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CSC-Cineteca Nazionale. Il 14 marzo, al cinema Trevi, giornata omaggio dedicata a Fabio Garriba
14 Marzo 2017 - 14 Marzo 2017

Centro Sperimentale di Cinematografia – Newsletter – Template CT EVENTO

Il 14 marzo, al cinema Trevi, giornata omaggio dedicata a Fabio Garriba

Il Centro Sperimentale di Cinematografia ricorda uno dei suoi allievi più geniali e fuori dagli schemi, Fabio Garriba, scomparso quest’estate nella sua Verona. A lui e al fratello Mario è dedicata una recente pubblicazione della Cineteca Nazionale, “Fabio e Mario Garriba, i gemelli terribili del cinema italiano”, presentata al Festival di Torino.
Nell’eterno gioco dialettico tra i due gemelli Fabio rivendica per sé quell’originalità, facendola risalire al suo saggio di diploma al Centro Sperimentale, I parenti tutti del 1967, altra variazione sul tema della morte (così come l’esercitazione di Mario Voce del verbo morire, a chiudere un ideale trittico): come avrebbe fatto due anni dopo Gino De Dominicis, Fabio Garriba fa stampare un necrologio in occasione della sua morte, duellando anche lui con l’immortalità. Fabio, studente di architettura, al primo anno era già arrivato alla corte di Le Corbusier, che, travolto dai suoi discorsi cinematografici (Pasolini lo inviterà a parlare da solo), gli segnala l’esistenza a Roma del Centro Sperimentale, dove Garriba entra “come caso eccezionale”, non essendo ancora laureato. E come tale si comporta portando una vena di sana pazzia tra le mura del Centro, degno preludio a una breve, ma intensa, carriera da segretario di assistente-aiuto regista per Carmelo Bene (Capricci), De Sica (per l’episodio Il leone de Le coppie), Godard (Vento dell’est), Pasolini (Porcile) e Visconti (provini d’ammissione al Csc), prima di dedicarsi (purtroppo non definitivamente, solo per pochi anni) alla carriera di attore, con il suo inconfondibile volto («la faccia gemella, meno saggia e più tragica», rispetto a quella egualmente «straordinaria» di Mario, come scrisse affettuosamente Tatti Sanguineti), che avrebbe meritato sguardi più attenti, ma che oggi riecheggia prepotentemente nelle numerose particine che fuoriescono qua e là. Innumerevoli camei di un personaggio che portava con la nonchalance di un outsider la sua fama già postuma.
 
ore 17.30 Maschio femmina fiore frutto di Ruggero Miti (1979, 97′)
«Forse lo zenith delle produzioni di Galliano Juso e trionfo assoluto della sua estetica trash-pugliese. Anna Oxa, nel suo unico film, si sdoppia in due gemelli, uno maschio, l’altro femmina, che arrivano a Roma da Bari e percorrono strade diverse, salvo poi finire entrambi a cantare come fossero una persona unica dal sesso ambiguo, come spiega appunto il titolo. Già questa partenza è micidiale, per non dire della costruzione dei due personaggi della Oxa e del femminismo alla romana modellato da Lidia Ravera, con la complicità del povero Enzo Ungari e di Gianni Barcelloni, che la cantante deve reggere sulle spalle. Il fatto è che i due gemelli, con tanto di accento pugliese, arrivano in una Roma anni ’70 e fanno i soliti folli incontri da cinema sotto-bertolucciano come se fossero stati affidati a Juso per una vacanza premio. Certo, è anche per questo che si ama il film. Così si va da Carlo Monni che fa il guru alla toscana, grandissimo, a Massimo Boldi ancor giovane, a Ninetto Davoli tardo-hippy all’intellettuale di Mario [in realtà Fabio] Garriba (Dio mio!), a Jimmy il fenomeno fan della discomusic. Una bomba. Ho visto allora il film come qualcosa di irripetibile. Ruggero Miti ha poi supervisionato artisticamente la mega sitcom di Raitre Un posto al sole. Ma non ha mai più girato un capolavoro così» (Giusti).
 
ore 19.30 I parenti tutti di Fabio Garriba (1967, 18′)
Un ragazzo immagina di essere morto e di sentire i commenti di familiari e amici. «”Mi sento un cadavere, devo far presto a seppellirmi altrimenti puzzo!”. Da questa osservazione si è sviluppato in me il desiderio di assistere ai miei funerali: desiderio elementare che credo ognuno di noi abbia provato. Si trattava cioè di un mio bisogno personale di vedere morta e seppellita la mia infanzia, la mia adolescenza e chiudere così i rapporti con i familiari per poter resuscitare adulto. Tuttavia nel cortometraggio si crea un’ambiguità che porta a sospettare che il protagonista non sia morto. Questa ambiguità riflette la mia situazione reale. Oggi a un anno di distanza posso dire in sincerità che la cassa caricata sul carro funebre era vuota perché mi ritrovo con addosso ancora il mio cadavere alla ricerca di una fossa dove seppellirlo» (Fabio Garriba).
 
a seguire Mai visto un fiume? di Liu Fong Kong (1967, 10′)
Un critico d’arte invita un giovane pittore di nature morte a rinnovarsi, a inventare un nuovo stile per conquistare soldi e fama. Il pittore segue la sua creatività e in due mesi si presenta al pubblico con opere astratte che riscuotono grande successo. Veste così i panni del pittore d’avanguardia, che risponde a tono e lancia frasi ad effetto. Al raffinato critico che lo incalza risponde come gli ha suggerito il suo mentore: «Hai mai visto un fiume?». Quando però questi è pronto a riscuotere i frutti dei suoi consigli, il pittore rivolge anche a lui la fatidica domanda, lasciandolo spiazzato. Con Fabio Garriba e Renato Scarpa.
 
a seguire Anni di Ustun Barista (1967, 10′)
Tratto da Cesare Pavese. Un uomo e una donna trascorrono insieme un’ultima notte insieme prima di lasciarsi, a casa lei. Dormicchiano, si sfiorano, si allontano, parlano brevemente. La mattina dopo, l’uomo la offende, forse per sentirsi meglio, prepara il caffè e poi se ne va, senza una parola, in una Roma deserta.Con Fabio Garriba e Olimpia Carlisi. Fotografia di Renato Berta.
 
ore 20.30 Sequenza tratta dal programma Come mai
Fabio Garriba interpreta la parte di un regista che gira una pubblicità di un liquore all’interno del lungo servizio di Guido Blumir e Alberto Grifi dal titolo La politica dell’alcool.
Copia proveniente dalle Teche Rai
 
a seguire Ammazzare il tempo diMimmo Rafele (1979, 90′)
Sara è una giornalista trentenne che vive sola in una città non sua. Ha come amante uno psicanalista che però un giorno non la lascia entrare, perché, come Sara scoprirà poi, è in compagnia di un’altra. È l’inizio di un triangolo tra un uomo apparentemente tranquillo, una ragazza che si droga e la giornalista, incuriosita dal comportamento libero della sconosciuta e dal rapporto che intrattiene con Igor, lo psicanalista. «”Siamo veramente una generazione disperata: abbiamo 25 anni, 27, 30 e siamo disposti a fingerne 50 pur di non avere la nostra età. O imitiamo i vecchi o imitiamo i ragazzini. Ma è proprio tanto una colpa avere 30 anni? Voglio dire: è impossibile portarseli addosso con quello che significano?”. Così dice Sara, protagonista del romanzo di Lidia Ravera da cui il film è tratto. È da qui, […] che parte il film, cercando di cogliere il delicato e doloroso passaggio dall’adolescenza all’età adulta, quasi una linea d’ombra che, per la generazione che ha oggi trent’anni, corrisponde anche al crollo delle “speranze rivoluzionarie”. Questo doppio invecchiamento, biologico e storico, viene messo a fuoco oltre che su Sara, la protagonista, anche su altri personaggi, anch’essi, in diversa misura, testimoni e vittime di questa lacerante condizione. […] Contrapposti a questi personaggi, quasi come uno specchio che deforma talmente da rendere indistinguibile l’immagine che riflette, stanno gli adolescenti di oggi, polo dialettico del romanzo e del film» (Rafele). Con Stefania Casini, Paola Morra, Flavio Bucci, Fabio Garriba, Angelo Infanti. Sceneggiatura di Ravera, Rafele ed Enzo Ungari.
 

Prosegue in marzo la retrospettiva “Paesaggi con figure. Il cinema di Michelangelo Antonioni” curata da CSC-Cineteca Nazionale presso la Casa del Cinema, Roma

Nel decennale della morte del grande regista (30 luglio 2007), la Cineteca Nazionale rende omaggio al suo cinema attraverso una serie di appuntamenti.
Nel decennale della morte di Michelangelo Antonioni, la Cineteca Nazionale rende omaggio al suo cinema attraverso una serie di appuntamenti. (Ri)vedere i suoi film significa comprendere la modernità del suo sguardo, perché, come ha scritto giustamente Giorgio Tinazzi, «Antonioni […] è un autore difficile. Lo è stato […], come testimoniano le costanti difficoltà da lui incontrate con i produttori, ai quali il suo rigore ha sempre dato fastidio; lo è stato con gli apparati repressivi sociali, come la censura, perché ha toccato di frequente i punti deboli che la rete dei “valori”  copriva; lo è stato per il pubblico, con il quale non ha mai avuto un contatto semplice, e che ha conosciuto anzi vuoti clamorosi (basti pensare all’accoglienza decisamente ostile riservata alla proiezione a Cannes dell’Avventura, quando il regista aveva già, si può dire, i suoi bravi titoli di merito). D’altronde, fino a un certo punto, i resoconti degli incassi sono oggettivi testimoni. È autore difficile, infine, per la critica: parlando in generale non si può dire che il riconoscimento della sua “novità” sia stato immediato; i ritardi sono sintomatici, così come alcune “consacrazioni” tardive, che talora avevano più l’aria di risarcire una colpa che di riesaminare i film o verificare gli errori». Ma malgrado tutto ciò, come ricordava Carlo di Carlo suo collaboratore storico – recentemente scomparso e che in questa sede vogliamo ricordare -, «Michelangelo Antonioni è una figura centrale nella cultura del Novecento, uno dei testimoni più lucidi della nostra epoca per avere saputo individuare e analizzare con le sue opere, attraverso un percorso solitario, originale e spesso trasversale, la “malattia dei sentimenti”, i problemi, le angosce, le paure dell’uomo nella società contemporanea. Antonioni è un autore che ha attraversato il suo tempo, ma che è stato anche sempre fuori dal tempo, diventando un maestro di stile e un innovatore del linguaggio».

Si ringrazia per la collaborazione Enrica Fico Antonioni

 

LUNEDÌ 6 MARZO

15.00 KUMBHA MELA di Michelangelo Antonioni (1989, 18′)

a seguire CHUNG KUO-CINA di Michelangelo Antonioni (1972, 217′)

 

LUNEDÌ 13 MARZO

15.00 ANTONIONI VISTO DA ANTONIONI (1978, 25′)

a seguire NOTO MANDORLI VULCANO STROMBOLI CARNEVALE di Michelangelo Antonioni (1992, 8′)

a seguire SICILIA di Michelangelo Antonioni (1997, 9′) 

a seguire BLOW-UP di Michelangelo Antonioni (1966, 111′) per gentile concessione di Warner Bros. Entertainment Italia

18.00 ZABRISKIE POINT di Michelangelo Antonioni (1970, 105′) per gentile concessione di Warner Bros. Entertainment Italia

 

LUNEDÌ 20 MARZO

15.00 ROMA di Michelangelo Antonioni (1990, 9′)

a seguire LO SGUARDO DI MICHELANGELO di Michelangelo Antonioni (2004, 15′)

a seguire PROFESSIONE: REPORTER di Michelangelo Antonioni (1975, 121′)

17.45 I IDENTIFICAZIONE DI UNA DONNA di Michelangelo Antonioni (1982, 129′)

 

LUNEDÌ 27 MARZO

16.00 I LE IMMAGINI E IL TEMPO: MICHELANGELO ANTONIONI di Luca Verdone (2005, 52′)

 a seguire FARE UN FILM PER ME È VIVERE di Enrica Antonioni (1996, 52′)

 a seguire Incontro con Enrica Antonioni, Luciano Tovoli, Luca Verdone

19.30 IL FILO PERICOLOSO DELLE COSE di Michelangelo Antonioni (ep. di Eros, 2004, 35′)

a seguire ANTONIONI VISTO DA ANTONIONI di Carlo Di Carlo (2008, 55′)

21.00 I AL DI LÀ DELLE NUVOLE di Michelangelo Antonioni Antonioni e Wim Wenders (1995, 112′)

 

 

La programmazione al cinema Trevi: marzo 2017

Questo mese Thom Andersen, la prima guerra mondiale nelle attualità, cinema sardo, i Ninchi, una famiglia al cinema, Garriba, Art/Trevi, visioni sociali, ricordo di Tonino Valerii e di Teresa Ann Savoy.

