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Cinema Trevi: “Le stagioni del nostro cinema: Antonio Pietrangeli, Florestano Vancini, Valerio Zurlini”. Seconda parte
31 Marzo 2009 - 05 Aprile 2009
C’è un filo conduttore che lega quasi tutte le rassegne di questo mese: gli anni Sessanta, il decennio di maggior creatività del cinema italiano. Come ha scritto Jean A. Gili nel libro di Valeria Napolitano Florestano Vancini. Intervista a un maestro del cinema, Liguori Editore, Napoli, 2008, da cui sono tratte le dichiarazioni di Vancini inserite nelle schede dei film, «Il 1960 rappresenta una data decisiva nella storia del cinema italiano, paragonabile forse, in una valutazione critica a posteriori, al 1945. In pochi anni si determina un cambio generazionale, che non troverà più riscontro nei decenni successivi». Esordiscono fra il 1958 e il 1962 Pontecorvo, Rosi, Olmi, Vancini, Damiani, De Seta, Montaldo, Pasolini, Petri, Bertolucci, i fratelli Taviani, Ferreri, Leone, esplodono i generi (il peplum, il western e, sul finire del decennio, il thriller) e il filone inesauribile dei film a episodi, si sviluppa l’underground, che proietta il cinema italiano in una dimensione internazionale, a stretto contatto, se non altro “elettivo”, con le forze più innovative del cinema americano, e sull’onda della dolce vita il fenomeno del divismo scuote il provincialismo italico ponendo Roma e la Hollywood sul Tevere al centro del mondo. In questo periodo di fervore (anche critico grazie all’opera rigorosa di recensori e saggisti) gli autori dalla vena più personale sono rimasti inevitabilmente, in un’ideale foto di gruppo, un po’ in disparte e meritano oggi, a distanza di decenni, una riflessione, purtroppo in molti casi postuma. È il caso dei tre autori presentati in questa retrospettiva, Antonio Pietrangeli (1919-1968), Valerio Zurlini (1926-1982) e il recentemente scomparso Florestano Vancini (1926-2008), tre registi di cui solo adesso si riesce a percepire pienamente la grandezza, lungo due direttrici, destinate a convergere: l’uomo (e la donna, soprattutto, vista come prospettiva privilegiata per registrare i cambiamenti sociali) e la Storia, con il peso della guerra che, esaurita la ricostruzione e iniziata l’era del boom, incombe sulle coscienze imponendo finalmente un esame, prima di tutto interiore. Lungo questi percorsi si è andati alla ricerca di ulteriori affinità elettive (le vite e le carriere dei tre registi si intrecciano) con film e registi guidati dalla medesima sensibilità, vera e propria cifra stilistica di uomini che alla macchina da presa chiedevano delle risposte alle loro ansie esistenziali. Come Paolo Spinola, a cui si rende omaggio questo mese (domenica 22 e martedì 24).
 
martedì 31
ore 17.00
Il delitto Matteotti (1973)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, F. Vancini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Egisto Macchi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Franco Nero, Mario Adorf, Riccardo Cucciolla, Damiano Damiani, Vittorio De Sica, Giulio Girola; origine: Italia; produzione: Claudia Cinematografica; durata: 120′
«L’assassinio di Matteotti, visto a distanza, non fu soltanto un delitto di Stato. Fu per i modi in cui accadde e per i contraccolpi, il nodo d’una doppia vergogna: dei mandanti e dei sicari, pagati dai criminali fascisti, ma anche degli antifascisti di poca saldezza, divisi e pavidi. In modo diverso, colpevoli anch’essi. Il merito primo di Vancini sta, nell’aver avuto ben chiara questa idea, e nell’aver concepito il film non già come una biografia romanzata del segretario del partito socialista unitario (il cosiddetto riformista), che fu rapito e trucidato a Roma il 10 giugno 1924, bensì, come un intenso affresco della vita politica italiana d’allora, composto di galantuomini e canaglie, di idealisti e trafficanti, di astuti capitani d’industria e di cardinali d’occhio lungo» (Grazzini). «La definizione del personaggio interpretato da Franco Nero non nasce da una scelta ideologica, politica, o morale; non avevo uno schema precostituito. Matteotti ha avuto due morti: la prima, legata all’eliminazione fisica, l’altra, legata all’eliminazione del soggetto e agente-storico. Dopo la sua uccisione se ne fa un santino, e si finisce per dimenticare non soltanto l’uomo, ma anche il politico e la sua intelligenza. Era un personaggio poliedrico, dotato di una complessità che non ho potuto sviluppare nel film» (Vancini).
Copia proveniente dalla Cineteca Griffith di Genova – Ingresso gratuito
 
