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Danze Macabre. Il cinema gotico italiano
18 Giugno 2015 - 27 Giugno 2015
«Non è mai accaduto. E probabilmente non accadrà mai più. Cioè che un genere, a noi culturalmente abbastanza lontano come l’horror classico, il gotico, con i vampiri, i fantasmi, le case infestate, i manieri sperduti, i mad doctor, i necrofili, le femmine sdoppiate, parte buone e parte cattive, diventasse un vero genere italiano e si imponesse sul mercato internazionale in tempi così brevi e con un sostegno di grande autorevolezza. Tanto da frenare ogni possibilità di ironia da parte della nostra critica, allora (e ancora oggi) così ottusa nel non voler seguire altre strade che quelle del cinema d’autore o del cinema d’impegno. Oltre tutto senza che l’horror italiano avesse una vera e propria fortuna commerciale, almeno rispetto a campioni di incassi nazionali e internazionali come il peplum e il western. […] “Nel corso degli ultimi tre anni”, scrive Michel Mardore sul numero di agosto 1961 dei “Cahiers du Cinéma”, “il rinnovamento del Neo-Irrealismo Italiano (quella scuola la cui gloria era stata adombrata dal suo nemico mortale, il Neo-Realismo), lo ha reso talmente grande che la redazione di un testo apologetico su Riccardo Freda diventa quasi un’esercitazione accademica”. Curiosamente, quindi, l’horror italiano […] nel 1961 è già qualcosa di più di un genere di successo, è qualcosa da studiare a livello accademico, qualcosa di riconosciuto» (Marco Giusti, dal libro di Steve Della Casa e Marco Giusti Gotico italiano. Il cinema orrorifico 1956-1979, Centro Sperimentale di Cinematografia, 2014).
Rassegna in collaborazione con il Fantafestival
 
giovedì 18
ore 17.00 I vampiri di Riccardo Freda (1957, 85′)
«Il prototipo, la pietra iniziale, l’apertura di un genere. Per la verità, il film è gotico soprattutto per le scenografie (curate in modo mirabile da Beni Montresor) ma non per la storia, che può essere invece definita un melodramma “d’epouvante”» (Della Casa-Giusti). «Freda litigò con i produttori dopo dieci giorni di malintesi. Aveva promesso di girare tutto il film in due settimane. Così fui costretto a completarlo io, in due giorni!» (Mario Bava). «Essere vampiro significa vivere accanto a qualcuno estremamente più giovane di noi e “succhiarne”, senza che lui o lei se ne avveda, il meglio: intelligenza, spirito vitale e soprattutto freschezza, freschezza di idee, di sentimenti, di reazioni. Guai a vivere accanto a delle persone anziane: si è allora trascinati irrimediabilmente verso il baratro dell’angosciosa attesa della morte. Di qui l’idea moderna di un vampiro che deve essere oggettivizzata, per farla comprendere agli spettatori, attraverso l’aspirazione del sangue di una donna giovane da parte di una vecchia. Ma, credetemi: il mondo è popolato di vampiri che, anche se poi non ve ne rendete conto, vi succhiano il meglio della vostra essenza» (Freda).
Copia proveniente dalla Cineteca di Bologna
 
ore 19.00 La frusta e il corpo di Mario Bava (1963, 87′)
«Fece un po’ impressione sul mercato internazionale il fatto che Daliah Lavi, bellissima modella israeliana appena voluta da Vincente Minnelli per il suo melodramma Due settimane in un’altra città, accettasse un film così spinto come La frusta e il corpo, nel quale faceva coppia con Christopher Lee […]. La parte offertale da Mario Bava era infatti quella di protagonista in una storia sado-masochistica con scene molto spinte, anche se alcune vennero fortemente ridotte poi dalla censura, tanto da rendere poco chiari alcuni passaggi della trama. […] Cult movie personale di Martin Scorsese. “Osar portare al cinema un’opera del tutto sado-masochista agli inizi degli anni ’60 era di un’audacia rara” (“Monster Bis”). Per il critico inglese Howard Hughes è il film più controverso di Bava e il meglio fotografato. Inoltre il suo stile avrebbe influenzato Suspiria di Dario Argento» (Della Casa-Giusti).
 