1 marzo Thom Andersen o del film-saggio
2-3 marzo
Guerre d’archivio: le attualità della Prima Guerra nel cinema italiano dagli anni Venti ad oggi
4 marzo Incontro con il Cinema Sardo a Roma
5 marzo Gene Wilder, involontariamente comico
7-12 marzo I Ninchi e il cinema: un vizio di famiglia
14 marzo
Fabio Garriba, genio e sregolatezza
15 marzo Le storie scellerate di Giuseppe Sansonna
16 marzo Art/Trevi – Ai confini dell’immagine. Storie da una collezione. Film & video d’artista nella Fondazione Nomas
17 marzo Dalla Svizzera: Stockage
18-19 marzo Visioni Sociali:Oltre il muro
21-26 marzo Giorgio Albertazzi e il cinema

28 marzo Giovanni Lombardo Radice, una vita da zombie
29 marzo In ricordo di Tonino Valerii
30 marzo Profondo Cozzi. Il cinema di Lewis Coates
31 marzo In ricordo di Teresa Ann Savoy
 
mercoledì 1
Thom Andersen o del film-saggio
Filmmaker, saggista, insegnante di cinema presso il California Institute for the Arts, Thom Andersen coniuga da sempre ricerca storica e creazione audiovisiva per definire una pratica del film-saggio tanto esemplare quanto personale, unendo erudizione e sottigliezza, cinefilia e coscienza politica. I lavori maggiori del regista statunitense sono pazienti scavi nella storia del cinema, che assemblano spezzoni di ogni provenienza, dal mainstream ai b-movie, al cinema marginale e indipendente, per comporre mosaici di epoche e luoghi. Thom Andersen sarà a Roma per presentare alcuni dei suoi film e per conversare con Adriano Aprà e il pubblico del Cinema Trevi.
L’evento è in collaborazione con l’associazione Filmidee, il Museo del Cinema di Torino, la Fondazione Spazio Forma di Milano, la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
 
ore 18.30 Juke-Passages from the Films of Spencer Williams di Thom Andersen (2015, 30′)
«In Juke, provo a recuperare il lavoro di Spencer Williams, dimostrare la sua originalità e bellezza nonché il suo valore documentario. Williams torna sempre sullo stesso tema: la battaglia tra il sacro e il profano, la chiesa e il juke, il gospel e il blues. Egli descrive entrambi le parti con egual convinzione. La chiesa vince sempre, ma concede al diavolo quel che gli spetta. Per questo The Blood of Jesus è un capolavoro: ci vuole un miracolo per portare via Martha Jackson dal fascino della città e dei suoi nightclub. Negli altri film il dramma è più banale, ma quel che ho cominciato a notare in questi film è la valida registrazione documentaria della vita dei neri negli anni quaranta» (Andersen).
Versione originale con sottotitoli in italiano
 
a seguire A Train Arrives at the Station di Thom Andersen (2016, 15′)
«A Train Arrives at the Station è stato un regalo che mi sono fatto. Non faccio proclami, né porgo le mie scuse a riguardo. Proviene dal lavoro su The Thoughts That Once We Had, un’inquadratura che avevamo dovuto tagliare malgrado mi dispiacesse molto: era l’inquadratura di un treno che entra in stazione da Figlio unico di Ozu. Ho deciso di farci un film, un’antologia di arrivi di treni. Comprende 26 scene o inquadrature di film, dal 1904 al 2015» (Andersen).
 
ore 19.30 Eadweard Muybridge Zoopraxographer di Thom Andersen(1975, 59′)
Dieci lunghi anni sono serviti per realizzare questo documentario che alterna sequenze animate delle cronofotografie di Muybridge, con l’analisi dei gesti di animali ed essere umani, ad altre dedicate alla biografia del fotografo inglese. Le implicazioni filosofiche e fisiologiche degli studi di Muybridge si allargano fino a investire il cinema e la stessa natura della visione.
Versione originale con sottotitoli in italiano
 
ore 20,30 Incontro moderato da Adriano Aprà con Thom Andersen, Tommaso Isabella, Gianmarco Torri
 
a seguire The Thoughts That Once We Had di Thom Andersen(2015, 108′)
«È una personale storia del cinema ispirata in parte da Gilles Deleuze e in parte dalla mia scoperta della commedia musicale hollywoodiana in occasione di una maratona “That’s Entertainment” su Turner Classic Movies nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio 2014. Il titolo non vuole insinuare che il cinema sia morto. Al contrario: oggi tutta l’arte aspira alla condizione del cinema» (Andersen).
Versione originale con sottotitoli in italiano
 
2-3 marzo
Guerre d’archivio: le attualità della Prima Guerra nel cinema italiano dagli anni Venti ad oggi
Che ruolo hanno i filmati d’archivio nella memoria che abbiamo oggi della Grande Guerra? E in che modo questa memoria visiva, che un tempo si pensava dovesse resistere al tempo in modo monolitico, è sopravvissuta (o cambiata) nella Storia passata e recente della Nazione? Da quando l’Italia ha iniziato ad interessarsi alla vita passata di questi materiali d’archivio?
La retrospettiva in questione, che giunge a 100 anni di distanza esatti dalla fondazione dei Servizi Fotocinematografici di Esercito e Marina, cerca di dare risposta a questa domanda, ripercorrendo, nelle sue principali tappe, il rapporto che il cinema e la televisione italiana hanno avuto con questo immenso giacimento visivo. Alla scoperta delle più singolari contraddizioni, dei misteri storiografici più irrisolvibili e delle punte liriche più elevate di un Paese che l’aspetto esteriore di quella guerra ha prima intensamente cinematografato, poi distrattamente conservato, ed infine altrettanto disperatamente ricercato. Tra sequenze strappate dal vivo corpo dei rispettivi documentari e memorie rimosse.
La rassegna, a cura di Sila Berruti e Luca Mazzei, è promossa in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata
 
giovedì 2
ore 17.30 4 novembre 1918 di Vittorio Calvino (1958, 19′)
Primo programma televisivo Rai dedicato alla Grande Guerra ad essere messo in onda. Dopo un breve prologo ambientato nelle vecchie trincee della guerra e al cimitero di Redipuglia, nel quale vediamo gruppi di reduci e vedove rendere omaggio ai caduti, la voice over ci guida in un percorso storico che abbraccia sinteticamente tutto il periodo del conflitto: dall’entrata in guerra del Paese, ai momenti difficili, fino alla vittoria. Sullo schermo richiamati, dalla voce del commentatore, brani dal vero, fotografie, illustrazioni d’epoca, qualche documento. Trasmesso il 4 novembre 1958.
Copia proveniente da Rai Teche
 
a seguireTutti quei soldati di Mauro Morassi [non accreditato] (1961, 22′)
Programmato il 4 novembre 1961, in chiusura della prestigiosa serata inaugurale del Secondo Programma Rai, il documentario cerca di inserire le vicende della guerra all’interno di un discorso più ampio che riguarda soprattutto l’affermazione di un comune senso di identità nazionale. La voce fuori campo si intona dunque sui sentimenti del soldato medio, personaggio a cui danno spazio due differenti voice over: quella di Riccardo Cucciolla, destinata qui ad esporre i fatti della guerra, e quella di Giorgio Albertazzi, che si concentra invece nella declamazione di brani tratti da pagine di scrittori dell’epoca, letti allo spettatore senza dichiararne la provenienza, come se emergessero dal magma di un flusso di coscienza collettivo. Eterogenee anche le immagini, che annoverano riprese dal vero d’epoca, fotografie e riprese documentarie realizzate per l’occasione. A causa di alcuni tagli, effettuati dall’emittente due giorni prima della messa in onda (ma a proiezioni private alla stampa già effettuate), il regista Mauro Morassi chiese e ottenne il ritiro della firma.
Copia proveniente da Rai Teche
 
a seguireLa notte di Caporetto diSandro Vanadia (1998, 27′)
Riflessione sul suolo storico della rotta di Caporetto, ottanta anni dopo la fine del conflitto. Le riflessioni sono inframezzate da brani di documentari Rai 1968-1975, i quali a loro volta presentano al loro interno sequenze “dal vero” dal fronte, in un sistema di sguardi a scatole cinesi. Conduce in studio Gabriella Facondo. Autore dei testi Emilio Franzina. Trasmesso per la prima volta su Rai 3 il 9 febbraio 1998 all’interno del contenitore “Storia d’autore”.
Copia proveniente da Rai Teche
 
a seguireDa Caporetto a Vittorio Veneto. Vittorio Veneto di Amleto Fattori e Arrigo Petacco (1968, 78′)
Seconda puntata di Da Caporetto a Vittorio Veneto, programma in due parti dedicato alle vicende delle forze armate italiane nella prima guerra mondiale. Oltre alle più importanti sedi archivistiche civili e militari d’Italia, ci si rivolge anche alla ricca collezione personale di Vico d’Incerti, qui pure intervistato. A fare da consulente storico è invece Novello Papafava, nei primissimi anni Sessanta già direttore della Rai. Lo stesso titolo del programma prende spunto d’altronde da un suo omonimo libro. Trasmesso per la prima volta il 27 novembre 1968 sul Secondo Programma Rai.
Copia proveniente da Rai Teche
 
ore 20.00 Incontro con Sila Berruti, Luca Mazzei, Fabrizio Micarelli, Maria Assunta Pimpinelli
 
a seguireGuerra nostra (1927, 20′)
Proiettato per la prima volta in Piazza Venezia la sera del 24 maggio 1927, Guerra nostra rappresenta il primo documentario di montaggio realizzato dal Luce reimpiegando i materiali girati al fronte dagli operatori dei Servizi Fotocinematografici di Esercito e Marina. Un provvedimento legislativo aveva infatti appena disposto, nel gennaio 1927, che “tutte le film di guerra in possesso dei Ministeri, Comandi od Uffici Militari” venissero versate al Luce nella nuova “Cinemateca di Propaganda ed Istruzione Militare”, uno dei diversi archivi tematici in corso di costituzione che dovevano servire da collettori di repertorio per filmati educativi e di propaganda. Il film risultava conservato solo in una versione condensata e ridotta in formato 9,5mm-Pathé Baby, distribuita nel 1929 per una diffusione nei circuiti minori, ma nel 2014 un ampio frammento in 35mm, corrispondente a circa un terzo dell’originale, è stato identificato negli archivi della Cineteca Nazionale in una copia nitrato d’epoca, purtroppo incompleta, e in un ulteriore brano isolato su pellicola safety, forse attribuibile a un intervento di duplicazione fatto negli anni Sessanta (e destinato ai repertori Rai?).La possibilità di istituire un confronto con il successivo Gloria. Documentazione cinematografica della guerra 1915-1918, realizzato sempre dal Luce nel 1934, ha rivelato che Guerra nostra ne costituisce il diretto antecedente, in quanto Gloria ne reimpiega buona parte delle immagini, ma ne modernizza le didascalie, divenute ormai datate nella loro enfasi tra il dannunziano e il futurista, e aggiunge musica e rumori, in una commistione di suoni e cartelli muti tipica delle prime fasi del cinema sonoro.
Il progetto di restauro del frammento ritrovato di Guerra nostra, che in quest’occasione viene presentato al pubblico per la prima volta, è stato condotto in partnership con Luce Cinecittà e ha previsto la scansione a 2k degli elementi individuati e il loro restauro digitale, fino alla realizzazione di un Dcp. Le lavorazioni si sono volte nel 2016 nei laboratori digitali di Luce Cinecittà, del CSC-Cineteca Nazionale e dell’Archivio del Cinema d’Impresa della sede Csc di Ivrea.
 
a seguireGloria. Documentazione cinematografica della guerra 1915-1918 (1934, 110′)
Monumentale silloge di epoca fascista dedicata alla Grande Guerra, vista in tutti i suoi multiformi aspetti. A produrla, basandosi sulle migliaia di metri di pellicola confluiti verso il suo archivio verso la fine degli anni Venti, è l’Istituto Luce. Il film si segnala anche per essere il primo film sonoro basato sul riuso di materiali “dal vero” della guerra del 1915-’18.
 
venerdì 3
ore 17.00 ll Piave mormorò… di Guido Guerrasio e Vico d’Incerti (1964, 93′)
Appoggiandosi a materiale girato all’epoca, Guerrasio e d’Incerti ricostruiscono la vicenda dell’Italia nella prima guerra mondiale. Per Vico d’Incerti, già direttore della Ferrania e da sempre appassionato di cinema muto, è anche il coronamento di un sogno a lungo vagheggiato. Da anni, in solitudine, va infatti personalmente raccogliendo nei laboratori o da collezionisti, tutti i “dal vero” realizzati al fronte durante la Grande Guerra che riesce a trovare. Ciò permette dunque a Il Piave mormorò… di esibire una ricchezza documentale mai vista prima. Prodotto dalla Federiz, fu presentato al pubblico il 4 novembre 1964.
 
ore 18.45 La trincea di Vittorio Cottafavi (1961, 52′)
Tratto da una commedia di Giuseppe Dessì, lo sceneggiato ricostruisce la vicenda della presa da parte degli italiani del 3° Battaglione della Brigata Sassari “della Trincea dei razzi”, una posizione fino ad allora ritenuta imprendibile. A conquistarla, grazie ad una tattica innovativa, fu lo stesso Francesco Dessì, padre dello scrittore, qui interpretato da Aldo Giuffré. Quasi del tutto ambientato in una claustrofobica trincea, lo sceneggiato usa brani “dal vero” d’epoca per ricostruire gli esterni, fra trincee osservate da feritoie e granate che esplodono nella terra di nessuno. Trasmesso in occasione della serata inaugurale del Secondo Programma Rai il 4 novembre 1961.
Copia proveniente da Rai Teche
 
ore 19.45 Torneranno i prati di Ermanno Olmi (2014, 80′)
Ermanno Olmi torna a girare sull’Altopiano d’Asiago, nei luoghi già teatro del conflitto. Gli stessi dove nel 1967 aveva girato il suo I recuperanti e sotto le cui vette già negli anni Settanta si è trasferito a vivere. Qui, in una trincea italiana d’alta montagna, un gruppo di soldati e ufficiali vive la guerra a diretto contatto col nemico, senza comunque mai riuscire a vederlo. Davanti a loro solo la natura. Boschi e nevi che sembrano quasi fare da velo all’orrore che sta oltre i camminamenti, nella dolorosa terra di nessuno. Tutto a lungo sembra continuare immutabile, in un continuo, silenzioso orrore quotidiano. Fin quando la guerra, evocata da un duro bombardamento, compare in tutta la sua violenza. È solo nel finale però che, grazie ad alcuni filmati d’epoca (qui accompagnanti dalle note di Paolo Fresu), compare infine anche la spoglia visualità di quell’orrore, fatto di disperati assalti fra filo spinati, morti e prati ridotti ormai ad orride petraie.
Per gentile concessione di CinemaUndici, Ipotesi Cinema, Rai Cinema
 
ore 21.10 Cronache del cinema e del teatro(1968, 8′)
Puntata del programma Rai Cronache del Cinema e del Teatro dedicata al cinema italiano durante la prima guerra mondiale. L’occasione è offerta da un’intervista all’operatore Paolo Granata, già operatore per Luca Comerio al fronte e in seguito depositario di gran parte delle sue pellicole. Granata fa vedere alla moviola alcuni brani di film di allora e spiega in quali condizioni e con quali accorgimenti furono girati.
 