ore 19.10
…e ridendo l’uccise (2005)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Massimo Felisatti, F. Vancini; fotografia: Maurizio Calvesi; musica: Ennio Morricone; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Manlio Dovì, Sabrina Colle, Ruben Rigillo, Marianna De Micheli, Giorgio Lupano, Carlo Caprioli; origine: Italia; produzione: Italgest Video – I.P.E.; durata: 132′
A Ferrara, agli inizi del 1500, alla morte di Ercole I, si scatena una lotta intestina senza esclusioni di colpi. «In definitiva il film si risolve in un saggio – per niente pedante – sui prodromi di una lotta di classe che troverà i suoi strumenti e le sue espressioni molti secoli più tardi. Coadiuvato da collaboratori di pregio (fotografia di Maurizio Calvesi, musica di Morricone, scenografia e costumi di Burchiellaro e Lia Morandini) il regista ci restituisce una ricostruzione d’ambiente non sfarzosa ma ricercata esprimendo la volontà di rispondere, da intellettuale oltre che da artista, a un bisogno. Rianimare lo scenario di un paese-museo che il mondo ci ammira e il nostro cinema non valorizza abbastanza per farne spettacolo: intelligente, colto, raffinato, come questo è, ma spettacolo» (D’Agostini). Il titolo è tratto dai versi finali del sonetto In morte di un buffone del poeta del Quattrocento Antonio Cammelli, detto “Il Pistoia” («Scherzò con lui la morte, nel transito con lui un pezzo rise, di poi scherzando e ridendo l’uccise»). «Il primo soggetto risale al 1981; in seguito ci ho lavorato per anni, effettuando ricerche dettagliate. Il film è frutto del mio interesse per la storia del Rinascimento, della quale sono un grande appassionato» (Vancini). Film molto apprezzato all’estero, colpevolmente ignorato in Italia.
 
ore 21.30
Le stagioni del nostro amore (1966)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Elio Bartolini, F. Vancini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Enrico Maria Salerno, Anouk Aimée, Jacqualine Sassard, Gian Maria Volonté, Gastone Moschin, Valeria Valeri; origine: Italia; produzione: Ga.Va. Film; durata: 93′
«Vancini conferma il suo interesse per un tipo di “eroe” incerto e dimidiato, colto in un momento di instabilità e di insicurezza: Vittorio Borghi, intellettuale di sinistra, che ha lasciato il giornale di partito per una sistemazione più vantaggiosa, ammantata di una vaga crisi ideologica, ha una bella casa, una moglie e un figlio tolleranti e apprensivi, ma si sente come tradito dalla vita, deluso, insoddisfatto, smanioso di una autenticità di rapporti che una furiosa parentesi erotica con una ragazzina gli darà l’illusione di aver raggiunto, per ripiombarlo poi nel solito giro di viltà, compromessi, rancori, più esasperati che dissolti da quella esperienza. Il nucleo del film è costituito da un breve ritorno del protagonista nella sua città, Mantova, dove egli, che vi è approdato nell’illusoria convinzione di ritrovare slanci e motivazioni di una stagione piena e felice – la Resistenza, le amicizie, le letture, le speranze di rinnovamento» (Ferrero). «Le stagioni del nostro amore è la storia di un intellettuale – brutta parola! – che osserva il mondo che lo circonda, prestando attenzione a tanti segnali, tante suggestioni. Qualcuno in passato ha sostenuto l’ipotesi secondo la quale il fatto che il personaggio non entri in chiesa può esser letto come un atto “religioso”, di fede; ciò, evidentemente, a causa della sua filosofia, che traspare nel tessuto narrativo. Non nego questa possibilità. D’altronde il personaggio di un film deve esser libero di “costruirsi” una propria autonomia, anche attraverso l’interpretazione dello spettatore» (Vancini).
Copia proveniente da Cinecittà Holding – Per gentile concessione di Surf Film Vietato ai minori di anni 14 – Ingresso gratuito
 
mercoledì 1
ore 17.00
I lunghi giorni della vendetta (1967)
Regia: Stan Vance [Florestano Vancini]; soggetto: Mahnahen Velasco; sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Caminito; fotografia: Francisco Marin; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Angeles Pruña; interpreti: Giuliano Gemma, Francisca Rabal, Conrado Sanmartin, Gabriella Giorgelli, Nieves Navarro, Pajarito; origine: Italia; produzione: P.C.M., Prod. Cin.cas Mingyar; durata: 123′
Ted Barnett, dopo aver scontata un’ingiusta condanna, torna a Carltown per scoprire chi gli ha ucciso il padre e vendicarsi. Scoprirà che dietro la morte del padre ci celano trame rivoluzionarie. Secondo Tarantino uno dei migliori western all’italiana, tanto da rendergli omaggio con l’inserimento del tema principale del film, composto da Trovajoli, nella colonna sonora di Kill Bill vol. 1. «[Alberto Pugliese e Luciano Ercoli] dovevano fare un film in Spagna, avevano un copione di Di Leo e Caminito e un po’ per simpatia, un po’ per scherzo e un po’ sul serio mi propongono la regia: Gemma c’era, ma Tessari non era disponibile. Sul momento dissi di no, non era proprio il mio terreno, non me la sentivo, ma loro insistettero, aumentavano sempre l’offerta e un bel giorno fu pari alla somma dell’ipoteca, per salvare la casa. […] Così venne fuori, nel ’67, I lunghi giorni della vendetta, fatto tutto a schemi prefissati, un puro lavoro di mestiere» (Vancini).
 
