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Cinema Trevi: Così lontano, così vicino. 110 anni di cinema in Sardegna
29 Aprile 2010 - 29 Aprile 2010
Il CSC – Cineteca Nazionale, in collaborazione con la Cineteca Sarda, propone una selezione di film e documentari sardi in occasione della presentazione del libro di Gianni Olla, Dai Lumière a Sonetàula – 109 anni di film, documentari, fiction e inchieste televisive sulla Sardegna (CUEC,Cagliari, 2008). Dai Lumière a Sonetàula è il primo libro che documenta in maniera accurata tutto il percorso di un immaginario sardo. Dall’introduzione di Orio Caldiron, «il libro che avete in mano, tra saggio critico repertorio, catalogo e indagine, “è vissuto” dalla prima all’ultima pagina, attraversato dalle vicende che ne hanno determinato la realizzazione, iniziata e poi abbandonata, ripresa con i contributi più disparati e anonimi, rifiorita tutte le volte che la buona volontà del singolo prevaleva sull’indisponibilità ufficiale». Scrive Gianni Olla a proposito del cosiddetto cinema sardo: «Se si esclude Napoli, e in parte la Sicilia – che peraltro, fino agli anni Venti, erano anche dei fiorenti centri di produzione cinematografica con una specializzazione regionale indirizzata alla vasta produzione di emigrati nelle due americhe -, il cinema italiano, compreso il neorealismo, è stata in larga parte romano-centrico. L’assorbimento delle creatività periferiche – soprattutto scrittori e sceneggiatori – non escludeva tematiche regionaliste, ma queste lasciavano segni labilissimi, se non in rare occasioni […]. Tutto sommato non aveva tutti torti Nanni Loy quando affermava che la “la Sardegna non fa una lira”. […] Neanche Banditi a Orgosolo, dopotutto, andò bene al botteghino e il suo riscatto fu una questione di prestigio culturale, di premi nei festival, di diffusione internazionale mirata: università, circuiti alternativi, cineteche. Il che non cambiò l’accredito di De Seta presso l’industria cinematografica: continuò ad essere un autore non facilmente accettato dai produttori e finì per restare inattivo per oltre 15 anni». E del cosiddetto “nuovo cinema sardo” nato negli anni anni Novanta? «Più che una rivelazione», scrive Olla, «è piuttosto l’inizio di un processo di normalizzazione […]. La normalizzazione del cinema “girato da sardi” ha vari gradi di appartenenza locale e di rivendicazione culturale autoctona. […] La certezza che “il nuovo cinema in Sardegna” sia prevalentemente legato a istanze autoriali di tipo universale […] rovescia però talmente il concetto di appartenenza regionale. Nei film di Mereu ci sono i più evidenti trapianti di richiami autoriali alti: Fellini, Taviani, Truffaut, […]. Cabiddu e Livi, e per certi versi anche Grimaldi, utilizzano la forma memoriale, grande contenitore del cinema contemporaneo, alto e basso. Columbu e Sanna costruiscono referti quasi conradiani: “il cuore di tenebra” sardo resta inesplorato, irriducibile alla modernità. […] Pau, infine, si muove nell’insidioso terreno post pasoliniano, cioé un realismo trasfigurato che sottolinea la purezza dei propri eroi: gli ultimi marginali della società contemporanea. Il linguaggio del cinema, insomma, è ancora una volta universale, personale e capace di restituirci realtà locali potenziate e non impoverite dal cosmopolitismo».
Si ringrazia per la collaborazione la Cineteca Sarda. Programma a cura di Franca Farina
 