a seguire Su tutte le vette è pace di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi (1998, 72′)
Seconda parte della trilogia di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sulla tragedia della prima guerra mondiale. Una riflessione sulla guerra ottenuta elaborando e montando insieme liberamente brani “dal vero” di entrambe le parti (da quelle realizzati dai servizi fotocinematografici a quelli ritenuti perduti, firmati da Luca Comerio) purché girati sulle Alpi. Tutto traendo ispirazione anche dalle ferite inferte dal tempo alle pellicole. Il commento è affidato a brani di diari di guerra (italiani e austriaci, di scrittori famosi e di ignoti soldati) e a canti di trincea dell’epoca (orchestrati ed interpretati da Giovanna Marini).
Per gentile concessione della Fondazione Museo Storico del Trentino e del Museo Storico Italiano della Guerra
 
sabato 4
Incontro con il Cinema Sardo a Roma
Continuano anche per il 2017 gli incontri dell’Associazione Il Gremio di Roma al Cinema Trevi, in collaborazione con Cineteca Nazionale, Fasi (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) e Cineteca Sarda.
Questa volta vengono presentati i lavori di alcuni tra i più interessanti autori nel panorama del cinema del reale, che anche in Sardegna si è sviluppato negli ultimi anni, in un territorio fortemente radicato nei suoi riti e nelle sue tradizioni. Rossana Cingolani, Sergio Naitza, Antonio Sanna e Umberto Siotto scavano nel passato dell’isola, chi alla ricerca di un filo intessuto nel mare, chi delle lettere tra due fratelli, chi, infine, di una svolta industriale, mai pienamente realizzata.
Programma a cura di Franca Farina
 
ore 16.30 Il filo dell’acqua di Rossana Cingolani (2016, 72′)
«Chiara Vigo è un Maestro, unica al mondo a conoscere il segreto della seta del mare, il bisso. Un filo prezioso che non si compra e non si vende perché appartiene al mare. Il giuramento dell’acqua, pronunciato a Sant’Antioco, in Sardegna, lega il Maestro con un altro, metaforico filo, quello di settemila anni di storia, lungo cui le generazioni si tramandano il segreto della raccolta e lavorazione del bisso marino. Una maestria che non può andare perduta e che Chiara Vigo custodisce, unica depositaria, mentre racconta ai visitatori le mille storie di questa tradizione antica. Il film ci porta nel cuore di un rito affascinante, sospeso tra una rara abilità artistica e la sacralità delle leggi che legano uomo e natura» (mymovies.it).
 
ore 17.45 Senza passare dal via di Antonio Sanna e Umberto Siotto (2016, 88′)
«Sul finire degli anni sessanta in una Sardegna che marcia a due velocità, con i poli di Cagliari-Macchiareddu-Sarroch e Portovesme e Sassari-Porto Torres, al centro dell’isola un gruppo di giovani democristiani contesta le scelte politiche della Regione e inscena una campagna di ribellione che si manifesterà con l’occupazione di una ventina di Municipi, delle strade e delle piazze. Il nuorese chiedeva sviluppo e occasioni di lavoro che in quel momento solo le fabbriche sembravano essere in grado di garantire. E fabbriche furono. Accogliendo le proposte del gruppo ribelle, capeggiato da Ariuccio Carta, allora consigliere regionale, la Regione decide di impiantare una fabbrica petrolchimica nella Media Valle del Tirso che avrebbe poi dovuto avere una serie di poli ad essa collegati così da spalmare sull’intero territorio le centinaia di miliardi che arrivavano dalle Partecipazioni Statali, erogati attraverso la Cassa per il Mezzogiorno. Il problema di Ottana è che nasce per fornire una risposta in termini sociali e non economici e questo caratterizzerà la sua storia pluridecennale. Nel corso degli anni sul polo industriale vengono letteralmente scaricati miliardi di lire e poi di euro per sanare perenni stati di crisi e avvicendamenti produttivi. Risorse e attenzioni particolari che vengono sottratte alla crescita di altri settori importanti dell’economia, come turismo, artigianato e naturalmente l’agricoltura e la pastorizia. Con l’ausilio di filmati d’archivio e interviste ai protagonisti di allora e di oggi il documentario Senza passare dal VIA racconta le origini e lo sviluppo del Polo Petrolchimico di Ottana, analizzando le fasi più importanti della sua storia, durata oltre quaranta anni e oggi probabilmente al termine del suo percorso produttivo» (Sanna-Siotto).

ore 19.15 Le nostre storie ci guardanodi Sergio Naitza (2013, 90′)
Il documentario Le nostre storie ci guardano racconta 25 anni di storia sociale della Sardegna, dalla fine degli anni Cinquanta al 1970: è il periodo cruciale in cui si esce da una economia agropastorale per entrare, complice il Piano di Rinascita, nell’epoca della trasformazione industriale. Ogni cambiamento fa i conti con i retaggi della tradizione e del passato. Questo cortocircuito fra antico e moderno emerge nel rapporto epistolare tra un fratello, costretto a trasferirsi a Cagliari per cercare lavoro, e una sorella, rimasta invece nel piccolo paese dell’interno: nelle loro lettere si specchiano i grandi temi che agitano la storia sarda, dalle miniere all’emigrazione, dalla pesca negli stagni alle prime cooperative, dal banditismo alla nascita della Costa Smeralda, dalla industrializzazione al Cagliari dello scudetto. Il cuore pulsante del documentario sono le immagini custodite nell’archivio della Rai sede regionale per la Sardegna: un montaggio rapido assembla sequenze da inchieste, documentari, servizi giornalistici, lasciando ampio spazio a spezzoni originali di interviste. Una commistione di vero e verosimile che diventa chiave narrativa per esplorare la nostra storia recente capace però di interrogarci – nel riproporre temi e problemi ancora oggi irrisolti – e di invitarci alla riflessione.
 
ore 21.00 Incontro moderato da Antonio Maria Masia con Rossana Cingolani, Sergio Naitza, Antonio Sanna e Umberto Siotto
 
domenica 5
Gene Wilder, involontariamente comico
La Cineteca Nazionale rende omaggio al geniale Gene Wilder, grande protagonista del cinema americano, scomparso nel 2016. «Figlio di Jeanne Baer, di origine russa, e William J. Silberman, immigrato ebreo russo produttore di birra e bottiglie di whisky in miniatura, Wilder ha studiato recitazione presso l’Università dell’Iowa e poi ha frequentato la Bristol Old Vic Theatre School in Inghilterra. Nei primi anni della sua carriera si è guadagnato da vivere come insegnante di scherma. Dopo essersi messo in evidenza nella produzione teatrale off-Broadway Roots, debutta con successo nel circuito teatrale ufficiale di New York con L’amante compiacente di Graham Greene, per cui ottiene il Clement Derwent Award. Nel 1963, la messa in scena a di Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht cambia per sempre la sua vita. Nel cast è infatti presente Anne Bancroft, all’epoca compagna di Mel Brooks, con cui Wilder stringe un forte legame di amicizia che lo porterà a far parte della celebre scuderia di artisti del cineasta newyorkese. Nel 1967, dopo aver preso parte ad alcune produzioni per il piccolo schermo, ottiene il primo ruolo cinematografico nel film Gangster Story di Arthur Penn. L’anno seguente è tra i protagonisti di Per favore, non toccate le vecchiette di Brooks. Il film mette definitivamente in luce le doti comiche di Wilder (valendogli anche una nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista), e dà definitivamente il via al fortunato sodalizio artistico da cui nascono capolavori della commedia come Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974) e Frankenstein Junior (1974; per cui Wilder ottiene la candidatura all’Oscar per la miglior sceneggiatura insieme a Mel Brooks)» (cinematografo.it). Di sé diceva: «Io non lo sono davvero. Tranne che in una commedia, in un film. Faccio ridere mia moglie una o due volte al giorno in casa, ma niente di speciale. Quando le persone mi vedono in un film e mi trovano divertente, poi si fermano e dicono cose a me su “quanto divertente sei stato in quella o quell’altra scena”. Ma io non credo di essere così divertente. Credo di poterlo essere solamente in un film».
 
ore 17.00 The World’s Greatest Lover di Gene Wilder (1977, 89′)
«A Rudy Valentin va tutto storto: mentre lavora in una pasticceria si distrae e le torte cadono in terra; garzone presso un fornaio, insulta involontariamente il direttore e poi il padrone e viene licenziato. La vera ragione dei suoi fallimenti è che, sentendosi insicuro, quando gli saltano i nervi cade in attacchi di laringite, oppure confonde le parole. Da tre mesi è sposato con Annie che lo ama fino a un certo punto poiché la giovane donna, come ogni americana degli anni ’20, è innamorata di Rodolfo Valentino, l’attore sulla cresta dell’onda. Per rivaleggiare con il famoso italo-americano, Zig, direttore della Rainbow-Film, indice un concorso per eleggere un nuovo attore nelle vesti di “il più grande amatore del mondo”» (cinematografo.it). Con Gene Wilder e Carol Kane.
Versione originale
 
ore 19.00 La signora in rosso di Gene Wilder (1984, 87′)
«Teddy Pierce è il tranquillo impiegato di un ufficio pubblicitario di San Francisco, padre e marito felice. Ma un giorno vede per strada una bellissima ragazza vestita di rosso e proprio nel momento in cui un soffio di vento le alza le gonne. Teddy perde la testa, tanto più che il caso gli riavvicina la sconosciuta; infatti, nella stessa mattina, la vede in una stanza adiacente al suo ufficio. Teddy non sa resistere alla tentazione e le telefona per invitarla a cena, ma non si accorge di parlare con una collega d’ufficio, l’appassionata quanto bruttina Miss Milner. Teddy, tornando a casa, comincia però a sentirsi in colpa e non va all’appuntamento. Miss Milner è naturalmente offesa a morte (forse, dato il suo fisico arcigno, quello era il suo primo appuntamento!) e nei giorni seguenti si vendica di Teddy con degli sgarbi e dei dispetti che egli, stupitissimo, non riesce naturalmente a spiegarsi. Qualche tempo dopo, Teddy incontra al galoppatoio la bella in rosso e un nuovo appuntamento viene fissato. Questa volta è la ragazza a non andare, ma telefona a Teddy invitandolo a raggiungerla a Los Angeles per trascorrere la notte insieme» (cinematografo.it). Con Gene Wilder e Kelly Le Brock.
 
ore 20.45 Luna di miele stregata di Gene Wilder (1986, 83′)
«Larry è un tipo che comincia a dar da pensare per le sue stranezze alla fidanzata Vicky e ai suoi compagni di lavoro. Notissimi lui e lei quali interpreti radiofonici presso gli studi di una radio di New York, in drammi dell’orrore, Larry ha insolite visioni, il rombo del tuono gli incute paure ed i suoi ululati da licantropo risultano agghiaccianti. Poiché la ricchissima zia Kate lo ha designato come suo unico erede testamentario, il giovanotto pensa bene di recarsi, in una sera di pioggia battente, al castello della eccentrica donna per presentarle la fidanzata. Ma qui trova una serqua di parenti – tra i quali, a detta di Kate, uno è sicuramente un vero licantropo – tutti in fondo assai interessati alla eliminazione di Larry, per godersi il grosso patrimonio. L’unico sistema è di spaventarlo a morte e in questo qualcuno sembra riuscire a puntino, con trucchi, apparizioni, rumori e due cadaveri autentici (uno dei quali è quello di un sicario)» (cinematografo.it). Con Gene Wilder e Jonathan Pryce.
 
7-12 marzo
I Ninchi e il cinema: un vizio di famiglia
Annibale, Carlo, Ave, Alessandro, Arnaldo… i Ninchi sono, accanto ai De Filippo, la più nutrita dinastia di teatranti in Italia. Il rapporto tra la famiglia Ninchi e la professione dell’attore si protrae infatti da più di cento anni e ha coinvolto già tre generazioni. La carriera del capostipite, Annibale (1887-1967), lo colloca di diritto tra i grandi attori tragici del Novecento. Partito dalla nativa Bologna per studiare alla prestigiosa scuola di Luigi Rasi, calcò le scene dei più importanti teatri italiani. Memorabili le sue interpretazioni a Siracusa e, al cinema, quella del padre di Mastroianni ne La dolce vita. Il primo a seguirne l’esempio fu il fratello Carlo (1896-1974) che, già avviato alla carriera militare, il caso volle attore: durante una visita alla compagnia di Annibale, a Forlì, fu “obbligato” a entrare in scena per una sostituzione e provato il mestiere se ne innamorò. Caratterista straordinario, ottenne attraverso il nascente mezzo cinematografico la stessa popolarità che il teatro aveva dato al fratello. Poi fu la volta di Ave (1915-1997) che, quando a Trieste, bambina, vide recitare Annibale, il cugino del padre, subito esclamò: “È un gioco bellissimo, voglio farlo anch’io!”. Come fece poi e con gli esiti che tutti conosciamo. Negli anni a venire nello stesso gioco si cimentarono, e ancora oggi si cimentano, figli e nipoti. Alessandro (1935-2005), nipote di Annibale, è stato anche regista e sceneggiatore. Arnaldo (1935-2013), figlio di Annibale, è stato un appassionato interprete del teatro di Pirandello. È stata la settima arte a regalargli il ruolo memorabile del boia nel Magnificat di Pupi Avati. Oggi la tradizione dei Ninchi è portata avanti da Marina, figlia di Ave, e Arianna, figlia di Arnaldo.
 
