli, nella compagnia di Serafino Renzi, con lo pseudonimo di Franceschina Favati. Recitava, con il suo napoletano toscaneggiante, in mediocri commedie dialettali. […] Qualche anno dopo, durante una ennesima recita di Assunta Spina, nella quale sosteneva invariabilmente il ruolo di una delle stiratrici, venne notata da Gerolamo Lo Savio, regista della “Film d’Arte Italiana-Pathé” di Roma, che la condusse nella capitale. Per quella casa interpreta un considerevole numero di filmetti, ma non vi rimane per molto. Fa una brevissima apparizione alla Cines e quindi, nella primavera del 1912, entra alla Celio chiamata dal conte Negroni, che la trasforma in “prima attrice assoluta”. All’inizio della guerra 1915-1918 la Celio, presa da ingiustificato panico, chiude i battenti. La B. rimane senza lavoro per qualche tempo, poi accetta le proposte dell’avvocato Mecheri che sta organizzando la Tiber Film e firma un contratto. Durante il periodo preparatorio Mecheri presta l’attrice a Barattolo della Caesar Film, uno tra i più potenti ed abili produttori dell’epoca. Il Barattolo fa interpretare alla B. ruoli di grande risonanza e quindi la “lancia” in Italia e nel mondo con una pubblicità fin allora inconsueta. In poco tempo F. B. ha i suoi fanatici ammiratori in ogni parte del globo».
(Roberto Chiti, Filmlexicon degli autori e delle opere).
ore 21.00
La serpe (1920)
Regia: Roberto Roberti; soggetto: Sandro Salvini, Vittorio Bianchi; sceneggiatura: V. Bianchi; fotografia: Alberto Carta; scenografia: Alfredo Manzi; interpreti: Francesca Bertini, S. Salvini, Emma Farnesi, V. Bianchi, Duilio Marrazzi, Raoul Maillard; origine: Italia; produzione: Caesar Film, Bertini Film, durata: 53′
«Classico melodramma messo a punto dalla solita équipe (regista, sceneggiatore, operatore, scenografo) che alla Caesar è addetta ad alimentare l’aura divistica di Francesca Bertini. Al personaggio di bellezza fatale che la “prima donna” della Casa sta costruendo film dopo film ben si addice l’immagine allegorica che è al centro di questo racconto, quello della donna-serpe, che prima incanta e poi divora le proprie vittime. Peccato che l’idea su cui si basa questa volta il racconto sia in sostanza un equivoco abbastanza improbabile: la sicurezza (acquisita come?, non si sa), che matura nelle mente di una ragazza dal nome fascinoso (Naia), ma tanto selvaggia da meritare il nomignolo di serpe, che il compositore Mario Sirchi sia colpevole della morte del padre di lei e della sorellastra Adonella. Il poveretto è invece innocente […]. Ci sono, insomma, tutti gli ingredienti tipici di un genere (il cinema in frac) che mostra ormai la corda, nella descrizione di personaggi, sentimenti e ambienti totalmente estranei alla realtà di tutti i giorni, con giovanotti nullafacenti, donne voluttuose e maturi ganimedi in marsina che ne accontentano ogni capriccio. Nelle mani del suo più fedele servitore, il regista Roberti, la “diva” spadroneggia dall’inizio alla fine in una serie di primi piani, che la colgono prima giovanetta immersa nei piaceri della campagna (dove il padre, che non l’ha riconosciuta, l’ha relegata), poi promossa improvvisamente dama del gran mondo, vestita con toilettes di sarti alla moda e valorizzata, nel suo eterno cipiglio, dai violenti effetti chiaroscurali e cromatici abilmente scelti per lei da Alberto Carta. Il personaggio, nel suo adeguarsi ai vari passaggi dell’artificiosa vicenda in cui è immesso (rimanendo fra le quinte nella prima parte, e irrompendo in primo piano solo nella seconda) sprigiona comunque una certa decadente suggestione» (Bernardini).
Copia restaurata dalla Cineteca Nazionale, presentata alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone 2011.
Accompagnamento musicale del M° Antonio Coppola