Gian Maria Volonté. Recito dunque sono
07 Febbraio 2019 - 10 Febbraio 2019
«Fare l’attore per me è stata una scelta esistenziale.
Sentivo la necessità di raccontare
agli altri un po’ di verità»
Gian Maria Volonté
La Cineteca Nazionale rende omaggio a Gian Maria Volonté, a venticinque anni dalla morte. «Volonté non è un attore come gli altri. Che incarni figure storiche antiche e recenti o identità frutto della creatività degli autori o della sua stessa inventiva, le sue metamorfosi, per lo spettatore, non si concretizzano in una semplice partecipazione estetica, ma in una vera e propria profonda esperienza emotiva interiore. Alfiere coraggioso del cinema politico in un’epoca di grandi conflitti sociali, Volonté ha percorso la sua strada accompagnato da uno stuolo di registi che, insieme a lui, hanno reso grande la cinematografia in patria e all’estero. Il suo approccio alla recitazione è simile a quello dello scultore che, di fronte al marmo informe, ha un solo modo per dargli identità: “scordarsi di sé” e farsi marmo egli stesso. Egli non si cala nel personaggio, lo diventa. Anzi, lo è. Nella recitazione, trova quindi una nuova forma del suo essere. Recito, dunque sono» (dalla quarta di copertina del libro, a cura di Giovanni Savastano, Gian Maria Volonté. Recito dunque sono, Edizioni Clichy, 2018).
giovedì 7
ore 16.30 Banditi a MilanodiCarlo Lizzani (1968, 99′)
La caduta della banda capitanata da Pietro Cavallero, che nella seconda metà degli anni Sessanta si rese protagonista di 17 rapine. «Banditi a Milano esordisce con un’analisi della nuova malavita milanese, impostata sul racket all’americana che controlla la prostituzione, il gioco, i locali notturni. È una panoramica frettolosa e discutibile, ma il film migliora sensibilmente quando si concentra sulla cronaca. Ne deriva un resoconto moderno e grintoso, passato alla scuola del buon giornalismo televisivo. Il merito maggiore di Carlo Lizzani è di rappresentare i fatti a botta calda senza intrusioni romanzesche o appesantimenti polemici. L’assunto è di ricostruire, a grandi linee, ciò che è accaduto: ed è una testimonianza concreta che offre l’occasione di meditare sul mondo in cui viviamo. Nella parte del capo esaltato e vanitoso, Gian Maria Volontè è bravissimo come sempre capita ai nostri attori quando possono tornare al dialetto nativo» (Kezich).
ore 18.15 I senza nome di Jean-Pierre Melville (1970, 130′)
«Il film si muove in un spazio diverso, tutto mentale forse, in ogni caso interiore, che, per proiezione, si riflette sulle dimensioni reali, per donar loro un altro assetto, un’altra disposizione. Uno spazio melvilliano,appunto, fatto di fondali cupi, cartonati e silenzi, che già si dispiegava in tutta la sua potenza tra i giochi de Les enfants terribles. È uno spazio immaginario, certamente. Giungla d’asfalto e le diciannove regole del noir, l’impermeabile e il borsalino, night club che sembrano esistere solo nella fantasia degli scenografi – e sarebbe interessante tracciare una topografia delle città di Melville, che sembrano sempre viste dal limite esterno, quello in cui le coordinate si sfaldano e la periferia smargina il centro… Ma è ancor più uno spazio astratto, punteggiato da movimenti e azioni fisicamente impossibili, attraversato da volti imperturbabili e gesti che sgranano riti. È un po’ come il mondo visto dagli occhi di un dio, lo stesso che controllava gli spostamenti di Costello sulla mappa della metro. Linee, traiettorie, puntini luminosi, un universo di modellini (il treno di Un flic). E uomini che assomigliano a piccoli burattini…» (Aldo Spiniello).
ore 20.30 Incontro moderato da Orio Caldiron con Flavio De Bernardinis, Federico Fiume, Giovanna Gravina, Paola Petri, Giovanni Savastano
Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro a cura di Giovanni Savastano Gian Maria Volonté. Recito dunque sono.