«Caro babbo,
non te l’aspettavi, eh? E invece eccoci qua, al Trevi, per la rassegna I Ninchi e il cinema: un vizio di famiglia.È da quando sei partito che mi frulla in testa quest’idea: riunire tutti i Ninchi in un unico film. Certo, da sola non ce l’avrei mai fatta. Ma Gianfranco Pannone ci ha creduto fin da subito e mi ha portato in Cineteca Nazionale, dove vi hanno scovato dai sotterranei uno per uno!
Dunque ci siamo, da Scipione l’Africano a L’uomo che ama, dal nonno a te, passando per Carlo, Ave e Alessandro: dal fascismo al post berlusconismo, quasi un secolo di storia è impressa sulle vostre facce… A rivedere i sedici film, più che un album di famiglia sembra un trattato di sociologia, che ci ricorda quanto hanno dovuto cambiare gli italiani per rimanere uguali a se stessi.
Come scrivevi tu dei Ninchi? Ah, ecco, l’ho trovato: “Tutti con una loro strada personale, il più possibile indipendente da un altro membro della famiglia e col terrore, grazie ad un orgoglio smisurato – la malattia più grave e contagiosa della famiglia -, di essere tacciato di nepotismo. Ecco perché non c’è mai stata la soddisfazione di poter dire: “Sono insieme”…
Eccoci invece insieme! Perché se ognuno ha lavorato per sé, io, che con Marina porto avanti il nome e la tradizione, stavolta ho lavorato per tutti. Per cui questa sera fammi un favore: sicuramente dove siete ci sarà un cinema, bene, allora mettetevi comodi, prendetevi i popcorn, lasciate da parte i narcisismi e godetevi la visione. Tutti insieme… orgogliosamente!» (Arianna Ninchi).
Rassegna a cura di Arianna Ninchi
 
martedì 7
ore 18.00 Scipione l’Africanodi Carmine Gallone (1937, 114′)
Dopo la disfatta di Canne, nel 208 a.C. il senato romano affida a Publio Cornelio Scipione il compito di combattere Cartagine sulla terra africana. Con l’aiuto di Massinissa, Scipione sconfigge Annibale a Zama. Scipione l’Africano doveva rappresentare agli occhi del regime la glorificazione del progetto imperiale di Mussolini, realizzando un perfetto parallelismo tra impero romano e Impero fascista. Con Annibale Ninchi.
 
ore 20.00 Giarabub di Goffredo Alessandrini (1942, 94′)
Durante la seconda guerra mondiale, il piccolo presidio di Giarabub viene totalmente isolato dal nemico. L’ultima autocolonna che porta i rifornimenti viene distrutta e il pugno d’uomini rimane alla mercé dell’avversario. Con Carlo Ninchi.
 
mercoledì 8
ore 17.00 Vivere in pace di Luigi Zampa(1947, 89′)
Zio Tigna, contadino benestante, vive in una fattoria dell’Umbria dove trovano rifugio due soldati americani, fuggiti da un campo di prigionia, ai quali si unisce anche un soldato tedesco. Tutti si ritroveranno per alcuni giorni a vivere insieme in una fratellanza che li unirà a dispetto di tutto. Ma la fine del conflitto è ancora lontana e le speranze di tutti si infrangono di fronte alla tragedia di quei giorni. Sospeso a metà tra commedia e melodramma, il film fu acclamato dalla critica newyorchese come un capolavoro neorealista e antibellico. Quella italiana, invece, ne esaltò gli spunti ironici, a tratti comici, che inserirono la pellicola nel filone della nascente commedia rosa. Nastro d’argento per il miglior soggetto e a Ave Ninchi per la migliore interpretazione femminile.
 
ore 19.00 L’onorevole Angelina di Luigi Zampa (1947, 95′)
Angelina, moglie di un vicebrigadiere e madre di cinque figli, guida le donne della borgata romana di Pietralata all’assalto dei magazzini di pasta di un borsanerista e, dopo l’alluvione, all’occupazione degli alloggi sfitti di un noto speculatore edilizio. Divenuta paladina della povera gente, quando tenta di entrare in politica, viene ingannata e fatta arrestare. Il film, un successo internazionale, è sospinto dalla carica travolgente della Magnani. Con Ave Ninchi.
 
ore 20.45 Totò le Mokò di Carlo Ludovico Bragaglia (1949, 90′)
Il famigerato capobanda Pepé le Mokò, che ha il suo quartier generale nella Kasbah di Algeri, viene ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia. La successione viene offerta ad un suo prossimo parente, Totò, suonatore ambulante napoletano che sogna di poter dirigere una banda musicale. Una delle interpretazioni più memorabili di Totò, irresistibile nella parodia dei personaggi dei film esotici francesi, di ambientazione coloniale, come il film del 1937 di Julien Duvivier (Pépé le Moko) con Jean Gabin. Con Carlo Ninchi.
 
giovedì 9
ore 17.00 Emigrantes di Aldo Fabrizi (1948, 105′)
«Giuseppe Borbone, muratore trasteverino, decide di lasciare l’Italia per trasferirsi in Argentina insieme alla moglie Adele e alla figlia Maria. Giuseppe e la figlia sono pieni di entusiasmo mentre Adele, non più giovanissima e prossima a divenire madre, parte a malincuore. Durante il viaggio a bordo di un piroscafo argentino, Adele dà alla luce un bimbo il quale, benché battezzato con il nome di Italo, sarà un argentino. Giunto a destinazione, Giuseppe si mette subito al lavoro e per la famiglia trova presto una casetta, anche se non molto accogliente. Su sua proposta e con l’aiuto degli italiani d’Argentina si dà inizio alla costruzione di case per gli immigrati. Il giovane direttore del cantiere, un ingegnere argentino, che ama, riamato, la figlia di Giuseppe, favorisce l’iniziativa. Adele, però, soffrendo di nostalgia insiste per tornare a Roma» (www.cinematografo.it ). Con Ave Ninchi.
 
ore 19.00 Parigi è sempre Parigi di Luciano Emmer (1951, 89′)
Le vacanze degli italiani all’estero, in trasferta a Parigi per vedere la partita di calcio: ognuno cerca di divertirsi come può, ma a farla da padrone è il solito provincialismo dei gustosi personaggi in scena. Un Emmer leggero ed effervescente come in Domenica d’agosto, da cui prende la struttura narrativa ad episodi: dopo la grande stagione del dopoguerra, questo film, scritto tra gli altri da Sergio Amidei, apre le porte alla fase del cosiddetto neorealismo rosa. Con Ave Ninchi.
 
ore 20.45 La presidentessa di Pietro Germi (1952, 87′)
«Espulsa da una cittadina francese come fonte di scandalo, Gobette (Pampanini), avvenente soubrette, si rifugia in casa del magistrato (Pavese) che l’ha allontanata e, scambiata per sua moglie (Ninchi), seduce il ministro della Giustizia (Dapporto) di passaggio che promuove il magistrato a una sede di Parigi. Tratto dalla pièce La présidente (1912) di Maurice Hennequin e Pierre Veber e sceneggiato da Aldo De Benedetti, “è tutt’altro che un film inguardabile ed esanime, solo che [P. Germi] vi si tiene completamente ai bordi e si guarda bene dal metterci i piedi” (M. Sesti). Una prestazione d’opera, insomma, ma governata da un navigato professionista» (Morandini).
 
venerdì 10
ore 17.00 I colpevoli di Turi Vasile (1957, 84′)
«Due genitori (uno dei quali è un giudice), hanno vedute diverse circa l’educazione da dare al figlio: rigido lui, permissiva lei. Quando il giovane ha problemi con la
giustizia, la tensione si acuisce fino alla soluzione finale» (www.cinematografo.it).«Turi Vasile, allettato dalle facilitazioni e dalle suggestioni, tecniche e non, offertegli dalle riprese televisive della commedia di Lelli [Sulle strade della notte] (il film è stato girato in tre settimane, con tre macchine da presa contemporaneamente; ogni sequenza era di otto minuti e mezzo senza interruzione) e influenzato dall’essere egli stesso il regista teatrale della commedia, ha tentato di fare una semplice “regia teatrale per il cinema” […]. Il film ha così lo strano sapore di una commedia registrata per la TV e “fissata” per il cinema». Con Carlo e Sandro Ninchi.
 
ore 18.30 La dolce vita di Federico Fellini (1960, 175′)
«Il film è troppo importante perché se ne possa parlare come di solito si fa di un film. Benché non grande come Chaplin, Eisenstein o Mizoguchi, Fellini è senza dubbio un “autore”, non “regista”. Perciò il film è unicamente suo: non vi esistono né attori né tecnici: niente è casuale» (Pasolini). Con Annibale Ninchi.
 
ore 21.30 Incontro moderato da Boris Sollazzo con Arianna Ninchi, Gianfranco Pannone, Pasquale Pozzessere
 
a seguire Episodio 1 di Cocapop di Pasquale Pozzessere (2010, 22′)
Tre storie  di dipendenza da cocaina relative a tre differenti generazioni. Nella prima una signora non più giovanissima (Lisa Gastoni) scopre causalmente che il marito (Arnaldo Ninchi) fa uso di cocaina, ma quando lui si accorge che lei sa della sua dipendenza ha una reazione violenta. 
 
sabato 11
ore 17.00 Rimini Rimini di Sergio Corbucci (1987, 114′)
«L’estate a Rimini: c’è Ermenegildo Morelli, un pretore in vacanza, severo fustigatore di costumi, che, innamoratosi di Lola, una procacissima donna, si ritrova preso a sberle o nudo in mare fino al tramonto e per quella maliarda si travestirà da donna, per venirne smascherato, mentre balla il tango con Pino Tricario, un modesto artista di varietà. C’è Liliana, una giovane signora che un’amica tenta di spingere in braccia virili (il designato è un culturista, che pensa solo ai propri muscoli ed alla sua palestra), e finisce invece sedotta e ricattata dal dodicenne figlio dell’amica. E poi ancora un giovane prete coinvolto in una avventura con una suora straniera, nonché un gruppo di tre fratelli – massicci e burini oltre ogni dire – che fanno di tutto per riportare il sorriso sulle labbra di Noce Bovi, loro sorella, presunta vedova di un creduto disperso in mare e che poi ricompare più gagliardo e voglioso che mai. Il tutto tra affaristi senza scrupoli, prostitute ingaggiate e play-boy» (www.cinematografo.it ). Con Arnaldo Ninchi.
 
ore 19.00 Magnificat di Pupi Avati (1993, 97′)
«È, a parer mio, un bellissimo film, il migliore tra gli italiani di questa stagione, uno dei più belli degli ultimi anni, il risultato più alto nella ventennale carriera di Pupi Avati […]. Il film intreccia una mezza dozzina di storie cui fa da filo conduttore l’itinerario del boia Folco, esecutore di giustizia (l’intenso Arnaldo Ninchi) e del suo giovane assistente, e che convergono a Malfole, all’abbazia della Visitazione» (Morandini). «Volevo rappresentare attraverso una serie di quadri e di personaggi gli elementi di quella società: la fede e la violenza. A quel tempo le pratiche spirituali convivevano con la violenza di tutti i giorni. Nel mio racconto si mescolano dunque le esecuzioni dei boia, l’ingresso di un’oblata in un monastero, le ultime ore del signore del posto, un matrimonio. Su tutto regna il silenzio di Dio, un silenzio che a quel tempo non era motivato dall’assenza, come accade oggi» (Avati).
 
ore 20.45 8½di Federico Fellini (1963, 138′)
«Un misto tra una sgangherata seduta psicanalitica e un disordinato esame di coscienza in un’atmosfera da limbo» (F. Fellini). «La masturbazione di un genio» (Buzzati). «Una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca» (Arbasino). «Una costruzione in abisso a tre stadi» (Metz). Con Annibale Ninchi.
 
domenica 12
ore 17.00 Il trasformista di Luca Barbareschi (2002, 92′)
«In seguito a una rovinosa alluvione del Po, in un paesino della bassa padana viene alla luce una discarica abusiva di sostanze tossiche. Colpito dalla scoperta dei bidoni di scorie tossiche, il leader ambientalista locale Augusto Viganò, un quarantenne idealista, decide di bloccare il treno speciale con il quale il ministro Antonelli sta girando la zona per verificare i danni causati dalle acque. Antonelli accetta di buon grado di visionare la discarica: fra i due nasce un feeling che, di lì a poco, porterà Augusto diritto in Parlamento a Roma. Ma l’ambiente romano può essere ricco di tranelli e tentazioni…» (www.cinematografo.it ). Con Arnaldo Ninchi.
 
ore 18.45 Giorni e nuvole diSilvio Soldini (2007, 116′)
Elsa e Michele hanno una figlia di vent’anni e vivono una vita agiata e serena. Elsa ha potuto anche realizzare il sogno di lasciare il lavoro per dedicarsi allo studio della storia dell’arte. Proprio subito dopo la sua laurea, quando Elsa si sente finalmente appagata, arriva un fulmine a ciel sereno: Michele confessa di essere stato estromesso dalla società da lui fondata e di essere senza lavoro da due mesi. Elsa, nonostante tutto, riesce a fronteggiare la situazione ritrovando in sé un’insospettata energia, mentre Michele passa dall’euforia alla depressione a seconda di come procede la sua ricerca di lavoro. Il rapporto tra i due si incrina tanto da arrivare alla rottura, ma poi entrambi si rendono conto di non voler perdere l’unica cosa preziosa che hanno: il loro amore. Con Arnaldo Ninchi.
 
ore 21.00 L’uomo che ama di Maria Sole Tognazzi (2008, 102′)
«Roberto, a quasi quarant’anni, non ha ancora capito il significato del vero amore. Nella sua vita ci sono state due donne importanti, Sara e Alba, ma nei due rapporti l’uomo ha tenuto un comportamento diametralmente opposto: tanto dolce con una, quanto crudele con l’altra. Attraverso le sue esperienze e analizzando la situazione sentimentale di amici e parenti Roberto cercherà di trovare le risposte e la verità, se davvero esiste, sull’amore» (www.cinematografo.it ). Con Arnaldo Ninchi.
 
martedì 14
Fabio Garriba, genio e sregolatezza
Il Centro Sperimentale di Cinematografia ricorda uno dei suoi allievi più geniali e fuori dagli schemi, Fabio Garriba, scomparso quest’estate nella sua Verona. A lui e al fratello Mario è dedicata una recente pubblicazione della Cineteca Nazionale, Fabio e Mario Garriba, i gemelli terribili del cinema italiano, presentato al Festival di Torino.
Nell’eterno gioco dialettico tra i due gemelli Fabio rivendica per sé quell’originalità, facendola risalire al suo saggio di diploma al Centro Sperimentale, I parenti tutti del 1967, altra variazione sul tema della morte (così come l’esercitazione di Mario Voce del verbo morire, a chiudere un ideale trittico): come avrebbe fatto due anni dopo Gino De Dominicis, Fabio Garriba fa stampare un necrologio in occasione della sua morte, duellando anche lui con l’immortalità. Fabio, studente di architettura, al primo anno era già arrivato alla corte di Le Corbusier, che, travolto dai suoi discorsi cinematografici (Pasolini lo inviterà a parlare da solo), gli segnala l’esistenza a Roma del Centro Sperimentale, dove Garriba entra “come caso eccezionale”, non essendo ancora laureato. E come tale si comporta portando una vena di sana pazzia tra le mura del Centro, degno preludio a una breve, ma intensa, carriera da segretario di assistente-aiuto regista per Carmelo Bene (Capricci), De Sica (per l’episodio Il leone de Le coppie), Godard (Vento dell’est), Pasolini (Porcile) e Visconti (provini d’ammissione al Csc), prima di dedicarsi (purtroppo non definitivamente, solo per pochi anni) alla carriera di attore, con il suo inconfondibile volto («la faccia gemella, meno saggia e più tragica», rispetto a quella egualmente «straordinaria» di Mario, come scrisse affettuosamente Tatti Sanguineti), che avrebbe meritato sguardi più attenti, ma che oggi riecheggia prepotentemente nelle numerose particine che fuoriescono qua e là. Innumerevoli camei di un personaggio che portava con la nonchalance di un outsider la sua fama già postuma.
 
