Cinema Trevi: (In)visibile italiano: Nino Zanchin, il fascino dellesotico
30 Ottobre 2009 - 30 Ottobre 2009
Cinema Trevi: (In)visibile italiano: Nino Zanchin, il fascino dell’esotico
Professione aiuto regista: quanti grandi personaggi del cinema italiano (Rinaldo Ricci, Mario Maffei, Maurizio Mein, Franco Cirino, Tony Brandt, Roberto Pariante), autentici testimoni della storia del nostro cinema, hanno legato il loro nome alle fortune autoriali di altri? Rimanendo, però, depositari, oltre che di significative esperienze, dei segreti di un mestiere attorno al quale ruota la vita di un intero set. Nino Zanchin ha legato il suo nome, in particolare, al cinema di Pietro Germi, con il quale ha collaborato in opere fondamentali come Il ferroviere, L’uomo di paglia e Un maledetto imbroglio. È stato al fianco di Jules Dassin nella travagliata lavorazione de La legge e ha poi affiancato grandi “mestieranti” come Carlo Ludovico Bragaglia, Sergio Corbucci, Camillo Mastrocinque, Duccio Tessari, Lucio Fulci, Sergio Sollima e autori come Florestano Vancini (La banda Casaroli) e Luigi Comencini (La bugiarda). Esperienze che ha fatto valere nel passaggio alla regia, in una breve stagione a cavallo degli anni Settanta, che merita oggi di essere riesaminata per varie ragioni. Per la formula realizzativa, coproduzioni internazionali orchestrate da abili produttori come Salvatore Alabiso (La lunga sfida) e Alberto Grimaldi (Rebus), quindi grandi cast e ambientazioni esotiche, che costituiscono il marchio di fabbrica di Zanchin regista. Si muove dal Marocco alla Tunisia, passando per il Libano, con uno sguardo sempre attento alla realtà locale – politica, religiosa e sociale -, uno sguardo partecipe, per nulla “occidentalizzato”, ben lontano dagli sguardi pruriginosi dei mondo-movies. Zanchin racconta storie con mestiere (quello appreso da grandi registi e trasformato in una lezione vitale) e senso della narrazione, non disdegnando, anche quando abbraccia trasversalmente i generi, di soffermarsi su aspetti meno accattivanti per lo spettatore medio. Con il risultato di non sfondare al botteghino, condannandosi quindi alla fine della carriera di regista, ma anche di consegnarci film che rimangono e spiccano, nel cinema del periodo, per una loro irriducibile, esotica (e non solo) originalità. Vedere Perché (noto anche come I figli chiedono perché) che non potrà non suscitare profonde riflessioni, in tempi in cui l’integrazione è diventata un’utopia.
ore 17.00
Perché (1972)
Regia: Nino Zanchin; soggetto e sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, N. Zanchin, Bendicò [Silvia d’Amico Bendicò]; fotografia: Eliseo Caponera; musica: Ennio Morricone; montaggio: Attilio Vincioni; interpreti: Susanna Melandri, Habib Namouchi, Rosemarie Dexter, Umberto Orsini, Mohamed Bosif, Henda Bellgho; origine: Italia; produzione: Istituto Luce; durata: 103′
Una bambina ebrea, figlia di un ricco ingegnere, diventa amica di un bambino arabo, che le fa scoprire un mondo diverso dal suo, più affascinante di quello a cui è abituata. I due bambini si sposano e decidono di andare a vivere in una casa sulla spiaggia, ma le notizie di una guerra imminente spingono il padre a lasciare il paese. La bambina si ribelle. Film di grande attualità che «ha tutte le carte in regola per ottenere consensi anche da un pubblico adulto. […] Raccontato con i moduli della favola, ma inserito nel contempo in una realtà politica e sociale di vita attualità, il film sviluppa due temi ben precisi: l’uguaglianza delle razze e la possibilità di un loro incontro sul piano dei sentimenti più genuini» (L. S., «Il Popolo»). Bellissima l’ambientazione tunisina. Da segnalare la presenza di Tarek Ben Ammar, assistente alla regia.