venerdì 19
ore 17.00 La vergine di Norimberga di Antonio Margheriti (1963, 85′)
«Il titolo è molto famoso anche se il film non ebbe un successo così grande, né in Italia né all’estero. Forse anche perché è un horror piuttosto anomalo: propone forti atmosfere gotiche (è girato a Roma in tre settimane tra la De Paolis e Villa Sciarra, che simula di essere un castello in Baviera), ma è ambientato ai nostri giorni. […] La bella nuora teme che ci siano dei fantasmi, salvo poi scoprire che a perseguitare tutti è il suocero creduto morto. Lui era un ufficiale nazista che aveva partecipato a un fallito attentato contro Hitler, per punizioni i nazisti lo hanno sfigurato e lui è impazzito. […] Neppure a Margheriti piaceva molto: “L’ho girato in due settimane, con tre camere secondo i metodi della televisione. Non è un buon film, non è stato fatto che per delle ragioni economiche, senza il minimo di qualità. Ho scritto la sceneggiatura in dieci notti, e sette settimane dopo la firma del contratto il film usciva in sala. Amo il fantastico, lo amo molto. Ma la maggior parte dei miei film sono unicamente delle operazioni finanziarie”. […] Per Howard Hughes è il più violento tra gli horror italiani degli anni ’60» (Della Casa-Giusti). Con Rossana Podestà e Christopher Lee.
 
ore 19.00 La cripta e l’incubo di Camillo Mastrocinque (1964, 85′)
«Horror italiano superclassico liberamente ispirato alla Carmilla di Le Fanu, rivista da Ernesto Gastaldi e Tonino Valeri e messa in scena da Camillo Mastrocinque con coproduzione italo-spagnola. Quasi tutto girato nel celebre Castello Piccolomini di Balsorano, vicino a L’Aquila con scenografie di Demofilo Fidani che si firma Demos Philos. “Era un soggetto che capitò in mano alla Cinegai”, ricorda Ernesto Gastaldi, “Era mio e di Tonino Valeri. Il produttore ci disse: Peccato che siete arrivati solo adesso, per farlo dovrei consegnare il copione lunedì. Ma certo che c’è il copione, dicemmo noi, anche se non era vero. Allora, domattina alle 10 me lo portate? Sì, sì!, rispondemmo noi. Così, con mia moglie che ci portava i caffè, abbiamo scritto tutta la notte il copione del film in terrazza. Per fortuna era estate e faceva caldo”. Il Conte Ludwig Kanstein, cioè Christopher Lee, che si doppia da solo nell’edizione inglese, vive nel suo castello con l’amante Annette, cioè Vera Valmont, e la figliola Laura, cioè la bella Adriana Ambesi, e teme che la giovinetta sia posseduta da una vecchia strega di famiglia, Sheena Karnstein. Chiama quindi uno studioso, Friedrich Klaus, lo spagnolo José Campos, per indagare negli archivi di famiglia. […] Howard Hughes trova che Mastrocinque si rifaccia da vicino all’immaginario gotico di Bava e a Margheriti con tanto di citazione strette da La maschera del demonio» (Della Casa-Giusti).
 
20.45 Presentazione del Fantafestival con Alberto Ravaglioli e Adriano Pintaldi
 
ore 21.00 Il castello dei morti vivi di Herbert Wise, Warren Kiefer (1964, 90′)
«Film con cast tecnico (Aldo Tonti, Mario Serandrei, il maestro Lavagnino) e attoriale molto importante, ma che viene ricordato soprattutto perché alla sceneggiatura e, in piccola misura, alla regia è presente Michael Reeves, grande talento dell’horror internazionale di quegli anni (è suo Il grande inquisitore) e poi morto suicida giovanissimo. Reeves proveniva dagli Stati Uniti dove era stato assistente poco più che maggiorenne per Don Siegel, e la leggenda vuole che abbia girato una buona parte degli interni mentre gli esterni sono realizzati utilizzando il castello Odescalchi di Bracciano (anche la prima corte del castello stesso) e il parco dei mostri di Bomarzo. La storia è ambientata nel centro Europa post-napoleonico e prevede che Dart, scacciato dalla compagnia teatrale che è stata ospitata nel castello del conte Dago, pronunci oscure parole di minaccia. A queste seguono i morti e i sospetti […]. Il cast prevede, oltre alla star Christopher Lee e a Gaia Germani, […] anche Philippe Leroy e soprattutto un giovanissimo Donald Sutherland, nella sua prima trasferta italiana» (Della Casa-Giusti). Regia misteriosissima, tra Luciano Ricci, Lorenzo Sabatini, Michael Reeves, Warren Kiefer.
 