ore 17.15
Banditi a Orgosolo (1960)
Regia: Vittorio De Seta; soggetto e sceneggiatura: V. De Seta, Vera Gherarducci, in collaborazione con Mario Battesi, Pasquale Marotto; fotografia: Luciano Tovoli; scenografia: Elio Balletti; costumi: Marilù Carteny; montaggio: Iolanda Benvenuti, Fernanda Papa, V. De Seta; musica: Valentino Bucchi; interpreti: Michele Cossu, Peppeddu Cuccu, Vittorina Pisano; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 95′
«Verità ed emozione umana è […] proprio il pane di Banditi a Orgosolo. Verità coraggiosa ma spoglia, senza folclorismi ornamentali ma senza esibizionismi realistici, senza retoriche denuncie ma senza ufficiose sordine. Emozione profonda ma schiva, che si esprime solamente attraverso la pudica nudità dei sentimenti e dei fatti. Il film non è, in fondo, che il racconto di una solitudine, la disperata solitudine dell’uomo innocente e indifeso di fronte a una macchina sociale che è fatta per opprimerlo. Michele Jossu è un povero pastore sardo che guida il suo gregge sui monti di Orgosolo. Egli sta per conseguire il sogno che suo padre non era riuscito a realizzare in tutta la sua vita, diventare il proprietario del suo piccolo armento, quando un disgraziato caso comune in quei paesi di isolamento e di miseria (un carabiniere è ucciso nei paraggi della sua capanna da certi rapinatori di bestiame) lo addita come indiziato di omicidio alla giustizia» (Sacchi).
 
ore 19.00
Inchiesta a Perdasdefogu (1961)             
Regia: Giuseppe Ferrara; fotografia: Giuseppe De Mitri; montaggio: Pietro Giomini; aiuto regista: Agostino Bonomi; origine: Italia; produzione: G. Ferrara; durata: 10′
Il problema dell’esproprio delle terre prospicienti il poligono militare in Sardegna. Interviste e dichiarazioni di operai e contadini coinvolti, che sono contrari perché rovina la condizione economica e lavorativa della zona, già molto colpita dall’emigrazione.
 
a seguire
Il ballo delle vedove (1962)                      
Regia: Giuseppe Ferrara; con la consulenza del Prof. Ernesto de Martino, della prof.ssa Ida Gallini e del Prof. Raffaelle Marchi; fotografia: Giuseppe Pinori; musica: Franco Tamponi; origine: Italia; produzione: Giorgio Patara; durata: 10′
«Descrizione di un rito di guarigione nella Sardegna centrale. Un malato, punto dall’argia (un ragno velenoso), è in preda a delle febbri, viene condotto da un gruppo di vedove in un altopiano nei pressi di Lula. Qui le donne sollecitate dal guaritore, inscenano una sorta di danza propiziatrice per scacciare la malattia dal corpo dell’uomo. Il filmato è l’unica traccia regionale dell’etnocinema» (Olla).
 
a seguire
A Orgosolo la terra ha tremato (1971)                                         
Regia: Giuseppe Ferrara; fotografia: Luciano Graffigna; musica: Alvin Curran, Gruppo N.P.S.; origine: Italia; produzione: Corona Cinematografica; durata: 21′
Orgosolo, paese in provincia di Nuoro, di antica origine nuragica, è rimasto per secoli un centro isolato, terra di pastori e banditi. Le spinte modernizzatici fanno però emergere una nuova coscienza sociale. Ne sono testimonianza i primi murales, realizzati nel 1969, dal gruppo milanese “Dioniso”.
 
a seguire
Giovannino (1963)
Regia: Massimo Mida; testi: Giuseppe Dessì; fotografia: Marcello Gatti; origine: Italia; produzione: Giorgio Patara; durata: 10′
Il problema sociale dell’emigrazione e dell’identità culturale attraverso l’intervista dello scrittore Giuseppe Dessì a Giovannino, un ragazzino figlio di emigrati sardi di Tissi che fa il posteggiatore abusivo a Roma e parla ormai con accento romano. La storia di Giovannino diventa così una sorta di allegoria della perdita della memoria da parte dei sardi che hanno lasciato la loro terra.
 
a seguire
Sardegna terra di contrasti (1957)
Regia: Silvio Torchiani; testi: Marcello Serra; voce: Guido Notari; fotografia: Arturo Climati; musica: Arturo Gervasio; origine: Italia; produzione: G.L.M.; durata: 11′
«Il filmato mette a confronto i due volti della Sardegna che convivono in un periodo di grandi cambiamenti. Da un lato i principali ” cantieri” nei quali si sta costruendo il futuro: le grandi opere pubbliche come la diga del Flumendosa, i primi impianti industriali, la rete stradale dove circolano numerosi autoveicoli. In contrasto con la modernità incalzante ecco però l’autentico retroterra culturale sardo, certamente più affascinante perché quasi “fuori dal tempo”: l’artigianato tradizionale del tappeto con i suoi telai manuali, i fabbri ferrai che nei paesi vivono in simbiosi con il mondo agricolo, lo straordinario metodo costruttivo delle case campidanesi (da Oristano alla periferia di Cagliari) che utilizza i mattoni di fango e paglia, il lavoro dei pescatori di Cabras» (Olla).
 