ore 17.30 Maschio femmina fiore frutto diRuggero Miti (1979, 97′)
«Forse lo zenith delle produzioni di Galliano Juso e trionfo assoluto della sua estetica trash-pugliese. Anna Oxa, nel suo unico film, si sdoppia in due gemelli, uno maschio, l’altro femmina, che arrivano a Roma da Bari e percorrono strade diverse, salvo poi finire entrambi a cantare come fossero una persona unica dal sesso ambiguo, come spiega appunto il titolo. Già questa partenza è micidiale, per non dire della costruzione dei due personaggi della Oxa e del femminismo alla romana modellato da Lidia Ravera, con la complicità del povero Enzo Ungari e di Gianni Barcelloni, che la cantante deve reggere sulle spalle. Il fatto è che i due gemelli, con tanto di accento pugliese, arrivano in una Roma anni ’70 e fanno i soliti folli incontri da cinema sotto-bertolucciano come se fossero stati affidati a Juso per una vacanza premio. Certo, è anche per questo che si ama il film. Così si va da Carlo Monni che fa il guru alla toscana, grandissimo, a Massimo Boldi ancor giovane, a Ninetto Davoli tardo-hippy all’intellettuale di Mario [in realtà Fabio] Garriba (Dio mio!), a Jimmy il fenomeno fan della discomusic. Una bomba. Ho visto allora il film come qualcosa di irripetibile. Ruggero Miti ha poi supervisionato artisticamente la mega sitcom di Raitre Un posto al sole. Ma non ha mai più girato un capolavoro così» (Giusti).
 
ore 19.30 I parenti tutti diFabio Garriba (1967, 18′)
Un ragazzo immagina di essere morto e di sentire i commenti di familiari e amici. «”Mi sento un cadavere, devo far presto a seppellirmi altrimenti puzzo!”. Da questa osservazione si è sviluppato in me il desiderio di assistere ai miei funerali: desiderio elementare che credo ognuno di noi abbia provato. Si trattava cioè di un mio bisogno personale di vedere morta e seppellita la mia infanzia, la mia adolescenza e chiudere così i rapporti con i familiari per poter resuscitare adulto. Tuttavia nel cortometraggio si crea un’ambiguità che porta a sospettare che il protagonista non sia morto. Questa ambiguità riflette la mia situazione reale. Oggi a un anno di distanza posso dire in sincerità che la cassa caricata sul carro funebre era vuota perché mi ritrovo con addosso ancora il mio cadavere alla ricerca di una fossa dove seppellirlo» (Fabio Garriba).
 
a seguire Mai visto un fiume? di Liu Fong Kong (1967, 10′)
Un critico d’arte invita un giovane pittore di nature morte a rinnovarsi, a inventare un nuovo stile per conquistare soldi e fama. Il pittore segue la sua creatività e in due mesi si presenta al pubblico con opere astratte che riscuotono grande successo. Veste così i panni del pittore d’avanguardia, che risponde a tono e lancia frasi ad effetto. Al raffinato critico che lo incalza risponde come gli ha suggerito il suo mentore: «Hai mai visto un fiume?». Quando però questi è pronto a riscuotere i frutti dei suoi consigli, il pittore rivolge anche a lui la fatidica domanda, lasciandolo spiazzato. Con Fabio Garriba e Renato Scarpa.
 
a seguire Anni di Ustun Barista (1967, 10′)
Tratto da Cesare Pavese. Un uomo e una donna trascorrono insieme un’ultima notte insieme prima di lasciarsi, a casa lei. Dormicchiano, si sfiorano, si allontano, parlano brevemente. La mattina dopo, l’uomo la offende, forse per sentirsi meglio, prepara il caffè e poi se ne va, senza una parola, in una Roma deserta.Con Fabio Garriba e Olimpia Carlisi. Fotografia di Renato Berta.
 
ore 20.30 Sequenza tratta dal programma Come mai
Fabio Garriba interpreta la parte di un regista che gira una pubblicità di un liquore all’interno del lungo servizio di Guido Blumir e Alberto Grifi dal titolo La politica dell’alcool.
Copia proveniente dalle Teche Rai
 
a seguire Ammazzare il tempo diMimmo Rafele (1979, 90′)
Sara è una giornalista trentenne che vive sola in una città non sua. Ha come amante uno psicanalista che però un giorno non la lascia entrare, perché, come Sara scoprirà poi, è in compagnia di un’altra. È l’inizio di un triangolo tra un uomo apparentemente tranquillo, una ragazza che si droga e la giornalista, incuriosita dal comportamento libero della sconosciuta e dal rapporto che intrattiene con Igor, lo psicanalista. «”Siamo veramente una generazione disperata: abbiamo 25 anni, 27, 30 e siamo disposti a fingerne 50 pur di non avere la nostra età. O imitiamo i vecchi o imitiamo i ragazzini. Ma è proprio tanto una colpa avere 30 anni? Voglio dire: è impossibile portarseli addosso con quello che significano?”. Così dice Sara, protagonista del romanzo di Lidia Ravera da cui il film è tratto. È da qui, […] che parte il film, cercando di cogliere il delicato e doloroso passaggio dall’adolescenza all’età adulta, quasi una linea d’ombra che, per la generazione che ha oggi trent’anni, corrisponde anche al crollo delle “speranze rivoluzionarie”. Questo doppio invecchiamento, biologico e storico, viene messo a fuoco oltre che su Sara, la protagonista, anche su altri personaggi, anch’essi, in diversa misura, testimoni e vittime di questa lacerante condizione. […] Contrapposti a questi personaggi, quasi come uno specchio che deforma talmente da rendere indistinguibile l’immagine che riflette, stanno gli adolescenti di oggi, polo dialettico del romanzo e del film» (Rafele). Con Stefania Casini, Paola Morra, Flavio Bucci, Fabio Garriba, Angelo Infanti. Sceneggiatura di Ravera, Rafele ed Enzo Ungari.
 
mercoledì 15
Le storie scellerate di Giuseppe Sansonna
«Il cinema chiede, come lo sport, degli scrittori che siano destinati a raccontarlo. Giuseppe Sansonna, che si è anche occupato di sport (ma di Zeman, figura buona per un film di Herzog), è il Gianni Brera del cinema. In Hollywood sul Tevere (Minimum fax, 2016, […]) pesca le storie più stralunate di attori magnificati dalla gloria e dalla dannazione del palcoscenico, che vampirizza, ti ruba la vita. Così, Sansonna convoca la figura di Salvo Randone, che “nel 1972 Francis Ford Coppola lo vorrebbe nel Padrino, ma lui rifiuta cortesemente». Evoca, con tratti lunari, La diva mancata, Tina Aumont, “una donna dalla bellezza lancinante”, superba unione di due divi, l’assoluto Jean-Pierre Aumont e l’annullante Maria Montez, “morta d’infarto mentre era immersa nella schiuma della sua vasca, in una villa parigina di Suresnes”. […] Probabilmente l’attrice più affascinante mai apparsa a Cinecittà, Tina muore dieci anni fa, il 28 ottobre del 2006, nel sud della Francia. Irredenta, inquieta, irrisolta. Una “perduta”. Assunta tra le rare attrici che ci hanno convinto che dietro il divo c’è il divino» (Davide Brullo).
 
ore 16.30 Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli (1965, 117′)
Adriana, una bella ragazza di campagna, dal Pistoiese si trasferisce a Roma in cerca di fortuna. Comincia a lavorare come domestica, poi fa la parrucchiera, quindi la maschera in un cinema, poi la cassiera in un bowling. Credulona, ingenua, ignorante, attratta soltanto dai dischi e dal ballo, mentre passa da un mestiere all’altro, subisce con indifferenza e con amoralità ogni compagnia maschile che le si presenta. Ma il suo non è calcolo, bensì fragilità, incoscienza e bisogno d’affetto. «Pietrangeli […] gli sta chiedendo solo una rapida apparizione, un pretesto per inserire il suo nome a caratteri cubitali nei titoli di testa: deve vestire i panni di un attore cinico e affermato, premiato in un salotto romano, affollato da trepidanti marginali della Hollywood tiberina. Tognazzi dà una rapida scorsa al copione, poi fulmina il regista: “Sono libero solo stanotte, per due ore, ma non per la parte del grandattore stronzo. Voglio essere l’altro, il fallito che gli striscia ai piedi, il guittaccio da avanspettacolo”, è la sua proposta. Pietrangeli accetta felicemente, lasciando carta bianca all’attore sulla costruzione del personaggio» (Sansonna).
 
ore 18.30 Todo modo di Elio Petri (1976, 137′)
«Mentre in Italia si scatena una terribile epidemia, un centinaio di “notabili” del partito che governa l’Italia da tre decenni si riunisce in un albergo-convento, costruito nel sottosuolo di una pineta, per eseguirvi un corso di esercizi spirituali condotto dal severo gesuita don Gaetano. […] Forse l’opera più “politicamente scorretta” sulla figura di Aldo Moro (rappresentato da colui che tutti chiamano “il presidente”). Film cupo, grottesco, profetico, nel quale lo statista democristiano vi è rappresentato come colui che dovrà “portare la croce della mediazione sul Monte Calvario dei nuovi assetti”» (Uva). «Gian Maria Volonté aveva incarnato lo statista democristiano nel discusso e cupidissimo Todo modo. “È meglio di Noschese”, avevano scritto i giornali, per denigrare il virtuosismo tecnicista dell’attore» (Sansonna).
 
ore 21.00 Incontro moderato da Emiliano Morreale con Giuseppe Sansonna
Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Giuseppe Sansonna Hollywood sul Tevere. Storie scellerate (minimum fax, 2016).
 
a seguire L’urlo diTinto Brass (1970, 93′)
«Lo stimolo erano i fatti che succedevano. Mi ricordo che avevo scritto due o tre cartelle che cominciavano così: “Se la storia si mette a correre il cinema non può continuare a camminare”. Ciò rende l’idea del film a cui pensavo quando l’ho proposto a De Laurentiis. Tutti quei fermenti erano nell’aria. Non è un film sul Sessantotto, ma del Sessantotto. Che respira quegli umori. E che ruota attorno ad un’idea metaforica: una fuga virtuale che può durare sette giorni – infatti c’è una scansione a episodi che fa pensare a una durata di sette giorni – oppure sette minuti, sette secondi, eccetera» (Brass). «Tina [Aumont], con la sua sola presenza in scena, avoca il film a sé. Profonde generosamente innocenza infantile, lampi vampireschi, urla lacerate. Ha gli occhi bistrati di nero pece, le giarrettiere macchiate di sangue fresco, la bocca perennemente dischiusa. Sembra la Lady Godiva, nuda a cavallo, di John Collier: una donna fatale […]. Al suo fianco, ad arginarne l’impatto perturbante, c’è un Gigi Proietti logorroico e sconnesso, con un piede ancora nell’avanguardia e l’altro nell’infinito cabaret a venire» (Sansonna).
 
giovedì 16
Art/Trevi – Ai confini dell’immagine. Storie da una collezione. Film & video d’artista nella Fondazione Nomas
«Collezionare un video, produrlo, conservarlo, distribuirlo… Quali sono i circuiti? Quali le criticità? Quale il valore di mercato? Quale il suo potenziale di esposizione e distribuzione? È legittimo trattare un film d’artista come un prodotto chiuso in dvd e venduto in tiratura limitata? O è una forzatura di mercato? Quale futuro aspetta questa ricerca sulle immagini in movimento che interessa sempre più autori della scena contemporanea? E che ricaduta avrà sulla nostra percezione dell’arte?
A scatenare le tanto complesse domande sarà una speciale visione di opere provenienti dalla raccolta di Raffaella e Stefano Sciarretta, collezionisti che, ben prima della nascita della loro Fondazione Nomas, decisero di acquistare e spesso co-produrre lavori filmici di giovani artisti. Oggi quella collezione supera il centinaio di titoli (molti dei quali in proiezione nel corso del pomeriggio) e offre un ampio spettro di tecniche e linguaggi che spazia dall’animazione al found footage, dalla performance al documentario, con rari lavori di ottimi artisti/filmaker italiani.
E nel cercare di delineare i confini e gli esiti di un territorio ancora rinchiuso nella terra di mezzo tra opera e film, museo e sala, Art/Trevi intende aprire questa discussione sul presente e sul futuro dell’arte filmica alle opinioni di artisti, direttori museali, galleristi, responsabili di festival, curatori di mostre e rassegne» (Mammì).
Rassegna a cura di Alessandra Mammì
 
ore 17.00 Burning Mein Kampf di Paolo Canevari (2008, 9′)
a seguire Ring of fire di Paolo Canevari (2005, 8′)
a seguire Ciao di Mariana Ferratto (2010-2011, 4′)
a seguire 1 Story di Wannes Goetschalckx (2005, 19′)
a seguire Vox Clamatis in Deserto di Per-Oskar Leu (2010, 4′)
a seguire The Building di Hans Op de Beeck (2007, 4′)
a seguire Rodolfo Centodue di Giulia Piscitelli (2002, 18′)
a seguire Colony Foundation. Il futuro non è più quello di una volta di Luana Perilli (2012, 7′)
a seguire Nui Simu di Marinella Senatore (2010, 15′)
a seguire Nummer Twee di Guido Van der Werve (2003, 3′)
a seguire Nummer Drie di Guido Van der Werve (2004, 10′)
a seguire Nummer Vier di Guido Van der Werve (2005, 12′)
a seguire Nico & the Vascellaris di Nico Vascellari (2005, 5′)
a seguire Volver atràs Para ir adelante di Gea Casolaro (2003, 9′)
a seguire Story of the Heavens and Our Planet di Adelita Husni-Bey (2011, 7′)
a seguire Interiors di Ursula Mayer (2006, 3′)
a seguire Love di Tracey Moffatt (2003, 21′)
a seguire I Will Survive di Lorenzo Scotto di Luzio (2′)
a seguire Mondo fantastico di Lorenzo Scotto di Luzio (2004, 13′)
a seguire Know Yourself di Lorenzo Scotto di Luzio (2002, 4′)
a seguire These Imaginary Boys di Adrian Tranquilli (2004, 5′)
a seguire 50 000 000 Can’t be Wrong di Susanne Burner (6′)
 