sabato 20
ore 17.00 La vendetta di Lady Morgan di Massimo Pupillo (1965, 78′)
«Una donna, dopo la morte del fidanzato, sposa l’ambiguo sir Morgan ma subito dopo il matrimonio iniziano a succedere strani fatti che la spingono verso la pazzia. Si tratta però di un complotto dello stesso marito, che vuole impossessarsi dei suoi soldi, coadiuvato dal suo servitore Roger. Grande interpretazione di due cattivi storici del cinema italiano, Paul Muller (attivo dagli anni Cinquanta ai Novanta, e sempre nel ruolo di viscido complottista) e dell’ex Maciste Gordon Mitchell, passato a ruoli di cattivo in virtù di una faccia asimmetrica e di un ghigno sadico suo caratteristico. Ricorda Erika Blanc: “In quel film faccio la cattiva e non mi è affatto dispiaciuto. Un bel ruolo negativo. Mi sono anche tinta i capelli di rosso, un rosso fuoco, per risultare quanto più aggressiva possibile. Volevo far emergere il mio lato più violento, l’assassina che è in me…”» (Della Casa-Giusti).
 
ore 19.00 Il boia scarlatto di Massimo Pupillo (1965, 90′)
«Per la “Psychotronic Encyclopedia” è “un classico del sadismo idiota e della cattiva recitazione”, per la fanzine italiana “Amarcord”, invece, “un autentico gioiello del cinema bis, vero mito per gli amanti del bizzarro in celluloide… abile commistione di deliranti monologhi superomistici e di omaggi agli eroi del fumetto”. Mickey Hargitay, il muscoloso fidanzato della maggiorata Jayne Mansfield, fresco di Gli amori di Ercole girato proprio con lei in doppio ruolo, e di L’amore primitivo, diretto dallo stesso Pupillo prima come documentario poi come fiction, è il maniaco padrone di un castello dove, pensando di essere la reincarnazione del Boia Scarlatto, compie ogni genere di nefandezze facendo a pezzi una troupe di giornalisti. […] Esordio nel cinema di Femi Benussi, qui alla sua prima esperienza cinematografica ribattezzata Femi Martin. […] Per Thierry Ollive, in Ciné Eros Star, “un incredibile cocktail di peplum, fumetto, erotismo, sadismo e suspence”» (Della Casa-Giusti).
 
ore 21.00 Operazione paura di Mario Bava (1966, 85′)
«Secondo Teo Mora è il miglior horror italiano di tutti i tempi. Per Jean-Pierre Putters, “tutto è giocato sull’antagonismo di valori opposti: la purezza dell’essere che si vuole innocente e la paura per il male che questo rappresenta”. Per “Monster Bis”: “Abbondano le scene oniriche ammirevolmente servite da effetti ottici che dilatano l’immagine, un po’ alla Corman”. Per Howard Hughes è il capolavoro del soprannaturale di Bava. È sicuramente il film di Mario Bava in cui il talento visivo meglio si coniuga con una storia fortemente delirante ma anche intrisa di notazioni piuttosto forti. La maledizione che colpisce il villaggio è infatti il frutto di una grave colpa dei suoi abitanti, che lasciarono morire dissanguata una bambina, Melissa, la quale adesso si vuole vendicare perché riportate in azione dalla madre, che è anche una medium. […] L’attenzione di tutti i critici e appassionati è ovviamente incentrata su due scene. Una è la presenza della bambina, ripresa in termini esattamente uguali da Fellini nel suo horror successivo di un anno, Toby Dammit (e qui il plagio appare piuttosto evidente). L’altra è la lunga corsa in cui il protagonista Giacomo Rossi Stuart (padre dell’attore Kim Rossi Stuart) insegue un uomo che poi scopre avere i suoi stessi lineamenti. È una scena decisamente labirintica, impressionante, indimenticabile. Secondo lo storico Sandro Bernardi, ricorda fortemente un sogno giovanile raccontato da Henry James nella sua autobiografia A small boy and others» (Della Casa-Giusti).
 