a seguire
Dai paesi contadini (1967)
Regia: Fiorenzo Serra; testo e commento: Manlio Brigaglia; fotografia: F. Serra; montaggio: F. Serra; musica: Franco Potenza; origine: Italia; produzione: F. Serra; durata: 15′
«Il filmato mostra inizialmente un paese della provincia di Sassari, Ploaghe, con la popolazione in piazza che assiste alla corsa ciclistica Cagliari-Sassari: il clima festoso sottolinea che queste occasioni di “modernità” e di contatti con un mondo nuovo permettono costumi più avanzati, anche nel modo di vestire e di stare assieme. Pochi infatti, dice ancora il commentatore, indossano gli abiti della tradizione. Ma questa modernità positiva s’innesta su una crisi sociale ed economica che, progressivamente, sta spopolando i “paesi contadini”: agricoltura e pastorizia hanno sempre meno bisogno di braccia e i giovani sono destinati all’emigrazione» (Olla).
 
ore 20.30
Incontro moderato da Enrico Magrelli con Gianfranco Cabiddu, Orio Caldiron, Giuseppe Ferrara, Salvatore Figus, Andrea Miccichè, Gianni Olla
Nel corso dell’incontro verrà presentato il libro di Gianni Olla, Dai Lumière a Sonetàula – 109 anni di film, documentari, fiction e inchieste televisive sulla Sardegna, CUEC, Cagliari, 2008.
 
a seguire
Inchiesta a Carbonia (1961)
Regia: Lino Miccichè; fotografia: Mario Carbone; musica: Egisto Macchi; origine: Italia; produzione L.C.R.; durata: 15′
«La crisi delle miniere del Sulcis analizzata attraverso il degrado della città di Carbonia che, dopo i fasti del periodo fascista, ha vissuto una progressiva crisi economica e sociale. La città si spopola, i giovani emigrano, restano solo i vecchi che hanno partecipato allo sviluppo dei bacini minerari dovuto alle politiche del fascismo e poi hanno assistito alla chiusura dei pozzi e alla fuga delle imprese, sia quelle private, sia quelle statali. Il commento è ridotto al minimo, ma un buon numero di testimonianze sottolineano la necessità di un intervento sociale ed economico che riesca a valorizzare nuovamente il patrimonio minerario sardo. L’uso espressionista della fotografia, cupa, buia e fortemente contrastata, accentua la fatiscenza della città ed evoca il buio della miniera che ha contagiato l’intera zona» (Olla).
Restauro per l’occasione a cura della Cineteca Sarda in collaborazione con la Cineteca Nazionale – Ingresso gratuito
 
a seguire
Il figlio di Bakunin (1997)
Regia: Gianfranco Cabiddu; soggetto e sceneggiatura: G. Cabiddu; fotografia: Massimo Pau; scenografia: Antonia Rubeo; musica: Franco Piersanti; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Renato Carpentieri, Fausto Siddi, Laura Del Sol, Massimo Bonetti, Claudio Botosso, Paolo Bonacelli; origine: Italia; produzione: Sciarlò; durata 112′
«In una città mineraria sarda Antoni Saba ha fatto fortuna fabbricando scarpe per i minatori. È diventato benestante e invidiato da tutti, ma gode una brutta fama per le idee anarchiche al punto da essere soprannominato Bakunin» (Olla) «Ispirato all’omonimo libro di Sergio Atzeni, sardo come il regista, il secondo film del documentarista Cabiddu, nato sotto la stella di Tornatore, cerca di ricostruire, con toni più picareschi che epici, la figura leggendaria (o almeno, molto popolare in Sardegna) di Tullio Saba, cantante, minatore e capopopolo comunista, eroe e traditore, soprannominato “figlio di Bakunin”. Seguendo il filo conduttore della falsa inchiesta condotta dal figlio (metodo prettamente televisivo atto a confondere documento e finzione, memoria privata e sapere popolare, storia e leggenda), il film è un susseguirsi di testimonianze “dal vivo” (interpretate da attori) e flashback» («Segnocinema»).
Ingresso gratuito

 

 

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