ore 20.30 Incontro moderato da Alessandra Mammì con Raffaella e Stefano Sciarretta
Nel corso dell’incontro sono previsti interventi di artisti e proiezioni di filmati
 
venerdì 17
Dalla Svizzera: Stockage
Il programma della serata, diviso in due parti, fa eco alla mostra di John M Armleder all’Istituto Svizzero di Roma. L’artista è nato nel 1948 a Ginevra ed è una delle figure più importanti dell’arte contemporanea svizzera. Questi film consentono di ricordare l’attività dell’artista nel gruppo Fluxus e offrono al pubblico una visione della densità della sua pratica. I film che compongono la prima parte della serata sono legati alle pratiche del gruppo ECART, attivo a Ginevra all’inizio degli anni Settanta. Il film Simultaneous Duo Versions, che sarà proiettato nella seconda parte della serata, è un reenactment di performance Fluxus immaginato dall’artista e dal suo amico Christian Marclay. John M Armleder sarà presente all’appuntamento per confrontarsi con il pubblico, insieme ad altre personalità del mondo dell’arte. Questo programma e questo incontro permettono di avere una visione delle influenze dell’immagine in movimento sull’arte del gruppo Fluxus.
Rassegna a cura dell’Istituto Svizzero di Roma
 
ore 19.00 One Day Movie Hall di John M Armleder – Groupe ECART (1968-1973, 13′)
a seguire Fluxtheatre di John M Armleder – Groupe ECART (1974, 1′)
a seguire The Crissier-Walk (Ecart Meets Adelina & Egon von Fürstenberg) di John M Armleder – Groupe ECART (1974, 4′)
a seguire Why not Stop? (Part One) di John M Armleder – Groupe ECART (1968-1977, 13′)
a seguire Voltes III di John M Armleder (2003, 3′)
 
ore 20.00 Incontro moderato da Samuel Gross con John M Armleder, Lionel Bovier Andrea Viliani
 
a seguire Simultaneous Duo Versions di John M Armleder e Christian Marclay (2014, 56′)
 
18-19 marzo
Visioni Sociali:Oltre il muro
L’appuntamento di “Visioni Sociali” vuole essere un grande laboratorio cinematografico permanente per riflettere a 360 gradi sulle dinamiche sociali, politiche, culturali, narrate dal cinema italiano, e non solo. Da ottobre a giugno, otto appuntamenti con otto parole chiave: un “contenitore” di cinema che sappia attraversare i generi, i formati, le provenienze, per offrire una riflessione ad ampio raggio sul mondo che ci circonda, superando ogni tipo di definizione e di etichetta.
Rassegna a cura di Maria Coletti
 
sabato 18
ore 17.00 La pecora nera di Ascanio Celestini (2010, 93′)
Il film è la storia di Nicola, che per trentacinque anni ha vissuto in manicomio, a contatto con coloro che lui preferisce chiamare “santi” invece che matti. Ripercorrendo la storia del protagonista sin da bambino, il film mostra uno spaccato della condizione di vita dei malati mentali in Italia, a partire dai “favolosi” anni Sessanta, fino a giungere ai giorni nostri, nei quali il mondo interno dell’istituto nel quale vive Nicola non è poi così diverso da quello all’esterno. «C’è molto Brecht nello stile volutamente non naturalistico, e c’è molto Pasolini nell’occhio cinematografico che Celestini si inventa per questo suo primo film (non casuale, anzi decisivo l’apporto del direttore della fotografia Daniele Cipri, già partner di Franco Maresco in “Cinico Tv”). Ma l’apparente limpidezza del film nasconde una complessità che darà vita a polemiche e fraintendimenti. È facilissimo leggerlo come un film sulla pazzia, sulla 180, sulla Basaglia, e trovarlo poco realistico, poco di “denuncia”. La verità è che Celestini usa il manicomio per parlare d’altro. […] La pecora nera è la storia di un’Italia non cresciuta, rinchiusa nel mito dei “favolosi anni Sessanta”. È un film su di noi, anche se crediamo di non essere matti» (Crespi).
 
ore 19.00 L’intervallo di Leonardo Di Costanzo (2012, 86′)
Salvatore e Veronica: un ragazzo e una ragazza troppo cresciuti rinchiusi in un edificio abbandonato in veste, rispettivamente, di carceriere e prigioniera. Dapprima fanno fatica a relazionarsi l’uno all’altro, ma con il passare delle ore si ritrovano a parlare dei loro sogni e dei loro desideri di adolescenti, che per forza di cose hanno dovuto mettere da parte. Arrivano persino a pensare di organizzare una fuga prima che la banda da cui sono stati rinchiusi faccia ritorno… «Da una parte la forza della loro fantasia e della loro vitalità, capace di trasformare un ambiente fatiscente e abbandonato in una specie di regno delle favole, dove una cantina allagata diventa il mare e un giardino incolto quasi una foresta, mentre ogni sussurro si trasforma nell’eco di un fantasma. Dall’altra c’è il peso della realtà, con la logica delle guerre di quartiere, del potere territoriale, degli sgarri e delle offese, dove quella del più forte è l’unica legge accettata. Tra questi mondi che così male si conciliano tra loro, i due ragazzi devono trovare la propria strada, che potrebbe essere fatta di ribellioni o di compromessi, di libertà o di sottomissioni» (Mereghetti).
 
ore 21.00 L’uomo di vetro di Stefano Incerti (2007, 102′)
Il film, tratto dal libro omonimo di Salvatore Parlagreco, è ispirato alla storia di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia che pagò questa scelta con il carcere, il manicomio giudiziario e, infine, con la sua stessa vita. «Anche se nel Dna del regista cìè la lezione del cinema d’inchiesta e meridionalista di Rosi, L’uomo di vetro non è un film “giornalistico”. Piuttosto è interessato a scavare nella complessità di un’anima divisa in due […] Incerti ha trovato la chiave per raccontare “la lotta di un non eroe, in parte vittima e in parte colpevole”. Fuori dai cliché» (Paolo D’Agostini).
 
domenica 19
ore 17.00 Le rose blu di Emanuela Piovano, Anna Gasca, Tiziana Pellerano (1990, 94′)
«Le rose blu è il risultato elaborato dalle tre cineaste con una cinquantina di detenute in alcuni mesi di intenso lavoro collettivo, funestati da una terribile tragedia: l’incendio che il 3 giugno 1989 distrusse quella prigione facendo 11 vittime. Per raccontare cos’è questo film indipendente girato a 16 mm, gonfiato a 35 mm e distribuito da una coraggiosa piccola distribuzione, l’Airone, è forse meglio precisare quello che assolutamente non vuole essere. Né dramma carcerario all’americana, né documentario sulla condizione femminile nelle prigioni nostrane, Le rose blu è una voce del carcere espressa attraverso la metafora della poesia: in uno stile sperimentale a volte irrisolto, con modi sconcertanti ma sempre appassionati. Il titolo si riferisce ai versi della detenuta Livia, la più grintosa e compenetrata prima di rimanere uccisa nel fatale incidente, cui Laura Betti, in un’apparizione di pasoliniana memoria forse un po’ pleonastica, porta in omaggio l’azzurro fiore che non esiste in natura» (Levantesi).
 
ore 19.00 Come il vento di Marco S. Puccioni (2013, 118′)
Storia di una delle prime donne direttrici di carcere, Armida Miserere, chiamata a dirigere i penitenziari più “caldi” d’Italia a contatto con i peggiori criminali, terroristi e mafiosi del nostro tempo. «Trascorse la sua esistenza professionale e privata in perpetui spostamenti di case di reclusione da Lodi a Pianosa, dal palermitano Ucciardone a Sulmona, dove nel 2003 si tolse la vita. Impossibile le era diventato sopravvivere al dolore per aver perso il compagno Umberto, trucidato a sangue freddo nel 1990 vittima di un complotto. Con attenzione ai dettagli di una personalità complessa e contraddittoria, Puccioni ripercorre gli ultimi 13 anni della vita della Miserere, declinando il genere biopic su un dramma “sensoriale” ove la tragedia di una donna si apre all’empatia universale. Sullo sfondo di un’Italia sempre più decadente nella salvaguardia del sistema carcerario ma anche reattiva rispetto alla criminalità organizzata (Armida coopera all’arresto di Brusca), emerge un personaggio potente e fragile, mirabilmente ritratto da Valeria Golino in una delle sue migliori interpretazioni» (Passetti).
 
ore 21.00 Passannante di Sergio Colabona (2011, 82′)
Napoli, novembre 1878. Giovanni Passannante, giovane cuoco lucano, decide di attentare alla vita del Re d’Italia. In realtà, il suo attacco provoca al Re solo qualche graffio, ma lui viene prima condannato a morte, poi graziato, e in seguito sbattuto a marcire in una segreta sotto il livello del mare prima di essere imprigionato in un manicomio criminale. È qui che muore nel 1910, ma a causa del suo gesto gli viene negata la sepoltura e il suo cranio esposto nel Museo Criminologico di Roma. Da allora la sua storia viene dimenticata. Sarà grazie alla estenuante battaglia di tre uomini testardi, idealisti e un po’ incoscienti – un teatrante, un giornalista e un cantante – che i resti di Giovanni Passannante, nel 2007, troveranno finalmente riposo nel cimitero di Salvia di Lucania, il suo paese natale. «Com’è che una vicenda abbuiata nei libri di storia – una riga, un nome a stento tra le pagine -, chiusa per anni nella teca polverosa di un piccolo museo di Roma diventa una folgore? Perché quella di Giovanni Passannante è una storia che ti cattura l’anima, ti scuote furiosa a distanza di un secolo, e nei suoi terrificanti dettagli insegna – meglio di qualsiasi saggio – che per completare l’Unità d’Italia bisogna che siano uguali e con uguali diritti tutti gli italiani. […] Un patchwork sul filo conduttore delle musiche sottilmente struggenti dei Têtes des Bois, che ricuce frammenti di film in costume a spezzoni tv sui Savoia, sequenze dallo spettacolo di Ulderico e cronache di ordinaria burocrazia in cui i nostri piccoli eroi moderni (Sarta, Pesce e il giornalista) cercano di riportare quel che resta di Giovanni a casa» (Rossella Battisti).
 
21-26 marzo
Giorgio Albertazzi e il cinema
«Giorgio Albertazzi e il cinema: uno straordinario percorso artistico che ci consegna una varietà di personaggi che il Maestro Albertazzi ha fatto diventare da subito icone da imitare, senza incappare mai nella retorica di una interpretazione ed entrando nella valigia dei ricordi di tutti gli italiani: ancora oggi attuale nel visualizzare i conflitti etici della scienza e l’insuperabile dualismo fra Bene e Male è la splendida rilettura de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di R. L. Stevenson, da Giorgio Albertazzi scritta e diretta. Come per il teatro, il Maestro Giorgio Albertazzi ha lasciato un segno memorabile anche nelle sue interpretazioni sul piccolo e grande schermo (per la televisione è stato uno dei primi divi televisivi, protagonista di sceneggiati di grande successo e di letture poetiche che tutta l’Italia seguiva con passione). Una veste di assoluto rilievo (sia nei panni di attore che di regista) che mostra spunti di grande attualità: memorabile l’interpretazione da protagonista in L’avvocato De Gregorio, film di denuncia del 2003 sulle morti bianche con la regia di Pasquale Squitieri. Le parole di Alessandra Levantesi sul film ne sono una chiara testimonianza: “Il pregio maggiore di questo film, condotto con coraggio sul filo di una popolaresca semplicità, sta nell’interpretazione di Giorgio Albertazzi. Da mezzo secolo fra le figure di spicco dello spettacolo, […] con questo De Gregorio entra di prepotenza nella schiera dei personaggi emblematici rappresentando, al di là di un caso umano complesso e perfino non sempre simpatico, la voglia di riscatto di una città umiliata”. Nel programma della retrospettiva sono presenti anche due delle sue opere dietro la macchina da presa: Gradiva (1970), in cui il Maestro Albertazzi scopre persino una futura diva come Laura Antonelli (protagonista femminile del film), e Gli angeli del potere (1988), “la storia di un delirio, di opposizione per non cedere – commenta Giorgio Albertazzi – in cui gli angeli sono l’incarnazione, fantastica, del potere. Nella realtà sono i funzionari del potere, i direttori del teatro, sono i medici degli ospedali psichiatrici, sono la polizia”. Ripensare al cinema (come anche al teatro e alla televisione) del Maestro Giorgio Albertazzi significa ricevere in dono una “poesia” che ci avvolge in un’armonia di passioni, di riflessioni e di amori… un fuoco che arde accanto a noi, scaldando i nostri cuori e che ci trasforma in veri e propri sognatori con “i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”» (Davide Cavuti).
Rassegna a cura di Centro Ricerche e Studi Nazionale Alessandro Cicognini, Cineteca Nazionale, Teche Rai
 
martedì 21
ore 17.00 Philo Vance – La strana morte del signor Benson di Marco Leto (1974, 118′)
Primo episodio della miniserie televisiva italiana e centrata sull’investigatore dandy Philo Vance, creato dallo scrittore S.S. Van Dine. «Un giocatore dongiovanni è assassinato. Philo Vance, che si trovava ospite nella stessa casa al momento dell’omicidio, risolve il caso. Uno dei classici del giallo, raccontato discretamente da Leto e interpretato con divertita gigioneria da Giorgio Albertazzi. Il libro fu ispirato dall’assassinio Elwell avvenuto negli anni Venti (assassinio che in realtà non fu mai risolto)» (Carbone).
Per gentile concessione di Teche Rai
 
ore 19.00 Philo Vance – La fine dei Greene di Marco Leto (1974, 106′)
«Il terzo e ultimo, La fine dei Greene, oltre a operare una serie di cambiamenti drastici rispetto al testo di partenza, sembra sciogliere ogni riserva per così dire teorica, per concentrarsi sullo stile autonomo della messa in quadro, con una più sciolta propensione della macchina da presa ad organizzare il suo discorso per segmenti prolungati e spesso virtuosistici» (Mancino).
Per gentile concessione di Teche Rai
 
mercoledì 22
ore 17.00 George Sand – Nostra signora di Nohant di Giorgio Albertazzi (1981, 71′)
Prima puntata dello sceneggiato televisivo che racconta la vita della grande scrittrice francese (Aurore Dupin il suo vero nome), nata nel 1804 e morta nel 1876, stella di prima grandezza della società artistica e intellettuale del suo tempo, femminista e socialista, donna anticonformista quante altre mai. Con Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi, Elisabetta Pozzi, Mariano Rigillo, Laura Morante.
Per gentile concessione di Teche Rai
 
ore 18.30 Gradiva di Giorgio Albertazzi (1970, 93′)
Prima trasposizione cinematografica al mondo del saggio sulla Gradiva di Jensen, scritto da Freud e la collaborazione tra il regista e lo psicanalista Cesare Musatti. Una giovanissima e bellissima Laura Antonelli fu scoperta dal talent scout Albertazzi, per ricoprire il ruolo di Gradiva, la donna che attraversando le epoche diventa un’ossessione del protagonista.
 