a seguire Toby Dammit di Federico Fellini (ep. di Tre passi nel delirio, 1967, 44′)
«L’episodio che Federico Fellini ha adattato dal racconto di Poe Non scommettere la testa col diavolo assieme a Bernardino Zapponi è un capolavoro riconosciuto del nostro cinema, oltre che del nostro cinema gotico. […] Stamp-Dammit è la grande star inglese del momento chiamata a Roma per girare il primo western cattolico prodotto dalla Chiesa. […] Già l’arrivo della star, Toby Dammit, pallido come un cencio, all’aeroporto di Fiumicino è pazzesco. È lì che inizia a vedere una curiosa bambina bionda che gioca con un pallone, che è ovviamente il diavolo in persona, come nel film di Mario Bava Operazione paura. Una zingara vede nel palmo della sua mano la sua fine e non glielo dice. […] Dell’episodio di Fellini ne scrisse perfidamente Riccardo Freda: “Forse il suo film più notevole è Toby Dammit, il breve orrore che faceva parte di una trilogia, ma risultati maggiori abbiamo raggiunto Bava e io, spendendo tra l’altro quello che Fellini spende per cestini e acqua minerale”. Alla fine della prima romana, Bava riconosce che l’idea del diavolo bambina che gioca a palla è identica alla sua in Operazione paura, si avvicina a Giulietta Masina e glielo dice. “Lei ha alzato le spalle con un sorriso e mi ha detto, sai com’è Federico…”» (Della Casa-Giusti).
 
domenica 21
ore 17.00 La strega in amore di Damiano Damiani (1966, 109′)
«Rara incursione nel fantastico per Damiano Damiani, che porta sullo schermo su invito del produttore Alfredo Bini, un romanzo di Carlos Fuentos, Aura, ottimo veicolo per la moglie Rosanna Schiaffino. Uno scrittore, Sergio, cioè Richard Johnson, viene assunto da una vecchia signora, Sarah Ferrati, per lavorare sulle memorie del defunto marito, un pornografo, la cui salma è mummificata dentro casa. Nella casa c’è anche la giovane e procace Anna, Rosanna Schiaffino, nipote della vedova. Sergio rimane intrappolato nel gioco delle due donne, malgrado il bibliotecario che lo ha preceduto, Fabrizio (Gian Maria Volonté), lo abbia messo in guardia. […] Come disse allora Damiani a “Cinemasessanta” […] “Il mio film non vuole essere un film nero e tantomeno un thrilling horror […]; nessuna porta che cigola o nebbia che tutto immiserisce, o fulmini, o saette, o finestre che si aprono nella notte, o musiche all’unisono”» (Della Casa-Giusti).
 
ore 19.00 Il terzo occhio di Mino Guerrini (1966, 86′)
«Mino vive in un castello, la bella Marta che è innamorata di lui lo desidera e causa la morte della fidanzata Daniela. Mino è ossessionato da questa morte fino al punto di impagliare Daniela per avere con lei rapporti sessuali. Poi ci sono altri omicidi, tra i quali quello della madre di Mino, nonché l’arrivo di una donna che assomiglia molto a Daniela… Mino Guerrini, già pittore d’avanguardia con il Gruppo Forma 1, si era da tempo dedicato al giornalismo e al tempo stesso alla regia di film molto popolari. Qui promuove come protagonista Franco Nero, che già aveva interpretato nel ruolo principale qualche western ma non Django di Corbucci, la cui lavorazione iniziò appena terminato il film di Guerrini. Memorabile (e scandaloso in seguito, visto che diventerà una delle più popolari presentatrici della Rai) è lo spogliarello (integrale nella versione per l’estero) di Marina Morgan, vero e proprio momento hot di un film che riprende molte situazioni hitchcockiane, ad esempio nel rapporto tra il protagonista e la madre» (Della Casa-Giusti).
 
ore 21.00 La lunga notte di Veronique di Gianni Vernuccio (1966, 90′)
«Ghost story che inizia nell’Italia del primo Novecento, ai tempi della Prima Guerra Mondiale. Due giovani amanti, Veronique e il Conte Marco Anselmi, decidono di farla finita. Ma solo lei si suicida. Cinquant’anni dopo lei tornerà in forma di fantasma per vendicarsi sul nipote del suo fidanzato, l’innocente Giovanni Bernardi, che rimasto orfano dei genitori è andato nella villa del nonno. Gianni Vernuccio, che lavorava nella pubblicità, cercò un paio di volte di far del cinema, sempre a Milano. Alba Rigazzi era Miss Italia nel 1965. È il solo film che ha girato. Alex Morrison è l’attore milanese Sandro Luporini, che aveva già lavorato con Vernuccio, e che prenderà poi il nome di Sandro Korso. […] Produce lo stesso Vernuccio con Oscar Righini per la milanese Mercurfilm, che dette vita a La strage dei vampiri di Roberto Mauri, e precipiterà poi nel western al femminile con Il mio corpo per un poker. Di Lina Wertmuller» (Della Casa-Giusti).
 