ore 19.10
Violenza al sole – Un’estate in quattro (1969)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: F. Vancini; sceneggiatura: Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, F. Vancini; fotografia: Ennio Guarnieri; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Mario Morra; interpreti: Giuliano Gemma, Rosemarie Dexter, Gunnar Bjornstrand, Bibi Andersson, Amos Davoli, Arturo Palladino; origine: italiano; produzione: Ultra Film, P.I.C.; durata: 95′
Due coppie in vacanza alle isole Tremiti, una di giovani italiani, l’altra di maturi svedesi, una passione travolgente da una parte, ormai sopita dall’altra, con inevitabili confronti e rimpianti. Un film bergmaniano di Vancini, che, come molti film italiani del periodo, analizza la coppia fra trasgressioni e tabù, giocando, in questo caso, sulla differenza di passionalità e sull’età dell’amore, tema già affrontato ne La calda vita, dove l’adolescenza si specchiava in una maturità solo presunta.
Vietato ai minori di anni 18
 
a seguire
Portatrici di pietre (1952)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: Basilio Franchina; commento: Mario Bernardo; fotografia: Carlo Di Palma; musica: Franco Rajola; origine: Italia; produzione: Faretra Film; durata: 9′
Documentario sulle donne siciliane che trasportano pietre dal greto dei fiumi per costruire case. «All’interno del soggetto vero e proprio, Vancini inserisce una microstoria, creando un incontro d’amore fra due giovani lavoratori. Insomma, seppure in nuce, Vancini usa tutti gli espedienti del cinema» (Luciano Blasco, Esmeralda Da Ru).
 
ore 21.00
La ragazza con la valigia (1960)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto e sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Giuseppe Patroni Griffi, V. Zurlini; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Claudia Cardinale, Jacques Perrin, Romolo Valli, Corrado Pani, Renato Baldini, Gian Maria Volonté; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, S.G.C.; durata: 121′
Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigia è nato da un incontro. Un giorno, a Milano […] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all’epoca faceva l’indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po’ dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini).
 
a seguire
Interviste a cura di Giona A. Nazzaro e Alessandro Marengaall’aiuto regista del film Piero Schivazappa (20′) e allo sceneggiatore del film Piero De Bernardi (17′)
 
domenica 5
ore 16.30
Solleone (1954)
Regia: Florestano Vancini; fotografia: Anton Giulio Borghesi; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Erregi Produzioni Cinematografiche; durata: 9′
La vita nei campi nei dintorni del Po durante i mesi estivi. «Il cortometraggio si articola su due piani sonori: la prima parte è caratterizzata dai suoni della fatica umana (il grano battuto, le voci delle donne, il rumore della trebbiatrice), mentre la seconda è contraddistinta dal silenzio del riposo, della sosta (la polvere sollevata che si depone sul terreno, l’afa pesante, il frinire dei grilli)» (Ivelise Perniola).
 
a seguire
Dove il Po scende (1955)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: F. Vancini; commento: Giovanni Comisso; fotografia: Mario Bernardo; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Valpadana Film; durata: 9′
Il corso finale del Po da Pontelagoscuro fino al mare Adriatico.
 
a seguire
Traghetti alla foce (1955)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: F. Vancini; commento: Giovanni Comisso; fotografia: Mario Bernardo; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Valpadana Film; durata: 9′
Documentario sui traghetti che passano da una riva all’altra del Po.
 
a seguire
Palude operosa (1955)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: F. Vancini; commento: Giovanni Comisso; fotografia: Mario Bernardo; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Valpadana Film; durata: 9′
La vita di alcune famiglie che ogni inverno si trasferiscono nelle paludi del delta del Po per tagliare i canneti. «Palude operosa è la versione invernale di Tre canne e un soldo: se d’estate le donne raccoglievano le canne per tagliarvi “il fiocco” e costruirvi delle scope, d’inverno le canne venivano tagliate per l’utilizzazione nel campo dell’edilizia: due facce della stessa medaglia, due attività stagionali all’insegna della miseria e della pura sopravvivenza» (Ivelise Perniola).
 
