Cinema e psicanalisi: Un mondo precario
12 Dicembre 2015 - 12 Dicembre 2015
Cinema e Psicoanalisi hanno diversi punti in comune: nati e sviluppatisi nello stesso periodo storico, hanno continuato ad influenzare, con la propria ricerca, la cultura e l’arte da versanti diversi. Partendo da un incontro fecondo d’interessi, la Società Psicoanalitica Italiana e il Centro Sperimentale di Cinematografia hanno da alcuni anni avviato delle iniziative comuni, tra cui il ciclo “Cinema e psicoanalisi”, articolato con delle proiezioni mensili al Cinema Trevi, giunto alla quinta edizione. Il tema della programmazione 2015 è un argomento di drammatica attualità: la precarietà. La psicoanalisi se, da un lato, si è sviluppata partendo dallo studio dei processi psichici che strutturano la nostra vita mentale, d’altra parte ci interroga anche su come certe condizioni di disagio, anche esterno, finiscono per interagire con i nostri livelli più profondi in un rimando tra realtà interna e mondo reale. Con tali presupposti il tema della precarietà verrà affrontato nei diversi terreni in cui emerge, come la vecchiaia, la sessualità, la malattia, l’adolescenza, ma anche nelle situazioni sociali legate alle difficoltà nel mondo del lavoro e in quello dei migranti. Parteciperanno agli incontri (introdotti e coordinati da Fabio Castriota, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana) registi, critici e psicoanalisti.
ore 17.00 Agostino di Mauro Bolognini (1962, 89′)
Il decenne Agostino è in vacanza con la madre in un hotel di lusso al Lido di Venezia. Il figlio ha un rapporto morboso e possessivo con la madre. Quando la donna è corteggiata da Renzo, Agostino si sente escluso e abbandonato. Conosce altri ragazzi più smaliziati di lui che gli spiegano il legame che c’è tra sua madre e Renzo. Sconvolto dalla rivelazione e dai problemi per il passaggio a un’età critica, il ragazzo si aggrega a un compagno più grande di lui per una visita ad una prostituta. «Ho situato il film in una città diversa da quella del romanzo: ho preferito Venezia a Viareggio per il desiderio di avere più acqua. Questo tema dell’acqua c’era anche a Viareggio, ma a Venezia era ancora più forte. Il tema dell’acqua è più dolce a Venezia che in qualsiasi altra città direttamente sul mare» (Bolognini). Dal romanzo omonimo di Alberto Moravia. Con Paolo Colombo, Ingrid Thulin, John Saxon.
ore 19.00 Mignon è partita di Francesca Archibugi (1988, 105′)
«Il più gentile fra gli esordi italiani dell’88, quello che meglio prefigura una generazione di cineasti bene intenzionata a calare nelle forme spettacolo per tutti, […] i frutti della propria sensibile osservazione delle cose della vita: un film sorridente e amarognolo, con dosate porzioni di humour e malinconia, come appunto conviene a una leva di giovani che cresce disincantata, avendo prematuramente capito lo spazio della sofferenza, ma non perciò rinuncia a combattere con amabile ironia. […] La dote della Archibugi è il saper esprimere quel sentimento con una bella tastiera di toni e di tinte, trascorrendo dall’arguta restituzione dei comportamenti infantili e adolescenziali a quella, assai afflitta, delle attese deluse e delle stanchezze dei grandi» (Grazzini). David di Donatello (1989) a Francesca Archibugi quale miglior regista esordiente. Con Stefania Sandrelli, Céline Beauvallet, Massimo Dapporto.
a seguire Incontro moderato da Fabio Castriota con Milena Cappabianca
a seguire Nella mischia di Gianni Zanasi (1995, 85′)
«Classe 1965, studi al Centro Sperimentale l’esordiente Zanasi è di Vignola, in quel di Modena, e si sente. Nel suo film ci sono tracce di follia zavattiniana, mescolate all’indifferenza, alla finta furbizia, alla rassegnazione romane. Una Roma definitivamente (ma non tragicamente) post-pasoliniana. Omologata, ingenua, ma ancora capace d’invenzione, anche se l’imbarbarimento avanza e i micro-borghesi di oggi sono più sprovveduti dei sottoproletari di una volta. Alla fine del film un ragazzo che si è perso il fratellino (è andato a vedere il mare, come Léaud nei Quattrocentocolpi di Truffaut), è così impaurito che non suona alla porta di casa ma a quella dei vicini, sui quali scarica un fiume irrefrenabile di parole. È forse la scena più bella del film, la più scoperta. Una richiesta di dialogo, buffa e disperata, obliqua e insinuante. Cinema, insomma» (Ferzetti).