martedì 23
ore 17.00 Zeder di Pupi Avati (1983, 100′)
«Stefano vive a Bologna e scrive romanzi. In occasione del suo compleanno, Alessandra (la sua compagna) gli regala una macchina per scrivere di seconda mano, per iniziare la stesura del suo nuovo lavoro. La notte stessa, però, il nastro si inceppa e Stefano vi scopre misteriose frasi impresse dal precedente proprietario, che annunciano la scoperta del segreto per il ritorno dall’aldilà. Attratto dal mistero, l’uomo incomincia a indagare su ciò che si nasconde dietro quelle poche parole, opera del defunto Paolo Zeder, ex prete ripudiato dalla chiesa a causa delle sue ricerche esoteriche» (Adamovit e Bartolini). «L’idea iniziale del film non è frutto della fantasia ma di una situazione di vita. Il mio compositore abituale di allora, Amedeo Tommasi, propose di vendermi una macchina da scrivere elettrica. Io l’acquistai – era enorme – e la portai a casa. Incuriosito la provai molto e mi resi conto che il nastro del meccanismo di scrittura veniva inciso, e tutto ciò che veniva battuto poteva essere riletto. Quando il nastro si esaurì e dovetti cambiarlo, andai a rileggermi la parte del nastro che non avevo inciso io, scoprendo di chi era stata questa macchina e il suo percorso. […] Ho ambientato La casa dalle finestre che ridono nella bonaria pianura padana; la stessa operazione con Zeder, sfruttando l’aspetto rassicurante della riviera romagnola, i tipici luoghi delle vacenze. Proprio la visione inquietante di questi luoghi insospettabili rende secondo me questi film particolarmente inquietanti. Pensa che la colonia di Spina, che in Zeder è il terreno K da cui resuscitano i cadaveri, dopo tanti anni è ancora lì, non l’hanno demolita né ristrutturata. Ci sono passato quest’anno, ed è una cosa agghiacciante» (Avati).
 
ore 19.00 L’arcano incantatore di Pupi Avati (1996, 96′)
«È un film in cui ripropongo il gioco sempre eccitante di spaventarmi e di spaventare. Siamo in un territorio di genere, seppur raffinato. Perché abbiamo a che fare con un ambiente settecentesco, con ricerche parascientifiche nei riguardi della morte. Abbiamo per l’ennesima volta la figura di un prete, che da quando in qualche modo mi avvicino a questo genere è onnipresente. Nella figura del sacerdote vedo un qualcuno che sta a metà tra terra e qualche cosa di diverso, che può essere il cielo ma anche qualcosa di tenebroso. È il detentore di un mistero. E in più c’è uno spazio alla Borges, con quella biblioteca che contiene tutto ciò che è stato scritto sulla morte» (Avati).
 
ore 21.00 La casa dalla finestre che ridono di Pupi Avati (1976, 112′)
«Stefano, restauratore professionista di opere d’arte, si reca a Comacchio su invito dell’amico Antonio Mazza per lavorare al recupero dell’affresco contenuto nella chiesa del paese e raffigurante il martirio di San Sebastiano. Il dipinto, in gran parte invisibile per gli inevitabili segni del tempo, è opera di Buono Legnani, pittore di agonie morto suicida anni prima, corroso dalla propria follia. Egli usava ritrarre soggetti in punto di morte, per fissare il momento del decesso e trarne godimento. Stefano, giunto in paese, entra in contatto con una comunità chiusa, ostile e piena di segreti inconfessabili e atroci. […] Opera di culto, riconosciuta dalla critica come autentica perla del cinema di genere» (Adamavit e Bartolini). «In La casa dalle finestre che ridono ho cercato di spaventare attraverso la solarità, andando così contro gli stereotipi del genere, per avere un elemento innovativo all’interno del genere stesso, che prevede e suppone immagini standard, dove il buio è re. Invece nel mio film ho mostrato che anche gli spazi aperti, bruciati dal sole, possono e riescono a essere altrettanto spaventosi» (Avati).
 