a seguire
Teatro minimo (1957)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: Carlo Di Palma; commento: Giorgio Bassani; musica: Franco Rajola; origine: Italia; produzione: A.M.Z.; durata: 13′
Una compagnia teatrale si esibisce nei paesi del delta del Po. «Parlo di un gruppo di guitti, appassionati di teatro, che si ritrovano la sera per provare, mentre il sabato e la domenica vanno in giro per i paesi a rappresentare drammi in dialetto» (Vancini).
 
a seguire
Lo scapolo (1955)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: A. Pietrangeli; sceneggiatura: Alessandro Continenza, Ruggero Maccari, Ettore Scola, A. Pietrangeli; fotografia: Gianni Di Venanzo; musica: Angelo Francesco Lavagnino; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Alberto Sordi, Sandra Milo, Nino Manfredi, Madeleine Fischer, Anna Maria Pancani, Maruja Asquerino; origine: Italia/Spagna; produzione: Film Costellazione, Les Films Agu; durata: 98′
Uno scapolo impenitente è sempre alla ricerca di nuove conquiste, ma non si fa mai tentare dal matrimonio, malgrado le insistenze della madre. «Pietrangeli e i suoi collaboratori hanno creato un film fresco, garbato e divertente, cogliendo umorismo e vivacità dall’osservazione della vita e dalle situazioni di tutti i giorni, rinunciando a creare attorno al personaggio una vicenda complicata e macchinosa per affidarlo, pienamente, a una realtà minuta e minuziosa, ma non per questo meno sincere e meno vera» (Valmarana).
Copia proveniente dalla Cineteca Griffith di Genova – Ingresso gratuito
 
ore 19.15
Fantasmi a Roma (1961)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: Ennio Flaiano, A. Pietrangeli, Ettore Scola, Ruggero Maccari, da un’idea di Sergio Amidei; sceneggiatura: E. Flaiano, R. Maccari, A. Pietrangeli, E. Scola; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Sandra Milo, Tino Buazzelli, Eduardo De Filippo, Belinda Lee; origine: Italia; produzione: Lux Film, Vides Cinematografica, Galatea; durata: 100′
Il principe di Roviano vive in un principesco palazzo pericolante circondato dai fantasmi dei suo antenati finché un giorno muore nello scoppio dello scaldabagno e si aggiunge agli altri fantasmi, i quali rischiano di doversi cercare un’altra sistemazione perché le autorità vogliono demolire il palazzo.«Gente leggera, elegante, gentile. Dei fantasmi che si vorrebbero conoscere, persone deliziose. Come quel Mastroianni conquistatore di donne o la gradevole Sandra Milo che va a sbirciare le coppiette. Tutto nel film è delicato, sembra qualcosa a metà tra il Folon di oggi e il Peynet di ieri» (Veltroni).
Vietato ai minori di anni 16
 
ore 21.10
Estate violenta (1959)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: V. Zurlini, Suso Cecchi D’Amico, Giorgio Prosperi; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Eleonora Rossi Drago, Jean Louis Trintignant, Jacqueline Sassard, Cathia Caro, Enrico Maria Salerno, Lilla Brignone; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 98′
Riccione, luglio 1943. Un giovane di famiglia fascista s’innamora della vedova di un combattente. Ben presto gli avvenimenti precipitano e i due decidono di fuggire. «Molti mi hanno rimproverato di non aver saputo operare la fusione tra il fatto storico e la vicenda privata; dal canto mio, posso dire che Estate violenta è stato fatto tra incredibili difficoltà. Doveva essere girato in otto settimane, non avevo neanche le divise dei soldati, l’abbiamo fatto con quattro soldi in condizioni di miseria estrema fino alla vigilia della scena del bombardamento. Goffredo Lombardo, il produttore, fece allora una scelta che cambiò le sorti del film, decidendo di buttare in quella sequenza i mezzi di un film normale, e anche qualcosa di più. Naturalmente, alla fine, questo “peso” di avventura collettiva, sia pure concentrato nel solo bombardamento, ma messo in scena con mezzi quasi all’americana, capovolge la qualità del film, fino ad allora di natura intimista, tutto nel gioco degli attori, fatto di sguardi, di sottintesi. Grazie a questa fusione finale, il film ebbe un successo straordinario quando uscì: erano in molti a ricordarsi di quel periodo […] e si riconobbero nel film. Con il ritratto dell’ambiente analizzato in Estate violenta avevo cercato non di dare un’analisi critica, ma di ricordarmi di certe impressioni visuali provate nel corso di quell’estate del 1943. Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un’assenza di aspettative nel futuro» (Zurlini).
 
a seguire
Interviste a cura di Giona A. Nazzaro e Alessandro Marenga all’autore della canzone Estate violenta Riccardo Pazzaglia (21′) e all’aiuto regista del film Florestano Vancini (35′)
Date di programmazione