a seguire Quien sabe? di Damiano Damiani (1966, 102′)
Il messicano El Chunco, che lotta per la rivoluzione insieme alla sua banda, fa amicizia con un giovane americano molto ambiguo. «Grande spaghetti western rivoluzionario, anche se Damiani lo ha sempre definito come film “storico”, con Gian Maria Volonté in uno dei suoi più grandi ruoli e Lou Castel perfetto come yankee traditore. Sono memorabili anche le star del cinema di genere come Martine Beswick come guerrigliera Adelita e Klaus Kinski come El Santo, monaco bombarolo. […] Girato in Almería, con la fotografia di gran classe di Toni Secchi, mentre Leone poco lontano gira C’era un volta il West, è anche il trionfo del western politico di solito attribuito, come invenzione, a Franco Solinas» (Giusti).
venerdì 8
ore 16.30 Io ho paura di Damiano Damiani (1977, 119′)
«Protagonista del film è il “questurino” Ludovico Graziano, uno dei tanti entrati in polizia “per fame”, tipico esemplare di poliziotto pasoliniano. Il Graziano è anche un poliziotto sui generis: ha una relazione turbolenta con una bella ragazza rossa di capelli e di gusti politici, tipica esponente di quella “buona razza” piccolo borghese, classista e figlia di papà avversata dal Pasolini “pro-celerino”. […] L’impianto del film di Damiani fa hitchcockianamente leva sulla classica figura dell'”innocente” capitato, suo malgrado, dentro un gioco che immancabilmente finisce per stritolarlo» (Uva).
ore 18.45 Giordano Bruno di Giuliano Montaldo (1973, 119′)
Gli ultimi anni di vita di Giordano Bruno fra Venezia e Roma, idee di libertà e torture, il cosmo e l’inquisizione, l’ascesa e la caduta. Grande prova, come sempre, di Volonté. «Il suo apporto fu straordinario. Fu lui, ad esempio, a risolvere il problema di “come” far parlare Bruno. Ce lo chiedemmo insieme: ma Giordano Bruno, intellettuale del Cinquecento, nativo di Nola, come parlava? Provammo a leggere le battute in un italiano pulito, e avevano una rigidità insopportabile. Lui ebbe l’idea di “sporcarle” di napoletano, un napoletano elegante, colto, ed era perfetto. Del resto, Vanzetti lo fece in piemontese. Era un mostro nel riprodurre i dialetti» (Montaldo).
ore 21.00 Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo (1971, 125′)
La storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due immigrati italiani accusati di rapina a mano armata e omicidio e condannati alla pena di morte, malgrado l’assenza di prove a loro carico. Premio per la migliore interpretazione a Riccardo Cucciolla al festival di Cannes. Le canzoni La ballata di Sacco e Vanzetti e Here’s to You sono eseguite da Joan Baez. «Esaminando i documenti del processo, io e Fabrizio Onofri, lo sceneggiatore, fummo colpiti dalla ferocia con cui Sacco e Vanzetti furono giudicati, dall’accanimento giudiziario nei loro confronti in quanto italiani e in quanto anarchici. Fu un processo politico, razzista e xenofobo. Tanto è vero che il titolo di lavorazione del film era Intolerance 1921. Poi pensammo di non disturbare il grande padre Griffith…» (Montaldo).
sabato 9
ore 16.30 Sotto il segno dello scorpione di Paolo e Vittorio Taviani (1969, 90′)
«Lo Scorpione è un apologo semplice e lineare che si costruisce su un’isola, spazio collocato fuori dalla Storia, dimensione leggendaria, metafora di un presente (il ’68/69) che non si vuole rappresentare col documento, bensì manipolare con la finzione. Invenzione e immaginazione sono i confini di questa narrazione dove i Taviani raccolgono frammenti di antiche leggende, che raccontano di Enea, di Romolo e Remo (Rutolo e Taleno, i due nomi sono onomatopeici), del ratto delle Sabine, ma di questo nel film non sono rimaste che piccolissime tracce, orme di ricordi impressi nell’infanzia; come una fotografia di un libro di Storia, dimenticata dagli autori e pur indelebile nella loro memoria. […] Rutolo e Taleno sono i due fratelli che con altri compagni approdano in cerca di salvezza su un’isola identica a quella da cui sono fuggiti: una realtà che si ripropone sempre uguale. Anche nell’isola la Storia segue ritmi troppo lenti rispetto all’esigenza di cambiare, di mutare, dei giovani fuggiaschi. Essi non possono accontentarsi della ricostruzione; esigono l’alterità, il nuovo, anche se sconosciuto. L’ambizione al continente, terra ove l’utopia potrà finalmente realizzarsi, spinge i giovani ad agire presto, subito: essi non hanno tempo» (Accialini-Coluccelli).