mercoledì 24
ore 17.00 Il profumo della signora in nero di Francesco Barilli (1974, 103′)
«Silvia Hackerman, una giovane chimica, è traumatizzata dal ricordo di un amplesso della madre con un amante, al quale ha assistito da piccola. La fragile psiche della ragazza, che vive di piccoli riti e di fobie, tracolla nel momento in cui il suo universo viene invaso da una serie di segnali sinistri. Ma è proprio follia, la sua, o esiste davvero un oscuro disegno intorno a Silvia?. […] Il nostro [Francesco Barilli, n.d.r.] esordì nella non facile arte del lungometraggio proprio con questo Il profumo della signora in nero. Che all’epoca – anno di grazia 1974 – venne accolto con annoiata sufficienza dai critici “togati” […]. Il profumo della signora in nero è senza dubbio diretto da un regista degno di questo nome: e senza dubbio da un “autore”, nonostante Barilli ci abbia donato, per il cinema solo un altro lungometraggio e mezzo. A dimostrazione, del suo solido mestiere basterebbe prendere in considerazione l’accorta direzione degli attori […] e soprattutto il sapiente uso delle locations, l’accorta scelta degli ambienti: non è da tutti trasformare il quartiere romano di Coppedè in un asfittico labirinto degli orrori: non tutti sanno illuminare i tendaggi di un salotto piccolo-borghese alla Gozzano per mostrarne le polveri sedimentate e il putridume che si cela sotto alle sottocoppe di peltro e alla bottiglietta del rosolio… Francesco Barilli vi riesce con rara maestria […], spogliando sempre di più gli interni nei quali si agita la tremula “vittima designata” di Mimsy Farmer, fino all’agghiacciante finale, a quell’osceno rito precipitato tra i chiaroscuri di uno scantinato già preludio di catacomba, eseguito in un gorgogliante e cerimoniale silenzio e ripreso con il lucido distacco dell’esteta» (Bruni).
 
ore 19.00 Terror! Il castello delle donne maledette di Robert H. Oliver (1974, 90′)
«Uno dei massimi horror trash del cinema di ogni tempo, con un gruppo mal assortito di freaks veri e finti e una povertà di regia terrorizzante. Anche perché non è mai stato davvero chiaro chi fosse il regista. L’americano William Rose, che firma la sceneggiatura e che contemporaneamente dirige per Dick Randall La casa della paura? Il produttore Dick Randall? Oscar Brazzi fratello di Rossano? Il direttore della fotografia Mario Mancini? Il coproduttore Sergio Merolle? L’ignoto Ramiro Olivarez? Simone Blondell ricorda un americano, probabilmente William Rose, ma non ne ricorda il nome. E la confusione sul set non deve essere stata poca. Rossano Brazzi è il conte (neanche barone…) Frankenstein, con figlia Simone Blondell. Aiutato da una pattuglia di campioni di B movies, da Gordon Mitchell come Igor a Michael Dunn come nano Genz dagli appetiti necrofili, dall’eterno Luciano Pigozzi a Ciro Papa come gobbo, Kreegin produce mostri. C’è pure Salvatore Baccaro, ribattezzato Boris Lugosi (sic!) come uomo di Neanderthal che i cittadini del villaggio hanno abbattuto e Frankenstein ha riportato a nuova vita. Come se non bastasse, Frankenstein ha messo un cervello non così in forma in testa al gigante Goliath. Il film non è mai uscito davvero in sala e si è visto solo a tarda notte nelle tv locali. Delirio assoluto» (Della Casa-Giusti).
 
 
 
giovedì 25
ore 17.00 Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea di Riccardo Freda (1972, 82′)
Misconosciuto film di Freda, uscito in poche sale e poi sparito nel nulla, fino alla riscoperta veneziana nel 2004, all’interno della retrospettiva Italian Kings of the B’s. «I quattro ragazzi, figli-dei-fiori à la bourgeoise, hippy coi soldi di papa, dopo essersi imbattuti in alcuni strani epifenomeni che hanno del paranormale, trovano rifugio, sotto una pioggia battente, nel solito castello abitato da nobili annoiati amanti dei riti satanici e dei sacrifici umani. E qui, ad un tratto, l’accelerazione improvvisa, il momento più freudiano e geniale del film: la carneficina gore ante-litteram, calata in un prisma visionario e distorcente che si mette ossessivamente a ripetere le stesse azioni, gli stessi movimenti, analizzati anche da punti di vista diversi. […] Cinema di serie B. Indubbiamente. Ma con momenti di pura avanguardia, anche concettuale, e di inconsapevoli incroci con il surrealismo, la body art e il dada-pop. Chiamatelo come volete, ma non cinema trash» (De Sanctis).
 
