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Cinema e arte: alla ricerca di Pino Pascali
26 Febbraio 2013 - 26 Febbraio 2013
«No, non sapevo che Pino Pascali avesse fatto dei “caroselli”, né che avesse fatto la comparsa per un film di Maciste, l’attore per i fotoromanzi e l’aiuto scenografo alla Rai, e neanche che avesse ideato e disegnato alcune delle più belle sigle della nostra televisione. Per tutte “TV7”. Per la verità quando mia moglie, Alessandra Mammì, che è il mio critico d’arte preferito, mi portò nel 1990 alla Galleria Arco D’Alibert per parlare del materiale pubblicitario di Pascali con la gallerista Daniela Ferraria, non sapevo nulla o quasi di lui. Alessandra me ne parlò strada facendo. Ma non avevo capito quasi nulla, oltre al fatto che era morto nel 1968, a 33 anni, in seguito a un incidente motociclistico. Daniela Ferraria mi propose di collaborare all’operazione che stava per intraprendere. A partire dai “cel” in suo possesso – i fogli trasparenti di cellulosa che, fotografati, danno vita al cartone animato – la gallerista voleva recuperare tutto il miglior materiale pubblicitario prodotto da Pascali. Schizzi buffi, pupazzetti, foto ritoccate, soldatini, scenografie. Credo che l’operazione Pascali, che ho portato avanti per oltre vent’anni, mostrando il mio documentario o quasi-documentario alla Biennale d’Arte del 1993, nella sezione Slittamenti, che ho fatto vedere più volte in tv, che mi ha fatto vincere il Premio Pascali in quel di Polignano a Mare, sia stata una delle cose più serie e più belle che ho fatto in tutta la mia vita. Un po’ perché su Pino Pascali animatore, disegnatore, scenografo non c’era allora praticamente nulla e il far risuscitare dal niente questo materiale, mettendolo insieme, collegando tutto il suo lavoro, è stato qualcosa per me di importante. E un po’ perché grazie a Pascali ho incontrato su questa strada tante persone che avevano lavorato con lui, come Sandro Lodolo, o molto lo hanno amato, come Eliseo Mattiacci, Michelle e Gianni Kounellis, che mi hanno fatto luce su qualcosa che, dopo tanti anni, era ancora così vivo e forse studiato non così bene. Pino Pascali, morto nel pieno del suo successo internazionale, non aveva mai smesso davvero di alternare i suoi diversi mestieri: animatore, scenografo, grafico, artista plastico. Ma probabilmente pochi o nessuno aveva capito che in fondo si trattava di un unico mestiere. Non riuscivo a vedere, in tutta onestà, qualcosa di minore fatto da Pascali. Il mare, le balene, le reti, i ragni giganteschi e coloratissimi non erano differenti dai mostri e dagli animali dei suoi disegnini per la pubblicità e per le scenografie. Pascali lavorava sul materiale con una creatività povera che coinvolgeva tutto. Ecco tre spot per il Cafffè Camerino, quello con tre Effe, costruiti con i fondi del caffè, che diventavano materia, colore, sostanza. Ecco coriandoli colorati che, buttati sul tavolo da ripresa, andavano a formare il corpo di Arlecchino per l’omonima marca di conserve. Pascali stesso diventava Pazzariello e Pulcinella per gli spot della Cirio, attore, performer in mezzo ai bambini. Ma era pronto anche a inventarsi dei personaggi originali, come Salvador, el Matador del Televisor, che affrontava una serie di buffi tori e, alla fine di ogni impresa, si mangiava il suo Cornetto Algida. In pochi anni, dai primi anni 60 al 1967, Pascali aveva rivoluzionato lo studio di Sandro Lodolo, con decine e decine di idee e di personaggi di estrema originalità: basti pensare alle numerose e amatissime sigle create dai due soci per programmi quali “TV7”, “Incontri” o “Avvenimenti”, oppure alla lunga serie di micro-spot per Radiotelefortuna, piccoli capolavori misconosciuti (realizzati a partire da una serie di fotografie trattae) che erano rimasti chiusi per anni nei magazzini della Rai. Per non parlare delle scenografie per programmi di successo come “La Biblioteca di Studio Uno” col Quartetto Cetra, che lo vedevano col titolo di aiuto-scenografo. Ma era davvero così aiuto? Tutte quelle balene, navi, tele che vediamo lì le ritroviamo nelle sue opere, il suo celebre mare impara a colorarlo proprio negli studi della Rai. Pascali non faceva altro che comporre e scomporre le sue opere, nate da materiale di riciclo. Fra arte, pubblicità e tv. Senza grosse differenze di alto o basso. È il principio che lui stesso dichiara, come il serpente della filastrocca che ogni anno cambia pelle, riadattando la pelle che si sta togliendo. Diviene così comprensibile quella spartizione così selvaggia ma anche così coerente della sua estetica, associata a una vitalità talmente ingombrante da contaminare ogni suo passaggio da un mezzo all’altro. I critici italiani degli anni 60, ma anche tanti degli anni successivi, non hanno capito questo lato assolutamente moderno e libero di Pascali. Eppure avevano davanti agli occhi degli esempi così forti e illustri come quello di Andy Warhol, pronto a far tutto, dal cinema alla pubblicità alle copertine di libri. Pascali non ebbe la mania di grandezza di Warhol e non ebbe il tempo e forse la voglia di costruirsi una factory. Voleva solo seguitare a giocare con i suoi elementi di sempre: la terra e il mare di Polignano, dove era nato, la guerra, che aveva visto da bambino in Albania con il padre, Pulcinella, che aveva amato negli anni del liceo scientifico a Napoli, i teatrini che aveva costruito studiando scenografia a Roma. Tutto sembra naturalmente muoversi, confluire nell’arte di Pascali. Tutto sembra scambiarsi, rinnovarsi, esattamente come le sue macchine da guerra che vengono smontate e rimontate con nuove forme. E anche il tempo di riuso finisce per fare parte dell’opera, per aumentare il suo fascino e il suo mistero. È come se Pascali avesse disposto proprio col tempo uno (l’ultimo?) dei suoi giochi o dei suoi lavori, lasciando a noi la possibilità finale-infinita della sua scomposizione e della ricostruzione della sua opera. Forse per questo la ricerca è ancora così esaltante e seguito a scriverne anche io montando e rimontando vecchi articoli scritti oltre vent’anni fa. Fa parte ormai di un mito. Portando alla luce brandelli di un Orfeo del paleolitico o ributtando a mare pezzi di terra e di pane lavorati tanti secoli prima» (Marco Giusti).
 