ore 19.00
La lunga sfida (1967)
Regia: Robert Andrews [Nino Zanchin]; soggetto e sceneggiatura: Fernando Di Leo, N. Zanchin, Alberto Cavallone; fotografia: Franco Delli Colli; scenografia: Saverio D’Eugenio; musica: Marcello Giombini; montaggio: Daniele Alabiso; interpreti: Giorgio Ardisson, Luigi Pistilli, Kattrin Schaake, Charaibi Ben Bensalem, Sieghardt Rupp, Marco Stefanelli; origine: Italia/Germania; produzione: Tritone Filmindustria, Rapid Film; durata: 89′
«Memore degli insegnamenti del suo maestro, Pietro Germi (di cui Zanchin era stato aiuto regista in Il ferroviere, L’uomo di paglia e Un maledetto imbroglio), Robert Andrews, alias Nino Zanchin, inscena una vorticosa lotta all’ultimo colpo fra due bande di contrabbandieri di droga e come in In nome della legge emerge a sorpresa il ritratto di un criminale dal cuore d’oro. In un Marocco non meno aspro e polveroso della Sicilia rappresentata da Germi, l’europeo Paynes (uno straordinario Luigi Pistilli) si scontra contro il reietto locale Blal (Charaibi Ben Bensalem), tentando con ogni mezzo di far uscire dai confini del paese 100 chili di hascisc. Blal, che non solo gestisce il traffico di droga, ma fissa il prezzo sull’intero mercato interno, si oppone utilizzando i medesimi metodi di Paynes. Una lunga sfida, come recita il titolo, in mezzo alla quale si viene a trovare («tra l’incudine e il martello») un ingegnere dell’Unione forestale, Bruno Pasquet (Giorgio Ardisson), che ha il privilegio con la sua jeep di passare i posti di blocco senza essere perquisito dalla polizia. […] Colpi di scena, omicidi, scambi di persona: la sceneggiatura di Di Leo, Cavallone e dello stesso Zanchin non si fa mancare nulla tenendo gli spettatori (pochi per la verità, all’epoca) con il fiato sospeso. Di Leo fa le prove per il suo cinema d’azione a venire, giocando sulle gradazioni fra bene e male e riproponendo certi cliché del western all’italiana, allora in voga. Meno individuabile l’apporto di Cavallone, se non per l’esotismo (di erotismo nemmeno l’ombra) in cui è avvolta l’intera vicenda, mentre Zanchin […] esordisce alla regia dimostrando grande mestiere e soprattutto la giusta sensibilità per coniugare il cinismo dell’intera vicenda con la delicatezza necessaria per rappresentare il mondo dell’infanzia» (Napoleone Wilson, «Nocturno», 2007).
ore 21.00
Rebus (1968)
Regia: Nino Zanchin; soggetto: Piero Catella; sceneggiatura: Sergio Donati, José G. Maesso, Mario Rossi, Leonardo Martin, Manfred R. Köhler; fotografia: Cecilio Paniagua; scenografia: Giantito Burchiellaro; costumi: Francesca Serano; interpreti: Laurence Harvey, Ann Margret, Pepe Calvo, Ivan Desny, Camilla Horn, Alberto De Mendoza; origine: Italia/Spagna/Germania; produzione: P.E.A., Tecisa Film, Rapid Film; durata: 80′
Jeff Miller, un croupier con il vizio della bottiglia, viene ingaggiato al Casinò di Beirut, dove il suo predecessore ha fatto una brutta fine. Ben presto si rende conto che le cose non girano per il verso giusto: una potente organizzazione ha architettato un piano per sbancare il casinò. Miller fa di tutto pur di smascherarla… Quando, come cantava Rino Gaetano: «chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo», bella vita, belle donne (la splendida Ann Margret), in un pellicola che riecheggia i coevi film spionistici e offre a Zanchin l’occasione per l’ennesima variazione sul tema dell’esotismo. Trama serratissima e complicatissima, sostenuta da un grande cast, dove spicca, oltre al protagonista Laurence Harvey, la brava Camilla Horn, che ci regala una folgorante battuta: «La mia faccia non mi assomiglia», dietro la quale si cela la soluzione del rebus.