ore 19.00 Murder Obsession (Follia omicida) Riccardo Freda (1980, 100′)
Un attore, accompagnato dalla sua fidanzata, torna a casa, dopo anni, per rivedere la madre. Qualche giorno dopo viene raggiunto da un regista, un aiuto regista e un’attrice, i quali stanno cercando locations per un film. I visitatori sono eliminati ad uno ad uno… «La pietà michelangiolesca su cui si chiude Murder Obsession è una composizione infernale: nell’armonia rinascimentale, come sempre cara al Freda pittore e scultore, e nell’immagine più rassicurante, la madre con il figlio, come nella bellezza delle sue interpreti, prosperano le mostruosità terrene» (Pistagnesi). «Il mio ultimo film è un thrilling basato più sull’atmosfera e i personaggi che non sugli effetti che, peraltro, non mancano» (Freda).
 
ore 20.45 Incontro con Francesco Barilli, Steve Della Casa, Corrado Farina, Marco Giusti, Sergio Salvati
Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Steve Della Casa e Marco Giusti Gotico italiano. Il cinema orrorifico 1956-1979.
 
a seguire Il figlio di Dracula di Corrado Farina (1960, 20′)
Dracula e sua moglie mandano il figlio tra i viventi per compiere il suo tirocinio di vampiro, ma il ragazzo, troppo timido e bonaccione, li delude e ne viene disconosciuto («Con tutti i sacrifici che abbiamo fatto per farlo studiare…!»). «Rivarolo Canavese, 30km da Torino, autunno 1960. Da poco più di un anno il sottoscritto sta cercando di capire cosa si può fare con una Paillardina 8mm a torretta con due obiettivi. Si è già misurato, temerariamente, con una spy story (Tra un bacio e una pistola), una commedia surreale (Accadde a Catone) e una poesia di Trilussa (Una camera ammobiliata); ma in un cinemino di periferia […] ha visto da poco I vampiri, e in prima visione La maschera del demonio. È quindi ormai irrimediabilmente contaminato, e poiché nessuno gli pianta un palo di frassino nel cuore decide che è venuto il momento di misurarsi con l’horror» (Farina).«Cortometraggio in 8mm ispirato da I vampiri e dal Dracula di Fisher e costruito con grande attenzione e cura grazie alla cinefilia e alla passione per il fantastico dell’autore […]: un sequel segnato da una marcata ironia, dal gioco leggero dell’amatoriale e dalla perizia imitativa nel ricreare quadri e segmenti narrativi della tradizione horror e melodrammatica…» (Venturini).
Ingresso gratuito
 
venerdì 26
ore 17.00 Macabro di Lamberto Bava (1980, 91′)
«Variazione “estrema” sul tema dell’amour fou, avvolto nei sudari di una passione necrofila, codesta opera d’esordio ha diverse frecce nel proprio arco: già si accennava alle locations… Le soffocanti magioni da gotico del Sud di New Orleans, però, sono un mero pretesto, una spolveratina di livido cerone e nulla più. Macabro, infatti, svela la propria macabra forza nel gioco al massacro fra i tre protagonisti, pedine impazzite su di una scacchiera che, in un allucinato crescendo, si tramuta in camera delle torture e poi in patibolo. Tre personaggi confinati, in una sorta di esilio esistenziale, fra le mura della più classica delle “old house” (il film è stato girato nella villa che fu di Claretta Petacci durante la Repubblica di Salò!!!), mossi soltanto dalle proprie innaturali ossessioni: Jane Baker […] persa dietro ad i propri fantasmi erotici; sua figlia Lucy […] che non disdegna il fratricidio pur di ferire i propri odiati genitori; Robert Duval […], il padrone di casa, cieco, che, dopo una adolescenza non molto dissimile a quella di Norman Bates, si dedica al feticismo più sfrenato lasciando il palco delle proprie fantasie onanistiche solo ed esclusivamente alla nuova affittuaria…» (Bruni). «Macabro è paradossalmente in linea con la poetica di Georges Bataille, un’illustrazione della sua teoria sull’eros come parodia della morte» (Morandini).
 
ore 19.00 Inferno di Dario Argento (1980, 107′)
L’inferno argentiano: “tre madri” nascoste nei sotterranei di tre palazzi a Roma, New York, Friburgo, costruiti per loro da un architetto-alchimista, autore di un libro maledetto. «È una storia che si ispira all’alchimia moderna, alchimia di oggi, alchimia dei nostri giorni. Il mio film vuole esplorare e trovare le chiavi dei grandi segreti della vita e della morte» (Argento). Con Eleonora Giorgi, Gabriele Lavia, Alida Valli.
 
