Si è svolto il 9 dicembre al Centro Sperimentale di Cinematografia un incontro con Francesca Mannocchi - giornalista, autrice e Direttrice Artistica del CSC – sede Abruzzo - rivolto agli allievi della sua sede e a quelli di Regia e Sceneggiatura del CSC – Scuola Nazionale di Cinema.
In apertura, Francesca Mannocchi ha consigliato a tutti i presenti di leggere i romanzi del giornalista Nathan Thrall – in particolare l’ultimo, Un giorno nella vita di Abed Salama: Anatomia di una tragedia a Gerusalemme grazie al quale l’autore ha vinto il premio Pulitzer 2024 e dal quale sarà tratta una serie televisiva. “Una lettura importante a prescindere dal corso frequentato per il lavoro sulla realtà”, ha segnalato la giornalista.
Nathan Thrall avrebbe dovuto essere presente con lei alla masterclass ma a causa di problemi logistici la lezione sarà presto riorganizzata presso la sede di Roma alla presenza anche di Francesca Mannocchi, come ha anticipato Gloria Malatesta, Preside del CSC – Scuola Nazionale di Cinema.
L’incontro è entrato nel vivo delle origini del reportage e del giornalismo narrativo: una forma di racconto che tocca il cinema documentario e la scrittura. A tal proposito, è stata consigliata la lettura di alcune pietre angolari del giornalismo letterario come “A sangue freddo” di Truman Capote, “Frank Sinatra ha il raffreddore” di Guy Telese (un esempio su come raccontare un personaggio senza poterlo avere davanti) e di diversi testi di Oriana Fallaci.
Mannocchi ha letto alcune pagine da “Perché scrivo” di Joan Didion, ‘imperatrice massima’ del giornalismo californiano negli Stati Uniti; in questa raccolta di saggi, pubblicati nel 1986 sul New York Times, l’autrice teorizza che “il mondo lo fa chi lo guarda”. E’ lo “scintillio” a determinare l’immagine e la realtà. E il principio che cambia completamente il giornalismo rendendolo “letterario” – principio che coincide con il pensiero di Joan Didion - è quello dello “Show don’t tell”: non sono le idee a rimanere in testa ma le immagini.
A seguire è stato trattato il tema del reportage narrativo e del perché si differenzi dal giornalismo informativo. Mannocchi: “Il reportage narrativo si sostanzia tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60; è quello che negli Stati uniti sarà definito ‘New journalism’ e che cambierà il rapporto tra i fatti e le tecniche di narrazione. La prima differenza è che nel giornalismo narrativo non c’è un distacco emozionale: non è un melodrammatico ma prevede sempre la ‘presenza’ dell’autore, se ne avverte lo sguardo (…) Passando al reportage, in quello giornalistico e informativo si dà la priorità ai fatti con stile neutrale; in quello narrativo e letterario si racconta una storia vera ma attraverso uno sguardo e una voce riconoscibili. Non è ancorato a una ricostruzione dei fatti ma aggiunge dei dettagli sensoriali che avvicinino il lettore al fatto. E non si tratta naturalmente di un’invenzione: viene assunto, dal giornalista-narratore, lo stesso principio di etica e responsabilità proprio del giornalismo informativo. Il giornalismo letterario chiede di illuminare un fatto storico: con questa tipologia di narrazione cambia anche la tecnica dell’intervista e viene data grande importanza ai dettagli che fanno di un racconto un racconto narrativo.
Nel condividere con gli allievi numerosi aneddoti professionali, Francesca Mannocchi ha affrontato infine il tema dell’intervista. “Il lettore vuole essere stupito dalla lettura di un’intervista. La fretta è nemica delle interviste e bisogna conquistare la fiducia del nostro interlocutore. Compatibilmente con la storia che ci deve raccontare, bisogna farlo/a sentire a suo agio. E se partiamo con una ‘chiave di lettura’ nell'approcciarci a una storia, dobbiamo fare in modo che l’intervista ci porti in un’altra direzione. Perché può accadere, e riconoscerlo è la cosa più importante”.

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