ore 20.30 Gli angeli del potere di Giorgio Albertazzi (1988, 100′)
«Il film si svolge nel 1980 a Praga. La situazione del film si potrebbe però ripetere anche oggi […]. Il film comincia con una donna che gli “angeli” spingono al suicidio […] con una specie di persuasione psicoanalitica. Chi sono questi angeli e chi è questa donna? La donna è una celebre attrice, una star del teatro di Praga, sposata con un operatore di cinema […]. Gli angeli sono l’incarnazione, fantastica, del potere. Nella realtà sono i funzionari del potere, i direttori del teatro, sono i medici degli ospedali psichiatrici, sono la polizia […]. Questa donna cosa ha fatto, secondo il potere? Ha partecipato a questo momento, straordinariamente euforico […] che è stata la primavera di Praga. […] Poi però il potere è ritornato come dominio e lei si oppone, resiste, viene allontanata dal teatro, le viene tolta la tessera del partito. […] Il film è la storia di un delirio, di un delirio di opposizione per non cedere. Ma la situazione può accadere ovunque, non soltanto in Cecoslovacchia, non soltanto a Praga, che comunque resta un modello» (Albertazzi).
Per gentile concessione di Teche Rai
 
giovedì 23
ore 17.00 5 donne per l’assassino di Stelvio Massi (1974, 99′)
Pavia: chi massacra donne incinte? Uno scrittore (Francis Matthews) che ha appena scoperto di non essere il padre di suo figlio? O un losco primario (Albertazzi) che elogia Erode? Dichiaratamente ispirato al bel più noto giallo di Mario Bava, Sei donne per l’assassino (1964), si segnala per la grande interpretazione di Giorgio Albertazzi. Sceneggiatura di Gianfranco Clerici, Roberto Gianviti e Vincenzo Mannino con musiche di Giorgio Gaslini.
 
ore 19.00 Lorenzaccio di Raffaello Pacini (1951, 97′)
Lorenzo de’ Medici, detto Lorenzaccio (Giorgio Albertazzi), avendo con la sua condotta provocato la collera di Papa Clemente VII, suo zio, viene bandito dallo Stato Pontificio e fugge a Firenze. Egli volge in mente il disegno di liberare, a qualunque costo, la sua città dalla crudele tirannia del duca Alessandro, suo cugino.
 
ore 21.00 L’avvocato De Gregorio di Pasquale Squitieri (2003, 107′)
«Ruolo maiuscolo per Giorgio Albertazzi diretto da Pasquale Squitieri, un regista che con le maiuscole va a nozze. L’avvocato De Gregorio è un relitto del Foro napoletano che risale la china battendosi ostinatamente per far luce su un oscuro incidente sul lavoro. Grandangoli, dettagli sgradevoli, tirate all’antica: Squitieri non si nega nulla. Ma l’impeto e l’urgenza di questa requisitoria populista testimoniano un disagio e una ribellione insoliti» (Ferzetti).
 
venerdì 24
ore 17.00 Vita di Dante di Vittorio Cottafavi (1965, 229′)
Vita di Dante è uno sceneggiato televisivo diretto da Vittorio Cottafavi su sceneggiatura di Giorgio Prosperi, trasmesso dalla Rai in tre puntate sull’allora Programma Nazionale dal 12 dicembre al 19 dicembre 1965. La fiction faceva parte della trilogia delle Vite celebri curata da Angelo Guglielmi, comprendente anche Vita di Michelangelo, regia di Silverio Blasi, trasmessa l’anno prima, 1964, e Vita di Cavour, diretta da Piero Schivazappa, che sarebbe andata in onda nel 1967. Nei panni del sommo poeta Dante Alighieri era Giorgio Albertazzi, affiancato da Loretta Goggi, Renzo Palmer, Luigi Vannucchi e un cast di attori di vaglia, molti dei quali di formazione teatrale, con Riccardo Cucciolla presente come voce fuori campo in funzione di narratore.
Per gentile concessione di Teche Rai
 
ore 21.00 L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais (1961, 94′)
«In un hotel che forse è una clinica di lusso, dove passato, presente, futuro (reali o immaginari) si fondono e si confondono, un uomo (Albertazzi) corteggia una donna (Seyrig) sostenendo di averla già conosciuta in passato, ma non è dato di sapere tutta la verità, né se qualcuno sta mentendo. Tratto da una sceneggiatura di Alain Robbe-Grillet, capofila del nouveau roman, il film è non solo un esercizio di stile, ma anche una ricerca sul tempo e la memoria e un esperimento sull’intercambiabilità dei discorsi e delle situazioni. L’idea centrale era quella di raccontare una storia “dall’interno della coscienza, con un tempo mentale che è sempre e solo il presente” (Volpi), dentro uno spazio dove i protagonisti si aggirano quasi prigionieri. Capolavoro di uno dei grandi maestri della Nouvelle Vague, riscosse all’epoca un grande successo di critica e scioccò il pubblico con le sue arditezze narrative (e le misteriosissime regole del gioco dei fiammiferi). […] Leone d’oro a Venezia» (Mereghetti).
 
sabato 25
ore 16.30 Jekyll di Giorgio Albertazzi (1969, 251′)
Che legame c’è tra il celebre biologo Henry Jekyll, una vita tra esperimenti e alambicchi, e il losco Edward Hyde che ha aggredito una studentessa? Perché il primo ha nominato suo erede universale il secondo? L’avvocato John Utterson vuole scoprire cosa accomuni due uomini apparentemente diversi quanto il Bene e il Male. Ma l’apparenza, si sa, troppo spesso inganna. Splendida rilettura in chiave moderna de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di R. L. Stevenson (Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1886), da Giorgio Albertazzi scritta e diretta, ancora oggi attuale nel visualizzare i conflitti etici della scienza e l’insuperabile dualismo fra Bene e Male, entità con le quali siamo costretti a fare i conti nel nostro incedere terreno, senza riuscire a scindere l’una dall’altra.
Per gentile concessione di Teche Rai
 
ore 21.00 Incontro con Pino Ammendola, Gabriele Antinolfi, Davide Cavuti, Pia De Tolomei, Michele Placido
Nel corso dell’incontro sarà consegnato il Premio Internazionale Alessandro Cicognini alla memoria di Giorgio Albertazzi.
 
a seguire Un’avventura romantica di Davide Cavuti (2016, 62′)
Il film-documentario ricostruisce i momenti della vita, i rapporti con la famiglia e con i registi dell’epoca, le opere del compositore Alessandro Cicognini, con la partecipazione di personaggi importanti che lo hanno conosciuto e che hanno arricchito con la loro testimonianza il lungometraggio. Alessandro Cicognini firmò le musiche di oltre trecento film, fu il compositore preferito di Vittorio De Sica, scrivendo le musiche di quasi tutte le sue produzioni, tra cui Sciuscià e Ladri di biciclette, entrambi vincitori del premio Oscar; collaborò con i più grandi registi della sua epoca, tra cui Alessandro Blasetti, Mario Camerini, Luigi Comencini, Vittorio De Sica, Camillo Mastrocinque, Mario Monicelli, Steno. Alla fine degli anni Sessanta, il suo gesto di buttare nel fiume Aniene tutte le musiche che aveva composto, segnò l’allontanamento definitivo dal mondo del cinema. Nel cast Edoardo Siravo, Michele Placido, Pino Ammendola, Lino Guanciale, Debora Caprioglio, Antonio Salines, Gaetano Aronica, Micol Olivieri, con interviste a Pasquale Squitieri, Lino Patruno, Umberto Scipione, Stelvio Cipriani, Manuel De Sica, Antonella Ruggiero e Giorgio Albertazzi.
 
domenica 26
ore 16.30 L’idiota di Giacomo Vaccari (1959, 423′)
L’idiota fu presentato il sabato nel settembre del 1959 in quattro puntate: era stato sceneggiato da Giorgio Albertazzi dal romanzo omonimo (1869) di Fëdor Michàjlovič Dostoevskij, e – scrive Aldo Grasso – «un cast prestigioso e la regia di Vaccari decretano il successo della riduzione televisiva in quattro puntate del romanzo di Dostoevskij». Il cast era costituito da Giorgio Albertazzi (il principe Lev Nikolaevič Myškin, l’ultimo erede di una grande famiglia decaduta, un individuo spiritualmente superiore ma indifeso nella sua fiducia verso il prossimo, nella sua generosità e bontà d’animo e nella sua inesperienza della vita, responsabile anche di una certa debolezza della volontà e di un infantile immobilismo), Gian Maria Volonté (il violento e appassionato Parfën Rogožin), Anna Proclemer (l’affascinante e dolente Nastas’ja Filippovna Baraškova, amante di un ricco capitalista) e Anna Maria Guarnieri (la figlia del generale Epančin, Aglaja, innamorata dal principe che la ricambia), contornati da Sergio Tofano, Gianni Santuccio, Antonio Pierfederici , Lina Volonghi, Ferruccio De Ceresa, Maria Fabbri, Gianna Giachetti e Franca Nuti. Scrive ancora Aldo Grasso: «Nonostante qualche contrazione dei complessi sviluppi della storia, la sceneggiatura di Albertazzi resta fedele al testo originario dando vita a un racconto televisivo chiaro e fluente. Efficacemente tratteggiati sono i personaggi e i ruoli, […] i protagonisti della tormentata vicenda nella quale la pietà resta l’unico conforto di fronte alla drammaticità dei rapporti umani».
Per gentile concessione di Teche Rai
 
martedì 28
Giovanni Lombardo Radice, una vita da zombie
«Giovanni Lombardo Radice ha recitato in alcune delle più sanguinose pellicole del cinema italiano tanto da assurgere, a livello internazionale, a vero e proprio divo del gore con lo pseudonimo di John Morghen (dal cognome di famiglia della madre): la testa trapanata da Venantino Venantini nel fulciano Paura nella città dei morti viventi è sua, così come suo è l’organo riproduttivo evirato da un cannibale nel lenziano Cannibal Ferox; nel margheritiano Apocalypse domani viene contagiato da un virus che lo spinge a praticare l’antropofagia; è complice delle violenze compiute su un gruppo di fighetti presi in ostaggio dal brutale David Hess ne La casa sperduta nel parco di Deodato ed è ancora al centro di situazioni ad alto tasso di emoglobina negli horror firmati da Soavi (Deliria, La chiesa, La setta). Lombardo Radice è stato però anche tanto altro. Nato bello da togliere il fiato, da giovane, andando in controtendenza rispetto alle aspettative di una famiglia che diede i natali a importanti uomini di cultura, decide di intraprendere la carriera nel mondo dello spettacolo. Si è dedicato ad esso anima e corpo, con costanza, sacrificio, testarda determinazione, un pizzico di fortuna e un’ammirevole tendenza alla poliedricità: è attore in sceneggiati televisivi e film d’autore (Honolulu Baby di Nichetti, Prendimi l’anima di Faenza, Gangs of New York di Scorsese), interprete e regista teatrale, scrittore, sceneggiatore (sua la popolarissima serie tv I ragazzi del muretto), traduttore e docente di recitazione. L’etichetta di “attore di genere” risulta perciò quanto mai limitativa. Ha avuto mille avventure sentimentali, ma è sempre restato fedele a un solo vero amore: William Shakespeare» (Schiavi).
Programma a cura di Andrea Schiavi
 
ore 17.00 Deliria di Michele Soavi (1987, 90′)
Una compagnia teatrale è alle prese con le prove di uno spettacolo teatrale ispirato a fatti realmente accaduti, di cui è stato protagonista un folle, il quale fugge dall’ospedale e si reca nel capannone, dove sono riuniti gli attori… «Soavi promette bene ed entra, con onore, fra gli adepti del thriller all’italiana, forte delle virtù espressive che gli portano in dote generazionale un ritmo veloce, diciamo pure da videoclip al sangue, una studiata assenza di psicologia, l’amore per la musica fortissima, che entra in vena» (Porro). «Opera prima di Soavi, adorata da Quentin Tarantino (che considera Soavi il miglior regista italiano in attività) e da una schiera non limitata di cultist boys che lo vedono come un piccolo horror artigianale puro, d’altri tempi» (Giusti).
 
ore 18.45 Apocalypse domani di Anthony M. Dawson (1980, 95′)
«Non proprio una parodia di Apocalypse Now di Francis Coppola, ma un prolungamento splatter, mischiato a umori di Zombi 1 e 2. Veloce, essenziale come un action-movie […]. Ambientato e filmato ad Atlanta, Georgia, segue le azioni dell’ex berretto verde John Saxon (bravo, tristissimo) che, infettato da un virus cannibale in Vietnam, e diventato una specie di zombie-rambo semina il panico assieme a due commilitoni ugualmente contagiati. Estremamente duro e violento, si prese una classifica di X Rated in America […]. Per Spaghetti Nightmares è un “gore estremo, malsano”. Per Quentin Tarantino è il suo Margheriti preferito» (Giusti). A fianco di John Saxon, John Morghen, ovvero Giovanni Lombardo Radice, l’immancabile vittima del cinema italiano.
 