ore 21.00 …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà di Lucio Fulci (1981, 88′)
«Ambientato in una Louisiana di comodo, il film racconta le disgrazie di una ragazza che eredita un albergo sul quale pesa una maledizione. Tutto è detto nel prologo, che mostra il linciaggio di un pittore colpito con catene di ferro, inchiodato alla parete e dilaniato da calce viva. Il pittore grida che quella casa è costruita sopra una delle sette porte del male, e che soltanto la sua presenza può salvare gli ospiti» (Fegatelli). «Molti considerano il mio capolavoro, ma non lo è […]. Il messaggio che cercavo di comunicare è che la nostra vita è un terribile incubo, e che l’unica via di fuga è nascondersi in questo mondo fuori dal tempo» (Fulci). Con Catherine (Catriona) MacColl, David Warbeck e Veronica Lazar.
 
sabato 27
ore 17.00 La maschera del demonio di Mario Bava (1960, 88′)
Due viaggiatori nelle steppe russe fanno resuscitare la strega Asa, che ha il volto identico alla sua discendente Katia. La strega vampirizzerà quasi tutti i componenti della famiglia, cercando d’impadronirsi del corpo del pronipote. «Gli spettatori e i critici italiani dell’epoca furono ingannati dal genere, ma La maschera del demonio è un film di ambizioni alte, quanto poteva esserlo Il bacio della pantera di Tourneur. Bava rende significativamente omaggio a Nosferatu di Murnau nella sequenza della carrozza di Iavutich che attraversa il bosco. Ma girando in ralenti (al contrario di Murnau, che accelerava), Bava sottolinea anche la propria originalità nel momento in cui cita un’iconografia preesistente. Più che I vampiri, dove l’elemento orrorifico era ancora timido e necessitava per di più di una spiegazione naturalista, La maschera del demonio è il film che fa nascere l’horror italiano» (Pezzotta). Con Barbara Steele, John Richardson, Andrea Checchi, Ivo Garrani.
 
ore 19.00 I lunghi capelli della morte di Antonio Margheriti (1964, 99′)
«La figlia (Steele) di una strega ingiustamente condannata torna dalla tomba per sedurre e fare impazzire Kurt (Ardisson), il signorotto che ha fatto uccidere sua madre. Tipico gotico italiano con passaggi segreti, donne in camicia da notte che vagano nel buio e un tocco di erotismo (con un nudo fugace della Steele): l’atmosfera c’è, ma la sceneggiatura […] è stata improvvisata giorno per giorno, e si vede» (Mereghetti). «Il film non era fra i preferiti di Antonio, che lo definiva più un film storico che non dell’orrore, ma un giorno che feci delle critiche, su alcune scene che non mi erano piaciute, lo difese a spada tratta, dimostrando che in fondo amava tutte le sue creature allo stesso modo, non faceva distinzione tra “figli” e “figlietti”» (Edoardo Margheriti).
 
ore 20.45 Incontro moderato da Emiliano Morreale con Barbara Steele, Adriano Pintaldi, Alberto Ravaglioli, Simone Venturini
Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Simone Venturini Horror italiano (Donzelli, Centro Sperimentale di Cinematografia, 2014).
 
a seguire Danza macabra di Antonio Margheriti (1964, 90′)
Edgar Allan Poe non si considera un romanziere, quanto un cronista. Le vicende che racconta non sono frutto di fantasia, ma fatti realmente accaduti. Da questo assunto comincia l’avventura di Alain Foster, un giornalista giunto nella provincia per intervistare il celebre scrittore. Per orgoglio e scetticismo accetta la sfida di trascorrere la notte del 2 novembre (il giorno dei morti) nel castello abbandonato di Lord Blackwood. «Uno dei migliori gotici italiani dell’epoca, dove l’eleganza classica della messa in scena (con una prodigiosa fotografia contrastata di Riccardo Pallottini e abbondanza di piani-sequenza) fonde il romanticismo macabro con temi sottilmente morbosi, creando un clima sinuoso e suggestivo, senza il lieto fine d’obbligo» (Mereghetti). Barbara Steele, Georges Rivière, Margaret Robsham, Silvano Tranquilli.
Ingresso gratuito
 
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