ore 17.00
Inquietudine di Mario Carbone (1960, 12′)
 
a seguire
Le metropoli di Titina Maselli di Massimo Mida (1969, 11′)
 
a seguire
La fiaba, l’incantesimo, il ricordo di Pierluigi Albertoni (1984, 11′)
 
a seguire
Nuovo realismo di Mario Carbone (1970, 17′)
 
a seguire
La fiaba di Tancredi di Velia Vergani (1966, 15′)
 
a seguire
Racconto di Novelli di Massimo Mida (1965, 11′)
 
ore 18.30
Novorealismo di Enzo Nasso (1962, 10′)
 
a seguire
Scomunicazione (Mimmo Rotella) di Pierluigi e Fiorella Albertoni (1979, 10′)
 
a seguire
Se l’inconscio si ribella di Alfredo Leonardi (1967, 20′)
 
a seguire
Vampiro romano di Alfredo Leonardi (1970, 22′)
 
a seguire
Libri di santi di Roma eterna di Alfredo Leonardi(1968, 15′)
 
a seguire
SKMP2 di Luca Patella (1968, 30′)
 
a seguire
Pino Pascali (morto in un incidente automobilistico a 33 anni) di Agostino Bonomi (1972, 11′)
 
ore 20.45
Incontro con Daniela Ferraria, Marco Giusti, Claudio Lodolo, Alessandra Mammì
 
a seguire
Pascali o Le trasformazioni del serpente di Marco Giusti (1993-2003, 50′)
Ingresso gratuito

 

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