ore 20.30 Incontro moderato da Ivan Zingariello con Giovanni Lombardo Radice, Masolino d’Amico, Edoardo Margheriti, Andrea Schiavi, Michele Soavi
Nel corso dell’incontro verrà presentato il volume Giovanni Lombardo Radice alias John Morghen, Una vita da zombie. Vita privata e carriera di una star dell’horror (David and Matthaus, 2016).
 
mercoledì 29
In ricordo di Tonino Valerii
È scomparso ad ottobre Tonino Valerii, allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia negli anni Cinquanta, regista di punta del western all’italiana, la cui storia è inevitabilmente legata a quella di Sergio Leone. Con luci e ombre, che affiorarono dopo la morte del suo maestro, attorno alla paternità di un film, Il mio nome è nessuno. Film a suo modo epocale, dal quale scaturì una polemica che fece epoca, che coinvolse testimoni, più o meno diretti, e che causò molta sofferenza a un uomo generoso ed entusiasta come Valerii. La Cineteca Nazionale gli dedicò una retrospettiva completa nel 2007 e in q  uell’occasione, come in altre, Tonino si fece apprezzare per la sua sensibilità e il suo fiuto cinefilo. Due doti che rivelò sin da allievo raccontando, nel suo saggio di diploma, la storia di Anna Frank, prima che fosse scoperta da Hollywood. Il fiuto che lo portò a segnalarci il nome di un oscuro (all’apparenza) bancario, Ettore Ferettini, colonna della Fedic, straordinario filmaker che grazie a Tonino scoprimmo, riuscendo a recuperarne miracolosamente i film.
 
ore 16.30 Il diario di Anna Frank di Tonino Valerii (1957, 26′)
Prima del film di George Stevens con Millie Perkins e Shelley Winters (del 1959), Valerii estrapola dal diario la tenera storia d’amore fra Anna e Peter e ripone su di essa le speranze della ragazza, tenendo in secondo piano l’angoscia e la paura di retate. Speranze adolescenziali di sentimenti e felicità, stroncate nel finale dalle urla dei nazisti, che sopravvivono nelle parole di Anna: «Continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo», pronunciate sulle immagini dei campi di concentramento. Valerii sceglie una chiave minimalista e priva di suspense, affidando alle parole fuori campo il compito di annunciare l’irrompere improvviso della tragedia. Uno dei più ispirati (e documentati) saggi di regia realizzati al Csc, per il quale Valerii contattò il padre di Anna Frank, che approvò il suo progetto.
 
ore 17.00 Una ragione per vivere e una per morire di Tonino Valerii (1972, 118′)
Un colonnello, espulso dall’esercito nordista per tradimento, vuole riabilitarsi conquistando un forte che aveva lasciato nelle mani dei sudisti senza opporre resistenza. Per riuscire nell’impresa riesce a farsi consegnare dieci rinnegati destinati alla fucilazione. Con questo film Tonino Valerii si avvicina al “western etico” di Sam Peckinpah (Il mucchio selvaggio) e al film bellico alla Robert Aldrich (Quella sporca dozzina).Con James Coburn, Bud Spencer, Telly Savalas.
 
ore 19.15 Vai gorilla di Tonino Valerii (1975, 100′)
La guardia del corpo Marco Sartori (Fabio Testi) viene assunto come guardia del corpo per difendere l’imprenditore edile Sampioni (un indimenticabile Renzo Palmer) dalle minacce di un gruppo di rapitori violenti e senza scrupoli. Ottimo esempio di action movie che preannuncia per temi e per atmosfere a Il grande racket (1976) di Enzo G. Castellari e a I padroni della città (1976) di Fernando Di Leo. Per Mereghetti: «Truce e tagliato con l’accetta, ma meno cretino ed efferato di tanti prodotti analoghi».
 
ore 21.00 La ragazza di nome Giulio di Tonino Valerii (1970, 110′)
Una giovane veneziana, di nome Giulio in memoria del padre, è trascurata dalla madre ed è plagiata dalla cameriera. Quest’ultima la inizia all’amore lesbico inculcandole l’odio per gli uomini. Col passare degli anni, la ragazza che è riuscita a sottrarsi a quel legame morboso, si fidanza con Lorenzo, un timido studente universitario. Ma prima di sposarlo vorrebbe avere un rapporto sessuale con un altro uomo. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Milena Milani, che all’epoca destò scandalo. Silvia Dionisio, Gianni Macchia, Anna Moffo, Esmeralda Ruspoli.
 
giovedì 30
Profondo Cozzi. Il cinema di Lewis Coates
Una giornata dedicata a Luigi Cozzi, alias Lewis Coates, ovvero la piccola bottega del fantastico, della fantascienza e dell’orrore, Profondo Rosso, fondata insieme a Dario Argento nel 1989. Luigi Cozzi esordisce nel 1963, collaborando con testate e case editrici quali Urania, Galassia, Nova Sf, Robot, Libra, Fanucci, Newton Compton, Perseo e altri, in qualità di autore e traduzioni di numerosi romanzi, racconti legati alla fantascienza e al giallo. Negli anni Settanta crea e cura fortunate rassegne su film di fantascienza, pubblicando e scrivendo libri di saggistica specializzata. Ma è sulle immagini in movimento che Luigi Cozzi trova il suo maggiore compimento. Oltre alla trentennale collaborazione con Dario Argento, Luigi Cozzi scrive e dirige film di successo e dai generi più disparati: il lacrima-movies (Dedicato a una stella), la commedia sexy (La portiera nuda), la fantascienza (Star Crash, Contamination), il mitologico (Hercules, Hercules 2), il giallo (Il vicino di casa, episodio de La porta sul buio, L’assassino è costretto a uccidere ancora), l’horror (Paganini Horror, The Black Cat), senza dimenticare due documentari dedicati al suo grande amico: Dario Argento Master of Horror e Dario Argento: il mio cinema. Last but not least, la sua ultima fatica: Blood on Melies’ Moon – La porta sui mondi, ovvero «un lavoro sospeso tra divertissement, viaggio all’origine del cinematografo, nostalgia del cinema di genere, e, in tutto, il ribadire che, con Viaggio nella Luna di Georges Méliès, la fantascienza appartiene alla nascita stessa del cinema» (quinlan.it).
 
ore 17.00 Dedicato a una stella di Luigi Cozzi (1976, 93′)
«Dedicato a una stella nasce da un’idea di Ovidio Assonitis, che aveva appena prodotto con enorme successo L’ultima neve di primavera, col bambino che muore. La Toho giapponese offre a Ovidio una grossa somma per un nuovo film di quel genere e, siccome in quel periodo Ovidio era troppo preso con la preparazione di Tentacoli, chiede a me di occuparmi di questo nuovo film e me ne dà il soggetto: un’aspirante, giovane cantante d’opera giapponese ,viene a Perugia per affinarsi nel canto. Lì s’innamora di un ragazzo, è ricambiata, vive felice ma poi si ammala e vuole morire con indosso l’abito da sposa che lui le aveva regalato in previsione delle nozze. […] Ma a me faceva quasi schifo […]. Così gli ho controproposto un altro soggetto ambientato in Francia sulle selvagge coste della Bretagna e della Normandia: storia di una fanciulla che è malata e sa di dover morire e per questo va alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto. Durante questa ricerca conosce un celebre pianista […]. A Ovidio piacque la mia versione della sua storia, la fece leggere ai signori giapponesi della Toho che diedero l’ok e così è nato Dedicato a una stella: anche il titolo è mio» (Cozzi).
 
ore 19.00 Hercules di Luigi Cozzi (1983, 99′)
Rivisitazione della storia di Ercole, in lotta contro Minosse, che tenta di impadronirsi del mondo. Hercules deve fermarlo, insieme ad alcuni suoi compagni, e salvare la sua principessa. «I due Hercules nascono nella mia mente come un rifiuto del peplum italico, che era ben poco pieno di fantasia, e non certo come un tentativo tardivo per farlo rinascere. Con i due Hercules io ho voluto fare fantasy pura alla Harryhausen, sono andato direttamente alla fonte greca, quella delle leggende antiche che sono molto più proprio il libro I miti greci di Robert Graves, che è un volume meraviglioso, e poi all’americana, non certo all’italiana. Il mio modello è stato Clash of the titans di Harryhausen e pure Gli argonauti» (Cozzi).
 
ore 21.00 Incontro moderato da Antonio Tentori con Luigi Cozzi
 
a seguire Blood on Melies’ Moon – La porta sui mondi di Luigi Cozzi (2016, 111′)
La storia ci dice che in Francia, nel 1890, l’inventore Louis Le Prince, dopo aver brevettato una macchina per filmare le immagini in movimento e proiettarle in grande su uno schermo, è scomparso in circostanze misteriose: da allora di lui e di quella sua invenzione non si è saputo più nulla. Cinque anni più tardi, i fratelli Lumière di Lione hanno brevettato una macchina molto simile a quella di Le Prince denominata “Le Cinematographe”: da quel momento, il 1895 è stato considerato universalmente come la data ufficiale della nascita del cinema. Ma resta un enigma: che cos’è successo a quel Louis Le Prince? E dove sono finiti lui e la sua invenzione brevettata? Fino a oggi questo mistero (assolutamente autentico) è rimasto insoluto. Ma ecco che all’improvviso nella Roma del 2016 all’improvviso si dischiude la Porta sui Mondi e da un universo parallelo arriva allora la risposta a questo enigma…«Cozzi realizza il suo Gatto nel cervello mettendo in scena se stesso in uno squinternatissimo ma spassoso guazzabuglio» (www.davinotti.com). «Blood on Méliès’ Moon è davvero un’esperienza da provare: piacevole, confortevole e familiare» («Nocturno»).
 
venerdì 31
In ricordo di Teresa Ann Savoy
«Giovane, bellissima, totalmente disinibita, Teresa Ann Savoy, che si è spenta per una rapida e brutta malattia a 62 anni, non è facilmente dimenticabile per chi è cresciuto nel cinema eccessivo e provocatoriamente erotico degli anni ’70. Perché, pur avendo girato non più di una quindicina di film, ha interpretato ruoli memorabili in opere altrettanto memorabili. Cito solo la Clotilde di Le farò da padre di Alberto Lattuada, il suo film d’esordio, la Margherita di Salon Kitty di Tinto Brass, con la sua incredibile scena lesbo con Tina Aumont sotto gli occhi di Helmut Berger, l’ermafrodita Mary di Vizi privati, pubbliche virtù di Miklos Jancso, la meravigliosa Drusilla di Caligola di Tinto Brass. Film maledetti di autori maledetti che lei attraversava con una grazia e una leggerezza inconsapevole tipica di quegli anni. Lattuada la scelse vedendola su una copertina e in una serie di fotografie di Playmen nell’ottobre del 1973, era appena arrivata dall’Inghilterra a Milano seguendo un suo amore fotografo, e ne colse subito la bellezza fuori dal comune e la grazia: “Voglio ritrovare il paradiso terrestre, l’amore prima del peccato originale, al di là e al di fuori della storia, ossia della religione, della morale e della famiglia” (“Il Messaggero”, febbraio 1974)» (Marco Giusti).
 
ore 17.00 Le farò da padre di Alberto Lattuada (1974, 109′)
«Saverio Mazzacolli, giovane avvocato romano, vuol realizzare nel Salento un villaggio turistico. Le idee e le amicizie altolocate non gli mancano: i soldi sì. Li ha, però, una nobildonna locale, la contessa Raimonda Spina e in lei, portandosela anche a letto, Saverio ripone le sue speranze. Ma la donna è furba e pretende, per finanziare il progetto, un’esosa percentuale dei guadagni. Per aggirare l’ostacolo, l’avvocato chiede in sposa la sedicenne figlia della contessa, Clotilde, bella ma mentalmente ritardata. La proposta accettata non rende tuttavia donna Raimonda più disposta a cedere» (www.cinematografo.it). «Film di amore per il cinema e dunque la vita, film di calda e travolgente lussuria» (Turroni). Con Gigi Proietti, Irene Papas e Teresa Ann Savoy.
 
ore 19.00 Vizi privati, pubbliche virtù di Miklós Jancsó (1976, 104′)
«In una villa sontuosa circondata da un vasto parco l’erede al trono imperiale trascorre l’estate contestando il vecchio imperatore nell’unico modo che gli è congeniale: lo sberleffo, l’imprecazione e soprattutto l’orgia. Circondato prima dalla ristretta cerchia della propria corte (fra cui l’amante ermafrodita e la governante oscena), poi dai giovani dell’aristocrazia, una compagnia di attori e un gruppo di campagnoli, scatena una sarabanda sessuale condita di tutte le turpidudini e deviazioni» (www.cinematografo.it). Con Teresa Ann Savoy, Lajos Balázsovits, Pamela Villoresi, Franco Branciaroli.
 
ore 20.45 Incontro moderato da Andrea Schiavi con Amedeo Fago, Giovanna Gagliardo, Paolo Pitagora
 
a seguire La donna del traghetto di Amedeo Fago (1986, 89′)
«Di tutto ciò si sono dimostrati ben provvisti Amedeo Fago, Lia Morandini, Stefano Rulli, Alessandro Haber, tutti più o meno intensamente risucchiati nell’ideazione, nella conseguente realizzazione del film La donna del traghetto. […] A dirla in modo schematico, è un favola sospesa tra arcaiche suggestioni agresti, miti e credenze del mondo contadino, forzature immaginarie che sfociano presto in piccole, allusive illuminazioni poetiche-morali. […] C’è una selva fitta di sentimenti, di ricordi, di rimpianti nella Donna del traghetto che, esplorata di volta in volta per il tramite di personaggi di plurimo senso e stratificata identità quali, appunto, Giolì, Viola, Libero, ecc., restituisce al vivo un’acuta impressione di freschezza narrativa, di fervore morale che prima affascina, poi incanta irresistibilmente, proprio come nelle migliori favole, merito indubbio della sicura mano registica di Amedeo Fago» (Borelli). Con Teresa Ann Savoy, Paolo Rossi e Philippe Leroy.
 
 

 

Date di programmazione