ore 18.15 L’armata Brancaleone di Mario Monicelli (1966, 120′)
Nel Medioevo un gruppo di sbandati entra in possesso di una pergamena che li rende proprietari del feudo di Aurocastro nelle Puglie. Guidati da Brancaleone, si mettono in marcia incorrendo in mille traversie. Film epocale, «pirotecnico nelle trovate (la lingua postlatina-viterbese, i costumi di Piero Gherardi, i colori di Carlo Di Palma, la musica di Carlo Rustichelli, i titoli animati di testa e di coda di Gianini e Luzzati), è una delle punte più alte del cinema popolare italiano, un autentico capolavoro di fantasia e avventure farsesche» (Mereghetti). Il «geniale impasto di vari dialetti al quale gli sceneggiatori Age e Scarpelli sono riusciti a dare una patina antica» (Kezich) è degno di approfonditi studi filologici.
ore 20.30 Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi (1979, 151′)
Il film, tratto dall’omonimo romanzo, risale al 1935 quando Carlo Levi, medico e pittore torinese, è condannato a due anni di confino dalla dittatura fascista. Tradotto a Gagliano (in realtà Aliano), un paese lucano, si prodiga, osteggiato anche in questo suo operato, a curare i poveri ammalati che vivono emarginati in un mondo dalle antiche tradizioni contadine. «Questo Cristo si è fermato a Eboli, è opera di tenace riflessione, robusta fattura, schietto impegno etico, coerente disegno culturale» (Micciché).
domenica 10
ore 17.00 A ciascuno il suo di Elio Petri (1967, 89′)
Sicilia. Un insegnante di liceo indaga sul duplice omicidio di un farmacista e di un medico. Per tutti gli altri è un delitto d’onore. In realtà, dietro si cela una complessa trama, ottimamente congegnata al di là delle apparenze. «Un film richiama l’attenzione del pubblico se colpisce l’immaginazione dello spettatore, se “fotografa” un momento di cambiamento, l’evoluzione del gusto, un’insofferenza della gente comune nell’istante in cui insorge. […] Il film colse quella fase di passaggio, quella insofferenza nascente senza che nemmeno noi stessi ne fossimo del tutto consapevoli; cogliemmo, cioè, qualcosa che era nell’aria e già vagamente presente in noi» (Pirro). Dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia.
ore 19.00 Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri (1970, 114′)
Un commissario di polizia uccide la sua amante e lascia ovunque, nella casa della donna, indizi contro di sé. Vuole verificare fino a che punto il potere, di cui egli è un esaltato rappresentante, riuscirà a proteggerlo, al di là di ogni prova che possa incriminarlo. «Petri, preso alla gola dall’attualità, e probabilmente compiaciuto del suo ruolo scandaloso, ha insistito su un solo versante, forzando le tinte nella pittura dei metodi polizieschi. Ma basta scalfire con l’unghia il suo film, ricordare il timbro esistenziale che accompagna la sua opera precedente, per toccarne il tessuto più vero, intinto di angoscia storica espressa in forme di paradosso. Impressione accentuata dalla struttura narrativa, da quell’aprirsi e chiudersi del film su toni grotteschi (il delitto iniziale, il rinfresco sul finire) che stringe in una tenaglia di sarcasmo il cuore realistico del racconto» (Grazzini).
ore 21.00 La classe operaia va in paradiso di Elio Petri (1971, 115′)
«Ludovico Massa detto Lulù (il cui cognome è già simbolo di un uomo massificato, segno di carne di un’impossibilità di aggregazione, alla riunione in chiave rivoluzionaria) lavora in fabbrica da diversi anni ed è diventato un recordman del cottimo. L’incipit del film mette rapidamente a fuoco con pochi, vividi colpi di pollice la figura alienata del protagonista: il risveglio all’alba nel letto della compagna, Lidia (una giovane Mariangela Melato, simbolo della mentalità mediocre piccolo-borghese), il discorso sul suo “corpo-fabbrica” che produce merda, le battute calcistiche con il bambino della compagna, il tumultuoso ingresso in azienda con i sindacalisti da una parte e gli studenti che dai megafoni lanciano slogan rivoluzionari dall’altra, tra l’indifferenza strafottente di Lulù e, infine, la chiusura dei cancelli che separa l’esterno dell’interno dalla fabbrica – il tutto sottolineato dalla martellante partitura musicale di Ennio Morricone» (Spagnoletti).